di SANTO STRATI – Non piacciono a nessuno le nuove misure introdotte dal l’ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (dpcm) e come potrebbero? Ci eravamo illusi che il temuto lockdown 2 fosse un’ipotesi remota, ma le cifre del contagio non lasciano scampo. Siamo di nuovo in piena epidemia, anche se – grazie al cielo – il numero dei decessi non è quello della fase acuta della pandemia di marzo-aprile, ma crescono a dismisura le prognosi di positività al virus. Le quali indicano brutalmente una cosa fin troppo evidente: il contagio non s’arresta e cresce in misura esponenziale. La tracciatura immaginata come soluzione ottimale mediante l’app Immuni non funziona perché non tutti hanno scaricato l’applicazione per lo smartphone, ma c’è da dire che anche tantissimi che avrebbero voluto farlo hanno dovuto rinunciare per l’incompatibilità con i telefonini di qualche anno fa. E, poi, non è detto che chi ha Immuni sul telefono comunichi al servizio sanitario che è positivo. Per non parlare della caotica e allucinante situazione dei tamponi la cui gestione è davvero da dilettanti allo sbaraglio. I pochi mesi di tregua e di illusoria scomparsa del virus non sono stati utilizzati dal Governo e dai ministeri coinvolti per mettere in pratica le misure di prevenzione, per attuare il rifornimento di scorte dei materiali necessari al personale medico-sanitario, per attivare, per esempio, i ventilatori polmonari acquistati e tenuti imballati alle prime timide avvisaglie di un’estate “sicura”.
In questo contesto, il presidente facenti funzioni della Regione Calabria Nino Spirlì, scaraventato in una situazione emergenziale e di gestione amministrativa alla quale non era preparato, ha tirato fuori gli artigli, subito dopo la sua prima ordinanza, e si è lanciato in una feroce invettiva contro il Governo, accusandolo di essere «privo di buonsenso». Il nuovo Dpcm? «Assolutamente inutile» – ha detto dall’ufficio ereditato inaspettatamente all’ottavo piano della Cittadella di Germaneto. «L’incapacità di questo Governo di ascoltare la voce dei territori e le urgenze di tutte le categorie sociali e produttive – da detto– non solo sorprende, ma offende il senso di unità nazionale di cui tutti gli italiani, oggi, hanno assolutamente bisogno. Mentre, con belle parole, il presidente del Consiglio e i suoi ministri chiedono, appunto, una nuova unità nazionale, al chiuso del Palazzo la umiliano fino al punto di privarla di ogni possibilità di vita futura. In questa nostra Italia il quadro sociale e politico è davvero drammatico. Purtroppo, decine di migliaia di imprese rischiano di morire inutilmente. Per ore e giorni, abbiamo tentato, purtroppo invano, di convincere l’esecutivo a non chiudere l’Italia. Ma quello che è venuto fuori è una finta vita e una vera morte».
Per poi aggiungere: «Penso a tutte quelle categorie di lavoratori che avrebbero trovato ristoro alle proprie fatiche se solo avessimo consentito lo svolgimento delle attività nelle ore più consone a ciascuna professione. Mi chiedo quali esperti abbiano individuato il luogo del contagio nella controllata e rispettosa convivialità. Mi chiedo quali studi abbiano acclarato che i teatri, i luoghi dell’arte e dello sport – che seguono, già dal primo allarme, tutte le indicazioni governative con rispetto e rigore – possano essere una minaccia alla salute pubblica». E non ha torto a proposito del teatro: secondo l’Agis nel periodo 15 giugno-10 ottobre, a fronte di 2.782 spettacoli e 347.262 spettatori, c’è stato un solo contagiato. I contagi avvengono sui mezzi pubblici – dove la gente si accalca – nei trasporti aerei e ferroviari, nonostante i lodevoli sforzi delle Compagnie: ma chi lavora e studia prende i mezzi. L’assembramento è inevitabile, il rischio di contagio altissimo.
Ma torniamo a Spirlì: un bellissimo discorso e un’apprezzabile presa di posizione a favore di esercenti e imprenditori ormai alla canna del gas, peccato che nel suo intervento riecheggino echi salviniani, lo stesso motivetto che da giorni sentiamo ripetere nei confronti del Governo da Lega e Fratelli d’Italia (Berlusconi è più moderato e suggerisce un esecutivo di unità nazionale per affrontare la nuova crisi). Del resto, quale migliore opportunità per Salvini – visto che ha un suo uomo al vertice regionale (la presidente Jole nominò Spirlì su espressa indicazione del leader della Lega) – di tentare di arrestare la frana che ha investito la Lega (4% a Reggio Calabria!) in tutto il Mezzogiorno? E Spirlì, intellettuale che merita rispetto per le sue qualche volta bizzarre idee sulla libertà di linguaggio, si presta agevolmente, dimenticando o fingendo di dimenticare che era pronta la sua sostituzione con Sergio Abramo già la scorsa settimana se non ci fosse stata la prematura dipartita della presidente Jole. L’attuale sindaco di Catanzaro sarebbe stato nominato vicepresidente, in grado di fronteggiare quella inevitabile sede vacante della presidente prevista nella prossima primavera per motivi di salute e cura. La Jole è scomparsa d’improvviso, i patti col “nemico” Salvini a favore di Abramo sono saltati. E, inopinatamente, Spirlì si è trovato nella stanza dei bottoni, dove – metaforicamente – magari non sapeva nemmeno dove fosse l’interruttore della luce. Assistito da bravi e capaci funzionari, questo senz’altro, ma una guida che abbia polso è fondamentale e irrinunciabile, perché poi l’ “esercito” sappia cosa fare.
Spirlì non ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità di warholiana memoria, ha, invece, a disposizione l’intero palcoscenico e se dovesse andare in panico bisogna comprenderlo. In realtà il neopresidente ff ha mostrato, inaspettatamente, di saper interpretare in modo adeguato gli echi leghisti che vengono da Roma: anche se accusare il Governo di mancanza di buonsenso è come sparare sulla Croce rossa. È vero che siamo di fronte al dilettantismo più sfrenato e a continui colpi di scena che rivelano, purtroppo, l’assenza di qualsiasi copione e la realtà di un’improvvisazione continua. Solo che a teatro un buon guitto con l’improvvisazione ci va a nozze, anzi spesso dà il meglio di sé, ma qui non si recita a soggetto: ci sono infelici e funeste realtà di morti, di ricoveri in terapia intensiva, di ospedali e presidi impreparati e lasciati, ancora una volta, a gestire l’emergenza facendo ricorso alle sole forze disponibili. Medici e personale sanitario che stanno mostrando ancora una volta il grande senso di abnegazione, di massima attenzione, a rischio anche della propria incolumità, per accogliere i malati da ricoverare, da intubare e da assistere.
Salvini, nonostante non ne stia azzeccando una dall’estate dello scorso anno al ‘malefico’ Papeete, ha capito che deve tentare la qualunque per rimanere a galla, ovvero al centro dell’attenzione. La Calabria era perduta? Eccola ritrovata con un Presidente pronto a difendere con le unghie e con i denti l’idea leghista , per permettere a Salvini di “riprendersi” (ma quando mai l’ha avuta?) la Calabria. Tant’è che il leader in felpa d’ordinanza sta sondando il terreno, a proposito delle prossime elezioni regionali calabresi, per tentare il colpaccio, d’intesa con Berlusconi: cedere qualche provincia importante (Napoli?) nel risiko delle discutibili spartizioni tra la coalizione dei centro-destra che ha assegnato la Calabria a Forza Italia. E nel caso ha anche l’uomo giusto da piazzare come candidato presidente: l’avvocato Cataldo Calabretta, attuale commissario straordinario della Sorical. Il quale non ha mai sfoggiato la cravatta verde nelle sue continue apparizioni in programmi televisivi che lo vedevano immancabile ospite, ma è di “area”. Espressione che significa che potrebbe anche essere digerito facilmente dalla Meloni, disposta a sacrificare Wanda Ferro – vera candidata con buone chances di successo ma non proponibile perché in quota a Fratelli d’Italia, e un po’ meno – salvo ordini da Arcore – dai forzisti calabresi. I quali, per inciso, sono senza coordinatore regionale e si muovono in ordine sparso, facendo finta di ascoltare il coordinatore provinciale reggino Francesco Cannizzaro la cui nomina, a norma di statuto, potrebbe essere considerata azzerata. Non c’è una bella aria in casa degli azzurri e le beghe interne sembrano difficile da superare con il sorriso: non hanno bisogno di rifarsi il guardaroba per Germaneto – vestono abitualmente con molta eleganza – Roberto Occhiuto e Gianluca Gallo, allo stato vicecapogruppo a Montecitorio e attuale assessore regionale all’agricoltura, che appaiono gli unici in grado di coagulare consensi in una destra che sembra orientata – qualora non ritrovi una vera unità – a ripetere l’insuccesso di Reggio e Crotone di qualche mese fa.
La verità è che al posto di insultarsi a vicenda, i leader politici e i ministri, a cominciare dal premier Conte, dovrebbero cominciare a pensare seriamente a un “gabinetto di guerra” che il presidente Mattarella, a norma della Costituzione, dovrebbe presiedere per combattere il più insidioso dei nemici fino ad oggi apparsi sul fronte mondiale. Perché non è solo ai morti, che meritano ogni rispetto prima d’ogni altra cosa, che bisogna pensare: le vittime sono molto più ingenti. Il nuovo lockdown 2, con le sue mezze chiusure, porterà sul lastrico migliaia di esercenti e di imprenditori, ai quali bisogna ristorare immediatamente le perdite. Diversamente, ci sarà una dramma sociale dalle conseguenze inimmaginabili. Una nuova gigantesca povertà alla quale nessun Mes, nessun Recovery Fund – quando arriveranno – potrà più mettere rimedio. Troviamolo il buonsenso, da tutte le parti, e coralmente s’individuino le soluzioni non solo per i positivi e i contagiati ma anche per tutti coloro che hanno già perso molto e rischiano di perdere davvero tutto. (s)