PONTE, RUOLO FONDAMENTALE PER MERCI
E COSÌ PREFERISCONO PENALIZZARE IL SUD

di ROBERTO DI MARIA – Al Ponte di Messina si pensa soprattutto come infrastruttura utile al passaggio delle persone da una sponda all’altra dello Stretto, trascurandone il ruolo, fondamentale per lo sviluppo economico di entrambe le regioni nell’ambito del trasporto merci.

Anche i più agguerriti nemici del Ponte non possono negare che un sistema di traghettamento, per quanto ben organizzato, rappresenta un oneroso collo di bottiglia per camion, tir, autoarticolati e per il cosiddetto trasporto Ro-Ro che tanto è cresciuto negli ultimi anni attraverso l’Adriatico. Con l’aggravante che imbarchi e sbarchi dei mezzi commerciali avvengono in maggioranza dal nuovo porto di Tremestieri, infelicissima e costosissima scelta a causa di prevedibili insabbiamenti che ne limitano l’utilizzo. 

Il trasporto dei pochi carri merci – oltre il 90% del trasporto merci si svolge su gomma, a dispetto delle raccomandazioni dell’Ue – è curato dalla flotta Rfi e subisce i rallentamenti derivanti dalla scomposizione e ricomposizione dei convogli prima dell’imbarco e dopo lo sbarco. Un traffico talmente limitato da risultare ormai residuale. Non potrebbe essere altrimenti: l’inevitabile lentezza delle operazioni e la relativa rottura di carico appesantiscono il sistema, sia in termini di tempo che, soprattutto, in termini di costo.

Proprio questo è il principale obolo che la Sicilia paga quotidianamente per un’insularità facilmente superabile, determinando quel “buco” di sei miliardi annui sottratti alle tasche dei siciliani, secondo le stime dell’istituto Prometeia. Questa “tassa” sul trasporto merci determina conseguenze nefaste per Sicilia e Calabria, tali da rendere oggettivamente impossibile rispettare la prescrizione dell’Ue di trasferire da gomma a ferro il 30% del trasporto merci entro il 2030. E il 50% entro il 2050.
Per l’incomprensibile gioia degli ambientalisti italiani, evidentemente lieti di inquinare pur di evitare la costruzione del Ponte.

Quanto esposto è un quadro ancora parziale delle conseguenze negative della discontinuità territoriale tra Sicilia ed Europa. È l’intero sistema logistico meridionale a pagarne le spese. Si pensi all’impossibilità di esercitare la funzione gateway agli scali siciliani perché il traghettamento “strozza” il flusso dei container. Rendendo irridente la definizione di “Sicilia hub del Mediterraneo”.

Porti come il Pireo, Algeciras e Valencia, che “guardano” verso Suez e il Nord Africa, analogamente a quelli del nostro Mezzogiorno, sono riusciti ad attrarre quantitativi di merci doppi o tripli rispetto a quelli di Genova e Trieste. Intorno a questi scali si va sviluppando la Logistica connessa alle nuove “catene del valore corte”, che attraendo i grandi Edc (European Distribution Centre) e la manifattura ad essi sempre più collegata, finiranno per dare un colpo mortale alla Pmi lombardo-veneto-emiliana. Un disastro economico facilmente prevedibile già anni or sono, verso il quale i governi nazionali conducono il Paese con colpevole incoscienza. 

Spagna, Grecia, Turchia, Egitto, Marocco e Cina lavorano alacremente per interfacciare i corridoi Ten-T europei con i futuri grandi assi trasportistici africani e mediorientali, che irradieranno sviluppo in territori abitati da centinaia di milioni di giovani ansiosi di crescere economicamente, socialmente e culturalmente. Ci vorranno decine di anni ma la programmazione geoeconomica va fatta ora, considerati i tempi lunghi necessari per realizzare le reti infrastrutturali necessarie.
I porti siciliani senza Ponte e quelli calabresi e pugliesi senza Av/Ac ferroviaria sono tagliati fuori da questi progetti planetari. 

Appare persino superfluo spiegare che nessun armatore, sano di mente, scaricherebbe i propri containers in un qualsiasi porto siciliano, sapendo che gli stessi dovrebbero essere re-imbarcati a Messina e re-sbarcati a Villa S. Giovanni per proseguire il loro viaggio verso l’Europa. Operazione che renderebbe impraticabile, dal punto di vista economico, questa soluzione, senza considerare le complicazioni in termini di strutture e navi da coinvolgere.

Possono comprendersi, in questo modo, le conseguenze che l’assenza del Ponte comporta non soltanto per la Sicilia, ma per l’intera Nazione, che perde l’occasione di sfruttare appieno le proprie regioni meridionali, protese come un enorme molo verso il Mediterraneo, su cui transita il 25% del traffico mondiale di containers.

La pianificazione della logistica sposata dall’attuale governo e dai precedenti, ha invece cristallizzato la sua attenzione su Genova e Trieste, destinandovi la quasi totalità dei fondi previsti del Pnrr per la portualità su tutto il territorio nazionale.

Per far piovere alcuni miliardi su Genova, l’Italia rinuncia a tentare di rivestire un ruolo chiave nell’ambito del sistema mediterraneo, condannando all’irrilevanza aree potenzialmente straordinarie come Augusta, Gioia Tauro e Taranto. Scali che – inseriti in un contesto locale ricco di opportunità (nuove Zes) – potrebbero generare un enorme valore aggiunto sia in fase di realizzazione che in esercizio. Valore aggiunto che, senza Ponte, resterebbe in buona parte inespresso. 

Ancora una volta, quindi, ci rendiamo conto di quanto assurdo e miope sia il benaltrismo del “prima le strade” o “prima le ferrovie” se non addirittura “prima i porti del Nord”. Perché tali infrastrutture hanno un senso soltanto se danno continuità al sistema infrastrutturale continentale. Condizione molto, ma molto più importante di quanto non si creda. 

Ciò che sorprende è che, in un mondo che resterà globalizzato ancora per tutto questo secolo – pur se in modalità più evolute di quelle viste alla fine del secolo scorso – l’Italia non riesca a cogliere l’importanza della connettività e qualcuno arrivi a considerare l’isolamento come un valore da mantenere. Un’idea che sta scavando la fossa alla Sicilia, coinvolgendo, come abbiamo visto, l’intero Paese. (rdm)

(Roberto Di Maria è ingegnere dei Trasporti)

Biennale dello Stretto: siglato in traghetto il protocollo d’intesa per il via

Nata dal progetto Mediterranei invisibili dell’archistar Alfonso Femia la Biennale dello Stretto, alla sua prima edizione, è pronta a vedere la luce: ieri a bordo della nave Telepass di Caronte-Tourist, in navigazione nello Stretto è stato siglato il protocollo d’intesa con le città metropolitane di Reggio e Messina, da rispettivi sindaci Federico Basile e il ff Carmelo Versace. A firmare il protocollo anche il presidente degli architetti di Reggio Ilario Tassone e il presidente della società benefit 500×100 arch. Alfonso Femia.

La Biennale dello Stretto vuole invitare a scoprire il Mediterraneo, la sua storia, il paesaggio e l’abitare nelle due sponde che si specchiano là dove il mito colloca Scilla e Cariddi. Ovviamente non sarà soltanto limitata ai territori di Reggio e Messina, bensì coinvolgerà tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, quindi Europa e Africa, per racocntare l’urbanizzazione dell’ambiente, la storia e la cultura del Mare Nostrum.

Secondo Carmelo Versace «La Biennale dello Stretto è una straordinaria opportunità per il nostro territorio una occasione per costruire attraverso il confronto e l’incontro tra i tecnici e la comunità territoriale, una visione d’insieme sul futuro di quest’area che contiene nel suo Dna geografico, paesaggistico e culturale un bagaglio di potenzialità davvero unico al mondo. Oggi proseguiamo sul cammino avviato, mettendo a frutto i risultati raggiunti in questi anni e continuando ad offrire la nostra piena collaborazione, in sinergia con gli altri enti territoriali, per la creazione di una visione omogenea delle politiche dello sviluppo sull’area metropolitana dello Stretto». Gli ha fatto eco il sindaco metropolitano di Messina Federico Basile che ha auspicato una «conurbazione di Messina e Reggio Calabria, condivisa da tutti e fondata sulla qualità delle proprie produzioni, su una rinnovata identità culturale e su un progetto di rinascita credibile e raggiungibile, che possa coinvolgere tutti i cittadini».

L’ideatore dle progetto, arch. Femia ha voluto sottolineare che non si tratta semplicemente di un evento «ma la tappa importante di un percorso intrapreso cinque anni fa, che ha permesso di incontrare, osservare e ascoltare in diretta le voci dei territori mediterranei, particolarmente di quelli celati. Il progetto vuole essere un’occasione di proiezione nel futuro, attraverso l’attivazione di un laboratorio internazionale sulle tre rive del Mediterraneo e sulle relazioni tra il Mediterraneo e il resto del mondo, costruendo un dialogo che il mutante contesto ambientale rende sempre più necessario e urgente».

Ilario Tassone, presidente degli Architetti della provincia reggina, ha rimarcato come la Biennale dello Stretto sia  «uno scenario ideale per spiegare come l’architettura sia attivatrice di valori sociali, etici, ambientali ed economici alla scala urbana e territoriale, che attraverso l’impegno progettuale genera processi internazionali di scambio e riflessione».

Il taglio del nastro ha visto la partecipazione anche della prof.ssa Francesca Moraci curatrice della Biennale che, insieme con l’architetta Mariangela Cama, coordinatrice del progetto, ha espresso un pensiero comune: «C’è una condizione culturale che si sta evolvendo – ha detto la Morace – unita ad una capacità sociale di pensare al futuro dello Stretto nella duplice dimensione di baricentro del Mediterraneo». La coordinatrice Cama ha, quindi, sottolineato che il progetto «è frutto di una profonda condivisione di idee e di intenti e il processo virtuoso che la Biennale ha già iniziato ad innescare, sono un risultato straordinario che riattribuisce allo Stretto e a tutto il Sud la storica dimensione internazionale che gli appartiene». (rrc)

PONTE: CON UN PAIO D’ORE RISPARMIATE
SICILIA, CALABRIA E ITALIA PIÙ “VICINE”

di ROBERTO DI MARIA – Del Ponte sullo Stretto, in campagna elettorale, è giusto che si parli, data l’importanza che esso assume per l’intero Mezzogiorno. L’opinione pubblica italiana lo vede come l’infrastruttura più complessa mai costruita, che stabilirà una serie di record tra i quali spicca la campata sospesa più lunga del mondo (3300 m). Una dimensione che finisce per nascondere l’importanza trasportistica, sociale e perfino politica dell’opera stessa.

Nel 2022 è inutile ripetere che l’aspetto trasportistico, con la logistica ad esso strettamente connessa, ha ormai un’importanza fondamentale ai fini dello sviluppo dei territori: l’intero pianeta si va ridisegnando in base ai nuovi parametri che fanno della connettività uno strumento di crescita ancora più importante della geografia (Parag Khanna). A negarlo sono rimasti solo i pochi irriducibili sostenitori della “decrescita felice” di Latouche, in quotidiano arretramento a causa di crisi energetiche, alimentari, delle materie prime e, purtroppo, anche dei conflitti in atto.

Peraltro, guardando ai tanti problemi del trasporto viaggiatori su ferro in Sicilia, anche l’osservatore più sprovveduto deve ammettere che gli interventi in corso e quelli previsti si riveleranno pressoché ininfluenti, se dovesse permanere l’attuale condizione di isolamento della nostra Regione.

 Il Ponte sullo Stretto, da solo, consentirebbe una riduzione dei tempi di viaggio nella relazione Sicilia-Continente quantificabile almeno in un paio d’ore: tanto è il tempo che passa tra l’arrivo di un treno Intercity a Villa S. Giovanni e la sua partenza da Messina, o viceversa. Una penale da pagare per pochi km di mare che gli orari attualmente in vigore ci rivelano variabile tra 1 h: 50’ e 2 h: 15’: quanto basta per raggiungere almeno Bologna da Roma: 400 km con treni ad Alta Velocità.

 Nel caso della Sicilia, di AV è meglio non parlarne: senza Ponte, essa continuerà a fermarsi a Salerno, lasciando inattuato il corridoio TEN-T Scandinavo-Mediterraneo, che dovrebbe arrivare fino a Palermo. Il motivo è semplice: i collegamenti AV comportano costi di costruzione molto elevati, e devono garantire benefici economici di entità ancora maggiore per superare la fiera opposizione di chi vuole riservare tali risorse al di sopra di Roma. Dove i vantaggi immediati sono molto più evidenti.

 Di fronte a questa mentalità – che è contemporaneamente neo liberista e bottegaia – non serve parlare di benefici sociali e di sviluppo a medio-lungo termine in quanto ciò che conta è solo l’immediato utile economico locale, non la crescita equilibrata del Paese. E i risultati di tale politica economica sono sotto gli occhi di tutti.

Realizzare qualche tratta ed AV per un paio di centinaia di km, lasciandole separate dalla rete europea non serve a nulla. Le differenze nei tempi di percorrenza non giustificano l’investimento, ovvero “il gioco non vale la candela”. Non avrebbe senso, quindi, realizzare una AV limitata al solo territorio siciliano, dove le distanze tra le città principali sono inferiori alla metà del limite dei 500km generalmente considerato lo spartiacque tra i collegamenti da rendere veramente “veloci” e quelli che si possono lasciare “lenti”. Perché il loro sviluppo non interessa ai decisori politici. Ergo, le città della Sicilia saranno servite da treni ad AV soltanto qualora la rete ferroviaria siciliana fosse messa in continuità con la rete continentale.

Inutile, poi, perdere tempo a esaminare il tanto celebrato “traghettamento veloce” ottenuto realizzando elettrotreni ad alta velocità su misura (non potendo essere scomposti come gli attuali Intercity) per entrare nelle navi traghetto: le manovre per entrare ed uscire dal traghetto, seppur semplificate, sarebbero comunque necessarie, e il risparmio di tempo limitato a un paio di decine di minuti a fronte delle attuali due ore ed oltre. Con costi assolutamente non giustificabili.

 In queste condizioni, non potrebbe mai verificarsi quella svolta che comporterebbe per l’estremo Meridione i benefici registrati dall’AV che, dovunque è stata realizzata, ha portato incrementi di PIL che raggiungono il 10% e riducono drasticamente l’uso dell’aereo, con tangibili riduzioni dell’inquinamento.

 Un nostro studio, pubblicato nel Novembre 2019 confronta i tempi di percorrenza in treno dalla Sicilia al continente con quelli dell’aereo, considerando anche i tempi necessari agli spostamenti dalla città all’aeroporto e viceversa, nonché i tempi di imbarco e di sbarco. Si scopre che sulla relazione Catania-Roma i tempi del viaggio sarebbero praticamente identici: circa quattro ore e mezza.. Sulla Palermo-Roma la differenza sarebbe meno di un’ora a favore del vettore aereo (5h30’ contro 4h38’).

Non è un cambiamento da poco: secondo le leggi dell’economia la concorrenza fra gli operatori abbassa il prezzo del prodotto. I viaggiatori siciliani non dovrebbero più sobbarcarsi i salassi a cui sono sistematicamente sottoposti dalle compagnie aeree per rientrare in Sicilia dopo le vacanze. A prezzi improvvisamente raddoppiati.

Naturalmente per gli spostamenti su gomma vale lo stesso discorso, ma trasferito al rapporto di concorrenza che si verrebbe ad instaurare tra traghettamento e Ponte. Il primo, che oggi opera praticamente in monopolio, ha costi altissimi per l’utente e la presenza dei traghetti RFI, in affiancamento al gestore privato, non ha mai determinato una vera concorrenza. Come avviene con le compagnie aeree.

 Il Ponte non solo ridurrebbe di oltre un’ora i tempi di attraversamento, ma il pedaggio sarebbe molto più basso, considerato l’orientamento consolidato di un finanziamento della costruzione interamente pubblico.

Tutto fingendo di non vedere l’incredibile mancata risposta delle massime Istituzioni (inclusi i Presidenti Mattarella e Draghi) alla richiesta, avanzata nell’Aprile 2021, del rispetto delle Norme di Sicurezza in Mare durante il traghettamento dei treni passeggeri. Stendiamo un velo pietoso su questa omissione.

In sintesi, pochi, comprensibili ragionamenti mostrano i benefici che consentirebbero ai siciliani di recuperare una buona fetta dei sei miliardi di costi aggiuntivi che, secondo l’istituto Prometeia, soffocano l’economia e la vita dei siciliani. Ma pare che non importi a nessuno. (rdm)

(Roberto Di Maria è un ingegnere dei Trasporti)

L’OPINIONE / Amalia Bruni: La Calabria può essere strategica per la Ue nei rapporti col Mediterraneo

di AMALIA BRUNI – Sono trascorsi appena due mesi dal mio intervento alla Camera dei Deputati, in qualità di vicepresidente della Commissione Cultura della Regione Calabria, per il cinquantesimo anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace, e le mie parole rivolte ai Ministri e dalle alte autorità politiche presenti, sull’importanza della centralità della Calabria nel percorso di sviluppo dei rapporti euro-mediterranei, hanno trovato una conferma pressoché immediata.

In quella occasione avevo detto: Se è vero, dunque, che la giusta posizione geografica e una favorevole conformazione del territorio, oggi come allora rappresentano alcuni punti di forza di una nazione, o di una parte di essa, come dobbiamo ragionare, se vogliamo che la Calabria sia parte attiva nel processo di crescita dell’Europa?

Ma la prima domanda è: la Calabria può divenire strategica per l’Europa? Sì, lo può divenire. Proprio grazie alla sua posizione geografica, finora penalizzante per il tipo di politiche economiche perseguite, ma vincente se si condivide l’idea che la Calabria possa divenire la protagonista della nuova politica di sviluppo dei rapporti euro-mediterranei. Noi siamo Europa e siamo Mediterraneo, in egual misura.

In quel discorso, l’unico possibile in questo particolare momento storico, ho evidenziato che le politiche economiche perseguite dallo Stato sono state fortemente penalizzanti per la Calabria e per le altre regioni periferiche d’Europa e che la Calabria può ricoprire un ruolo determinante nei rapporti con l’Africa e il Medio-Oriente proprio grazie alla sua posizione strategica nel Mediterraneo. A maggior ragione, visto che nei nuovi assetti politici ed economici mondiali che si stanno delineando, lo spostamento degli interessi verso i paesi africani ci può e ci deve vedere protagonisti in positivo nell’interesse dell’Italia e dell’Europa.

È proprio di qualche settimana la notizia che l’Italia ha siglato un accordo commerciale con l’Algeria per la fornitura di 9 miliardi di metri cubi di gas, che verrà fornito tramite il gasdotto che dal Magreb, passando dal mare di Sicilia arriva direttamente nel mega impianto di Scilla, e potrebbe renderci autonomi dalla Russia. La strada è stata tracciata, ora bisogna percorrerla con convinzione e determinazione. (ab)

A Reggio al via il progetto Mediterraneo

A Reggio prende il via Mediterraneo, il progetto culturale, articolato in una mostra e in due pubblicazioni, inserito nel programma Memoria e Mito della Città Metropolitana in occasione delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace, ideato e curato da Giammarco Puntelli.

Il ricco prologo sarà la presentazione del volume Mediterraneo, libro della collana Le Scelte di Puntelli dell’Editoriale Giorgio Mondadori, che si terrà sabato 10 settembre alle 17.30 al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria.
La presentazione sarà a cura del professor Puntelli e del responsabile Libri della Giorgio Mondadori dottor Carlo Motta, alla presenza del Sindaco f.f. della Città Metropolitana Carmelo Versace, del Consigliere delegato alla Cultura, Filippo Quartuccio e del Direttore del MArRC che ospita la conferenza, Carmelo Malacrino.
Prevista, per domenica 11 settembre, l’inaugurazione della mostra Mediterraneo presso Palazzo della Cultura “Pasquino Crupi”. Saranno presenti all’inaugurazione il Sindaco ff. della Città Metropolitana Carmelo Versace, il Consigliere delegato alla Cultura Filippo Quartuccio, il curatore del progetto Giammarco Puntelli, il responsabile Libri della Giorgio Mondadori Carlo Motta, il maestro Alfonso Borghi, protagonista della personale, il maestro Domenico Monteforte e altri artisti selezionati per l’evento: Antonella Belviso, Antonella Bertoni, Selene Bozzato, Silvia Caimi, Franco Carletti, Alessandra Casciotti, Giovanni Cristini, Emanuela De Franceschi, Claudio Fezza, Federica Gianfranchi, Franco Girondi, Alessandro Grazi, Lucilla Labianca, Maria Mansueto, Erika Marchi, Claudio Massimi, Karin Monschauer, Domenico Monteforte, Fiamma Morelli, Patrizio Oca, Pamela Pagano, Carlo Alberto Palumbo, Claudia Salvadori, Fabio Santori, Elvira Sirio, Alessandro Trani, Armando Trasforini, Sandra Valdevilt, Serafino Valla, Ivana Vio, Blerta Xhomo.
“Mediterraneo” è un progetto d’arte e di cultura per valutare ai giorni nostri un luogo della natura che è luogo di storia e unione di filosofie, con opere d’arte che valorizzano le bellezze naturali, artistiche e culturali, patrimonio della Calabria e della Sicilia. La mostra è accompagnata da un catalogo dell’Editoriale Giorgio Mondadori.
La Città Metropolitana abbraccia con entusiasmo questo progetto all’interno della programmazione di eventi nell’anno del cinquantesimo anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace. La mostra è un inno al Mediterraneo, quel mare che ha restituito le due statue dopo averle custodite per oltre 2000 anni, che non smette mai di sorprendere e di rivelarsi. Ancora una volta la Città Metropolitana propone una mostra di rilievo internazionale, apre il Palazzo della Cultura a nuove rotte e a nuove prospettive. È un impegno costante verso la comunità e verso i visitatori quello di rendere sempre più viva e più interessante l’offerta di un territorio che nei millenni è stato culla di civiltà, incrocio di cultura e di popoli e che si conferma, ancora oggi, Centro Culturale del Mediterraneo. (rrc)

 

MEDITERRANEO E PONTE SULLO STRETTO
SUD RESTA IL PARENTE POVERO D’EUROPA

di PIETRO BUSETTA – Il ponte sullo stretto di Messina non è una passerella per collegare Messina a Reggio Calabria. Non è nemmeno il collegamento stabile tra i quasi due milioni di abitanti della Calabria e i cinque milioni della Sicilia. Il ponte del Mediterraneo è il collegamento tra i 4 miliardi di popolazione dell’India, della Cina, del Giappone e di tutto l’estremo oriente con i 500 milioni di abitanti dell’Europa.

In questa visione le farneticazioni di Marco Ponti diventano grida alla luna che non vale la pena né di ascoltare né di contestare.
Anche il risparmio di 6 miliardi e mezzo che in un anno avrebbe la Sicilia per l’eliminazione dei costi dell’insularità, che ne fa un’opera unica nel mondo di tal genere, che viene pagata in un solo anno, quando queste opere si ammortizzano in un periodo di tempo vicini ed oltre i 50 anni, non diventa fondamentale nella scelta di costruirlo.

Perché il vero motivo che fa sì che l’Europa lo abbia inserito nel corridoio uno riguarda il fatto che le grandi vie di comunicazione europee verso il Sud della stessa e verso il Nord Africa diventano fondamentali per qualunque tipo di politica economica che guardi verso quella parte del mondo, che nel giro di qualche anno diventerà quella più popolata e piena di giovani.
Non fa male ricordare che l’Africa è anche una miniera di materie prime indispensabili per i Paesi dell’Unione.
Ed allora non vi sono calcoli di costi benefici che tengono perché se li avessimo fatti , peraltro a bocce ferme, bucare in parecchi punti le Alpi era un’operazione economicamente non valida, fare il Mose a Venezia non era conveniente piuttosto era meglio farla annegare nell’acqua alta.

Eppure il costo del Mose è pari a quello del ponte. A chi sostiene che ci sono problemi tecnici, in malafede o per dabbenaggine, in entrambi casi estremamente colpevole, va ricordato che quando si lanciano i satelliti per andare sulla luna spesso si interrompe il conto alla rovescia perché si è riscontrato un guasto.

Quando si fanno operazioni innovative così all’avanguardia, come può essere la costruzione di un ponte a campata unica con oltre 3000 m di salto, è evidente che potranno esserci in fase di attuazione dei problemi rispetto ad un progetto validato dai più grandi architetti del mondo, ma questo non vuol dire che tale progetto sia da buttar via, piuttosto che va in fase di realizzazione adeguatamente verificato.
Solo in una situazione come quella del Sud, che non avendo alcuna difesa politica può essere trattato come il parente povero che piglia uno schiaffo al giorno, poteva accadere quello che è accaduto con il ponte sullo stretto, al di là di ogni logica visione.
Banalmente senza alcun tipo di approfondimento, il ponte andava costruito agli inizi del 900 o certamente subito dopo la seconda guerra mondiale. Ma la condizione di pensiero dominante dalla madrepatria bulimica e arraffatutto, per cui è opportuno spendere 2 miliardi per la Milano cortina, sei per lil Mose , 11 per la TAV, infiniti per l’alta velocità ferroviaria fino a Napoli ed invece non impegnare risorse adeguate per ponte sullo stretto.

Il ponte sarà costruito certamente perché va nel senso della storia, per lo stesso motivo per cui dalle carrozze si é passati alla ferrovia e alle auto, per cui si è andati sulla luna, per cui si è allargato il Canale di Suez, con molto ritardo rispetto alle esigenze lasciando nel sottosviluppo, che poi viene pagato da tutto il Paese, da tutto il Mezzogiorno.

Il ritardo è dovuto alla voglia incredibile di concentrare su Genova e Trieste tutti i traffici, di lasciare il Mezzogiorno come colonia da cui estrarre capitale umano e in cui posizionare le produzioni inquinanti, in cui lasciare i migranti che arrivano dal Nordafrica.

E con l’autonomia differenziata questo Nord bulimico pensa di tagliare lo stivale e farlo affondare da solo e non si rende conto che esso si può trascinare tutto il Paese. La salvezza può avvenire soltanto da una consapevolezza diffusa di essere dominati, anche mentalmente, da una parte; dal riconoscere una serie di collaborazionisti locali che hanno fatto un patto scellerato con la classe dirigente del Paese contro i loro stessi corregionali. O da utili idioti che tengono il sacco agli interessi del Partito Unico del Nord.

Ma allora probabilmente ritorneranno i fasti della Magna Grecia. (pb)

[Pietro Busetta è professore ordinario all’Università di Palermo]

CON IL PONTE E IL CORRIDOIO EUROPEO
PREVALE LA CENTRALITÀ MEDITERRANEA

di MARCO SANTORO e ROCCO LA VALLE – Caro Direttore, a proposito del Ponte sullo Stretto di Messina vorremmo invitare i suoi lettori a riflettere su qualcosa di diverso, qualcosa su cui tutti i grandi contestatari del Ponte evitano di parlare, ma tutti sanno ed a tutti sta bene che cali un grande silenzio sull’opera Ponte.

Ma perché ostacolare il Ponte sullo Stretto di Messina? Forse perché non ci credono, o perché lo ritengono inutile, o forse perché pensano che sia uno spreco di soldi, o come dicono alcuni ambientalisti deturpa il paesaggio!

Queste sono solo alcune ipotesi, che spesso ci vengono propinate nei dibattiti pubblici e che i grandi gestori della Logistica dell’Europa del Nord alimentano consapevolmente sulla stampa solo per nascondere il loro vero interesse.

Tutti sanno che il Ponte sullo Stretto se realizzato si porta dietro il corridoio ferroviario di Alta Velocità e Alta Capacità (AV-AC) da Battipaglia a Reggio Calabria e da Messina-Catania-Palermo. Ed è proprio per questo motivo che la grande opera viene bloccata.

Il vero problema per chi gestisce la Logistica nell’Europa del Nord è rallentare il più possibile la nascita di una piattaforma logistica nel Mediterraneo, tra i Porti Meridionali.

Per colpa di una classe politica cieca e di una burocrazia interessata non è stato ancora realizzato il corridoio ferroviario di AV-AC Battipaglia-Reggio Calabria e Messina-Catania-Palermo. La mancanza di un collegamento stabile nello stretto, inoltre, è uno dei motivi principali per cui una grandissima maggioranza di navi commerciali e porta conteiners, che escono dal Canale di Suez, non si fermano tra i Porti Meridionali di Augusta e Gioia Tauro (per citare i più importanti), preferiscono navigare ancora per 7 (sette) giorni, con un aumento dei costi di carburante, risalire l’Atlantico e consegnare il proprio carico tra i Porti di Anversa, Rotterdam e Amburgo, considerati tra i più efficienti al mondo.

Uno dei motivi, forse il più importante, per cui non si realizza il Ponte sullo Stretto è legato alla logistica. Grandi economisti insegnano che la logistica per i grandi gestori dell’Europa del Nord è come il petrolio per gli Arabi.

L’Italia si trova al centro del Mediterraneo, purtroppo i Governi passati hanno consentito che la piattaforma logistica del Mediterraneo si realizzasse nell’Oceano Atlantico tra i porti olandesi, belgi e tedeschi.

Ci sono grandi nazioni, regioni e aziende multinazionali che per perseguire i loro interessi operano negativamente per bloccare la crescita infrastrutturale nel Meridione d’Italia. Lo strumento che più utilizzano per realizzare questo obiettivo è il Ponte sullo Stretto di Messina, se si blocca il Ponte si blocca tutto il sistema di crescita economica al Sud.

Ci sono altri indizi che ci spingono a pensare questa volontà di continuare a rimandare l’opera, l’indicazione del Governo Conte di insediare una Commissione Ministeriale istituita dalla Ministra Paola De Micheli, una Commissione che valuta la possibilità di realizzare il Ponte sullo Stretto di Messina a tre campate, scelta che è stata già scartata in passato.

Il Ponte sullo Stretto ha avuto l’avvio dei lavori con il Governo Berlusconi nell’anno 2009, e con l’apertura dei cantieri per realizzare un’opera propedeutica al Ponte, la famosa Variante di Cannitello realizzata a fine 2014. Sotto l’aspetto tecnico va ricordato che l’iter procedurale dell’Opera Ponte è stata portata fino all’aggiudicazione dell’appalto, vinto da un gruppo di imprese, con a capo l’Impregilo del Gruppo Salini che in 180 giorni avrebbe potuto aprire i cantieri.

L’opera aveva ed ha tutti i requisiti per accedere ai finanziamenti del PNRR. L’Europa ha sempre raccomandato di spendere il 70% delle risorse nel Sud Italia, ma la Commissione voluta dal Governo Conte e dalla Ministra De Micheli rimanda ancora una volta un’opera che avrebbe potuto cambiare il Sud Italia.

Con la realizzazione del Ponte e di conseguenza dei corridoi ferroviari ci si sarebbe avvicinati in quella direzione indicata dalla COP 26 (la conferenza sul clima organizzata annualmente dalle Nazioni Unite) con gli accordi di Glasgow che prevedono entro il 2030 la data entro la quale tagliare le emissioni di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2010.

Quindi il progetto c’era, l’appalto già giudicato, le risorse del PNRR già assegnate, poteva essere la volta buona, e invece si materializza subito la sorpresa di un GdL al Ministero che pensa che ad un ponte a tre campate, ma non è finita qui, oltre il danno la beffa. Il piano F.S. già finanziato con 109.2 miliardi, da PNRR, Fondo Complementare, Controllo di Programma R.F.I. e altri fondi U.E. e Nazionali, non prevede per il 2026 alcun corridoio ferroviario di AV-AC nel tratto calabrese e, vergogna delle vergogne, in un primo tempo uniche risorse erano state assegnate per realizzare la nuova Galleria Santomarco tra Paola S. Lucido e Cosenza per agevolare principalmente i treni merci che da Gioia Tauro venivano indirizzati al Nord. Bene, anche queste risorse vengono indirizzate per altre opere poco importa, ma ci chiediamo cosa ancora si deve subire?

Anche questa volta ci sono riusciti, blocco Ponte, blocco Corridoio ferroviario, blocco Porto di Gioia Tauro ed Augusta. L’unica voce che si fa sentire in questo silenzio è quella del Governatore della Calabria Occhiuto che su Gioia Tauro sta puntando moltissimo insieme alla sua Giunta, e ai calabresi onesti.

Con il Ponte sullo Stretto, il collegamento ferroviario, l’alta velocità, il gateway, l’autostrada Messina-Catania-Palermo, si potrebbe formare una piattaforma logistica di grandi prospettive, lì davanti a Suez, nel Meridione d’Italia.

La cosa più incredibile è che quello che noi immaginiamo e raccontiamo oggi, cioè l’interesse dei grandi gruppi dell’Europa del nord per la logistica che bloccano le infrastrutture del sud Italia, un grande politico milanese lo aveva già scritto.

Il Canale di Suez è stato inaugurato il 17/11/1869. Cesare Correnti, nel Bollettino della Società Geografica Italiana editato a partire dall’agosto 1868, ricordava ai soci come la nuova centralità del Mediterraneo, imponesse all’Italia post unitaria, una politica di grandezza.

Per il politico milanese bisognava però agire con la massima celerità per porre il paese nella condizione di intercettare i flussi provenienti dall’oriente e non essere sopraffatti da grandi e medie potenze.

“Se non si riesce a pigliar posto subito, non si sarà fatto nulla. Marsiglia e Trieste minacciano di girar per due fianchi l’Italia di rendere inutile il molo della Penisola Japigica, di tirar a sé tutte le navi che sboccheranno dal bosforo egiziano e di far considerare le costiere italiane nulla più che un inciampo buttato in mezzo al Mediterraneo”. Cesare Correnti fu suo malgrado buon profeta.

Il vero obiettivo dei grandi gestori della logistica del Nord Europa e dei loro amici politici è solo ed esclusivamente bloccare la grande potenzialità dei porti meridionali, obiettivo naturalmente nascosto perché si fa di tutto per bloccare il Ponte, ma si nasconde che il loro grande interesse è bloccare o rimandare più tardi possibile la realizzazione dei corridoi ferroviari che assicurano ai porti meridionali di poter esprimere tutta la loro potenzialità.

Una nazione come l’Italia bagnata in quasi tutte le sue parti dal Mediterraneo deve ritornare ad essere grande nel mare nostrum e sviluppare appieno la logistica nei porti del meridione d’Italia, soprattutto in quelli di Augusta, Gioia Tauro anche per ingrandire e migliorare gli scambi economici con l’Africa.

Ci sarebbe da discutere molto sul blocco dell’ex corridoio 1 Berlino-Palermo fermo da sempre a Battipaglia, o sulla scelta di impegnarsi sul corridoio ferroviario Helsinki-La Valletta che molti esperti considerano pensato e realizzato per non far proseguire il corridoio verso il Porto di Gioia Tauro e la Sicilia, oppure la caducazione dei contratti legati al Ponte sullo Stretto ad opera del Governo Monti che insieme ad RFI raccontano che è antieconomico realizzare il corridoio ferroviario di AV-AC Battipaglia-Reggio Calabria Messina-Catania-Palermo se non si costruisce il ponte. Per il momento si favoriscono gli interessi dei grandi gestori della logistica del Nord Europa sempre attenti a che non si faccia crescere la portualità meridionale bloccando le infrastrutture.

Da quando si parla del PNRR tutti sono molti attenti a precisare che una grande percentuale di quelle risorse devono essere spese al Sud.

Nei fatti vediamo che la ex Ministra De Micheli oltre a rimandare la questione Ponte sullo Stretto con l’istituzione di un GdL impegna i primi 500 milioni del PNRR e ne prevede altrettanti per il Porto di Genova, mentre il suo collega triestino Patuanelli ne prevede 388 milioni per il Porto di Trieste, a cui vanni aggiunti i 112 milioni di euro che RFI prevede per aumentare il traffico merci nello stesso Porto.

Ci saremmo aspettati che eguali risorse, rispettando la volontà dell’Europa sul PNRR fossero impegnate e spese nel Porto di Gioia Tauro e Augusta, ma non è così. Se dovessimo giudicare questi Ministri per quello che hanno fatto al Sud, diremmo che somigliano a quegli Assessori regionali che guardano ai loro interessi politici.

Se oggi con la guerra in Ucraina l’Europa sente il bisogno di guardare al Mediterraneo, possiamo affermare che nulla è stato fatto per realizzare nel Meridione quelle infrastrutture necessarie per poter dialogare con l’Africa del Nord, anzi si continua a bloccare o rimandare il Ponte sullo Stretto sapendo bene che bloccando il Ponte si impedisce la crescita dei Corridoi ferroviari e dei Porti Meridionali, vera preoccupazione per chi non vuole perdere la propria posizione vantaggiosa sulla gestione della Logistica in Europa.

E mentre nel Sud Italia, dove si potrebbe realizzare una Piattaforma Logistica nel Mediterraneo, tutto viene rimandato, grandi Nazioni come la Cina, la Russia e la Turchia occupano spazi vuoti nel Mediterraneo, perché con ragione sono convinti che chi si posiziona nel Mediterraneo ha voce nel mondo.

Concludendo è necessario e fondamentale la sinergia tra le varie istituzioni, per il completamento del Corridoio ferroviario Helsinki-La Valletta, la realizzazione dell’AV/AC nel Meridione d’Italia Battipaglia-Reggio Calabria e Messina-Catania-Palermo, il completamento e l’ammodernamento dell’autostrada, con la creazione di una task force che lavori insieme con l’autorità portuale al fine di attuare la connettività dei porti, per fare decollare la Piattaforma logistica del Mediterraneo principalmente attraverso l’anello di congiunzione del Ponte sullo Stretto di Messina. (ms/rlv)

[Rocco La Valle è stato sindaco di Villa S. Giovanni,
Marco Santoro è stato candidato sindaco di Villa nel 2022.
Sono autori del saggio “Uno sviluppo impedito”)

BALNEAZIONE SOPRA LA MEDIA IN EUROPA
NECESSARIO PIANO PER IL MEDITERRANEO

di MARIO PILEGGICon 4.850 aree marine e 674 spiagge lacustri e d’acqua dolce adibite alla balneazione l’Italia è il Paese che, all’interno dell’Unione Europea, dispone del maggior numero di spiagge ed è per questo considerato la “spiaggia di Europa”. Le spiagge marine rappresentano l’87,8% delle 5.524 spiagge disponibili.

In pratica più della metà degli 8.300 chilometri di coste del BelPaese è destinata alla balneazione.

Ma c’è di più: dall’ultimo Rapporto sulla qualità delle acque della Comunità europea, pubblicato il 3 giugno scorso, emerge che l’Italia è uno dei Paesi con l’insieme delle acque balneabili di qualità superiore rispetto alla media dei Paesi dell’Unione. Infatti il numero delle aree della UE con acque classificate di qualità eccellente raggiunge complessivamente l’84% del totale mentre quello del BelPaese, con 4.854 aree  classificate di qualità eccellente, arriva complessivamente all’ 87.9%. 

Dallo stesso Rapporto emerge che i Paesi dell’Unione Europea più Albania e Svizzera dispongono complessivamente di 21.859 aree balneabili delle quali 14.584 pari al 66,07% sono spiagge marine mentre quelle lacustri e fluviali sono 7.275 pari al 33,3%. Tutti gli Stati membri dell’UE, l’Albania e la Svizzera monitorano i propri siti balneabili conformemente alle disposizioni della direttiva dell’UE sulle acque di balneazione. 

In particolare, in ogni singolo stato dell’UE il numero delle aree adibite alla balneazione è: Austria 261, Belgio: 122, Bulgaria: 96, Croazia: 935, Cipro: 120, Cechia: 155, Danimarca: 1.031, Estonia: 65, Finlandia: 302, Francia: 3.355, Germania: 2.291, Grecia: 1.683, Ungheria: 274, Irlanda: 148, Italia: 5.524, Lettonia: 56, Lituania: 120, Lussemburgo: 17, Malta: 87, Paesi Bassi: 738, Polonia: 672, Portogallo : 652, Romania: 50, Slovacchia: 32, Slovenia: 47, Spagna: 2.261 e Svezia: 457. Al di fuori dell’UE, alla banca dati del  WISE – Sistema Informativo sulle Acque per l’Europa,  sono state segnalate altre 308 aree destinate alla balneazione: 119 dall’Albania  e 189 dalla Svizzera. 

Per ognuna di queste aree adibite alla balneazione in ogni Paese appartenente all’Unione europea esiste l’obbligo di fornire le informazioni necessarie per consentire alle persone di prendere decisioni informate su dove fare il bagno senza rischi per la salute.

Le  norme di riferimento nel BelPaese sono: Decreto Legislativo 30 maggio 2008, n. 116 “Attuazıone della direttiva 2006/7/CE relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione e abrogazione della direttiva 76/160/CEE“; e Decreto 30 marzo 2010 –“Definizione dei criteri per determinare il divieto di balneazione, nonche’ modalita’ e specifiche tecniche per l’attuazione del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 116, di recepimento della direttiva 2006/7/CE, relativa alla gestione della qualita’ delle acque di balneazione.

La stessa direttiva è sostenuta da un ampio quadro normativo europeo in materia di acque, che comprende la direttiva quadro sulle acque, la direttiva sugli standard di qualità ambientale, la direttiva sulle acque sotterranee, la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino e la direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane.

Un quadro normativo finalizzato a proteggere la salute umana dai rischi derivanti dall’inquinamento delle acque di balneazione e con vari strumenti quali: i profili di balneazione; la previsione degli inquinamenti di breve durata; il ruolo della partecipazione del pubblico; la classificazione delle acque di balneazione in quattro categorie di qualità: Eccellente, Buona, Sufficiente e Scarsa sulla base dei valori degli indicatori microbiologici di contaminazione fecale (Escherichia coli ed Enterococchi intestinali); le informazioni da fornire ai bagnanti in tempo reale;  il monitoraggio delle acque secondo i criteri tecnici definiti negli allegati normativi. 

Riguardo gli strumenti di informazione e partecipazione dei cittadini sono  significativi titoli e contenuti degli articoli 14 e 15 del Decreto legislativo 30 maggio 2008 , n. 116 -Attuazione della direttiva 2006/7/CE relativa alla gestione della qualità delle acque di balneazione e abrogazione della direttiva 76/160/CEE, di seguito in parte riportati:

«Art. 14. Partecipazione del pubblico: Le autorità competenti, ciascuna per quanto di competenza, incoraggiano la partecipazione del pubblico all’attuazione del presente decreto e assicurano che siano fornite al pubblico interessato opportunità di informarsi sul processo di partecipazione, e di formulare suggerimenti, osservazioni o reclami, in particolare per la preparazione, la revisione e l’aggiornamento delle acque di balneazione di cui all’articolo…».

«A15 15. Informazione al pubblico: I comuni assicurano che le seguenti informazioni siano divulgate e messe a disposizione con tempestivita’ durante la stagione balneare in  un’ubicazione facilmente accessibile nelle immediate vicinanze di ciascuna acqua di balneazione:

  1. a) classificazione corrente delle  acque  di  balneazione ed eventuale  divieto di balneazione di cui al presente decreto mediante una simbologia che risponda agli indirizzi comunitari;
  2. b) descrizione  generale  delle  acque  di  balneazione,  in  un linguaggio non tecnico, basata sul profilo delle acque di balneazione predisposto in base all’allegato III;
  3. c) nel caso di acque di balneazione identificate a rischio di inquinamento di breve durata: 1) avviso di acqua di balneazione a rischio di inquinamento di breve durata; 2) indicazione del numero di giorni nei quali la balneazione e’ stata  vietata  durante  la  stagione  balneare precedente a causa dell’inquinamento di cui al n. 1); 3)  avviso tempestivo di inquinamento, previsto o presente, con divieto temporaneo di balneazione;
  4. d) informazioni   sulla   natura e la durata  prevista  delle situazioni  anomale  durante  gli  eventi di cui articolo 2, comma 1, lettera g);
  5. e) laddove  la  balneazione è vietata, avviso che ne informi il pubblico, precisandone le ragioni;
  6. f) ogniqualvolta è introdotto un divieto di  balneazione permanente, avviso che l’area in questione non è più balneabile con la ragione del declassamento;
  7. g) indicazione delle fonti da cui reperire informazioni più esaurienti, conformemente al comma 2.

 

  1. 2.  Le  autorità  competenti,  ciascuna per la propria competenza, utilizzano  adeguati  mezzi e tecnologie  di comunicazione, tra cui Internet, per promuovere e divulgare con tempestività  le informazioni sulle acque di balneazione di cui al comma 1, nonchè,ove opportuno, in varie lingue, le seguenti informazioni: 
  2. a) elenco delle acque di balneazione; 
  3. b) classificazione  di ciascuna acqua di balneazione negli ultimi tre  anni e il relativo profilo, inclusi i risultati del monitoraggio effettuato    ai   sensi   del   presente decreto dopo l’ultima classificazione; 
  4. c) misure di risanamento di cui all’articolo 2, comma 1, lettera f), numero 10); 
  5. d) nel caso di acque di balneazione classificate «scarse», informazioni  sulle  cause  dell’inquinamento e sulle misure adottate per  prevenire  l’esposizione  dei  bagnanti  all’inquinamento e per affrontarne le cause come prescritto nell’articolo 8, comma 4;
  1. e) nel  caso di acque di balneazione a rischio di inquinamento di breve durata, informazioni generali relative a:1)  condizioni che possono condurre a inquinamento di breve durata; 2)  grado  di  probabilità di tale  inquinamento e della sua probabile durata; 3) cause dell’inquinamento e delle misure adottate per prevenire l’esposizione dei   bagnanti all’inquinamento e per affrontarne le cause; …».

Va evidenziato che grazie a queste norme, in molti Paesi europei e alcune regioni italiane come l’Emilia-Romagna la quantità di acque reflue urbane e industriali non trattate o parzialmente trattate che finiscono nelle acque di balneazione è drasticamente diminuita rendendo la balneazione possibile anche in molte acque superficiali situate in aree urbane che in precedenza erano altamente inquinate.

E che la Commissione europea sta riesaminando la Direttiva sulle acque di balneazione con l’obiettivo di valutare se le norme vigenti siano ancora idonee a tutelare la salute pubblica e a migliorare la qualità dell’acqua, o se sia necessario perfezionare il quadro esistente, in particolare prendendo in considerazione nuovi parametri.

In tale contesto è da considerare che le norme vigenti, in particolare per quanto riguarda la informazione e partecipazione dei cittadini, previste dai sopracitati artt. 14.e 15, come documentiamo da molti anni, restano inapplicate in varie  regioni e comuni del BelPaese. Come è da considerare che da circa un  decennio il Ministero della Salute non pubblica e rende noto il Rapporto annuale sulle acque di balneazione completo di tutti i dati  di ogni regione del BelPaese. E che, ad oggi, il Portale Acque del Ministero della Salute non è stato ancora implementato, come annunciato, con i dati relativi alla depurazione per localizzare i depuratori e comparare i dati di qualità delle acque di balneazione con quelli della depurazione, localizzandoli sulle mappe.

Forse anche per questo non viene evidenziato che le aree classificate di qualità eccellente che nel 2018 raggiungevano il 90% del totale nel 2022 si sono ridotte all’ 87.9% . E quindi in controtendenza rispetto a quanto dichiarato dal  direttore esecutivo dell’AEA, Hans Bruyninckx: «I risultati di quest’anno dimostrano che gli oltre 40 anni di lavoro dell’UE dedicati a migliorare la qualità delle acque di balneazione in tutta Europa hanno giovato alla nostra salute e all’ambiente. Il piano d’azione dell’UE per l’inquinamento zero e la revisione della direttiva sulle acque di balneazione consolideranno ulteriormente il nostro impegno a prevenire e ridurre l’inquinamento nei prossimi decenni».

Evidentemente s’impone il rispetto delle norme e Direttive europee riguardanti l’obbligo di informare e far conoscere la qualità delle acque marine e le specificità del patrimonio costiero dell’intero Belpaese.

Il mare non è solo turismo ma costituisce una immensa risorsa pubblica essenziale per la qualità della vita e di grande rilevanza sia per l’ecologia che per l’economia. Una risorsa che occorre promuovere e valorizzare con interventi coordinati e sinergici a tutti i livelli di competenza e responsabilità come evidenziato nel Piano di Azione per il Mediterraneo del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP/MAP).  Piano sostenuto dal Fondo Globale per l’Ambiente (GEF), l’UNEP/MAP che ha elaborato un programma di azione strategico (SAP/MED) che identifica a livello regionale le sostanze nocive che devono essere eliminate nei prossimi decenni e richiede ai vari Paesi di elaborare e attuare piani di azione per combattere l’inquinamento marino proveniente dalle attività terrestri.  

Piani da elaborare e attuare anche nel BelPaese circondato da mari e coste ricchissime di storia e potenzialità di sviluppo sostenibile nell’interesse dei giovani e delle generazioni future. (gp)

[Giuseppe Pileggi è geologo del Consiglio Nazionale “Amici della Terra”]

 

ADDIO AL «SUD CHE È ESISTITO FINO A IERI»
BENVENUTI NEL CUORE DEL MEDITERRANEO

di MARA CARFAGNA – Signor presidente della Repubblica, Signor presidente del Consiglio, Signor presidente della Camera, Autorità tutte, mentre in questi mesi preparavo questa iniziativa, mentre questa mattina aspettavo il vostro arrivo, pensavo che non c’è nulla di più bello per una donna del Sud, nata e cresciuta nell’Italia del Sud, che conosce l’orgoglio ma anche la fatica di essere meridionale, della possibilità di poter lavorare concretamente per la propria terra.

Di potersi impegnare per cambiare le cose e riuscire a ottenere risultati concreti.

È un privilegio enorme, ne sono consapevole e questo guida ogni giorno il mio lavoro.

Così come sono consapevole che la vostra presenza qui è una testimonianza di straordinaria attenzione per questo territorio, ma anche un’assunzione di responsabilità verso venti milioni di cittadini italiani, che troppo spesso negli ultimi tempi hanno avvertito la Repubblica e le sue istituzioni come lontane dalle loro vite, che si sono sentiti privati di diritti e opportunità che altrove sono riconosciuti a tutti.

Oggi siamo qui per dire che quella stagione è chiusa. Oggi si apre un’altra stagione.

Se siamo qui oggi, non è per l’ennesimo convegno “a tema” sul Sud, ma per marcare l’inizio di quella stagione che si è aperta nel 2021, grazie alle ingenti risorse provenienti dall’Unione Europea – e so bene di trovarmi in una condizione molto più favorevole rispetto a quella nella quale si sono trovati molti miei predecessori, che ringrazio per il testimone che mi hanno trasmesso.

Ma quella stagione si è aperta anche perché abbiamo fatto una precisa scelta di campo: affrontare i problemi e risolverli, anziché usarli per fare propaganda o polemica. E ci siamo ispirati a una visione meridionalista concreta, fattiva, operosa, orgogliosa, ben distante dal meridionalismo disfattista e rivendicativo che per troppi anni ha tenuto prigioniero il Sud e ha alimentato sfiducia e rassegnazione.

Insomma, tengo a sottolineare che c’è un “prima” e un “dopo” la data del 30 aprile 2021, quando il nostro Piano di Ripresa e Resilienza è stato presentato all’Europa.

Per la prima volta, il tema dei divari territoriali è stato posto non come rivendicazione di una parte del Paese contro l’altra, ma come “questione nazionale”, come urgenza nazionale. Una questione non meridionale, ma nazionale, da affrontare e risolvere per far ripartire l’intero Paese, scartando il modello della “locomotiva”, dove poche regioni trainano e tutte le altre vanno a rimorchio.

Come ci ha ricordato il Presidente Mattarella nel suo discorso alle Camere riunite, il giorno del suo giuramento – cito testualmente – dobbiamo costruire «un Paese che cresca in unità. In cui le disuguaglianze, territoriali e sociali, che attraversano le nostre comunità vengano meno».

Per la prima volta – lo ricordava il Presidente Draghi – abbiamo quantificato, messo in evidenza, vincolato al Sud all’interno del PNRR una quota percentuale di investimenti superiore rispetto alla popolazione residente e rispetto al PIL prodotto: il 40 per cento del totale delle risorse territorializzabili, circa 82 miliardi di euro.

Non sono numeri scritti sulla carta, ma sono in alcuni casi cantieri già aperti, come quelli sulla linea ferroviaria Napoli-Bari, o sulla Palermo-Messina-Catania, o l’importante intervento nel porto di Gioia Tauro. O cantieri che apriranno nelle prossime settimane e prossimi mesi, come i tanti investimenti infrastrutturali nelle Zone Economiche Speciali, oppure per aprire nuove scuole, asili nido, palestre, mense scolastiche, per cui abbiamo già ripartito i fondi.

Per la prima volta, abbiamo varato un grande piano di modernizzazione infrastrutturale per cancellare l’isolamento “fisico” che ha condannato e condanna tutt’oggi all’arretratezza interi territori del Mezzogiorno. Vogliamo portare ovunque modernità, vogliamo portare ovunque collegamenti sia fisici che digitali. Per questo investiamo nelle reti ferroviarie, nelle reti idriche, nelle connessioni logistiche, nella diffusione della banda ultralarga. Ancora, investiamo nella creazione di decine di ecosistemi dell’innovazione, luoghi di ricerca e contaminazione tra università e impresa. Sosteniamo l’internazionalizzazione e la competitività delle imprese meridionali.

Irrobustiamo la sanità del Sud, il suo sistema di istruzione, digitalizziamo la sua pubblica amministrazione.

Favoriamo la transizione ecologica ed energetica.

Finanziamo, grazie a un uso intelligente dei Fondi della Coesione – un uso addizionale e complementare, come ci viene richiesto dall’Europa – interventi che con i fondi europei non potevamo finanziare, come la viabilità stradale e gli aeroporti.

Un tema a cui tengo molto: per la prima volta cancelliamo l’odioso principio della “spesa storica” che ha alimentato, anno dopo anno, discriminazione e diseguaglianza. Un principio in base al quale, per esempio, un comune come Giugliano, con 120mila abitanti, ha le risorse per un solo asilo nido e un solo assistente sociale, mentre una città lombarda delle stesse dimensioni di Giugliano – per esempio, Monza – ha le risorse per 8 asili nido e 32 assistenti sociali.

Bene, grazie all’approvazione e al finanziamento in Legge di Bilancio del primo Livello Essenziale delle Prestazioni per gli asili nido e gli assistenti sociali – cui abbiamo aggiunto quello per il trasporto scolastico degli studenti con disabilità – da qui al 2027 Giugliano avrà le risorse per assumere gli stessi assistenti sociali e per aprire gli stessi asili nido di Monza. Solo quest’anno, il Comune godrà di circa 800mila euro in più per servire 105 bambini rispetto ai soli 20 dello scorso anno.

Questo varrà per Potenza, Bari, Reggio Calabria, Palermo, Messina, Catania, varrà per Napoli. Lo dico al sindaco, che è qui presente: Napoli soltanto quest’anno avrà circa 4 milioni di euro in più per accompagnare al nido 500 bambini che fino all’anno scorso il posto nel nido non lo avrebbero trovato.

Credo che questo sia un cambiamento importante, che porterà giustizia e diritti a migliaia di bambini e alle loro famiglie, che consentirà a migliaia di donne del Mezzogiorno di cercare e trovare un lavoro, o di tenersi stretto quello che faticosamente sono riuscite a conquistare, affrontando con decisione anche la piaga della bassa occupazione femminile al Sud.

Ancora, per la prima volta abbiamo finalmente attivato e reso operative le Zone Economiche Speciali, delineando una precisa visione di sviluppo.

In mille convegni, il Sud è stato definito “piattaforma logistica nel Mediterraneo”. Noi quella piattaforma oggi la realizziamo grazie a importanti investimenti nei porti – 1,2 miliardi – e grazie alla riforma e all’infrastrutturazione delle Zone Economiche speciali, che sono il “cuore” della nostra scommessa di sviluppo. Luoghi dove sarà finalmente conveniente, più facile, più rapido investire grazie a una burocrazia ridotta e a una tassazione agevolata.

E qui lo dico ai tanti investitori presenti o collegati da remoto: approfondite le opportunità che si aprono nelle ZES. Per chi investirà in quelle aree ci sarà un unico numero di telefono da chiamare, quello dei Commissari straordinari che abbiamo già nominato; un’unica autorizzazione da richiedere al posto della miriade di pareri, concessioni, autorizzazioni, nulla osta necessari prima; un unico sportello digitale cui connettersi per risolvere ogni problema.

Potrei continuare a lungo, ma credo che questa elencazione sia già stata abbastanza lunga.

Potrei ricordare l’impulso che abbiamo dato alla Strategia Nazionale delle Aree interne, abbiamo sbloccato cantieri fermi dal 2017. Potrei ricordare anche l’impulso dato ai Contratti Istituzionali di Sviluppo, che finanziano e finanzieranno importanti investimenti strategici infrastrutturali in molte aree del Mezzogiorno. Potrei ricordare il sostegno alla capacità operativa degli Enti locali. Ma mi fermo, perché quello che conta è la scelta di fondo, il messaggio che mi auguro passi anche attraverso questa due-giorni.

Dimenticatevi il Sud che è esistito fino a ieri. Ne sta nascendo un altro, più giusto, più moderno, più efficiente, più “europeo”, più collegato, capace di offrire pari diritti e pari dignità ai suoi cittadini, ma anche di attrarre investimenti nazionali e internazionali.

I nuovi scenari determinati prima dalla pandemia, poi dalla guerra in Ucraina, la crisi energetica, la crisi dell’agroalimentare, la necessità e l’opportunità di reindustrializzare l’Europa, rendono il Mezzogiorno l’asset più importante su cui investire in questo momento.

È al Sud che le rinnovabili hanno maggiori margini di sviluppo e maggiore resa.

È al Sud che dovremo immaginare di collocare i nuovi rigassificatori per trasformare il gas naturale liquefatto che viene e verrà sempre di più dall’America e da altri Paesi del mondo.

È il Sud che dovrà essere messo nelle condizioni di attrarre nuovi investimenti industriali, in un’epoca in cui si ridurranno le catene globali del valore e dovremo riportare in Europa produzioni che in passato troppo entusiasticamente avevamo lasciato in Cina e in Asia.

È il Sud che deve rafforzare il suo ruolo di interlocutore privilegiato con i Paesi del Mediterraneo.

È il Sud a essere un hub energetico naturale per il gas in arrivo da Africa e Medio Oriente, non solo per l’Italia ma per l’intera Europa.

Queste sono sfide politiche, prima ancora che energetiche, industriali e commerciali, che possono assegnare al Sud un profilo strategico decisivo nei nuovi equilibri geopolitici mondiali.

Noi vogliamo attrezzare il Sud per vincere queste sfide, stiamo attrezzando il Sud per vincere queste sfide.

Questo è il nostro obiettivo, questo è il nostro impegno, che ovviamente richiederà nei prossimi anni continuità nell’azione di governo e anche una classe dirigente nazionale e locale all’altezza di questa sfida.

In questo nostro impegno, sarà di straordinario valore il Libro Bianco che tra poco sarà presentato dal dott. Valerio De Molli.

È una ricerca importante, molto approfondita e articolata, che non nasconde criticità e problemi, che conosciamo benissimo e per i quali siamo ogni giorno al lavoro. A mio avviso, sfata tre grandi luoghi comuni della cosiddetta “questione meridionale”.

Primo, il Sud Italia è – lo vedrete dai numeri – una realtà molto più vivace e competitiva di quello che si crede. Cito solo un esempio: nella classifica delle esportazioni hi tech, il Sud – in proporzione al totale delle esportazioni – è quarto nel Mediterraneo, appena dopo Israele. Qualcuno ha mai sentito parlare del Sud come esportatore di tecnologia, anziché di arretratezza? Questi sono gli aspetti da potenziare e da comunicare con efficacia. Secondo. A lungo si è discusso e si discute dell’assenza di una “politica industriale” per il Mezzogiorno. Forse non tutti si sono resi conto che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è un grande strumento di politica industriale e noi l’abbiamo utilizzato per disegnare la nostra visione di politica industriale per il Paese e, naturalmente, il Mezzogiorno. L’Italia e il suo Sud come polo della trasformazione e distribuzione dell’agroalimentare italiano, come hub logistico ed energetico del Mediterraneo, centro di innovazione tecnologica e scientifica, luogo attrattore di turismo e nuovi residenti. Ancora, l’Italia del Sud come ponte necessario tra l’Europa e il Continente più giovane e promettente, l’Africa.

Terzo. Per anni abbiamo sentito ripetere che il Sud era un problema da affrontare, “una domanda” a cui dare risposte. Ogni dato presentato nel Libro Bianco ci dice che questa impostazione va totalmente capovolta.

Il Sud può essere la risposta alle tante questioni che interrogano la politica e la società italiana. Il Sud può essere la soluzione al problema della bassa crescita italiana.

Il governo ha scelto, consapevolmente, questo indirizzo. E la presenza qui a Sorrento di tanti ministri, oltre che del presidente Draghi, conferma la larga condivisione per questa scelta. Questa è la nostra grande scommessa. Io sono certa che uniti, soltanto uniti, potremo vincerla.

Ringrazio ancora tutti voi per essere qui, per partecipare a questo evento. Benvenuti al Primo Forum Internazionale del Mediterraneo. Benvenuti a Sorrento. Benvenuti nel cuore del Mediterraneo. Benvenuti nel nuovo Sud che stiamo costruendo. (mc)

[Mara Carfagna è la ministra per il Sud e la Coesione territoriale]

L’editore Rubbettino al Salone del Libro di Algeri

La Casa Editrice Rubbettino, di Soveria Mannelli (CZ), è tra i sedici editori italiani che partecipano al SILA (Salon International du Livre d’Alger – Salone Internazionale del libro di Algeri), che si è aperto nella città nordafricana giovedì 24 marzo e si chiuderà il 1° aprile.

Stamattina (sabato 26 marzo), l’editore Florindo Rubbettino, che è presente ad Algeri, parteciperà al dibattito sul tema: “Tradurre i romanzi algerini in Italia, tradurre i romanzi italiani in Algeria”. «È allo stesso tempo un grande onore e una grande occasione per la nostra casa editrice prendere parte a quello che è uno degli eventi culturali più significativi di tutta l’area del Mediterraneo – ha dichiarato il dott. Rubbettino –. L’Italia sarà il Paese Ospite d’Onore di questo salone giunto alla 25.ma edizione e Rubbettino è tra gli editori che rappresentano il nostro Paese. È da anni che si continuiamo a dirci che l’Italia, e in particolare il suo Mezzogiorno, devono riconquistare quel ruolo significativo nel Mediterraneo che la storia e la geografia hanno loro conferito. La cultura è senz’altro l’hub più potente per creare legami e rapporti che possono poi avere ampia ricaduta anche in ambito economico e politico».

Oltre alla presenza di una selezione significativa del suo vasto catalogo che abbraccia le scienze umane, l’economia, la politologia e la letteratura, Rubbettino Editore interviene al Salone con la presentazione del volume di Bruna Bagnato dal titolo L’Italia e la guerra d’Algeria (1954-1962), volume peraltro già noto al pubblico algerino grazie all’edizione in lingua francese dell’editore Dahlab presso il quale è già in lavorazione anche l’edizione in lingua araba.

Il Salone del Libro è la manifestazione culturale più importante dell’Algeria, ed è organizzata dal Ministero della Cultura algerino. L’ultima edizione della fiera è stata visitata da oltre un milione di persone, con 1.030 espositori da 36 paesi, quest’anno si attendono oltre 1.200 case editrici provenienti da tutto il mondo. (rrm)