La Calabria Film Commission al Torino Film Festival con tre opere

La Calabria Film Commission al Torino Film Festival con tre opere. Primo appuntamento domenica 26 novembre con il docufilm Gianni Versace, l’Imperatore dei sogni. Fuori concorso, nella sezione Ritratti e paesaggi, girato quasi interamente a Reggio Calabria, per la regia di Mimmo Calopresti e la produzione di Qualityfilm. Il film scritto da Calopresti e Monica Zapelli, presenta materiali d’archivio e spicca un’intervista a Carla Bruni, elementi che raccontano un punto di vista sulla storia di Versace, fondatore nel 1978 della casa di moda che porta il suo nome, uno dei più amati e straordinari stilisti italiani, nato a Reggio Calabria e scomparso nel 1997 a Miami Beach. Nel cast figurano tra gli altri Leonardo Maltese e Vera Dragone.

E’ ancora targato Calabria Film Commission il cortometraggio L’Ultimo asino, per la regia di Angelo Urbano, prodotto dalla Magda Film. In concorso per Cortometraggi italiani, prima visione il 27 novembre. Urbano narra un viaggio nell’Alto Jonio Cosentino, in un mondo arcaico e rurale che sembra ormai scomparso, ma che rimane nella memoria, nei gesti e nella ritualità di un vecchio contadino e del suo inseparabile compagno, ormai l’ultimo Asino di questo piccolo villaggio.

Quindi Lux Santa, il documentario di Matteo Russo, prodotto da Naffintusi Film e Rai Cinema. In Concorso, in Documentari italiani 1, il 28 novembre, ha per protagonista un gruppo di quindicenni di un quartiere particolare di Crotone. Un obiettivo comune li rende uniti: realizzare la piramide più alta e imponente della città in occasione del rito dei Fuochi di Santa Lucia, ogni 13 dicembre, molto più di una tradizione. La maestosa piramide che arde ha infatti l’intento di restituire, attraverso il fuoco, la luce a Santa Lucia nel suo giorno e così anche le vite dei ragazzi del quartiere. (rcz)

REGGIO – Venerdì il webinar con il regista Mimmo Calopresti e Nanni Barbaro

Venerdì 11 dicembre, alle 18.30, sulla pagina Fb e Youtube di eCampus, è in programma un webinar con ospite il regista e sceneggiatore Mimmo CaloprestiNanni Barbaro.

L’evento rientra nell’ambito della rassegna editoriale online promossa dall’Università degli Studi eCampus e prevede la presentazione del libro Hopper si fermò ad Archi di Nanni Barbaro. Introduce il Rettore di eCampus,Enzo Siviero.

Nanni Barbaro ci trasporta con leggerezza tra la sua gente semplice ed una natura incontaminata, dipingendo attraverso l’arte dell’umorismo e la prontezza dei termini dialettali ricordi di gioventù e di amicizia. Sole e mare, sapori e momenti che tornano intatti a distanza di tempo, racconti unici e scintillanti di un piccolo centro, sdraiato davanti allo Stretto come nel dipinto di Hopper, “Hills, South Truro”, della copertina.

«Nanni Barbaro – scrive Calopresti – è un cristone, la prima volta che lo incontro zoppica, si appoggia su un bastone per camminare e avvicinandosi mi dice che gli è caduta una bara sul piede mentre preparava l’interramento. Lo dice con un sorriso ironico spiegandomi che quel tipo d’incidente fa parte degli inconvenienti del suo mestiere, perché lui fa il custode al cimitero di Archi. Mi fa ridere pensarlo mentre scrive i suoi racconti, tra un morto e l’altro. Mi mette di buon umore l’idea che, mentre scrive, il panorama davanti a sé sono le tombe di quel piccolo cimitero di paese». (Dalla Prefazione di Mimmo Calopresti).

«E due. Chi si è lasciato tentare dal divertimento del primo “Sulle sponde dello Stretto mi sono seduto e ho riso” sa come stringere a due mani questo delizioso secondo libretto, seguire la propria bramosia di lettore dentro le sue pagine incalzanti e farsi trasportare dalla medesima libido narrativa. L’effetto, come in ogni impresa letteraria che si rispetti, piccola o grande che sia, è di farti entrare in mondo raccontato con la leggerezza, solo apparente intendiamoci, del linguaggio comico, oppure intessuto dai fili della rievocazione che seleziona secondo le sue misteriose attitudini e che, sovente, si accompagna alla tenerezza con cui si guarda alle cose che non ci sono più». (Dalla Postfazione di Giuseppe Mate). (rrc)

A REGGIO IL FILM-FEST È ‘METROPOLITANO’
COL CINEMA VOLA L’INDUSTRIA CULTURALE

di SANTO STRATI – La prima notizia, importante, è che il Reggio Calabria Film Festival (Rcff) diventa evento istituzionale della Città Metropolitana e cioè godrà d’ora innanzi di una seria tutela istituzionale; la seconda, non meno rilevante, è che quest’edizione scopre la sua internazionalità a favore dell’intera regione. Già, perché – come ha tenuto a sottolineare il direttore artistico, l’apprezzatissimo regista Mimmo Calopresti – non c’è bisogno di andare a chiamare le guest star internazionali: ce l’abbiamo già, è Marcello Fonte. Pluripremiato, reggino, storia felice di come si diventa protagonisti, non solo al cinema, dopo anni di sacrifici, rinunce e pesanti disagi economici. Marcello Fonte è il simbolo della riscossa, il modello del calabrese che non si arrende mai: a Reggio guida la giuria dei corti della sezione Millennial e la sua presenza da sola dà quest’aura “internazionale” di cui la “creatura” di Michele Geria aveva giusto bisogno. 14 anni di edizioni e quest’ultima, saltata per il coronavirus e rassegnatamente data per rinviata senza data, che improvvisamente – i miracoli, anche per chi non ci crede, spesso accadono – va a illuminare il cielo dello  Stretto. In un’Arena sacrificata dalle opportune misure di distanziamento, ma ugualmente ribalta straordinaria per un evento che segna un  vero salto di qualità nelle manifestazioni culturali della regione.

Il cinema, se ci pensate bene, è una componente essenziale dell’industria culturale su cui deve puntare la Calabria per crescere. C’è l’ottimo lavoro svolto dal presidente uscente della Calabria Film Commission Giuseppe Citrigno che passa il testimone al commissario straordinario Giovanni Minoli e ci sono registi, autori, attori in questa regione in grado di marcare col sigillo della qualità qualunque cosa si faccia in questo campo. E ci sono le maestranze locali che, dice sempre Calopresti – cui la Calabria sarà creditrice in eterno per l’ottimo Aspromonte Terra degli ultimi – che hanno professionalità da vendere. E la produzione cinematografica, sia essa di un cortometraggio, di una clip musicale o di un film impegnativo, crea occupazione a tutti i livelli: accanto a registi, autori, costumisti, scenografi, servono tecnici specializzati, attrezzisti, sarte, truccatori, parrucchieri, falegnami, etc. la cosiddetta manodopera del cinema che trova, in ogni produzione, occasioni di lavoro. Senza contare i benefici per alberghi, ristoranti, addetti al catering, trasportatori, taxisti etc, Provate a immaginare se anziché girare quattro-sei-otto produzioni l’anno, la Calabria diventa un set continuo, come meriterebbe di essere e come, peraltro, si presta efficacemente ad esserlo. Per le location di sogno, con imbarazzo della scelta tra mare, montagna, collina, campagna, per la mitezza del clima, il forte senso di accoglienza insito in tutti i calabresi, per la squisitezza delle sue specialità eno-gastronomiche, per il calore e la disponibilità dei figuranti locali necessari ad ogni bisogna.

Già, il cinema (o il prodotto video-televisivo) – come ha fatto rilevare il sindaco di Reggio Giuseppe Falcomatà – è il migliore strumento per conquistare reputazione e Dio sa quanto serve alla Calabria creare un’immagine positiva e ricreare condizioni ideali per diventare un polo d’attrazione mondiale. Non si tratta di sognare: il bellissimo racconto della Calabria che Mimmo Calopresti fa nel suo Aspromonte sta facendo il giro del mondo: affascina i calabresi che si ritrovano in quel messaggio di speranza, meravigliosamente sussurrato dal “poeta” Marcello Fonte e da una soavissima “nordica” Valeria Bruni Tedeschi, ma incanta anche tutti gli spettatori che da Palermo fino a Sydney, da Toronto fino all’Argentina, si sentono toccati dal paesaggio crudo e selvaggio ma straordinariamente avvincente che Calopresti riesce trasmettere insieme con l’orgoglio d’una calabresità che – s’intuisce – non potrà mai venir meno.

Calopresti è nato a Polistena, è cresciuto a Torino, ma conosce la sua terra forse meglio di tanti che non sono mai andati via: e la sua presenza a Reggio, in veste di direttore artistico di un festival piccolo che è diventato improvvisamente grande, internazionale, diventa la molla per far scattare quell’enfasi che il mondo culturale calabrese insegue da tempo. In altri termini, non siamo di fronte al solito minifestival cinematografico di provincia, con qualche premiuccio che faccia d’attrazione per la modesta guest star disponibile a una comparsata, il Reggio Film festival raccoglie, al pari del Magna Graecia di Gianvito Casadonte, la sfida di una Calabria non spettatrice ma protagonista. Il pretesto di sei serate di cinema all’Arena dello Stretto è l’occasione per promuovere la cultura della Calabria e non solo di Reggio. La visione strategica, in effetti, deve comprendere ogni angolo del territorio perché ci sono mille storie da raccontare e migliaia di giovani che possono costruire il loro futuro con l’industria dell’audiovisivo. Parte dal cinema, insomma, un vero avvio dell’industria culturale calabrese.

Marcello Fonte, che sprizza una grande tenerezza e una simpatia innata, si sente “reggino” ma soprattutto calabrese e ha il sogno di creare una scuola di cinema, di recitazione, di produzione, proprio in Calabria. Una delle proposte, fra le tante che ci auguriamo verranno, per far partire questa regione con l’industria della cultura. Demetrio Casile – autore pluricelebrato del soggetto del famoso film di Luigi Comencini con una grandissimo Gian Maria Volontè Un ragazzo di Calabria, (1987), passato alla regia, ha scelto Reggio per lanciare il suo Matrimonio più sconvolgente della storia, un film naturalmente girato interamente in Calabria, con troupe tutta calabrese e maestranze del luogo. Un altro esempio di come – Casile vive a Bologna da moltissimi anni – già far tornare a girare in Calabria i calabresi del cinema e della tv (e sono davvero tanti) sarebbe un lusinghiero obiettivo per tutta la regione.

Senza cultura, lo ripetiamo fino alla noia, non si sconfigge il malaffare, non si tiene lontana la ‘ndrangheta, non si offre futuro ai nostri giovani. E cultura significa occupazione e sviluppo. La rassegna di Reggio deve crescere ancora, naturalmente, ma già da questa edizione ci sono le basi per delineare i contorni di un’opportunità senza eguali. E già da subito occorre pensare all’edizione numero 15 con il coinvogilmento non solo della Metrocity ma di tutta la regione.

Minoli, con la sua esperienza televisiva e i contatti giusti (servono e come se servono!) potrà attrarre in Calabria decine di produzioni, anche a livello internazionale e trasformare questa terra in un set permanente. C’è un grande fermento culturale che da qualche anno rende la Calabria “interessante” agli occhi di chi non la conosce. Premi letterari, iniziative culturali e di teatro, musica (si pensi al livello di notorietà internazionale raggiunto da Roccella Jazz Festival), autori che si fanno strada, si fanno apprezzare e non nascondono – come avveniva un tempo – le proprie origini. Il credito d’opinione è in continua crescita, bisogna coltivarlo e mantenerlo. È con iniziative come il Reggio Film Festival che si consolida l’attrazione e cresce l’attenzione di cui i calabresi, noi calabresi, abbiamo bisogno. (s)

L’Aspromonte di Mimmo Calopresti, uno struggente racconto di Calabria al cinema

Piacerà e non poco, ma non solo ai calabresi, il bellissimo e struggente nuovo film di Mimmo Calopresti, Aspromonte la terra degli ultimi, da domani nei cinema di tutt’Italia. È film-verità di un fatto avvenuto realmente, quando la povera gente di Africo abbandonò il paese, devastato dall’alluvione del 1951, per scendere alla marina (Africo Nuovo). È un racconto magnifico, dove il regista di Polistena guida senza la minima incertezza una grande massa di figuranti, mescolati agli attori del film, straordinari interpreti a partire da Valeria Bruni Tedeschi (la maestrina milanese andata a insegnare nel posto più sperduto dell’Aspromonte) a Marcello Fonte (eccezionale “poeta” e, cantore e guida per i giovani del paese, che si costruisce una “casa per morire non per viverci”) a un eccellente Francesco Colella, un intenso Marco Leonardi e a un preciso Sergio Rubini (il temuto boss del paese). Il casting, come il film, è perfetto, tanto che a Calopresti vanno riconosciuti uno stile e una capacità caravaggesca nelle rappresentazione delle scene e nei personaggi. Non è folclore, ma vita vera, miseria e disperazione, che si respiravano davvero in alcuni paesini dell’Aspromonte tanto da ispirare un clamoroso servizio fotografico del rotocalco più importante di allora, Epoca, e suggerirono più tardi il bel libro di Corrado Stajano, il giornalista-scrittore che raccontò quell’esodo verso la marina, in quegli anni passato quasi inosservato.

La storia di Aspromonte La terra degli ultimi, è una metafora della calabresità che contraddistingue la nostra gente. La caparbietà di arrivare comunque alla meta, proprio quando tutti sono contro o tutti sono indifferenti. La meta, in questo caso, è una strada che avvicini il piccolo borgo alla strada principale, che possa dare via di scampo alla partoriente che non ha il medico in paese (e per questo muore tra mille sofferenze insieme con il la creatura che porta in grembo). Nessuno vuole costruirla, anzi quando gli africoti decidono che se la costruiranno da soli interviene il prefetto a bloccare i lavori e sequestrare zappe e picconi. È un’amara metafora delle tante incompiute della Calabria, ma non è un film di denuncia civile: troppo inascoltate – da sempre – le parole e le accuse contro l’indifferenza e l’ignavia dei nostri governanti. È un film che adempie al suo compito primario, intrattenere e affascinare il suo pubblico. Calopresti ci riesce in maniera esemplare: rapisce il suo spettatore e lo coinvolge quasi a fargli sentire gli odori della terra, costringendolo a scrutare il cielo e i campi abbandonati fino ad appropriarsene, a calpestare a piedi nudi – come hanno fatto realmente tutti gli attori – quelle pietre che caratterizzano i viottoli del paese. Il film è tutto in dialetto calabrese (con sottotitoli in italiano) ed è un sincero atto d’amore di un figlio devoto che ama perdutamente la sua terra, senza blandizie o carezze superflue, e la fa conoscere al mondo, con un che di genuina nostalgia: i calabresi non si devono vergognare della povertà e della miseria che sono le protagoniste assolute del film, la vergogna è semmai di tutti coloro che hanno permesso e mantenuto questo stato di ingiustizia sociale in tanti piccoli, piccolissimi paesi del profondo Sud.

Il racconto coinvolge e avvolge in un crescendo di emozioni che, com’è giusto, non fanno velo ai sentimenti. C’è la rabbia, la disperazione, la solitudine dell’abbandono, ma c’è anche in primo piano l’orgoglio dell’appartenenza, quel senso innato di calabresità che trasversalmente colpisce tutti quelli che se ne sono andati o continuano (purtroppo) ad andar via: pastori e letterati, maestri e pescatori, contadini e laureati. La diaspora calabrese, probabilmente, non finirà mai, per questo in ogni angolo del mondo troviamo sempre un conterraneo, che quasi sempre raggiunge posizioni di grande prestigio. I calabresi sono come gli africoti del film di Calopresti: non s’arrendono mai, per questo raggiungono la vetta più facilmente degli altri, in ogni campo.

Siamo certi che la magnifica suggestione di Aspromonte di Calopresti riuscirà a raccogliere consensi se non addirittura entusiasmi. Facile prevedere un’incetta di premi, che meritatamente, arriveranno. Il casting è straordinariamente perfetto, come in una mega-produzione d’oltreoceano: ognuno ha la faccia giusta, anche i bambini sono l’affresco (Caravaggio non avrebbe potuto fare di meglio) di una civiltà contadina e aspromontana che anche chi vive lontano da qui non riuscirebbe a immaginare in modo diverso. Marcello Fonte si rivela un grande attore, preciso nel ruolo, come i suoi comprimari. Valeria Bruni Tedeschi si ritaglia un personaggio che raccoglierà parecchie statuette come miglior attrice dell’anno, ma due ultime segnalazioni di merito vanno a Elisabetta Gregoraci, intensa e irriconoscibile (ma perfetta) compagna del boss, tenera mamma e insieme moglie fedifraga di uno “ribelli” del paese, e a Fulvio Lucisano (proprio lui, il grande produttore calabrese, che ha realizzato questo film) che si ritaglia un prezioso e fresco cameo di chiusura da cui traspare la famosa calabresità di si diceva prima.

Il film è tratto dal libro omonimo di Pietro Criaco (Rubbettino editore), sceneggiato dallo stesso Calopresti con Monica Zappelli. Criaco è un calabrese di Africo, Mimmo Calopresti è nato a Polistena, emigrato da giovanetto a Torino con il padre. Un grande sentire comune guida la storia, una grande storia calabrese, per farne un grande, straziante ma meraviglioso film. Commovente e prezioso, bellissimo, da non perdere assolutamente. (s)

La foto di copertina è di Fulvio Lucisano.

Il trailer del film Aspromonte La terra degli ultimidi Mimmo Calopresti, dal 21 novembre al cinema: