PONTE: SOLO LA SICILIA RISPARMIEREBBE
6,5 MLD L’ANNO (QUANTO COSTA L’OPERA)

di PIETRO MASSIMO BUSETTALa canea si è scatenata come per nessun altra grande opera che si è immaginata per il nostro Paese. Parlo del grande progetto del ponte sullo stretto di Messina, che evidentemente colpisce molto l’immaginario  collettivo e fa intervenire dal grande studioso, all’esperto ingegnere, fino al pescivendolo. 

Non è nemmeno per il costo che non è distante da qualunque altra grande opera se si pensa che il Mose di Venezia è costato 6 miliardi, che la Tav si avvicina ai 12 solo nella parte italiana, che Terni sta costruendo un elettrodotto che costa circa 4 miliardi per portare l’energia dal Marocco alla Sardegna alla Campania, e alla Sicilia, che il maxi parco eolico al largo delle isole Egadi é un progetto da 9 miliardi della Toto Holding. 

Che un solo chilometro di alta velocità costa 50 milioni e che Rete Ferroviaria Italiana ha aggiudicato,  per l’importo complessivo di oltre 1 miliardo di euro, la realizzazione del passante e della stazione AV del nodo di Firenze. 

Le motivazioni di tanto interesse quindi non possono essere trovate nel costo dell’opera, ma  invece probabilmente nella sfida che 3,300 km di campata unica pongono a ciascuno di noi e nella localizzazione di essa nel profondo Sud. 

Non rendendosi conto in molti che non si tratta di fare un ponticello per consentire ai fidanzatini di Messina e Reggio Calabria di vedersi più spesso e più facilmente, quanto di collegare Hong Kong a Berlino. Per questo l’interesse dell’Unione Europea che si costruisca e l’inserimento di esso nella Reti Trans European Network nel 2005. 

Ma i tanti commentatori, improvvisati esperti, ambientalisti della domenica, non si rendono conto di quanto il Paese possa essere destinato ad essere superato da altri corridoi,  rimanendo marginale e periferico se non ci sbrighiamo ad utilizzare il territorio, che  è una piattaforma logistica naturale, come avamposto per attrarre i traffici che vengono dal Medio ed Estremo oriente, considerato che il Canale di Suez raddoppiato ormai è diventato  un passaggio obbligato per oltre il 20% del traffico mondiale e che stiamo facendo la figura degli utili idioti che stanno a guardare un fiume d’oro che passa davanti, trasportato dalle maxi navi porta container, che stanno inquinando il Mediterraneo e l’Atlantico, dovendo fare un giro enorme per raggiungere i porti di Anversa, Rotterdam e Amburgo. 

Sappiamo tutti però che al di là delle affermazioni della Gabanelli, che dice che già per il progetto si sono spesi oltre 1 miliardo senza aver fatto nulla, prendendo uno svarione che é molto strano per una attenta giornalista come lei è, ve ne sono tanti altri che propalano stupidaggini simili. 

Mettere  nel costo, come Ercole Incalza nel giornale di ieri (8 dicembre ndr) ha documentato, una eventuale penale che si dovrebbe pagare per l’incauto blocco voluto dal nordista Mario Monti, con una visione economicistica molto ristretta, é da incauti o da gente in malafede. 

Dimenticare poi  che è logico che un progetto di tal genere abbia un costo proporzionato all’importo del progetto stesso e che quindi 300 milioni spesi per la sua realizzazione siano  assolutamente normali è da ignoranti. 

In Italia poi quando si vuole affossare un’opera si chiede un analisi costi benefici. Dietro questa richiesta vi può essere di tutto perché come sanno bene gli economisti a seconda che nei costi e  nei ricavi inserisci alcune voci o altre il risultato può essere il più diverso possibile. 

Vi è una valutazione  del traffico previsto nei prossimi anni che può essere un elemento che varia totalmente il calcolo, della durata della vita prevista del manufatto, dei costi di manutenzione ed a seconda di come tutti questi dati vengono raccolti il calcolo cambia.

Per il ponte vi é un calcolo su tutti che già renderebbe l’opera assolutamente conveniente ed è quello fatto dalla Regione Siciliana che, in collaborazione con Prometeia, ha calcolato in 6 miliardi e mezzo annui il costo dell’insularità. Per dirla in modo molto semplice l’affermazione degli studiosi prestigiosi che lavorano per Prometeia è che se il ponte venisse costruito la Sicilia, quindi l’Italia, risparmierebbe  6 miliardi e mezzo ogni anno. 

Cioè quest’opera si pagherebbe in un solo anno, fatto assolutamente impensabile per un’opera pubblica di questo tipo  che in genere ha bisogno di un ammortamento di trent’anni, perlomeno.

Ma se questa idea sembra pazzesca, se la Sicilia con l’opera costruita avesse già un incremento dell’1% di Pil, cosa probabile perché l’attenzione del Governo per il Mezzogiorno, statuito coll’inizio di quest’opera, porterebbe probabilmente anche gli investitori internazionali a credere che sul Sud il Paese vuole investire seriamente e quindi l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area potrebbe diventare qualcosa di serio, così come il flusso turistico potrebbe ovviamente aumentare, avremmo già un ricavo di 800 milioni, che porterebbe il ponte ad essere ammortizzato, senza contare i costi dell’insularità in 10 anni. 

Per cui anche se è meritorio il passaggio che vede la società stretto di Messina ritornare in vita, non si capisce perché, visto che  molti tecnici sostengono che il progetto sia pronto, non si debbano iniziare i lavori nei sei mesi necessari ma nei due anni annunciati da Salvini.

Spiegare tutto questo al gruppo famelico degli opinionisti nazionali che si lanciano su un argomento che offre le sue carni deboli alla loro famelica voglia di un argomento da cannibalizzare è un pio desiderio.

Così come pretendere dai giornaloni nazionali, qualche volta pilotati dagli interessi dei loro proprietari, di non chiedere che le risorse si impieghino per la quarta corsia  di un autostrada che colleghi Milano a Cremona, con la soddisfazione di Cottarelli. 

Come disse Franceschini in un suo recente intervento, contraddetto in modo plateale da Francesco Boccia in un incontro da Paolo Vespa, con un benaltrismo da manuale, si tratta soltanto di superare 3 km di mare. Se si toglie quest’aura che avvolge quest’opera da quando Berlusconi la dichiarò importante e fece cominciare i lavori e non si porta adesso a medaglia per Salvini, ripetendo l’errore fatto precedentemente, forse si potranno cominciare i lavori insieme a tutte le altre opere che riguardano il Mezzogiorno e che dovrebbero infrastrutture, finalmente, quest’area. (pmb)

Contro il Ponte anche una fiction-web coi luoghi comuni di mafia e potere

di ROBERTO DI MARIA – A intervenire contro il Ponte sullo Stretto, che con il nuovo governo è tornato ad essere di attualità, ultimamente sono in tanti: oltre, ovviamente, ai rappresentanti dell’opposizione ed ai giornalisti affini, abbiamo ascoltato le dotte dissertazioni di attori, cantanti, comici, sindacalisti e finti esperti di ogni tipo. Ci mancavano soltanto gli sceneggiatori televisivi, ma si sono appena aggiunti anche quelli.

In una delle prime puntate della fiction The Bad Guy, visibile su un canale streaming, viene infatti rappresentato, in un tempo futuro non meglio precisato un inguardabile Ponte sullo Stretto, con tanto di pilone piazzato nel bel mezzo di una spiaggia ed impalcato che passa direttamente sulle ridenti casette di un borgo marinaro. Una collocazione completamene diversa da quella prevista nel progetto, che con tutta evidenza gli sceneggiatori sconoscono del tutto.

Sul Ponte, infatti, passa soltanto un’autostrada a tre corsie (non quella di emergenza, ma si sa, chi scrive è di palato fine…) e manca completamente la prevista ferrovia. Una rappresentazione del Ponte che più impattante non si può, sia per l’assenza del mezzo di trasporto meno inquinante (il treno) sia per la devastante collocazione di cui sopra. Il tutto reso ancora più tetro da un’ambientazione opprimente, caratterizzata da un’insolita nebbia; unica eccezione, a quanto pare, ai classici luoghi comuni che riguardano la Sicilia.

Ma questo è niente, perchè la rappresentazione renderizzata serve a fare da scenario ad un evento che gli arguti sceneggiatori hanno ritenuto indispensabile nell’economia della storia: il crollo del Ponte. Niente di più drammaticamente spettacolare, alla luce dei crolli a cui, purtroppo, la realtà ci ha abituati di recente. Le immagini dello spezzone di ponte crollato, infatti, richiamano in maniera sinistra quelle, reali, di Genova.

Ma in questo caso la carenza di manutenzione non c’entra. Siamo tra Sicilia e Calabria, se qualcuno se ne fosse dimenticato. E i TG (condotti da speaker reali che si sono prestati a questo “prodotto artistico”) annunciano immediatamente che il Ponte è crollato perché “appaltato ad imprese vicine a Cosa Nostra“.

Naturalmente gli sceneggiatori si sono rifatti alla facile equazione che da sempre ispira film e serie televisive, dalla Piovra in poi: Sicilia=Mafia. Dove i mafiosi parlano in dialetto stretto e gli onesti che li combattono in perfetto italiano. E dove le Opere Pubbliche sono tutte in mano alla criminalità organizzata: una cosa che, ovviamente, succede solo nella irredimibile Italia meridionale.

Non si tratta, semplicemente, di una pagina di pessima televisione. Si tratta, con tutta evidenza, della rappresentazione filmica di un coacervo di luoghi comuni, che accomuna non soltanto una comunità, ma persino le cose ad essa associate. D’altronde, non è nata certo con questa fiction la storia del ponte “regalo alla mafia” che unisce “non due coste, ma due cosche”.

Di certo, chi si era illuso che un certo modo di vedere la Sicilia, ed il sud in generale, fossero andati fuori moda, si deve ricredere. Gli sceneggiatori di The Bad Guy, infatti, proiettano i loro pregiudizi anche sulla Sicilia futura. E ad un Ponte sullo Stretto che, fatalmente, risulta realizzato dalla mafia, che lo costruisce come avrebbero fatto i più abusivi dei palazzinari. Gli stessi che hanno causato, nell’immaginario collettivo di stampa e TV, i disastri di Giampilieri e, recentissimamente, di Ischia.

Il messaggio che arriva irrimediabilmente allo spettatore, nemmeno tanto velato, è: attenti, queste cose al sud finiscono male. Meglio, quindi, non farle, per non alimentare il malaffare e gli speculatori che, da quelle parti, pullulano.

Colpisce la virulenza con cui ci si scaglia, in certi ambiti culturali, contro lo sviluppo infrastrutturale di una parte consistente del territorio nazionale. Ed, in particolare, contro un’opera pubblica la cui importanza viene rivendicata non dai vertici di Cosa Nostra, ma dall’Unione Europea, pronta (è notizia di qualche giorno fa) persino a finanziarla.

Un attacco che si unisce al coro di commenti negativi che ricordavamo in premessa, con un curioso tempismo. Certo, all’epoca in cui fu scritta la sceneggiatura della fiction, realisticamente qualche anno fa, non poteva sapersi in anticipo delle intenzioni del nuovo governo di riprendere la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Nè sappiamo se la programmazione abbia subito qualche variazione per non perdere l’appuntamento con l’attualità.

Di certo, abbiamo una conferma: il Ponte rimane l’opera più discussa, avversata, e, spesso, odiata che la storia d’Italia ricordi. Varrebbe la pena, in questo contesto, alimentato da speculazioni politiche, disinformazione ed ignoranza allo stato puro, che qualcuno facesse sentire autorevolmente la propria voce. A difesa non tanto del Ponte stesso, ma anche del diritto di intere regioni italiane di avere un futuro. Possibilmente diverso da quello immaginato da certe fiction televisive. (rdm)