L’OPINIONE / Mons. Francesco Savino: Ricostruiamo la politica nel tempo della democrazia fragile

di MONS. FRANCESCO SAVINO – Penso che sia bello per tutti noi essere qui convenuti nella Cattedrale della nostra Diocesi, Cassano allo Jonio, per fare memoria di quell’avvenimento che ha sconvolto la storia – il primo Natale del Figlio di Dio, la sua incarnazione – e per attendere il suo ritorno, per scambiarci gli auguri natalizi e dare ad essi un contenuto.

La riflessione che vorrei condividere, quest’anno, riguarda la crisi della democrazia e il ruolo che la politica deve acquisire. Che c’entrano – dirà forse qualcuno – il Natale e la democrazia? Spero che lo si comprenderà. Basti per ora considerare il cuore del grande Mistero: «Dio ha tanto amato il mondo da dare a noi il suo Figlio». E noi non ameremo, forse, la terra e il popolo che Dio tanto ha amato?

Ciò che voglio consegnarvi e condividere mi è stato “generato” dall’ultimo libro del filosofo e teologo Vito Mancuso “Non ti manchi mai la gioia”, breve itinerario di liberazione.

Parto da una antica fiaba orientale, che può aiutarci a comprendere come anche, ma forse soprattutto oggi, la politica si può trovare in “trappola”.

L’antica fiaba orientale, da tempo immemorabile, così racconta: “Il viaggiatore fu sorpreso nel deserto da una belva inferocita; per salvarsi dalla belva il viaggiatore si precipita verso un pozzo asciutto, ma nel suo fondo scorge un drago che spalanca le fauci per divorarlo. Lo sventurato, non potendo restare lì per non essere sbranato dalla belva e non potendo lasciarsi cadere nel pozzo, si aggrappa ai rami di un cespuglio selvatico che è cresciuto in una fenditura del pozzo, e si sorregge ad essi.

Ma sente che la presa gli manca e capisce che ben presto cadrà preda della morte che lo minaccia da ogni parte; tuttavia continua ostinatamente a restare aggrappato a quei rami, e all’improvviso vede sbucare due topi, uno bianco e l’altro nero, che incominciano a rodere il fusto del cespuglio, che da un momento all’altro cederà ed egli precipiterà nelle fauci del drago. Il viaggiatore vede tutto questo e capisce che la sua fine è inevitabile, ma guardandosi attorno, rimanendo sempre aggrappato, vede delle gocce di miele sulle foglie del cespuglio, riesce a raggiungerle con la lingua e le lecca” (Lev N. Tolstoj, La confessione).

Cos’è diventata oggi la politica?

Urge, evidentemente, un cammino di liberazione, per ricostruirla soprattutto in questo tempo, senz’altro complesso e complicato, in un’epoca definita post-moderna e da alcuni ormai post-umana, un’epoca di facili populismi e di sovranismi demagogici.

Se alla politica compete la gestione del mondo, e se la nostra politica è basata sulla democrazia, allora è dalla democrazia che dipende la gestione del nostro mondo. La democrazia, purtroppo, cade sempre più frequentemente in una trappola che gradualmente la sta portando a trasformarsi in altro da sé, impedendo una gestione avveduta e lungimirante del mondo, ovvero lo scopo della politica.

La democrazia attuale, dimentica di essere un metodo mediante cui raggiungere lo scopo della buona politica, diventa sempre più un meccanismo fine a se stesso, che ha sempre meno a che fare con la vita reale e i problemi delle persone e che attiva sempre più logiche di potere e interessi meramente privati.

Ha scritto David Runciman, docente di scienze politiche a Cambridge: “Il problema, per la democrazia del XXI secolo, è che le sue qualità positive stanno andando in frantumi. Durante il XX secolo l’esperienza collettiva della lotta politica, sia per risolvere i problemi condivisi, sia per aumentare il riconoscimento democratico, ha mantenuto intatta la democrazia. Nel XXI secolo l’esperienza diffusa della rabbia politica la sta demolendo” (David Runciman, Così finisce la democrazia. Paradossi, presente e futuro di una istituzione imperfetta, Bollati Boringhieri, Torino).

Ha scritto Jean Zielonka, docente di Politica e relazioni internazionali a Oxford: “Persino i nostri politici preferiti, per non parlare di quelli di cui non ci fidiamo o le cui idee troviamo odiose, ci appaiono sempre più simili a criceti, apparentemente felici di correre dentro una ruota che non li porterà mai da nessuna parte” (Jean Zielonka, Democrazia miope. Il tempo, lo spazio e la crisi della politica, Laterza, Bari).

Lo scrittore israeliano Amos Oz ha parlato di un crescente processo di “infantilizzazione delle masse” (Amos Oz, Cari fanatici, Feltrinelli, Milano), una diffusa malattia della mente che cancella il confine tra politica e spettacolo per cui la gente non vota più chi può governare meglio, ma chi emoziona e diverte, perché questo oggi desiderano i più: essere emozionati e divertiti, come bambini viziati nei paesi dei balocchi.

Siamo nel tempo in cui, per usare una metafora, un malato sceglie per medico il personaggio che gli risulta più simpatico e rassicurante, ma che non sa nulla di medicina: inutile dire che il risultato è disastroso!

La politica è in “trappola”, senz’altro, sia per gli elettori che per i politici eletti. Ecco allora un’amara constatazione: oggi la democrazia formale ha divorato la democrazia sostanziale.

La democrazia reale è degenerata in populismo e se non si pone un argine a questo degrado, soprattutto da parte dei politici in carne e ossa, la democrazia si avvia a trasformarsi in “oclocrazia”. La lingua greca antica per dire popolo ha quattro termini: laòs, èthnos, dêmos, òcklos.

Laòs indica il popolo in senso generico, da qui vengono il sostantivo “laicità” e l’aggettivo “laico”.

Èthnos indica un popolo in quanto nazione e concepito come nella sua differenza rispetto ad altri popoli, e da qui vengono il sostantivo “etnia” e l’aggettivo “etnico”.

Dêmos designa anzitutto il territorio e poi la gente che vi risiede, quindi la popolazione ordinata in assemblea e dotata di coscienza politica.

Òcklos è la massa, il volgo non la plebe (termine che non ha nulla di negativo) ma la plebaglia, la folla rozza e spesso violenta a cui interessa solo ciò che i Romani chiamavano “panem et circenses”: “pane” per tenere a bada la pancia e “giochi del circo” e spettacoli vari per tenere a bada la psiche.

Ciò di cui l’òcklos si nutre si chiama populismo e il suo esito è quasi sempre la tirannide, come insegna la “dottrina dei cicli costituzionali”, detta anche “anaciclosi”, formulata da Platone, schematizzata da Polibio, ripresa da Cicerone e poi da Macchiavelli nel Rinascimento.

La democrazia, purtroppo, non solo in Italia, si avvia ad essere oclocrazia, forse in buona parte lo è già. Vivere di sondaggi, occuparsi sempre, comunque e soltanto della propria immagine sui social e nei titoli della stampa, divenire schiavi dell’immediato consenso, quello di “sola pancia”, è demolire dal di dentro la democrazia.

Da questa considerazione, che è anche una constatazione, urge un impegno rigoroso ed intransigente affinché la nostra democrazia tanto amata venga custodita e garantita recuperando il “dêmos” che sta scomparendo e frenando “l’òcklos”, una massa di gente sempre più lontana dalla cultura e sempre più fiera dell’ignoranza.

È chiaro, mi piace puntualizzarlo, che una democrazia imperfetta e decadente come la nostra rimane sempre di gran lunga preferibile ad una tirannide, fosse pure la più illuminata, perché la tirannide, anche quella più illuminata, è sempre e solo una tirannide.

Nel 1947 Winston Churchill ribadì quanto ora affermato con queste sue famose parole: “La democrazia è il peggior sistema di governo a parte tutti gli altri sistemi che sono stati sperimentati nel tempo” (Discorso alla Camera dei Comuni dell’11 novembre 1947).

Altri segni oggettivi della crisi della democrazia e della trappola in cui è caduta la politica sono i seguenti paradigmi: “economia contro ecologia”, “identità contro accoglienza”, “tecnologia contro coscienza”, “sicurezza contro pace”.

Non mi soffermo nella spiegazione perché mi sembrano segnali tanto evidenti per un cuore pensante e una coscienza responsabile.

Che fare?

Credo che la guarigione da questa situazione intrappolata della democrazia e della politica possa arrivare solo da una sinergia di forze, di tutte le forze sane della politica, della scienza, della cultura, delle religioni.

Urgono formazione, informazione vera e non drogata e continui processi di coscientizzazione.

Il ruolo principale spetta a coloro che disegnano, fanno e condizionano l’economia, perché proprio da dove ha origine la malattia può scaturire la guarigione, come insegna l’etimologia del termine greco “phàrmacon”, che significa contemporaneamente sia “veleno” sia “medicinale”.

Alle aziende sane impegnate seriamente e responsabilmente per il bene comune spetta allora un grande compito che, al di là di ogni retorica, mi piace chiamare “missione”. Certo, le imprese non sono isole.

Non possiamo sottrarci, ciascuno per la propria responsabilità ma soprattutto come cittadini attivi, al condividere un itinerario di liberazione, che veda la politica recuperare una credibilità in grado di sbloccare la democrazia da ogni deriva.

Tre sono direi le virtù o i doveri da cui, con un coinvolgimento popolare, del popolo (dêmos), dobbiamo seriamente partire: la fiducia, il coraggio e l’ottimismo nonostante tutto. Soprattutto per le comunità che abitano il nostro territorio, dilaniato da varie forme di corruzione e criminalità organizzata, dobbiamo ripartire da relazioni ispirate a maggiore fiducia tra cittadini e istituzioni, tra famiglie e varie agenzie educative. Il nostro territorio invoca maggiore coraggio di scelte condivise per guardare insieme con ottimismo al futuro. Non lamentiamoci di ciò che ci vede – purtroppo – protagonisti a causa della nostra passività e negligenza!

Ed è questo sostanzialmente l’augurio che voglio rivolgere a tutti voi in questo Natale: che sia un Natale dove la fiducia diventi fondamento di ogni rapporto con l’alterità, il coraggio per non rimanere prigionieri della situazione presente e l’ottimismo, come “forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per se” (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa). (fs)

[Mons. Francesco Savino è Vescovo di Cassano allo Ionio]

Lega-Salvini Premier e Movimento Officine del Sud siglano patto federativo

Il Movimento Officine del Sud, guidato da Domenico Cavallaro, ha recentemente siglato un patto federativo con la Lega di Matteo Salvini. Il patto è stato firmato durante la visita del Sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon a Reggio Calabria, alla presenza della senatrice Tilde Minasi e del presidente del Consiglio Regionale della Calabria Avv. Filippo Mancuso. Oltre a Cavallaro, erano presenti anche il Coordinatore politico regionale Raffaele Pilato e il Coordinatore provinciale di Catanzaro Lorenzo Costa.

Questo patto federativo rappresenta una nuova prospettiva per il futuro della Calabria, poiché i due movimenti politici condividono l’amore per il buon governo e il sostegno all’attuale presidenza regionale. Insieme, si sono impegnati in numerose battaglie per riscattare la Calabria.

I due movimenti hanno una struttura organizzativa simile, con una composizione di amministratori locali e una costante valorizzazione del territorio. Condividono anche gli stessi valori fondamentali di ogni patto politico o movimentista. Insieme, si preparano ad affrontare le grandi sfide della Calabria e, nel breve termine, le elezioni europee del 2024.

Il patto federativo si basa su valori e programmi comuni. Entrambi credono nella forza della comunità, nella libertà e nella realizzazione di ogni individuo. Promuovono l’autonomia delle regioni, assegnando progressivamente alla Calabria la disciplina di settori fondamentali per lo sviluppo economico e sociale del territorio. La sicurezza è un altro punto fondamentale del patto federativo, con l’obiettivo di garantire la sicurezza economica e sociale attraverso politiche e programmi volti a ridurre e prevenire la povertà e lo stato di vulnerabilità personale e lavorativa. Si impegnano per un paese sicuro in tutti i suoi aspetti, con tolleranza zero verso la violenza e ogni forma di criminalità e illegalità.

Lo sviluppo, le infrastrutture e l’energia sono considerati fondamentali per la crescita della Calabria. Si impegneranno per realizzare infrastrutture resilienti che promuovano l’industrializzazione inclusiva e sostenibile. Tra i progetti prioritari ci sono il Ponte sullo Stretto di Messina e il completamento della Statale 106. Inoltre, si concentreranno sul settore del turismo, valorizzando il patrimonio culturale, naturale, paesaggistico e territoriale della Calabria e promuovendo le eccellenze enogastronomiche del territorio.

Infine, il patto federativo si impegna a implementare politiche coerenti con la pianificazione e la programmazione regionale, attraverso programmi strategici e progetti a livello provinciale e comunale.

In conclusione, il patto federativo tra Lega – Salvini Premier e Movimento Officine del Sud rappresenta un’opportunità per la Calabria di affrontare le sfide attuali e di costruire un futuro migliore per la regione. Con valori comuni e programmi condivisi, si impegnano a valorizzare e sviluppare le comunità locali, promuovendo l’autonomia regionale e garantendo sicurezza, sviluppo e benessere per tutti i cittadini calabresi. (rcz)

La politica torni ad essere un servizio e non una professione per chi non ha un lavoro

di FRANCESCO RAO – Ho molto rispetto per quanti manifestano democraticamente, unendo in pubblica piazza ideali, emozioni e bandiere. Con medesimo rispetto, ma con tanta curiosità, mi farebbe piacere poter chiedere alla Comunità del Pd quante responsabilità avvertono riflettendo su tutte quelle responsabilità riposte nel tronco di quella “quercia”, cresciuta in quell’emiciclo costituzionale perché la “falce e il martello” non potevano essere strumenti utilizzati per accreditarsi a Washington e “tentare” di governare l’Italia in un periodo storico nel quale, lo sviluppo e l’industrializzazione da una parte e la strategia della tensione ed i partitocrazia dall’altra avevano già segnato la qualità dei nostri giorni.

Per non inveire sul nostro Meridione, facendomi ulteriormente male nel muovere il pugnale infertoci nell’addome anche da costoro, ricordo a chi ha dimenticato alcuni fatti salienti, individuabili come cause di quel malessere sociale che ha generato molta dell’attuale crisi sociale tangibile a livello strutturale. ed allora, per meglio comprendere:
– chi ha istituito il numero chiuso alle Facoltà di medicina?
– chi ha varato la riforma Costituzionale del Titolo V della Costituzione, compiendo disastri nella Sanità perché messa in mano direttamente alle Regioni, dimenticando che non si può fare parti uguali tra diseguali?
– chi ha letteralmente sfruttato migliaia di Persone, mettendo da parte la riqualificazione professionale, facendole divenire un acronimo (LSU/LPU) per farli lavorare senza contributi e per una miseria? Il “salario minimo” vale solo oggi, mentre ieri non faceva tendenza?
– chi ha pilotato l’ascesa del Governo Monti e l’ennesima tortura compiuta a danno di quei lavoratori, che per motivi lavorativi, a 65 anni sono già “consumati” dal lavoro e per loro le cazzate delle varie quote 100, 101 o 102 non possono valere, le sommatorie di età e contribuzione sono una chimera perché molti di essi, specialmente in Calabria, hanno iniziato a lavorare a 14 anni e il primo dato contributivo, prima dei 30 anni è stato il servizio di leva, mentre le donne hanno subito con maggiore veemenza lo “sfruttamento” di un sistema occupazione intento a massimizzare senza proteggere e tutelare il ruolo di uguaglianza ed equità indispensabile per essere anche madre oltre che donna?

Non dico altro. Ho molto rispetto per chi è soccombente e riservo con l’alto senso del dovere l’onore delle armi ma, con chiarezza, prendo atto del fallimento strutturale che le forze politiche progressiste vivono attualmente constatando il chiaro indicatore posto sotto i miei occhi, a partire dal paese nel quale vivo, luogo nel quale l’incapacità politica, l’autoreferenzialità e la totale assenza di una visione per i prossimi 50 anni, contribuirà ad alimentare la desertificazione delle “Aree interne”, abbassare sempre di più la qualità della vita e quelle opportunità di crescita e sviluppo, impedendo ai pochi “pazzi” che vorrebbero restare di poterlo fare perché alla fine, fatti i conti con la realtà, è più conveniente andare via che impegnarsi in un luogo dove ha più valore la “caciara” e non le competenze, le idee ed i progetti.

Ed allora, a quel Pd che ora sarà impegnato a vantarsi per anni di aver portato in piazza 50.000 Persone, vorrei ricordare loro che l’opposizione al Governo può essere anche una occasione per fare ammenda del passato e migliorare il presente e il futuro con proposte concrete. Le politiche messe in atto dall’Esecutivo, Regionale e Nazionale, in alcuni casi, più che essere afferenti alla cultura del Centro-Destra rappresentano quel coraggio nel quale è stato messo da parte il Rolex perchè è prioritario pensare alla marginalità sociali e non all’auto celebrazione, manifestazione tipica dei baccelli vuoti.

Non è tutto perfetto, c’è ancora tantissimo da fare e soprattutto occorre il coraggio di superare ogni individualismo per concentrarsi ad un progetto di coesione sociale per poter prima immaginare e poi realizzare un percorso nel quale, anche la visione divisiva, per ogni rispettiva forma di ideale e posizione politica, sociale e culturale, possa divenire una occasione di crescita, sviluppo e soprattutto di democratico confronto finalizzato a rendere esclusivo bene al Paese.

Una precisazione che sicuramente sarà molto gradita, soprattutto a quanti credono nel risultato virtuale dei social e non nella capacità di osservare e risolvere i problemi senza doverli per forza rimandare o minimizzare: i Cittadini, non vivono con i vostri like e non si nutrono con i vostri real. Loro, contrariamente a quanto possiate pensare, alla luce delle mediocri competenze comunicative improvvisate nella maggior parte dei casi, guardano in faccia la fame, dramma sempre più incombente nella visione di una quotidianità che non lascia più scampo a nessuno e non considera nemmeno le strutture sociali come limite di azione. (fr)

LA SANITÀ “MANIPOLATA” DELLA CALABRIA
CON LA REALTÀ DI TANTE PROMESSE VANE

di ETTORE JORIO – Una “sanità manipolata” sarebbe un bel titolo per un film/documentario di Michael Francis Moore, quel regista eccezionale nel descrivere le contraddizioni, spesso ad effetto invalidante se non “omicidiario”, del sistema politico-sociale che infierisce sui deboli. Manipolata perché va avanti compensando quel tantissimo che manca limitandosi a promettere sempre nuove cose destinate a fare, però, la stessa fine di quelle promesse un tempo e non mantenute. Questa è la fotografia della sanità nel nostro Paese, con punte di manipolazioni eccelse nel Mezzogiorno, destinatario di promesse a fronte di realtà.

Dal sogno del SSN ad una sanità tutta da rifare

Dunque, “una sanità manipolata” è un titolo che ci starebbe tutto in un libro destinato a descrivere dove è finito il welfare assistenziale italiano dopo la grande riforma del 1978, che nella sintesi: ebbe ad introdurre il Servizio sanitario nazionale; a mandare a casa le mutue del discrimine; a dare il via al finanziamento impositivo garante dell’universalismo; a imporre centralità all’assistenza distrettuale, introducendo quella integrata con il sociale.

Da lì in poi, con una folle accelerazione sopravvenuta negli anni duemila, tutto è precipitato, realizzando un sistema assistenziale che si fa fatica a riconoscere come tale: con una assistenza territoriale consegnata all’esclusività della medicina convenzionata, che non ha dato affatto un buona prova di sé nel più recente periodo Covid; con una assistenza intermedia neppure presente sulla carta; con una assistenza ospedaliera che si è difesa bene grazie all’offerta assicurata dai 51 Irccs (21 pubblici e 30 privati) che la collettività fa fatica a distinguerli come tali, infra-sistema ma assolutamente autonomi. Una considerazione critica che ci sta tutta. Nonostante ciò, l’attribuzione economica delle risorse Pnrr in favore del sistema della salute è stata motivata poco e male. Quasi come se fosse di per sé “tutto a posto”. Così non è in tutta la sua evidenza.

Con le “elemosine” non si fanno investimenti e non si cambia nulla

Lo 0,8% è davvero umiliante per una riorganizzazione del territorio che come livello assistenziale è pressoché inesistente, basti pensare alle negatività che ha registrato in due anni di epidemia libera di correre tra i cittadini con i medici di famiglia spesso barricati e di frequente neppure nei loro studi. Certo, questo limite non è stata la regola, dal momento che sono stati in tanti quelli esposti in prima linea a pagare anche con la vita la loro generosa diversità.

Si diceva l’0,8%, una vergogna, pari a 15,63 miliardi di euro, per mettere a terra, tra l’altro, le previsioni strutturali del DM77 – che di certo risulteranno insufficienti (se non inadeguate) a rendersi garanti del difficile risultato anche perché disseminate male in tutto il Paese – da riempire del personale necessario a rendere funzionanti, per l’appunto: Case e Ospedali di comunità nonché Centrali operative territoriali. Quella “mano d’opera” professionale da assicurarsi senza però a tutt’oggi avere programmato, valorizzato e previsto i quattrini occorrenti per fare funzionare ovunque la medicina di prossimità. Non solo. Nessuna previsione per garantire un ingresso dalla porta principale della telemedicina – fatta eccezione per qualche attività preparatoria al naturale business – per favorire la svolta di una tutela della salute collaborata dalla intelligenza artificiale.

Manca del tutto l’idea della nuova spedalità

E’ del tutto mancante il necessario progetto per rivedere la geografia ospedaliera da programmare secondo le nuove dimensioni dell’offerta dopo Covid arricchita della robotica assistita, per l’appunto, dall’intelligenza artificiale, che di per sé necessiterà di finanziamenti a numerosissimi zeri e di formazione adeguata degli operatori ad essa dedicata, nonché di revisioni di Drg oramai inadeguati a coprire i costi di esercizio delle prestazioni robot medico-guidati. Ci vorrà tanto impegno e tante risorse insomma per determinare una offerta di qualità del livello di assistenza ospedaliera da dovere necessariamente riparare rispetto a quella attuale. Quanto a riparazione occorrerà intervenire anche sul sistema ospedaliero-universitario per lo più non riconosciuto come tale ai sensi della normativa vigente dal 1999, che invero avrebbe potuto rintracciare una pronta soluzione a cura del nuovo Ministro capace, come suo primo impegno, di assolvere il peccato originario con una “sanatoria” generale non affatto difficile da perfezionare Sarebbe stato sufficiente fare così come ebbe a fare Monti con il Dpcm del 31 gennaio 2013 (GU n. 55) riguardante AOU. “S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona – Scuola Medico Salernitana”

A ben vedere, con un doveroso sforzo in più impiegato nella destinazione delle risorse del Pnrr si sarebbe potuto fare tutto quanto, o quasi. Un percorso garante dell’assistenza da essere poi ovviamente assistito con le disponibilità economiche di mantenimento a regime delle strutture da assicurare al sistema delle aziende per sostenere i nuovi bilanci al lordo delle nuove dimensioni erogative.
Ebbene, no. Chi ha programmato il PNRR ha ritenuto (nella teoria) di cambiare il mondo ma di certo (nella pratica) non quello della tutela della salute delle persone, forse perché ben distante dalle “soddisfazioni” che offre una spesa non facilmente verificabile com’è la sanità, quanto a risultato, nel quotidiano da parte della collettività.

Via le catene politiche dal SSN

Questo è uno degli effetti della manipolazione, che è l’arte primaria della politica, esercitata nell’ambito della tutela della salute facendo passare sempre per prossima la sua esigibilità. Nel frattempo, solo per fare qualche brutto esempio: inadempimenti gravi tali da generare morti colpevoli; diagnosi tanto ritardate da risultare inutili; liste di attesa estenuanti; viaggi della speranza; intimo senso di vergogna dei cittadini più anziani persino di chiedere assistenza al proprio medico; pretesa alle cure messa da parte; ricorso all’assistenza cash come soluzione alla disperazione; vergognosa sottomissione per racimolare un posto letto.

Al riguardo, mi si ripete nella testa una frase proferitami da una esperta di diritti fondamentali. «Il PNRR è stato dirottato verso le cose eco-chic quando sulla sanità sarebbe servito un mega investimento». Ebbene, è stato proprio così.

Alla fine della licenza, avremo come risultato del Pnrr un valore verosimile molto vicino allo zero. Con migliaia (forse) di piccole “chiese” disseminate ovunque (per usare un linguaggio della Meloni che mette in guardia se stessa da non realizzare le solite “cattedrali nel deserto”) che non avranno neppure i guardiani a salvaguardarli dai soliti vandali.

Per riempirle di professionisti e, dunque, per renderle erogatrici di servizi e prestazioni essenziali occorre una rivisitazione del valore in incremento assoluto delle risorse del Pnrr e una precisa volontà politica di accompagno, dimostrativa del convincimento che, attraverso il sistema di finanziamento che sarà introdotto a regime dal federalismo fiscale, metterà tanti soldi dentro per sostenere i bilanci delle aziende con destinazione assunzioni, investimenti in attrezzature (ben diverse da quelle acquisite con la Componente 2 della Missione 6 in gran parte obsolete perché scelte tempo prima). Oltre a questo, ci saranno le reti da rivedere, da creare e da implementare con l’introduzione della tecnologia altamente informatizzata. Insomma, ci vorranno tanti soldi per passare dalla sanità di oggi a quella di domani. Da quella promessa a quella realizzata.

L’impegno sarà arduo ma necessario con l’ingresso della intelligenza artificiale. Sarà come passare dagli amanuensi al computer, dagli incunaboli alla stampa al laser, con a monte tanto bisogno di alta formazione dei professionisti che la utilizzeranno.

La Salute non è materiale politico

Ed è qui che occorre dire basta ad ogni genere di manipolazione intesa a costruire in sanità l’architettura del consenso prescindendo dal risultato godibile. Basta con l’influenzare la sanità supponendo di fare bene senza sapere come. Necessita mettere da parte il condizionamento della sanità al risultato politico. Nell’esercizio della politica, con la sanità è naturale doverci rimettere durante e a fine legislatura. Ed è giusto che sia così. E’ la sua legge naturale, proprio perché la si guarisce con le riforme strutturali che costano e che pesano su addetti e cittadini.

Il rimedio è quello di sapere maneggiare le regole e le risorse nonché di evitare gli inganni contabili che l’hanno distrutta per decenni nelle Regioni commissariate condannate a rimanere compromesse per sempre, con le loro collettività allo spasimo.

Rendere facili e visibili risultati teorici futuri è il peggio che si possa fare nei confronti di chi di cattiva sanità nel frattempo muore. Manovrare perché passi l’idea di pensare le cose giuste evitando di nascondere gli errori di percorso e di pronostico è un errore fatale.

Superare il profondo malessere del disservizio avvertito ovunque dalla popolazione limitandosi a promettere il nuovo che funzioni senza neppure pensare a “riparare”, da subito, l’esistente è equivalente a quella tecnica una volta chiamata “manipolazione delle masse”, che si perfezionava attraverso varie forme di comunicazione funzionali a sedare comunque la comunità in giustificata rivolta. Fare ciò nella tutela della salute significa produrre gli orrori di una guerra soprattutto per i deboli. (ej)

L’OPINIONE / Francesca Saladino: I giovani e la politica

di FRANCESCA SALADINOOggi è diventato difficile parlare di politica tra i giovani poiché sempre più distaccati da questo tema e sfiduciosi nelle istituzioni. Mi capita spesso di sentir dire tra i giovani: “i politici sono tutti uguali”, “tanto chi entra sarà un ladro come gli altri”, vedendo tutto nero e senza speranze.

I giovani di oggi sono arrabbiati da questa politica che negli ultimi anni ha portato solo precariato non offrendo più un lavoro sicuro, una stabilità, la possibilità di creare una famiglia e vivere dignitosamente, rendendosi conto che non c’è più nulla di certo per il loro futuro. I problemi della Calabria sono tanti a cominciare dalla sanità dove occorre aspettare ore e ore in una sala d’attesa in un pronto soccorso per essere visitati, dalla carenza degli ospedali stessi dove bisogna portarsi i medicinali da casa, dalla mancanza di fondi per l’assistenza delle persone non autosufficienti.

Altro punto fondamentale sono i rifiuti dove la ndrangheta ha messo le mani già da tempo facendo diventare il nostro territorio una seconda terra dei fuochi interrando veleni sotto i nostri piedi, sotto le nostre case, facendoci morire lentamente. Cosa dire poi dell’acqua che ormai per noi calabresi è diventata un lusso d’estate: reti idriche inesistenti o troppo datate che durante il tragitto dell’acqua perdono centinaia di metri cubi per le falle della rete idrica costringendo i comuni a chiudere i rubinetti delle famiglie 4/5 mesi all’anno. Che fine fanno i fondi destinati alla regione? Dove vanno a finire? Perché vengono stanziati in ritardo?

Queste sono le domande che si chiedono i giovani, disinnamorati della politica ormai e pronti a votare in segno di protesta sperando che cambi qualcosa anche a movimenti che hanno fatto del populismo la loro arma di battaglia.

Il Sud e la Calabria quindi, sembrano abbandonati dalle istituzioni, mala governata in questi decenni senza nemmeno strutture adeguate, senza strade, viabilità difficoltosa a cominciare dalla A2 del Mediterraneo: inaugurata ma mai finita. I giovani non sono deboli ma stanchi di lottare, preferiscono fare come i nostri avi emigrando come gli ultimi sondaggi ci dicono in cerca di una realizzazione che qui in Calabria non otterranno mai. (fs)

[Francesca Saladino è dirigente Provinciale Reggio Calabria Italia del Meridione]

A Reggio le Muse a confronto con Confcommercio e Confindustria: Tornare al dialogo tra politica e istituzioni

Si torni al dialogo tra politica e istituzioni. È stato questo il focus dei Dialoghi Metropolitani, evento organizzato dall’Associazione Le Muse di Reggio Calabria, che si è confrontata con il presidente di Confcommercio, Lorenzo Labate e il vicepresidente di Confindustria, Giuseppe Febert.

Il presidente dell’Associazione, Giuseppe Livoti, nella sua premessa ha chiarito come nella programmazione annuale di volta in volta, verranno chiamati presidenti o referenti di istituzioni importanti all’interno dell’area metropolitana proprio per capire lo stato dell’arte, ciò che è stato fatto o ciò che è un diritto sapere.  

La Città metropolitana di Reggio Calabria e la sua conseguente area è stata individuata e riconosciuta per legge solo a partire dal 5 maggio 2009 grazie alla legge delega n 42 in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. In base a quella legge il Governo era delegato ad adottare entro 36 mesi dalla data in entrata in vigore della legge (entro il 21 maggio 2012) un decreto legislativo per l’istituzione delle 10 città metropolitane individuate dalla legislazione italiana, tra le quali la città di Reggio Calabria.

La Città metropolitana di Reggio Calabria è stata istituita dall’ordinamento giuridico nazionale con il decreto legge 5 novembre 2012, n. 188 “Disposizioni urgenti in materia di Province e Città metropolitane”. Si è ricordato, inoltre, come dell’area metropolitana di Reggio Calabria, si discute sin dagli anni Settanta, principalmente in funzione della conurbazione con la corrispondente area metropolitana di Messina e per la istituzione dell’area metropolitana dello Stretto.

Ed ancora il territorio definito dall’Aspromonte ai due fronti costieri del basso ionio reggino e del tirreno fino alla sua conformazione lineare dal comune di Rosarno a nord al comune di Melito di Porto Salvo a sud. In evidenza i comuni di Villa San Giovanni, Campo Calabro, Montebello Ionico e Motta San Giovanni mentre  l’ area di gravitazione principale è formata da otto comuni: Calanna, Cardeto, Fiumara, Laganadi, San Roberto, Scilla, Bagnara Calabra e Melito Porto Salvo mentre i rimanenti comuni formano i “sistemi secondari aggregati” che fanno riferimento per i servizi di livello inferiore principalmente su Palmi e Gioia Tauro. 

Due confronti dunque e due ospiti importanti alle Muse ovvero il presidente di Confcommercio Lorenzo Labate ed il vicepresidente di Confindustria Giuseppe Febert. La Confcommercio di Reggio Calabria è oggi una moderna Associazione che ha come propria mission rappresentare gli interessi gli operatori del commercio, del turismo, dei servizi e delle professioni.

I principali obiettivi dell’Associazione – ha chiarito subito il presidente Labate – sono promuovere e tutelare gli interessi morali, sociali ed economici degli associati nei confronti di qualunque organismo pubblico o privato, in armonia con gli indirizzi della Confcommercio nazionale e delle organizzazioni nazionali di categoria, dare identità e voce ai settori rappresentati come soggetti collettivi, organizzare le relazioni tra gli associati per la risoluzione di problemi comuni, promuovere la formazione professionale, tecnica e sindacale degli imprenditori e degli aspiranti imprenditori, fornire assistenza e consulenza alle imprese, servizi e opportunità esclusive di risparmio nella gestione aziendale.

Labate chiamato ad intervenire sulle ultime posizioni della città sull’indagine realizzata da Italia Oggi con l’Università La Sapienza vede Reggio Calabria al 95 ° posto e al 101° nel più recente rapporto del Sole 24 ore sulla qualità della vita, ha ribadito come i sondaggi non sono mai delle verità assolute perché dipendono da vari parametri richiesti agli intervistati ed occorre sempre considerare altri riferimenti quali (sanità, pericolosità, servizi sociali ecc…).

Dunque, esaminare un territorio vuol dire avere molteplici parametri di riferimento ed attribuibili a più fasce d’età cosa che effettivamente non viene mai fatta e da questo ne scaturisce che la polemica anche nel caso di Reggio ha sempre un successo mediatico.  «Occorre tornare e parlare alla politica – ha detto – occorre che la politica faccia parte della vita di impresa non dimenticando che dal 2021 hanno chiuso 320 mila tra aziende e società. Nella nostra città e Provincia, poi, manca proprio l’educazione all’impresa ed occorre una strategia comune, una scelta comune che regioni magari come la Sicilia gestiscono meglio e con più facilità per forma mentis».

Tra le iniziative che farà per la città per Natale Confcommercio offrirà Via per Via, ovvero 10 mila euro per una pubblica illuminazione ad una zona della città (lo scorso anno fu il Viale Aldo Moro), e poi una novità ovvero la nascita di una applicazione da scaricare sul cellulare denominata Movibel utile ai turisti  per fare scaturire informazioni del territorio ed orientarli alla conoscenza dei siti storico-artistici e non solo ed infine si sta pensando ad istituire un Festival Internazionale dedicato al Bergamotto con chef da tutto il mondo.

Per Confindustria ha conversato il vice presidente Giuseppe Febert: «rappresento la principale associazione di rappresentanza delle imprese manifatturiere e di servizi in Italia a cui aderiscono volontariamente oltre 150 mila imprese di dimensioni piccole, medie e grandi, per un totale di 5.382.382 addetti», ha subito chiarito Febert.

«La mission dell’associazione – ha spiegato – è favorire l’affermazione dell’impresa quale motore della crescita economica, sociale e civile del Paese. In questo senso, definisce percorsi comuni e condivide – nel rispetto degli ambiti di autonomia e influenza – obiettivi e iniziative con il mondo dell’economia e della finanza, delle Istituzioni nazionali, europee e internazionali, della PA, delle Parti Sociali, della cultura e della ricerca, della scienza e della tecnologia, della politica, dell’informazione e della società civile. Noi puntiamo alla politica del -rimani al Sud- magari divenendo una regione attrattiva per i ragazzi del Nord, poiché la nostra città con le sue ottime condizioni meteo climatiche e la sua predisposizione al turismo potrebbe essere la California  dell’Italia».

«Strategico il Porto di Gioia Tauro – ha proseguito – unico per la sua conformazione geografica e strutturale, ecco perché Msc opera in questa importante realtà che è l’area portuale che non dovrebbe essere solo un importante riferimento per il tracking. Per Confindustria sarà decisiva la costruzione del ponte sullo Stretto che va vista non in una ottica di scelta politica ma di aspetto economico, di sviluppo del territorio, basti pensare che sarebbero impegnate alla sua realizzazione circa 120 mila persone e si creerebbe una sinergia continua con la vicina Sicilia al centro del Mediterraneo».

Tra gli interventi si segnala quello del vice sindaco di Bova Gianfranco Marino, il quale ha sostenuto che le scelte politiche devono essere sempre fatte ad ampio raggio, non limitandosi al tempo attuale, ma verificando i benefici negli anni, e questo lo si evince anche da precise volontà che storicamente hanno visto rinascere centri come Roccella o ancora lo storico borgo di Bova, esempio rappresentativo delle buone pratiche della politica.  Dunque un riscatto emotivo, sociale, economico ed umano per un’area metropolitana che ancora non ha una sua identità precisa ed unitaria. (rrc)

 

L’OPINIONE / Giusy Iemma: La politica è chiamata a dare risposte ai precari regionali

di GIUSY IEMMA – Si scrive precari, si legge uomini e donne, spesso non più giovanissimi, che da anni garantiscono servizi fondamentali per funzionamento della macchina amministrativa negli enti locali, molti allo stremo dal punto di vista finanziario. Il tema della stabilizzazione dei precari della Regione Calabria torna ciclicamente.

Anche il presidente Roberto Occhiuto sono stati rinnovati gli impegni assunti dal Dipartimento Lavoro con il decreto n. 10031 del 14 settembre 2018: lavoratori che rientrano  nella graduatoria della legge n. 1 del 2014, discendenti dalla legge regionale 28 del 2008 aspettano certezze.

La politica è chiamata a dare risposte, soprattutto in questo delicato momento storico in cui l’incertezza economica aggravata dal post pandemia e dalla guerra in Ucraina, rischia di innescare una pericolosa bomba sociale. Nella direzione delle risposte sollecitate dai precari, comunque ricordare che le Segreterie regionali delle Organizzazioni Sindacali di Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl, in un recente incontro con gli assessori regionali, hanno segnato un importante passo in avanti nella trattativa. Ma tutto ciò non basta se non c’è una vera e seria volontà politica di chi governa la Regione Calabria.

Per questo è doveroso iniziare questo percorso di stabilizzazione rivedendo il Piano del fabbisogno di personale, aumentando il numero delle Categorie professionali D da stabilizzare nell’anno 2022 da 89 a 107, in modo da comprendere tutti i precari del programma stage il cui contratto scade al prossimo 3 dicembre 2022, e non più prorogabile.

Si valuti, inoltre, la possibilità di applicare la norma di cui all’art 1, comma 27 bis, del Milleproroghe 2022 anche ai dipendenti della legge 28/08.  Occorre dunque verificare quanto personale del programma stage e della legge 28 avrà superato le prove selettive per il potenziamento dei Centri per l’impiego per stabilire il numero effettivo di lavoratori di Azienda Calabria Lavoro da stabilizzare e l’ammontare delle  risorse finanziarie necessarie  per assorbire tutto il personale della 28.

Nel caso in cui i fondi disponibili non dovessero essere sufficienti, chiedo al Presidente Occhiuto ed alla Giunta Regionale, di avanzare urgentemente una specifica richiesta al Governo nazionale di integrazione del finanziamento già previsto dal Milleproroghe 2022, per almeno 5 milioni di euro per il 2022 e 10 milioni dal 2023.

Se tutte queste azioni amministrative di buon senso saranno avviate immediatamente, e cioè prima della scadenza di dicembre, i Lavoratori della Legge n. 28/2008, presenti nella graduatoria approvata con il citato Decreto Regionale di cui la legge n. 1/2014, finalmente potranno vedere riconosciuta la loro giusta stabilizzazione lavorativa. (gi)

[Giusy Iemma è presidente dell’Assemblea regionale del Partito Democratico]

L’OPINIONE / Filippo Veltri: Quando c’era la politica

Non è mai bello autocitarsi ma in questo caso lo posso fare perché il titolo del mio libro ultimo, in libreria da pochi giorni non l’ho scelto io ma la casa editrice. Merito loro di avere centrato il problema: quando c’era la politica davvero non poteva accadere quello che abbiamo sotto i nostri occhi dopo il turno delle amministrative di domenica scorsa.

Ho in mente due casi (ma tanti se ne potrebbero fare): Catanzaro e Paola, dove è accaduto, sta accadendo e accadrà di tutto e di più, con un miscuglio di alleanze spurie e impurie nel nome del civismo, sacra parola che serve ormai per coprire tutto e in primo luogo l’assenza appunto della politica. Politica nel senso più alto del termine di battaglia di idee, di sentimenti, di animus. Un tempo si sarebbe detto anche di ideologie ma cancelliamo quel termine sennò ci mettono in qualche lista di proscrizione!

Ma se non ideologie almeno di idealità comuni, di sentire comune, di afflato simile! Nulla di tutto questo: solo la ricerca del consenso purché arrivi, in modo che magari è meglio non sapere. E così nel sacro nome del civismo ecco partiti divisi su tutto, dalla tradizione all’attualità, che si presentano uniti magari mascherati da liste di vario nome, che insieme vanno alla conquista dei municipi. E spesso ci riescono pure ma a volte inciampano, si fermano per poi ripartire con altri miscugli.

Il frutto malato della situazione di oggi alla quale porre un rimedio subito, pena il riemergere sotto mentite spoglie del problema più grande: l’attacco alla democrazia e alla libertà, di cui godiamo da molti decenni e di cui non possiamo scordarci, se non vogliamo fare la fine di chi ci stava prima del 1945 dalle nostre parti. (fv)

Lo Schiavo: Su nuovo Ospedale di Vibo aumenta sfiducia dei cittadini verso la politica

Il consigliere regionale di De Magistris PresidenteAntonio Lo Schiavo, intervenendo sulle misure di rafforzamento del servizio sanitario regionale, ha evidenziato come «sulla sanità non ci si può più dividere pregiudizialmente in base alle posizioni politiche».

«Il presidente Occhiuto e la sua Giunta ne hanno fatto, giustamente, la “madre di tutte le battaglie” – ha aggiunto – e non si può non tifare per loro affinché i risultati annunciati vengano raggiunti al più presto. Così come qualunque cittadino calabrese credo auspichi la risoluzione delle problematiche di una sanità da terzo mondo. Ovviamente, però, chi si espone nei termini in cui lo ha fatto il presidente Occhiuto, si assume una grandissima responsabilità rispetto agli impegni presi».

«Ad esempio – ha aggiunto Lo Schiavo in aula –, sulla realizzazione dell’ospedale di Vibo Valentia, che il presidente Occhiuto ha fissato al 2025, devo ricordagli che i cittadini vibonesi aspettano da oltre vent’anni la costruzione di un nuovo ospedale perché tanti ne sono passati da quando è stata messa la prima pietra in quel sito. Ovviamente poi non stupiamoci se i cittadini non credono più alla politica, chiunque sia a rappresentarla. E, quindi, non stupiamoci della sfiducia, dello sfavore che i cittadini hanno nei confronti delle istituzioni preposte a garantire il diritto costituzionale della salute».

«Se entro il 2025 – ha proseguito – verrà realizzato il nuovo ospedale di Vibo Valentia, lei, presidente Occhiuto, avrà fatto una grandissima operazione politica e sarà ricordato come colui che ha realizzato una struttura così strategica per quel territorio. Però mi corre l’obbligo di ricordarle che, nelle varie riunioni fin qui svoltesi in Prefettura e alle quali io sono stato presente, si sta parlando ancora del contingentamento delle acque. Stiamo parlando ancora di opere complementari di un presidio del quale i cittadini non hanno ancora nemmeno la percezione. Noi rappresentiamo anche le ansie dei cittadini calabresi e queste ansie è giusto che vengano portate in aula, non per finalità di contestazione ma come elemento di proposta politica e io verrei meno al mio compito se non le dicessi che lei si sta assumendo una grandissima responsabilità».

«Ci ritroveremo qui nel 2025 – ha concluso – e io sarò lieto di festeggiare con lei, presidente Occhiuto, se verranno raggiunti gli obiettivi prefissati ma sarò qui anche a ribadirle quello che lei ha detto in questa giornata qualora quest’opera strategica non sarà realizzata». (rrc)

L’OPINIONE / Denis Nesci: Quell’inadeguatezza politica e istituzionale che fa male alla città di Reggio

di DENIS NESCILa città di Reggio Calabria in tuta la sua gloriosa storia, ha conosciuto il peggior governo negli ultimi sette anni, per manifesta incapacità di offrirle una visione, se pur con i tanti problemi che la gestione ordinaria ed amministrativa ha presentato.

In ultimo, solo per ordine di tempo, è arrivato un goffo tentativo di delegittimare la stampa locale, rea di evidenziare e dimostrare un’inadeguatezza politica di una classe dirigente di sinistra. Inadeguatezza che trasuda un mediocre livello istituzionale tale da motivare consiglieri comunali e metropolitani a spingersi in una reprimenda dallo stile alquanto discutibile, nei confronti degli organi di informazione, deputati con la loro attività, a comunicare e analizzare dei fatti.

Non stupisce, dunque, se questa carenza di forma e di sostanza istituzionale, accompagnata da una gestione amministrativa non all’altezza, rischia di mandare per l’aria la stabilità economica e strutturale del Comune di Reggio Calabria, per la mancata approvazioni del rendiconto nei termini previsti.

L’indipendenza e la libera posizione dei giornalisti è un contributo fondamentale per il dibattito pubblico che dovrebbe animare le democrazie compiute come quella del civico consesso cittadini. Ma a quanto pare, il centrosinistra reggino vorrebbe amministrare assegnando bavagli ai cronisti che legittimamente – e penso fortunatamente – raccontano ai cittadini la vita e le dinamiche che la caratterizzano del Comune di Reggio Calabria. (dn)

[Denis Nesci è commissario Fratelli d’Italia di Reggio Calabria]