di MONS. FRANCESCO SAVINO – Penso che sia bello per tutti noi essere qui convenuti nella Cattedrale della nostra Diocesi, Cassano allo Jonio, per fare memoria di quell’avvenimento che ha sconvolto la storia – il primo Natale del Figlio di Dio, la sua incarnazione – e per attendere il suo ritorno, per scambiarci gli auguri natalizi e dare ad essi un contenuto.
La riflessione che vorrei condividere, quest’anno, riguarda la crisi della democrazia e il ruolo che la politica deve acquisire. Che c’entrano – dirà forse qualcuno – il Natale e la democrazia? Spero che lo si comprenderà. Basti per ora considerare il cuore del grande Mistero: «Dio ha tanto amato il mondo da dare a noi il suo Figlio». E noi non ameremo, forse, la terra e il popolo che Dio tanto ha amato?
Ciò che voglio consegnarvi e condividere mi è stato “generato” dall’ultimo libro del filosofo e teologo Vito Mancuso “Non ti manchi mai la gioia”, breve itinerario di liberazione.
Parto da una antica fiaba orientale, che può aiutarci a comprendere come anche, ma forse soprattutto oggi, la politica si può trovare in “trappola”.
L’antica fiaba orientale, da tempo immemorabile, così racconta: “Il viaggiatore fu sorpreso nel deserto da una belva inferocita; per salvarsi dalla belva il viaggiatore si precipita verso un pozzo asciutto, ma nel suo fondo scorge un drago che spalanca le fauci per divorarlo. Lo sventurato, non potendo restare lì per non essere sbranato dalla belva e non potendo lasciarsi cadere nel pozzo, si aggrappa ai rami di un cespuglio selvatico che è cresciuto in una fenditura del pozzo, e si sorregge ad essi.
Ma sente che la presa gli manca e capisce che ben presto cadrà preda della morte che lo minaccia da ogni parte; tuttavia continua ostinatamente a restare aggrappato a quei rami, e all’improvviso vede sbucare due topi, uno bianco e l’altro nero, che incominciano a rodere il fusto del cespuglio, che da un momento all’altro cederà ed egli precipiterà nelle fauci del drago. Il viaggiatore vede tutto questo e capisce che la sua fine è inevitabile, ma guardandosi attorno, rimanendo sempre aggrappato, vede delle gocce di miele sulle foglie del cespuglio, riesce a raggiungerle con la lingua e le lecca” (Lev N. Tolstoj, La confessione).
Cos’è diventata oggi la politica?
Urge, evidentemente, un cammino di liberazione, per ricostruirla soprattutto in questo tempo, senz’altro complesso e complicato, in un’epoca definita post-moderna e da alcuni ormai post-umana, un’epoca di facili populismi e di sovranismi demagogici.
Se alla politica compete la gestione del mondo, e se la nostra politica è basata sulla democrazia, allora è dalla democrazia che dipende la gestione del nostro mondo. La democrazia, purtroppo, cade sempre più frequentemente in una trappola che gradualmente la sta portando a trasformarsi in altro da sé, impedendo una gestione avveduta e lungimirante del mondo, ovvero lo scopo della politica.
La democrazia attuale, dimentica di essere un metodo mediante cui raggiungere lo scopo della buona politica, diventa sempre più un meccanismo fine a se stesso, che ha sempre meno a che fare con la vita reale e i problemi delle persone e che attiva sempre più logiche di potere e interessi meramente privati.
Ha scritto David Runciman, docente di scienze politiche a Cambridge: “Il problema, per la democrazia del XXI secolo, è che le sue qualità positive stanno andando in frantumi. Durante il XX secolo l’esperienza collettiva della lotta politica, sia per risolvere i problemi condivisi, sia per aumentare il riconoscimento democratico, ha mantenuto intatta la democrazia. Nel XXI secolo l’esperienza diffusa della rabbia politica la sta demolendo” (David Runciman, Così finisce la democrazia. Paradossi, presente e futuro di una istituzione imperfetta, Bollati Boringhieri, Torino).
Ha scritto Jean Zielonka, docente di Politica e relazioni internazionali a Oxford: “Persino i nostri politici preferiti, per non parlare di quelli di cui non ci fidiamo o le cui idee troviamo odiose, ci appaiono sempre più simili a criceti, apparentemente felici di correre dentro una ruota che non li porterà mai da nessuna parte” (Jean Zielonka, Democrazia miope. Il tempo, lo spazio e la crisi della politica, Laterza, Bari).
Lo scrittore israeliano Amos Oz ha parlato di un crescente processo di “infantilizzazione delle masse” (Amos Oz, Cari fanatici, Feltrinelli, Milano), una diffusa malattia della mente che cancella il confine tra politica e spettacolo per cui la gente non vota più chi può governare meglio, ma chi emoziona e diverte, perché questo oggi desiderano i più: essere emozionati e divertiti, come bambini viziati nei paesi dei balocchi.
Siamo nel tempo in cui, per usare una metafora, un malato sceglie per medico il personaggio che gli risulta più simpatico e rassicurante, ma che non sa nulla di medicina: inutile dire che il risultato è disastroso!
La politica è in “trappola”, senz’altro, sia per gli elettori che per i politici eletti. Ecco allora un’amara constatazione: oggi la democrazia formale ha divorato la democrazia sostanziale.
La democrazia reale è degenerata in populismo e se non si pone un argine a questo degrado, soprattutto da parte dei politici in carne e ossa, la democrazia si avvia a trasformarsi in “oclocrazia”. La lingua greca antica per dire popolo ha quattro termini: laòs, èthnos, dêmos, òcklos.
Laòs indica il popolo in senso generico, da qui vengono il sostantivo “laicità” e l’aggettivo “laico”.
Èthnos indica un popolo in quanto nazione e concepito come nella sua differenza rispetto ad altri popoli, e da qui vengono il sostantivo “etnia” e l’aggettivo “etnico”.
Dêmos designa anzitutto il territorio e poi la gente che vi risiede, quindi la popolazione ordinata in assemblea e dotata di coscienza politica.
Òcklos è la massa, il volgo non la plebe (termine che non ha nulla di negativo) ma la plebaglia, la folla rozza e spesso violenta a cui interessa solo ciò che i Romani chiamavano “panem et circenses”: “pane” per tenere a bada la pancia e “giochi del circo” e spettacoli vari per tenere a bada la psiche.
Ciò di cui l’òcklos si nutre si chiama populismo e il suo esito è quasi sempre la tirannide, come insegna la “dottrina dei cicli costituzionali”, detta anche “anaciclosi”, formulata da Platone, schematizzata da Polibio, ripresa da Cicerone e poi da Macchiavelli nel Rinascimento.
La democrazia, purtroppo, non solo in Italia, si avvia ad essere oclocrazia, forse in buona parte lo è già. Vivere di sondaggi, occuparsi sempre, comunque e soltanto della propria immagine sui social e nei titoli della stampa, divenire schiavi dell’immediato consenso, quello di “sola pancia”, è demolire dal di dentro la democrazia.
Da questa considerazione, che è anche una constatazione, urge un impegno rigoroso ed intransigente affinché la nostra democrazia tanto amata venga custodita e garantita recuperando il “dêmos” che sta scomparendo e frenando “l’òcklos”, una massa di gente sempre più lontana dalla cultura e sempre più fiera dell’ignoranza.
È chiaro, mi piace puntualizzarlo, che una democrazia imperfetta e decadente come la nostra rimane sempre di gran lunga preferibile ad una tirannide, fosse pure la più illuminata, perché la tirannide, anche quella più illuminata, è sempre e solo una tirannide.
Nel 1947 Winston Churchill ribadì quanto ora affermato con queste sue famose parole: “La democrazia è il peggior sistema di governo a parte tutti gli altri sistemi che sono stati sperimentati nel tempo” (Discorso alla Camera dei Comuni dell’11 novembre 1947).
Altri segni oggettivi della crisi della democrazia e della trappola in cui è caduta la politica sono i seguenti paradigmi: “economia contro ecologia”, “identità contro accoglienza”, “tecnologia contro coscienza”, “sicurezza contro pace”.
Non mi soffermo nella spiegazione perché mi sembrano segnali tanto evidenti per un cuore pensante e una coscienza responsabile.
Che fare?
Credo che la guarigione da questa situazione intrappolata della democrazia e della politica possa arrivare solo da una sinergia di forze, di tutte le forze sane della politica, della scienza, della cultura, delle religioni.
Urgono formazione, informazione vera e non drogata e continui processi di coscientizzazione.
Il ruolo principale spetta a coloro che disegnano, fanno e condizionano l’economia, perché proprio da dove ha origine la malattia può scaturire la guarigione, come insegna l’etimologia del termine greco “phàrmacon”, che significa contemporaneamente sia “veleno” sia “medicinale”.
Alle aziende sane impegnate seriamente e responsabilmente per il bene comune spetta allora un grande compito che, al di là di ogni retorica, mi piace chiamare “missione”. Certo, le imprese non sono isole.
Non possiamo sottrarci, ciascuno per la propria responsabilità ma soprattutto come cittadini attivi, al condividere un itinerario di liberazione, che veda la politica recuperare una credibilità in grado di sbloccare la democrazia da ogni deriva.
Tre sono direi le virtù o i doveri da cui, con un coinvolgimento popolare, del popolo (dêmos), dobbiamo seriamente partire: la fiducia, il coraggio e l’ottimismo nonostante tutto. Soprattutto per le comunità che abitano il nostro territorio, dilaniato da varie forme di corruzione e criminalità organizzata, dobbiamo ripartire da relazioni ispirate a maggiore fiducia tra cittadini e istituzioni, tra famiglie e varie agenzie educative. Il nostro territorio invoca maggiore coraggio di scelte condivise per guardare insieme con ottimismo al futuro. Non lamentiamoci di ciò che ci vede – purtroppo – protagonisti a causa della nostra passività e negligenza!
Ed è questo sostanzialmente l’augurio che voglio rivolgere a tutti voi in questo Natale: che sia un Natale dove la fiducia diventi fondamento di ogni rapporto con l’alterità, il coraggio per non rimanere prigionieri della situazione presente e l’ottimismo, come “forza vitale, la forza di sperare quando gli altri si rassegnano, la forza di tenere alta la testa quando sembra che tutto fallisca, la forza di sopportare gli insuccessi, una forza che non lascia mai il futuro agli avversari, ma lo rivendica per se” (D. Bonhoeffer, Resistenza e resa). (fs)
[Mons. Francesco Savino è Vescovo di Cassano allo Ionio]