SAN NICOLA ARCELLA (CS) – Successo per il libro “Questione Meridionale” di Saccomanno

È stato un successo di pubblico la presentazione del libro Questione Meridionale: forse è la volta buona? di Giacomo Saccomanno, avvenuta nei giorni scorsi a Palazzo dei Principi Lanza di San Nicola Arcella.

A condurre la serata la giornalista Nicoletta Toselli. A porgere i saluti istituzionali il consigliere comunale, delegato dal sindaco, Daniele dell’Osso, che ha ringraziato l’autore dell’opera per averla voluta presentare a San Nicola Arcella e per aver consentito, così, una informazione diretta e oggettiva. Una serata condotta eccellentemente dalla Toselli, che ha consentito un approfondimento molto interessante sia sul Ponte dello Stretto che, maggiormente, sulle collegate ed indispensabili infrastrutture.

L’avv. Saccomanno ha voluto ricordare le ragioni del suo impegno politico e sociale, precisando che ha cercato di dare un contributo diretto alla propria terra, specialmente dopo aver perso al tempo l’unico nipote, Giacomo Francesco, per malasanità. Un momento di commozione quando ha dovuto ricordare gli accadimenti e la dolorosissima perdita di un bambino di 24 mesi, che si sarebbe potuto salvare se la Calabria avesse avuto un reparto di cardiochirurgia pediatrico.

Poi, l’autore del libro si è soffermato sulla questione meridionale, ricordando le vicende storiche e, infine, la fallimentare politica assistenziale, che ha solo portato, poi, ad investimenti calati dall’alto e che sono serviti solo per sprecare risorse. È emerso dalla discussione il pesante individualismo delle persone che vivono in Calabria e una mediocrità della classe politica che non è riuscita a costruire una regione moderna ed all’altezza della sua storia, dei suoi beni culturali, della sua gastronomia, delle sue coste e delle bellezze che tutti ci invidiano.

Un’arretratezza decennale che ha collocato la Calabria agli ultimi posti di ogni classifica nazionale ed europea e che ha fatto scappare le migliori intelligenze, pur dinnanzi ad uno sforzo importante ed a un impegno costante dell’attuale presidente della Giunta Regionale, Roberto Occhiuto. A dire dell’autore, il decadimento secolare non può essere superato in pochi anni e senza, tra l’altro, di strumenti di pianificazione e sviluppo a breve e lunga scadenza. Ma, non tutto è perso! Saccomanno, con la radicazione della sua conoscenza e con una lunga esperienza, ha fornito una speranza: le infrastrutture sono il primo elemento per far crescere una comunità ed un territorio.

Ed oggi la Calabria, grazie al Ministro Salvini, ha la possibilità di cambiare pelle, se le tante opere in essere ed in programma saranno condivise, partecipate e gestite direttamente dai territori. Non è più il tempo di assistenzialismo e di interventi calati dall’alto e, poi, abbandonate, in quanto non necessarie. Saccomanno a questo punto ha snocciolato e fatto vedere quante opere sono indirizzate verso la regione e quante risorse sono e saranno impegnate. Tutto ciò grazie al ponte, attrattore di crescita e modernità, ma, principalmente, per la caparbietà di un ministro che messo in campo, tra Calabria e Sicilia, oltre 80 miliardi.

Il ponte, quindi, un attrattore di opere rilevanti come: l’alta velocità, il completamento dell’autostrada, l’elettrificazione della rete ferroviaria jonica, la SS 106, le trasversali, ecc., che sono quasi tutte cantierate e che dovranno essere completate, naturalmente, entro il 2032, data prevista per l’inaugurazione del ponte sullo Stretto. Opera questa straordinaria, che tutto il mondo ci invidia, e che sarà la calamita per turismo, investimenti e sviluppo economico. Tutto ciò, però se i calabresi prenderanno seriamente coscienza di quello che è stato messo in campo e riusciranno, almeno per una volta, a lavorare assieme, senza individualismi e con la gestione di un processo di alta valenza economica, sociale e di rilevante sviluppo. (rcs)

 

ALTRO CHE AUTONOMIA: RISARCIRE IL SUD
È GIUSTA LA CROCIATA DEL MEZZOGIORNO

di MIMMO NUNNARI – Un po’ tardi ma meglio che mai. “La Calabria azzurra in rivolta contro lo spacca-Italia” titolava giorni fa un quotidiano nazionale per spiegare la posizione del presidente della Giunta regionale della Calabria Roberto Occhiuto che chiede al partito di cui è vicesegretario (Fi) di frenare ogni accordo Governo Regioni sull’Autonomia differenziata.

Un passo decisivo per bloccare la legge Calderoli in realtà andava fatto prima, ma Forza Italia e soprattutto il suo leader Tajani non hanno avuto il coraggio, o la volontà, o la convenienza a farlo e adesso trovare una soluzione dignitosa è difficile.

Un po’ ridicola francamente appare l’idea dell’Osservatorio regionale per vigilare proposta dallo stesso Tajani. Assomiglia al sale sulla coda degli uccelli per catturarli, come si diceva un tempo per prendere in giro i bambini. La verità è che il Governo Meloni – Tajani – Salvini passerà alla storia per aver abolito, con la sciagurata legge sull’Autonomia (“La scelta di rafforzare ancora il peso delle regioni è la seconda porcata di Calderoli dopo la legge elettorale” ha detto in un’intervista a Repubblica Claudio Martelli”) la “questione meridionale”, che da irrisolta diventa irrisolvibile, e perciò inesistente. Qualcosa del genere sia pure senza ricorrere a strumenti legislativi era accaduta al tempo di Mussolini, con un sonoro de profundis della “questione meridionale” che allora l’entourage del duce affidò all’Enciclopedia Treccani, pronta ad  allinearsi alle direttive del regime con un aggiornamento della voce “Questione del Mezzogiorno”: «Di una questione meridionale non si può più oggi legittimamente parlare; e perché tante differenze sono scomparse e perché sono ormai in piena attuazione i provvedimenti del governo fascista che mirano intenzionalmente a elevare il tono dell’Italia agricola, specialmente meridionale».

Il problema del Sud nell’anno 1934 per il governo Mussolini non esisteva più.

Sarà la storia adesso o quando sarà a definire in che modo la legge Calderoli avrà risolto l’anomalia italiana delle due Italie, cioè il nodo irrisolto dell’unificazione nazionale che ha pesato su tutta la storia italiana del diciannovesimo e ventesimo secolo. Questo Governo, come tutti i precedenti fin dal tempo dell’unificazione, è nemico del Sud: è padre padrone, è occhiuto ma non governante, come nelle monarchie regna ma non governa. Storicamente il rapporto Governo Sud lo ha spiegato bene in Cristo si è fermato a Eboli Carlo Levi, l’intellettuale torinese perseguitato dal fascismo inviato al soggiorno obbligato in Lucania: «Per tutti i Governi il destino del Meridione è stato sempre di mera occupazione, talvolta di rapina. Nessuno ha toccato questa terra, se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore incomprensivo».

Quale direzione prendessero le cose riguardo al Sud si capì sin dall’inizio della vicenda unitaria già nelle prime riunioni del primo Parlamento quando in una delle prime sedute si discuteva e si approvava il progetto di legge per rilanciare i porti di Livorno, Genova e Venezia, e contestualmente si respingeva un’analoga misura in favore dei porti di Napoli, Salerno e Palermo. È in quel periodo che nasce l’Italia “duale”, con la quale la nazione non ha mai fatto i conti; come non li hanno fatto i partiti, di destra, di centro e di sinistra, la cultura, i media, gli intellettuali. Nei rari tentativi di riunificazione del Paese l’unico esempio positivo viene dal dopoguerra quando dopo la parentesi infausta del fascismo è stato dato spazio al progetto degasperiano di ricostruzione, e l’Italia ha marciato unitamente per un lungo tratto di strada, con profondi cambiamenti sociali ed economici che hanno modificato la fisionomia ed il ruolo del Sud nell’ambito dello sviluppo del Paese. Poi basta; al posto della riconciliazione e integrazione dei territori si è fatta strada una contrapposizione odiosa, discriminatoria, razzista scatenata negli anni Novanta dalla Lega Nord che ha spinto sempre più indietro il Sud, rigettandolo in basso, fino a trasformare la questione meridionale in questione criminale.

Da allora il Sud è stato sempre più “crocifisso”: parola giusta e appropriata, usata in  un passato non molto lontano da un  prete del Nord, don Antonio Riboldi vescovo ad Acerra, in Campania, che mise in relazione di somiglianza il Sud con la crocefissione cristiana: «Cristo sulla croce rappresenta molto da vicino il dolore del Sud. Gesù inchiodato che non riesce a muovere braccia e piedi perché qualcuno lo ha messo in quei vincoli l’uomo del Sud lo sente come se stesso».

Che fare? Se fossimo in Francia la popolazione sarebbe  scesa in piazza già da tanto, avrebbe  fatto le barricate, la rivoluzione. Ma qui, al Sud, non è aria. C’è una secolare rassegnazione scambiata per pazienza: un’attesa infinita quanto inutile che qualcuno arrivi da fuori per risolvere i problemi. È questo il contesto. Contesto  sul quale piove di tanto in tanto come un dono o un’elemosina qualcosa che tra l’altro al Sud non serve: «Gocce d’acqua in una terra assetata», scriveva Gaetano Afeltra, giornalista, protagonista in una bella stagione del giornalismo italiano nel secolo scorso. Afeltra era milanese d’adozione, ma col cuore che abitava ad Amalfi, dov’era nato: “Ci si accorge del Sud – diceva – quando succede un cataclisma: il terremoto, il colera, l’alluvione. Solo allora il problema del Mezzogiorno viene riproposto alla coscienza nazionale e subito dopo, a parte qualche rituale giaculatoria, risparisce dall’orizzonte dei politici e dell’opinione pubblica nazionale e si torna al punto di partenza, come nel gioco dell’oca”.

Ecco, questo Sud spinto sempre indietro va risarcito e non ulteriormente punito con l’Autonomia differenziata che altro non è che una reale secessione del grasso Nord. Lo vuole la storia il risarcimento. E bisogna far presto, perché può accadere che alle popolazioni meridionali prima o dopo saltino i nervi e in questi casi le conseguenze possono essere imprevedibili e nocive per tutti, al Sud come al Nord.

Al  Sud serve lo Stato che da un secolo e mezzo c’è, ma è “differenziato”: pende verso Nord. Il risarcimento dev’essere morale ancor prima che economico. Molti anni fa sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia ha scritto che il Mezzogiorno è precipitato nell’irrilevanza nel momento in cui si è dissolto il complesso nodo storico al cui centro c’era lo “Stato nazionale”, e senza tanti giri di parole il più famoso politologo italiano ha affermato che innanzi tutto in Italia si è “dissolto lo Stato”. Ha spiegato che nell’ultimo quarto di secolo lo Stato è andato decomponendosi e la “questione meridionale” che fino ad un certo punto nel bene e nel male era stata una questione di Stato si è eclissata, è sparita: «La prima cosa da fare – diceva Galli della Loggia – è ricostruire la macchina amministrativa dello Stato, rafforzarla, ristabilire il significato politico dei suoi ambiti d’azione, la sua efficienza, la sua capacità d’intervento capillare».

Cioè tutto il contrario dell’Autonomia differenziata, che al tempo in cui Della Loggia scriveva era ancora un progetto lontano, poiché la Lega pensava alla secessione. Questi temi se si vuole essere credibili fino in fondo bisognerebbe inserirli nella “crociata” da combattere col referendum abrogativo  della legge Calderoli per liberare definitivamente l’Italia da un destino malcerto e conflittuale, che è l’esatto contrario della riconciliazione che servirebbe a un Paese mai unito sul serio. (mn)

L’OPINIONE / Tania Bruzzese: Il ministro Valditara “ammette” che esiste una Questione Meridionale

di TANIA BRUZZESELa risposta del Ministro Giuseppe Valditara, durante la sua visita in Calabria di pochi giorni fa, in occasione della  presentazione del progetto “ReCapp.Cal”, è che nascere o vivere nella nostra regione, o nel Meridione in generale, piuttosto che in Veneto, d’ora in poi assumerà il valore di un privilegio etnico territoriale non convertibile, sottoponendoci tutti allo ius soli regionalizzato, a discapito delle  politiche di inclusione e di europeizzazione.  

È bene precisare che “ReCapp.Cal” è un progetto rivolto agli studenti calabresi per il potenziamento  delle competenze soprattutto in italiano e matematica. 

Di fatto l’attenzione va focalizzata sul piano di dimensionamento scolastico approvato pochi mesi fa  che prevede la soppressione di oltre la metà degli istituti comprensivi calabresi e il conseguente  accorpamento: già a partire dall’a.s. 2024/25 verranno ridotte ben 79 unità scolastiche per  completarsi con una soppressione definitiva nell’a.s. 2026/27 di 84 istituzioni scolastiche, pari al  23,3% in meno, immaginando quindi numerosi accorpamenti in particolare per le istituzioni del  primo ciclo.

I numeri ci dicono, quindi, che un dirigente scolastico in Calabria arriverà a gestire  finanche 30 sedi scolastiche chilometricamente distanti tra di loro. Nel territorio della provincia di Reggio Calabria, ad esempio, fra le altre vi sarà un’istituzione scolastica che dovrà amministrare ben 23 scuole causando inevitabilmente ulteriori inefficienze nella gestione e nel controllo. Al  dimensionamento scolastico si aggiunge poi uno scellerato disegno di legge quale è l’autonomia differenziata che, in materia di istruzione, prevede necessariamente la regionalizzazione del sistema  educativo a partire dai programmi scolastici, passando per i finanziamenti all’istruzione, finendo al  personale ed ai contratti.  

In tale contesto restano al di fuori questioni più pratiche ai fini del miglioramento dell’offerta  qualitativa degli studenti calabresi, come ad esempio il tema delle pluriclassi che andrebbe  certamente affrontato in maniera seria.  

Il fatto che il Ministro Valditara venga in Calabria a presentare proprio questa tipologia di progetto  asserendo di voler affrontare una grande sfida formativa al fine di garantire le stesse opportunità a  tutti gli studenti, sottolineando peraltro di trovarsi in un territorio dove si avvertono la voglia ed il  desiderio di riscatto, ci dice in realtà che lo stesso Ministro ammetta l’esistenza di una questione  meridionale ben delineata da precisi tratti distintivi, motivo per cui la povertà educativa non è solo  una briga concettuale, ma una realtà inquadrata nel fenomeno della dispersione scolastica.  

Il principio cardine su cui si fonda l’istituzione scolastica è l’uguaglianza che è un concetto  universalistico e non pregiudicabile, mentre la “secessione dei ricchi” – attraverso la cristallizzazione  delle diseguaglianze – porterà il Paese a marcare ulteriormente i divari già esistenti tra i territori per  la mancanza di attuazione di politiche pubbliche in grado di recuperare i gap: quanto più si investirà  su una scuola pubblica, efficiente, uguale, tanto più saremo capaci di affrontare le sfide ad un’unica  velocità, quali vettori trainanti nel sistema politico-economico di tutto il Paese, favorendo altresì  una maggiore competitività quale ricaduta anche in termini di sviluppo territoriale.  

La scuola italiana non deve essere messa a repentaglio da una classe politica impegnata nella lotta  ai poveri e non alla povertà, alle uguaglianze e non alle diseguaglianze: un governo ha il dovere di  difendere tutti i cittadini ognuno nei propri territori garantendo gli stessi diritti, anziché imponendo le spietate regole dettate dalla geografia socio-economica – disunendo una nazione, calpestandone la storia e le lotte di chi questo Paese lo ha unito e difeso – ma continui ad essere la scuola garante  dei diritti nell’interesse di gli studenti, come iscritto nella nostra Costituzione, motivo per cui  facciamo appello al garante per eccellenza, quale è il Presidente Mattarella, affinché sia custode  delle generazioni future del nostro Paese, nella sua interezza. (tb)

[Tania Bruzzese presidente PD Metropolitano Reggio Calabria]

UIL, LA RICETTA DEL SINDACATO PER IL SUD
DEVASTANTE L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

di PIERPAOLO BOMBARDIERI – Tutti gli indicatori socioeconomici mostrano una Italia alle prese con i complessi ed irrisolti “dualismi” e “disuguaglianze” sociali e territoriali. L’irrisolta “questione meridionale” è e deve diventare di nuovo tema nazionale attraverso una forte politica di rilancio dello sviluppo del Mezzogiorno in grado di riequilibrare le differenze e le disuguaglianze territoriali.

È dal lavoro, dal lavoro dignitoso e di qualità che dobbiamo ripartire se vogliamo che il Mezzogiorno riparta. E noi vogliamo ripartire dal Mezzogiorno per unire il Paese, per dare un futuro al lavoro, promuovere la coesione nazionale e riconoscere in quell’area del Paese quei diritti spesso negati. Le donne e gli uomini che vivono nel Mezzogiorno chiedono lavoro, buona occupazione e servizi degni di un Paese civile.

Il 40% dei contribuenti nel Mezzogiorno dichiara meno di 10 mila euro l’anno cioè 5 milioni di contribuenti su un totale di 12 milioni vivono con un reddito sotto la soglia di sopravvivenza. Dobbiamo ridurre una volta per tutte i divari con il Centro-Nord. Dobbiamo creare lavoro per le donne e i nostri giovani altrimenti questi scappano e il Mezzogiorno diventerà sempre più povero.

Negli ultimi 16 anni, più di 1,2 milioni di persone hanno lasciato il Mezzogiorno: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto, erano laureati. il 16% si è trasferito all’estero.

Oggi, assistiamo anche ad un nuovo fenomeno: il pendolarismo di lungo periodo che rappresenta la nuova forma di emigrare.

Nel Mezzogiorno c’è tanto da fare. Il divario con il resto del Paese, anche a causa della pandemia, è aumentato e con la guerra in atto rischia ancor più di acuirsi. C’è bisogno di nuovi investimenti e di una politica industriale degna di questo nome che metta al centro il lavoro, gli investimenti infrastrutturali sociali e materiali e la lotta alle ingiustizie sociali.

Ma dovrà trattarsi di una “crescita nella legalità” e ciò richiede da parte delle amministrazioni pubbliche e delle parti economiche e sociali un impegno straordinario.

Siamo stati tra i primi a dire che l’assegnazione del 40% delle risorse era insufficiente e non adeguata a risolvere i divari. Noi diciamo che con le risorse a disposizione dobbiamo fare bene, non possiamo sbagliare.

Come? In primis affrontando il nodo dell’efficienza e l’efficacia del funzionamento della Pubblica amministrazione, ad iniziare proprio dalla capacità di spesa e quindi dall’“assorbimento delle risorse” in tempi europei. L’ammodernamento della Pubblica amministrazione, gli investimenti per il suo funzionamento devono esser percepiti e concepiti come proprie e vere precondizioni allo sviluppo. Nuove assunzioni per la Pubblica Amministrazione e non precari.  E chiediamo che gli investimenti vadano in primis a ridurre le disuguaglianze infrastrutturali e dell’accesso ai servizi di cittadinanza.

L’autonomia differenziata rischia di essere devastante per il Mezzogiorno. Per noi, l’autonomia differenziata è una riforma che scava una profonda frattura tra Nord e Sud del Paese ed è un processo che non porta ad effettivi benefici nel breve e soprattutto nel medio e lungo termine a tutte le persone. A nostro avviso vanno respinte le differenziazioni perché si rischia di creare le “diseguaglianze” quale elemento propulsivo e di competitività per questo o quel territorio: Nord vs Sud, aree urbane e metropolitane vs aree interne. Non può essere questa la filosofia!Noi vogliamo creare un Paese più unito, più eguale, più giusto, più coeso. Con l’autonomia differenziata, non solo non si pone riparo alle disfunzioni delle Regioni, ma al contrario si accentuano le inefficienze complessive del sistema. L’autonomia differenziata rischia di mettere in discussione definitivamente il carattere pubblico e nazionale dell’istruzione e di conseguenza mina, alla radice, le basi dei diritti di garantiti dalla costituzione.

Quindi ci domandiamo: è sensato decentrare anche ulteriori materie ad iniziare dall’istruzione a Regioni che, tra l’altro, hanno mostrato e mostrano una certa “difficoltà” a gestire il sistema sanitario? Noi crediamo di no e diciamo che dobbiamo mettere i territori del Mezzogiorno alla pari con il resto del Paese. Noi non possiamo permettere che i diritti di cittadinanza siano garantiti a seconda della zona geografica in cui si nasce.

La sfida è quella di coniugare “efficienza”, “qualità”, “partecipazione” e “coesione”. E allora, prima di parlare di regionalismo differenziato, parliamo di infrastrutture materiali ed immateriali. Parliamo di come assicurare il diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione, all’accesso ai servizi sociali su tutto il territorio nazionale. E questo significa, prima di devolvere ulteriori materie e poteri alle Regioni, parlare di perequazione infrastrutturale, significa passare dal concetto della spesa storica ai fabbisogni standard, significa individuare i livelli essenziali delle prestazioni per assicurare i diritti di cittadinanza in tutte le aree del Paese. (ppb)

[Pierpaolo Bombardieri è stato riconfermato segretario nazionale Uil. L’articolo è un estratto del discorso all’ultimo Congresso del sindacato]

 

BENVENUTI AL SUD, L’ELDORADO IGNORATO
MA CHE FA GOLA AI POLITICI QUANDO SERVE

di ORLANDINO GRECO – Sta per terminare l’ennesima “discesa al Sud” dei cosiddetti leader nazionali dei partiti politici. Siamo nelle battute conclusive di una campagna elettorale che mai come stavolta non ha suscitato l’entusiasmo e la speranza dei calabresi a causa non solo di una legge elettorale che sempre più mantiene distanti i cittadini dai propri rappresentanti ma anche di candidature blindate frutto solo del compromesso e tra dei desiderata delle segreterie romane.

Benvenuti al Sud! Terra di storia e cultura già utilizzata dagli alleati per lo sbarco in Sicilia ma incoronata dai giornali padani come terra di mafia, la più potente organizzazione criminale. Un alibi, vista la diffusa illegalità presente in tutto lo Stivale, per non investire al Sud, non fare infrastrutture e sottrarre risorse.

Benvenuti al Sud! Vi siete inventati il Nord come “locomotiva” dell’economia nazionale per mettere il Sud agli ultimi vagoni con l’assistenzialismo clientelare, generatore di quel serbatoio di voti ricattabili che fanno la gioia e il risultato di classi politiche diversamente ineleggibili.

Benvenuti al Sud! Dove i treni viaggiano in una sola direzione, verso il Nord, portando via migliaia di giovani ogni anno. Siamo le regioni del reddito di cittadinanza per eccellenza, geniale intuizione per un consenso permanente, punto di orgoglio del partito del “vaffa”, il quale ha dimostrato che, pur essendo maggioranza relativa in parlamento, non si può governare se sono l’inadeguatezza e l’approssimazione a connotare il nuovo che avanza.

Benvenuti al Sud! Nelle regioni della Spesa Storica, espediente politicamente scorretto, complici i governi nazionali di ogni colore politico, per sottrarre al Sud risorse destinate ad asili nido, trasporti, fasce deboli e welfare. Ideato da menti raffinate e ciniche per sottrarre scientificamente risorse al Sud e tenerlo in una condizione di bisogno e, quindi, di subalternità. La stessa subalternità dell’assordante silenzio che ha caratterizzato sul tema la nostra deputazione, spesso prone ai diktat romani al fine di assicurarsi un posto al sole nelle prossime elezioni politiche.

Benvenuti al Sud! Dove ad accogliervi per come meritereste non possono esserci i nostri giovani in quanto sono, diplomati e laureati, gli emigrati di oggi, costretti ad inseguire altrove i propri sogni. Costretti ad osservare malinconicamente da lontano le regioni del Sud invecchiare e spopolare, essendo quelle con l’età media più avanzata ed un tasso di natalità sempre più basso nel Paese

Benvenuti al Sud! Dove la Calabria è  la regione del disastro sanitario per eccellenza. I vostri governi e i vostri ministri ci hanno rifilato commissari pagati a peso d’oro ma dimostratisi incapaci di gestire un sistema corporativo privo di colpevoli ma pieno di vittime: la malasanità. Versiamo ogni anno agli ospedali del Nord una cifra fra i 250 e i 300 milioni di euro, una “pacchia” come si dice in questi giorni di campagna elettorale, nel mentre gli ospedali del Sud vengono tenuti in condizioni da quarto mondo, ridotti a serbatoi elettorali e nei quali nessun medico di valore vuol venire ad operare.

Benvenuti al Sud! Venite pure a promettere il Ponte sullo Stretto e l’alta velocità ma attenzione, perché siamo poveri ma non imbelli. Torna alla ribalta politica, da Pontida, la manfrina dell’autonomia differenziata, cioè un altro espediente scorretto per negare risorse al Sud forzando la Costituzione ed il pensiero di Luigi Einaudi. Non solo.

Emergono inquietanti elementi di una scuola di pensiero secondo la quale i miliardi del Pnrr destinati alle regioni meridionali sarebbero sprecati perché i sindaci del Sud non sono capaci di progettare e aprire i cantieri. Se, invece, i miliardi vengono dirottati al Nord, si aiutano le imprese della “locomotiva d’Italia” a fronteggiare la crisi energetica e l’impatto sui costi di produzione.

Benvenuti al Sud! Questa volta, però, ci sono sindaci pronti a fare le barricate e noi con loro. Vogliamo un’Italia unita, da nord a sud, nella solidarietà e nel benessere: lavoro, istruzione, sanità, trasporti. Al Sud come al Nord. Qualche passo avanti c’è stato. Non si saltella più cantilenando: “Senti che puzza… scappano anche i cani… stanno arrivando i napoletani”. L’Italia di mezzo, divertita, rideva. Ora vengono a chiedere i voti meridionali necessari per poter governare.

Benvenuti al Sud! Godetevi questo scampolo di fine estate: il nostro mare, il “nostro” sole, i borghi, i parchi, le testimonianze della nostra storia, tutto ciò, insomma, che non avete potuto prenderci e portare al Nord. Con l’occasione visitate il Porto di Gioia Tauro, il più importante del Mediterraneo, che avete discriminato per privilegiare i porti del Nord. In termini di cultura di governo e di interesse nazionale si può essere più miopi?! Avremmo dovuto avere il rigassificatore già da anni ed oggi si litiga per Piombino.

Benvenuti al Sud! Abbiamo la certezza che, alla fine, riusciremo a fare ciò che non è riuscito a Garibaldi e Cavour e non per colpa loro: un’Italia unita, giusta, uguale da Nord a Sud, con gli stessi diritti e gli stessi doveri in una Europa che col Recovery Plan vuole finalmente mettere fine alle diseguaglianze che avete creato e alimentato per decenni, impunemente.

Alla fine, nonostante i dubbi e le ipocrisie, andremo a votare perché il voto è un diritto che va esercitato e per noi è anche un dovere costituzionale. D’altronde il Sud è anche questo, è legalità accompagnata da un alto senso delle istituzioni ma su questi temi vi è ormai una consapevolezza diffusa per la quale le sorti del Mezzogiorno sono strettamente correlate alla ripartenza del Paese.

La politica, tutta, non potrà far finta a lungo di non saperlo ma noi saremo sempre pronti a ribadirlo, nell’interesse generale.

Benvenuti al Sud! (og)

(Orlandino Greco è segretario federale del Movimento Italia del Meridione)

La sottosegretaria Nesci: Questione Meridionale va affrontata e Quota Sud è risposta

La sottosegretaria per il Sud, Dalila Nesci, ha sottolineato come «la Questione Meridionale va affrontata e, con la Quota Sud che stabilisce di destinare almeno il 40% delle risorse al Mezzogiorno, iniziamo a farlo dando una risposta all’altezza della sfida, anzitutto culturale, di ridurre il divario rispetto al Centro-Nord».

«Si tratta – ha spiegato nel corso del suo intervento al Festival Leggere&Scrivere di Vibo – di 82 miliardi di euro che andranno ai territori meridionali, un dotazione economica senza precedenti nella storia recente. Con il Pnrr iniziamo a invertire la rotta rispetto agli squilibri territoriali in termini di infrastrutture, sviluppo, tutela ambientale e inclusione sociale».

«Un capitolo specifico – ha proseguito – è dedicato all’accesso al patrimonio culturale con il potenziamento del sistema di biblioteche, l’abbattimento delle barriere architettoniche e lo sviluppo delle tecnologie digitali. Il PNRR può incentivare molto la promozione e il sostegno alla lettura, che è l’obiettivo dell’istituzione della Capitale Italiana del Libro ed è fondamentale per la formazione di cittadini sempre più consapevoli».

«È necessario lavorare per superare la contrapposizione tra territori e promuovere la coesione territoriale – ha concluso –. Abbiamo l’occasione storica di attuare interventi straordinari e strutturali a favore del Sud, in ogni ambito: ora serve la massima sinergia tra le istituzioni per mettere a terra le risorse che ci spettano». (rrm)

La via laburista è l’unica strada per superare la crisi della sinistra

Paolo Bolano, giornalista-regista e convinto assertore della cosiddetta questione meridionale e mediterranea, insiste sulla necessità di costituire in Italia un nuovo fronte laburista, dove possano convivere liberal-democratici, progressisti e socialisti fino ai trotkisti (se ancora ce ne sono). Oggi – sostiene Bolano – di fronte alla crisi economica mondiale (dovuta anche al covid) c’è bisogno di una Bretton-Woods 2.

Ricorda Bolano, reggino di nascita, già coordinatore centrale del TG2: «Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i vincitori si sono riuniti a Bretton Woods (negli Usa) con i maggiori economisti del momento tra cui Keynes per stabilire quello che sarebbe stato il mondo nel dopoguerra. Da lì è nato il Fondo monetario internazionale e si sono gettate le basi per la Banca Mondiale. L’accordo, in linea di massima, è consistito in due punti. 1) Le grandi potenze dovevano favorire la ricostruzione dei Paesi distrutti dalla guerra; 2) il mondo sindacale doveva contenersi nelle richieste salariali. È andato tutto bene fino agli anni Settanta, tanto che l’Italia è diventata settima potenza mondiale.

«Il sorgere della globalizzazione negli anni Ottanta modifica le strategie economiche mondiali. Il capitalismo, per guadagnare di più, decide di cambiare strategia e investire nei Paesi in via di sviluppo, investendo, per esempio, un dollaro e riportandosene a casa novanta.

«Qui emergono gli errori di quel capitalismo. Lasciare il 10% nei Paesi in via di sviluppo, non è stato sufficiente per creare un grande mercato di consumo, così che quelle popolazioni hanno avuto il solo minimo indispensabile per la sopravvivenza.

«L’errore gigantesco è stato di non aver lasciato più dollari (30-40) per attivare il mercato, in modo tale che noi occidentali potevamo vendere più agevolmente i nostri prodotti. Il secondo errore, non meno grave, è stato quello di investire gli enormi capitali che venivano dal Terzo Mondo nelle finanziarie, anziché in attività produttive: da qui è partita la profonda crisi economica che stiamo attraversando da oltre trent’anni. Dovrebbe essere ben chiaro che un mondo dove l’1% possiede il 99% della ricchezza mondiale non è più sostenibile: occorre ridistribuire la ricchezza per equilibrare l’economia e stimolare investimenti che creino occupazione. Ecco perché è necessaria una Bretton Woods 2, dove i Paesi più ricchi organizzino una strategia economica per i prossimi cinquant’anni, che preveda innanzitutto, per quanto riguarda il Mediterraneo, lo sviluppo del turismo, in primis, e le energie alternative, soprattutto quella solare, in quanto il petrolio è destinato a esaurirsi nei prossimi 50 anni.

«Prima del covid, la Banca Mondiale aveva realizzato uno studio sul turismo, da cui emergeva che in questi prossimi dieci-quindici anni sarebbero arrivati nel Mediterraneo quasi un miliardo di nuovi turisti (cinesi, indiani, giapponesi, etc). Il problema è che le Regioni del Mezzogiorno non hanno un progetto attrattore comune e non sono stati in grado di proporre un’offerta turistica per accogliere almeno cento milioni di questi visitatori, per mutare radicalmente l’economia meridionale.

«Qui, naturalmente, interviene l’altra crisi, di natura politica, che sta attraversando tutto lo schieramento tradizionale dei partiti. Per quanto riguarda la sinistra moderna, a mio avviso sarebbe opportuno puntare sul laburismo, come aggregazione di tutte le forze progressiste e di sinistra, in grado di proporre una strategia politico-economica a tutto il Paese e, in particolare, al Mezzogiorno. Si consideri che da più di cento anni aspettiamo un progetto per la soluzione definitiva della vecchia questione meridionale: vorrei ricordare a tutti noi il grande meridionalista Giustino Fortunato, che, illo tempore, in Parlamento sosteneva contro le forze conservatrici che nel Mezzogiorno c’erano “…valli da bonificare, pendii da rimboscare, vie da aprire, attività industriali da avviare”. Bisogna partire da queste idee per ampliare la questione meridionale e trasformarla in “questione meridionale-mediterranea”. Nel Mediterraneo convivono 500 milioni di consumatori: tutti i paesi rivieraschi dovranno avere un’unica strategia di sviluppo per favorire l’interscambio culturale con la conoscenza del mondo islamico e delle altre realtà mediterranee. Noi siamo un Paese industriale e possiamo favorire i paesi rivieraschi e assieme a loro costruire e sviluppare la ricchezza del territorio.

«In questa ottica, è opportuno che il capitalismo si ravveda e ripari gli errori commessi. I progressisti e la sinistra devono progettare e programmare una nuova società dove ci sia una più equa distribuzione della ricchezza e quindi maggiori opportunità di mercato e, soprattutto, di lavoro.

«La Calabria, in particolare, non può più sopportare che giovani diplomati e laureati lascino le nostre contrade per raggiungere le capitali del mondo che offrono le maggiori attrattive e opportunità lavorative e restarci. La Calabria può e deve cambiare, ma deve poter contare su queste forze intellettuali le cui risorse e capacità vanno a solo ad arricchire altri paesi.

«In ultimo – conclude Paolo Bolano –, vorrei fare una considerazione sulla Città di Reggio: noi giornalisti dobbiamo continuare ad essere corretti nel raccontare i fatti. In questi ultimi trent’anni, la Città è stata amministrata dalla destra, dal centro e dalla sinistra: le nostre periferie, agricole e sottosviluppate, dove vivono più di 100mila abitanti, sono sempre più abbandonate. Mancano le strade le fogne, i trasporti, i marciapiedi, i cinema, teatri e luoghi di aggregazione culturale, per poter dire che siamo oi finalmente anche noi arrivati in Europa. Occorre, dunque, offrire condizioni di vita adeguate e sbocchi occupazionali per i nostri giovani delle periferie. Tra qualche mese si voterà e non abbiamo ancora capito da parte del centro, della destra e della sinistra, quali sono i progetti futuri per cambiare radicalmente questa città». (rp)

La “Questione meridionale“ siamo noi del Sud: una riflessione di Giusy Staropoli Calafati

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Così ritorna la questione meridionale. Sì, proprio lei, quella cosa fitusissima che non la cheta mai. Ma ditemi allora, l’Italia è stata mai del tutto una? Sono da sempre una meridionalista convinta, e so bene com’è andata. Non mi son fatta nascondere la storia. Il Nord ha da sempre vissuto la sua nobil economia grazie al Sud, e il Sud si è spopolato per industrializzare il Nord, e poi bla, bla bla… Scriveteci voi il resto, tanto tutto fa brodo.
Quando nel 2020, non muore mai la dualità tra Nord e Sud, e a riportarla agli onor della cronaca, che non è nera, ma negrissima, sono giovani sarde, non di mare, ma di piazza, e la chiamano Erasmus tra Nord e Sud, fermiamoci tutti. I giovani del Sud fanno l’Erasmus al Nord da sempre. E anche all’estero ormai, se è per questo.

La questione meridionale è sempre stata qualcosa di serio e non teatrale, uno spettro che soprattutto in passato, ha fatto tanto male. Ha fatto vincitori e vinti, vinti che però sempre si son rifiutati ritornare vincitori. Serviva coraggio, invece è stata innescata paura.
LA QUESTIONE (NUOVA)
Il Sud si desertifica. Tanti, quasi tutti figli, fanno la valigia. Un trolley. Continua l’esodo della razza della gente in viaggio. Il Nord, l’Europa. Mio figlio, da un mese, è nel Regno Unito. Ma chi ci deve fermare a noi? È davvero il Nord, con la sua cordata di scienza, ché lassù di scienza puzzano e noi no, che ci deve impedire di partire? È il lupo nero del Nord, che deve strategicamente provvedere alle pecorelle? Ma finiranno o no sti tempi?
A Sud nessuno fa figli. Uno ed è già assai. Le natalità scendono progressivamente. E l’era conta vecchi e poche speranze. Ma perché non facciamo figli, noialtri del Sud? Siamo detti sterili forse? Abbiamo da generazioni figliato sempre come conigli, seguendo la regola del”meglio ricchi di carne che di roba” . E mo’, chi succediu?

PUNTI DELLA NUOVA QUESTIONE
Sviluppo e con coscienza.
1) A noi del Sud non ci può fermare nessuno. Neppure Gesù Cristo. Nessuno l’ha mai fatto, né lo farà mai. A Noi del Sud, ci deve fermare il Sud stesso, nessuna delegazione è valsa. E ciò avverrà, se avverrà, quando il Sud non sarà più un alibi, ma la maggiore delle nostre responsabilità.
Il Sud è un cane che si morde la coda. E gira, gira… Chjù muzzica, e chjù gira.
È vero, abbiamo vissuto anni duri, noi del Sud. Anni in cui la fame era dolore e il dolore fame, lontani dalle nostre case, e sempre in attesa che arrivassero il progresso e la farina. Poi però un bel giorno sono arrivati, progresso e farina, e noi siamo tornati, ed è qui che abbiamo incominciato a morderci la coda come il cane. Quando al posto del pane, sulle nostre tavole, ai nostri figli, abbiamo dato da mangiare la politica del compare e dell’amico dell’amico. E all’amico e al compare, per rispetto e pé saluti, lo abbiamo votato, portandolo al comune e alla regione. E al comune e alla regione, compari e amici, si son mangiati tutto, pure a noi, dai piedi, poveri ciucci. Che tutte le volte che il ciuccio volava, noi volavamo con lui, poveri . E quatti quatti, han preso possesso di quel futuro che non era nostro ma dei nostri figli, gettandoli per sempre, e senza scampo, nel limbo del viaggio, vietandogli l’occasione naturale della scelta, consegnandogli una vita su cui peserà per sempre il peccato dell’erranza.
Abbiamo sì sofferto, patito con le lingue di fuori quando ci prendevano le case, i signori non ci davano lavoro, i terremoti sconquassavano i paesi, le alluvioni li modificavano, e a Terrarossa, la luce era appena la fiamma di una teda, ma ciononostante abbiamo preferito minchioni del pappo tutto io, del tuo è mio e il mio è soltanto mio, che non solo si son riempiti la pancia, ma ci hanno ruttato pure contro, e con la puzza impoveriti del tutto.
È anche vero che le distanze son penitenze, e che forse stare a una certa altezza del gambale ci avrebbe fatto meglio, ma nessuno sceglie il posto in cui nasce, nessuno quando nasce sa di essere al Nord o al Sud, a Est o a Ovest. Bisogna saper cogliere l’occasione, e noi, aihmé, le abbiamo sempre sprecate.

LEGGE DEL CONTRAPPASSO
Ci hanno finanziato aziende con le 488, e dopo gli anni previsti dai bandi ne abbiamo chiuse un buon 90% ( la mia soffre, ma non molla); ci hanno elargito prestiti d’onore in abbondanza, e invece di aprire le attività rendendole autonome, ci siamo comprati i suv, mentre con i fondi dei b&b ci siamo aggiustati le case. E qui mi taccio, che è meglio.
Allura, dicitimi cristiani, chi li deve fermare i nostri figli? Chi ci deve salvare a noialtri?
2) Non facciamo figli più di uno. Custanu. E poi che futuro gli possiamo dare? I nostri nonni (contadini, muratoti, calzolai, massari) ne facevano sette e pure otto. E le creature, belle come il sole, crescevano a pane e olive, e le famiglie erano sane. Ed erano felici.
Mo’ che ci siamo civilizzati invece, non ci basta niente. E la famiglia perde l’identità di sempre. Effetto domino.
Dio col Sud è sempre stato più buono che col Nord. A Noi calabresi per esempio, ci ha dato la Calabria, dal principio con sette bellezze più una, ma noi, miseri e pacci, sempre per la legge del futti cumpagnu, con le nostre questioni della minchia, che su dieci nove sono del mia culpa, mia culpa, mia santissima culpa, abbiamo distrutto tutto. Anche il futuro fantomatico di cui tutti parlano, dato dalla somma del passato più il presente.
Il mare, da azzurro che era, l’abbiamo tinto di nero, tra scarichi fognari, inquinanti, tossici e mundizza; il cielo da celeste chiaro, l’abbiamo fatto grigio, che anziché mandare al recupero i materiali di scarto, abbiamo pensato che il fuoco fa di certo prima a togliere gli ingombri dalle palle; La campagna da verde prato, l’abbiamo incarognita e fatta noir, ché ogni piedi di ulivo vi abbiamo piantato un bidone tossico; e la montagna quatta e zitta, se n’è scesa a mare, e di quel che scrisse Repaci, amici cari, non abbiamo lasciato di immutato nulla.
La vera questione meridionale, cari signori, siamo noi del Sud. Sud di nessun Nord.
Noi medesimi. Noi stessi, che siamo causa dei nostri mali, che abbiamo ridotto all’osso la vita dei nostri figli, che ci siamo svegliati sempre troppo tardi, e che i favori ingenui certe volte, fatti a chicchessia, non ci sono mai tornati se non con ricadute negative su noi stessi.
La vera questione siamo noi. Che ci siamo mangiati i palazzi a partire dai piedi dei tavoli, facendo collassare gli ospedali, le strade, i trasporti, la Magna Grecia che con doglie di madre ci ha partoriti.
“Ormai”, “Tanto”, sono queste parole la causa vera del nostro danno. Nulla vale a nostra discolpa. Perché il picchio del Sud, deve finire una vola per tutte. Abbiamo sempre concesso proroghe e tregue gratuite agli imbrogli, ma soprattutto, siamo rimasti cani senza coda, imbrogliati, cazzuni e corrotti, perdendo la dignità per cui eravamo nati uomini e donne in questo nostro Sud.
La questione vera, è il nostro amaro consenso alla nostra fine, il tacito assenzio, il non sapersi ribellare, la capacità assurda di subire anche dentro le nostre case, il coraggio di farci stravolgere e scombinare il mondo in cui siamo nati. Ecco cos’è!
Dove abbiamo voluto, ce l’abbiamo sempre fatta. Sì, noi del Sud, dove abbiamo voluto ce l’abbiamo sempre fatta. Il resto è storia che pende sopra di noi come una spada di Damocle, e nessuno ci tirerà mai fuori da qui, finché non avremo deciso noi che il Sud che abitiamo è uno stato d’animo e non un semplice pezzo di terra in fondo all’Italia. Ecco il vero Erasmus di cui abbiamo bisogno.

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“Non fate i meridionali per essere presi in considerazione dal mondo, ma siate meridionali considerandovi del mondo. Non dite di venire dalla terra del lutto, ma che avete pianto al lutto della terra. Non sentitevi bravi a rinnegare i vostri padri partendo, ma sentitevi fieri a ricordare tutti i padri tornando. Non fate figli per dare i nomi del Sud alle loro teste, ma date al Sud il nome delle teste dei figli. Non private le vostre lingue nobili dai suoni tamarri del dialetto, ma siate tamarri dialettando i suoni nobili delle lingue. Non dite a nessuno, mai, che il sud non esiste, ma ricordate a chiunque che voi esistete al Sud”. (gsc)