di PINO NANO – È passato un anno, quasi, dal giorno della sua scomparsa. Era il 18 agosto, ed era di pomeriggio, quando si sono svolti nella chiesa di Santa Teresa a Cosenza i funerali del giornalista Emanuele Giacoia, per lunghi anni capo della redazione giornalistica della Rai in Calabria, e per lunghi anni anche direttore del Quotidiano del Sud.
Se io fossi oggi alla guida del Coordinamento Sedi della Rai proporrei alla direzione generale di Viale Mazzini di fare intitolare il grande cortile alberato del nuovo palazzo Rai di Viale Marconi a lui, al giornalista Emanuele Giacoia, perché era quella la sua vera casa. Quella è stata la sua casa per quasi 40 anni consecutivi, e in quella casa sono nati i suoi gioielli migliori, che non sono i suoi figli, Riccardo Sergio Valerio Arianna e Antonella, ma tutti noi altri che allora, ancora ragazzi, pendevamo dalla sue labbra e percorrevano questa regione in lungo e in largo come lui ci aveva chiesto di fare.
Se ne è andato un anno fa Emanuele, all’età di 93 anni, li aveva compiuti il 4 marzo 2022, stremato ormai da una malattia che lo aveva costretto ad una lunga degenza in ospedale. Se ne è andato stringendo la mano a Riccardo, con attorno gli altri suoi figli Valerio, Sergio Antonella e Arianna e ai suoi funerali quel giorno c’erano anche i suoi tanti nipoti, una squadra di ragazzi che aveva avuto in tutti questi anni la fortuna di goderselo come nonno amorevole e sempre pronto a correre da loro.
Quando è morto, Emanuele aveva lasciato la Rai da ormai 25 anni, ma la gente per strada continuava a chiedere di lui. Cordoglio, cordoglio, e ancora cordoglio in tutta la regione per la sua morte.
La storia di Emanuele Giacoia è in fondo la storia del giornalismo calabrese, soprattutto del giornalismo radiotelevisivo, grande cronista sportivo ma anche scrupolosissimo direttore del TG regionale, un “testimone del nostro tempo”.
Non a caso forse, a ricordarlo sarà giovedì sera 29 giugno a Villa Rendano Franz Caruso, il sindaco della città di Cosenza, la città che al suo arrivo da Napoli lo aveva accolto e coccolato e che poi diventerà nei fatti la vera città di adozione del grande cronista.
Testimonial della serata del ricordo saranno Francesco Repice, cronista Rai di lunga esperienza e di grande impatto mediatico, forse il più bravo cronista radiofonico di questi ultimi 20 anni di storia della radio. E con lui Patrizia Giancotti, antropologa autrice e conduttrice di RAIRadio3. Ma ci saranno con collegamenti video anche vecchi amici cari del giornalista scomparso, Vincenzo Mollica, Bruno Vespa, Bruno Pizzul, Sergio Cammariere, Massimo Palanca. A moderare l’incontro sarà invece uno dei vecchi “ragazzi” di Emanuele Giacoia, il giornalista Mario Tursi Prato, arrivato in segreteria di redazione quando aveva 20 anni e cresciuto all’ombra di quello che poi diventò il suo e “nostro” Caporedattore. Tra un intervento e l’altro, in programma anche la performance di una grande musicista calabrese, quale è Rosa Martirano.
Emanuele era stato il mio capo, il mio amico più caro, il mio “principe”. Ho imparato da lui quello che nessun altro avrebbe mai potuto insegnarmi.
Aveva una grande dote, era la modestia con cui viveva la sua vita quotidiana e questo suo modo sarcastico ironico e gioioso di prendere la vita. Ma forse, la dote più grande e impareggiabile che aveva era la capacità di ascoltarti, dall’inizio fino alla fine, senza mai distrarsi un attimo, lui che apparentemente sembrava un marziano prestato alla professione giornalistica, eternamente sognante, quasi un filosofo dell’ottimismo e della serenità, e che trovava sempre il modo e il tempo per farti sentire al centro del mondo.
Ricordo che entrava in redazione alle otto del mattino e alle nove della sera era ancora lì alla sua scrivania, al terzo piano di Via Montesanto, intento alle sue mille telefonate. Ho trascorso con lui anni nella sua stessa stanza, lui aveva la scrivania accanto a quella di Elio Fata, e io di fronte alla sua, e lui che non faceva altro che parlare con tutto il mondo, di calcio e della sua squadra più amata che era il “Catanzaro Calcio” di Ceravolo, Palanca, Ranieri, Silipo.
La cosa che mi emozionava era sentirlo alla radio, in collegamento dalla Spagna per i mondiali di calcio di quell’anno, una classe, una perfezione, un rigore e una chiarezza che era tipica di un grande maestro del giornalismo parlato.
In redazione era un capo meraviglioso, mai uno screzio, mai un conflitto, conosceva l’arte della mediazione come nessun altro, e quando doveva dire di no non conosceva remore. Preciso, informatissimo, sempre perfettamente al suo posto. Impeccabile, garbato, soprattutto curioso come ogni cronista di razza dovrebbe esserlo.
Conosceva la Calabria come le sue tasche. L’aveva vissuta e attraversata da cima a fondo quando per andare da Cosenza a Reggio Calabria servivano almeno 5 ore di viaggio in macchina, quando la Calabria era davvero l’ultimo fanalino di coda del mondo. «Eppure, lui in televisione o alla radio riusciva a raccontare questa terra meglio di tutti noi – mi raccontava quel leone della carta stampata che era Franco Martelli – una terra che alla fine era diventata anche la sua, con una dolcezza e un senso di umanità davvero impareggiabili».
Caro Emanuele, lavorare con te è stato molto bello, ma questo te lo riconoscono tutti i nostri vecchi compagni di gioco e di lavoro. Dico “compagni di gioco” perché, quando tu eri a lavoro sembrava si giocasse tutti insieme al più bel gioco del mondo.
Risentivo l’altro ieri in televisione l’ultimo saluto che Alberto Angela aveva dedicato a suo padre, e vorrei dirti che, come Piero Angela aveva fatto con il figlio, anche tu alla fine ci avevi abituato a crederti immortale. Ma mentre Piero Angela aveva spiegato al figlio Alberto che il mistero della morte in realtà è la cosa più scontata e più naturale della vita, tu invece continuavi a tenerci per la corda dandoci sempre appuntamento al tuo prossimo compleanno.
Ricordo l’ultima torta che Riccardo ti aveva fatto preparare per i tuoi 90 anni aveva questa scritta “Arrivederci ai prossimi dieci”. E tutti noi eravamo convinti che tu avessi suggellato con la morte un patto segreto, e invece te ne sei andato via in silenzio in piena estate, senza dare fastidio a nessuno, per come avevi vissuto tutto il resto della tua vita.
Il dolore degli ultimi, la solitudine della gente comune, gli ammalati abbandonati in ospedale, i senza tetto e i senza nome, i relitti della società, i paesi e i quartieri più poveri, i diseredati: solo a quello Emanuele sapeva pensare al mattino quando doveva mettere in piedi la scaletta del suo telegiornale.
E così ha fatto quando dopo la Rai è andato a dirigere Il Quotidiano del Sud. Anche lì la stessa classe, lo stesso stile, lo stesso rigore, e soprattutto il rispetto assoluto per la società
Una cosa da dirti ce l’ho ancora: il 18 agosto di un anno fa non sono venuto ai tuoi funerali, ma non perché io fossi quel giorno a migliaia di chilometri lontano da lì. Ma mi piaceva ricordarti come ti ho sempre conosciuto e vissuto, con questa tuo sorriso ironico e questa tua aria bamboleggiante, da perfetto compagno di strada e di vita, geniale e visionario, poeta e filosofo: Venendo da te quel giorno avrei trovato solo una semplice bara di legno, senz’anima, senza storia, senza nessun legame con le poesie che invece amavi scrivere. Non potevo accettarlo. Tu avevi un’anima che credo non morirà mai, almeno per me, e voglio portarti dentro di me sorridente e sereno come lo sei in questa foto che Santo Strati ha scelto per questo giorno del ricordo, accanto a tuo figlio Riccardo nello stesso studio televisivo che hai visto nascere, e che insieme a Franco Martelli e a Enzo Arcuri hai tenuto a battesimo. (pn)