di ERCOLE INCALZA – Ricordo spesso la delusione di Pasquale Saraceno, consigliere di Amministrazione della Cassa del Mezzogiorno, fondatore dello Svimez e grande meridionalista, quando nel 1973, dopo praticamente 23 anni di attività della Cassa del Mezzogiorno, precisò che, purtroppo, non era cambiato praticamente nulla e ricordò gli indicatori che erano rimasti quasi identici a quelli del 1950 e cioè: Il reddito pro capite; Il tasso di occupazione; Il costo del denaro e l’accesso al prestito.
Ma, sempre Saraceno, ricordò che il Mezzogiorno possedeva tutte le condizioni per “cambiare paradigma”; si usò proprio la frase “cambiare paradigma” e portò come riferimento, in difesa di questo suo “ottimismo della ragione”, alcuni punti chiave come: La portualità campana ed il suo retroporto ricco di attività commerciali; La elevata produzione agricola della Regione Calabria e la rilevante potenzialità industriale di Gioia Tauro (allora si pensava di realizzare un secondo centro siderurgico); La elevata capacità produttiva della Regione Sicilia e degli hub portuali di Catania e di Palermo; L’avvio dei lavori di costruzione del porto canale di Cagliari, determinante piastra logistica all’interno del bacino del Mediterraneo; La rilevanza strategica del porto di Taranto e del nuovo centro siderurgico; La grande produzione agro alimentare presente nelle Regioni Basilicata, Molise ed Abruzzo.
Sono passati più di cinquanta anni, sì sono passati un numero enorme di anni, però oggi finalmente stiamo misurando davvero un cambiamento di paradigma sostanziale. Tre anni fa, al primo Festival Euromediterraneo svoltosi a Napoli, nelle conclusioni dei lavori fu prodotta la “Carta di Napoli” in cui venne chiaramente denunciato il cambiamento della narrazione del Mezzogiorno ed emersero subito le conferme ed i dati che confermavano un simile cambiamento, emersero i dati che davano ragione alle previsioni di Saraceno e cioè: Il Mezzogiorno stava diventando un riferimento determinante della ricerca, stava diventando un polmone di eccellenze tutte comparabili con analoghe realtà a scala comunitaria ed internazionale; Il Mezzogiorno, anno dopo anno, si confermava come elemento determinante del sistema agro alimentare, un sistema che incideva per oltre il 25% nella formazione del Pil nazionale e che in tale percentuale il Sud era presente con oltre il 50%; Gli Hub portuali ed in modo particolare Gioia Tauro diventava sempre più il porto transhipment più strategico dell’intero Mediterraneo; La Regione Campania aveva al suo interno un Hub logistico, formato dai porti di Napoli e di Salerno e dagli interporti di Nola, Marcianise e di Battipaglia, che lo rendevano, in termini di movimentazione, paragonabile ai grandi Hub comunitari; Crescevano sempre più, proprio nelle attività commerciali e produttive, le Regioni Basilicata, Puglia, Molise ed Abruzzo; Il Mezzogiorno diventava in modo inequivocabile un teatro di crescita del turismo, una crescita testimoniata dalla vera esplosione della domanda passeggeri negli aeroporti del Sud: oltre 50 milioni di passeggeri (un aumento del 30% in soli dieci anni).
Ebbene, questo cambio di paradigma si è ulteriormente consolidato sicuramente grazie anche alla istituzione della Zona Economica Speciale Unica e si potrà ulteriormente rafforzare se le 8 Regioni del Sud cercheranno, in modo sinergico, di: Utilizzare in modo organico ed in tempi certi le risorse già assegnate e disponibili dal Pnrr; Utilizzare le risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027. Più Istituti di ricerca hanno in più occasioni anticipato che se a questo cambiamento di paradigma facesse seguito anche una misurabile capacità della spesa allora la incidenza del Mezzogiorno nella formazione del Pil del Paese passerebbe dall’attuale soglia del 22% ad oltre il 30 – 32% ed una simile percentuale non rappresenterebbe un dato sporadico di una felice annualità ma diventerebbe un riferimento stabile. (ei)