Mimì Lucano a Più Libri Roma: «Calabria terra di libertà, terra d’amore»

IL NOSTRO VIDEO DELL’INTERVENTO DI MIMÍ LUCANO A PIÚ LIBRI PIÚ LIBERI*

6 dicembre 2018 – Un fiume in piena, ma nessun livore, tanta amarezza, ma tanta determinazione: il sindaco sospeso di Riace Mimì Lucano, ospite di Republica alla fiera romana di Più Libri Più Liberi, ha raccontato la sua vicenda, con mille sfaccettature, mettendo in evidenza i paradossi e le assurdità del suo caso. In una sala gremitissima ed entusiasta, Lucano ha lasciato poco spazio a chi lo ospitava, i giornalisti Francesco Merlo di Repubblica affiancato da Alessia Candito (Repubblica/Corriere della Calabria), perché erano tante le cose che voleva dire. In libertà e senza condizionamenti, sottolineando la sua singolare condizione di “sconfinato”: libero di andare ovunque, ma non di stare nel suo paese, Riace, che molti vorrebbero candidare al prossimo Nobel per la pace. Mimì Lucano raccoglie continui applausi, il pubblico fa la fila solo per stringergli la mano e dire un semplice grazie, di cuore. Parla di getto, con il candore tipico di chi non ha niente da nascondere o, peggio, da farsi perdonare. Irruento, ma sincero, autentico e talmente naïf, politicamente parlando, che si capisce perchè i politici non lo amino, ma la gente sì. È però, un “isolato”: raccoglie il consenso, l’entusiasmo di chi lo ammira (quando era ai domiciliari quasi diecimila persone in corteo andarono a Riace), è un modello di ispirazione per Wim Wenders ma è abbandonato dall’intellighentia nostrana: dove sono gli intellettuali che si strappano le vesti per tante banalità di poco conto, ma – fatte poche eccezioni – non fanno muro a difesa di un uomo che con la sua – autentica – modestia e la sua determinazione fa capire cosa significa essere “uomo” in un mondo che sta perdendo ogni umanità.

Merlo – che conosce molto bene Lucano, dopo tante interviste e incontri – lo ha introdotto suggerendo le analogie con il caso del sociologo siciliano Danilo Dolci che sul finire degli anni 50, a Partinico, vicino a Palermo, subì un processo e la successiva condanna per le sue campagne di libertà. Appena una domanda e Lucano non si è fermato più: ha raccontato della sua esperienza, della sua Riace, del modello di integrazione che ancora tanti stentano a riconoscere, nonostante la concretezza dei risultati raggiunti. Il modello di integrazione suggerito da Lucano, in realtà, è molto semplice: utilizzare le case abbandonate, trasformare gli scantinati in botteghe artigiane, valorizzare le passate esperienze o competenze dei migranti. A Riace c’era il vasaio di Kabul, la ricamatrice nigeriana, la creatrice di aquiloni afghana. Cioè, ricreare condizioni di vita – e di libertà – offrendo opportunità che sono diventate felici ricadute per la comunità. Fino a che il decreto sicurezza e i mancati versamenti per i centri di accoglienza non hanno messo fine a un’esperienza che andava, invece, imitata e mutuata anche altrove. Anche a San Ferdinando di Rosarno – ha sottolineato Alessia Candito – dove la baraccopoli abusiva è sotto gli occhi di tutti e produce solo violenza e morte (ultima vittima il ragazzo diciottenne arso vivo qualche giorno fa).

Già, San Ferdinando di Rosarno: come può un Paese civile tollerare quest’infamia di un’umanità che ha perso ogni valore? È sotto gli occhi di tutti, occorre ridare dignità a giovani, donne, uomini che si spaccano le mani a raccogliere arance e vivono un’infelice esistenza di disperazione e desolazione. Così come, quanto è avvenuto a Isola Capo Rizzuto, con i migranti sbattuti per strada .- inclusa la ragazza incinta e la sua bambina di sei mesi – che dovrebbe non soltanto indignare, ma farci vergognare tutti di vivere in questo Paese, in questa Calabria, bellissima e maledetta ma che – ha ricordato Mimì – è «terra di libertà, terra d’amore».  (s)

*Ci scusiamo per la qualità del nostro video, girato con difficoltà in condizioni di luce impossibili, ma l’audio si sente bene. Segnaliamo anche il video di Repubblica.it:

IL VIDEO DI REPUBBLICA.IT

Mimì Lucano alla Nuvola dialoga con Francesco Merlo

5 dicembre 2018 – Atteso appuntamento questo pomeriggio alle 17.30 a Più Libri Più Liberi, a Roma, con il sindaco sospeso di Riace, Domenico Lucano che racconterà la sua storia ai giornalisti Francesco Merlo e Alessia Candito di Repubblica.

Il sindaco Lucano – simbolo dell’accoglienza – sarà ospite dello Stand di Robinson (il settimanale culturale di Repubblica) alla Nuvola. Il tema della conversazione sarà La congiura dell’accoglienza. L’incontro si svolge nella sala Nuvola. (rrm)

Patamia riconfermato direttore regionale Mibac

3 novembre 2018 – Una conferma che premia la professionalità, l’impegno e la grande dedizione nella cura dei beni artistici e culturali della nostra regione: al dott. Salvatore Patamia è stato rinnovato l’incarico di direttore del Segretariato regionale per la Calabria del Mibac. «Il rinnovo – ha dichiarato l’assessore alla Valorizzazione del Patrimonio culturale del Comune di Reggio Irene Calabrò – assicura alle Istituzioni calabresi una continuità di programmazione nell’ambito delle attività culturali. L’incarico dirigenziale, conferito con D.M. del 22 ottobre 2018, consentirà al Comune di Reggio Calabria di proseguire un percorso di interlocuzione e fattiva collaborazione con una risorsa umana ed un professionista dedito alla promozione di iniziative di salvaguardia e tutela dei beni culturali»
L’assessore Calabrò, nel formulare al Direttore i migliori auguri per il rinnovato riconoscimento auspica «che il Ministero valuti con altrettanta attenzione l’attuale vacatio relativa alla figura del Soprintendente per la Città Metropolitana di Reggio Calabria e provincia di Vibo che il dott. Salvatore Patamia ha anche ricoperto ad interim nel recente passato. Certi dell’attenzione dimostrata alle esigenze culturali del territorio, rinnoviamo al Direttore pieno sostegno e collaborazione per la prosecuzione dei suoi obiettivi lavorativi». (rrc)

Al Maestro orafo Gerardo Sacco il Premio Mirabilia

29 ottobre – Prestigioso riconoscimento al Maestro orafo Gerardo Sacco, a cui è stato consegnato il Premio Mirabilia ARTinArt – Artigianato in Arte 2018.
Il Premio fa parte degli eventi della Borsa Internazionale del Turismo Culturale di “Mirabilia”, la rete di 17 siti Unesco o candidati Unesco aggregata dalle locali Camere di Commercio e da Unioncamere, che si è concluso il 27 ottobre a Pavia.
Obiettivo della manifestazione – il cui tema era Viaggio attraverso le città dell’Arte – è quella di intercettare i flussi turistici con alto potere d’acquisto, mettendo in contatto 250 operatori e 90 buyers esteri del settore turismo e food & drink.
Il concorso, a carattere nazionale, doveva essere espresso attraverso le opere realizzate con tecniche e materiali scelti dagli artigiani selezionati come testimonial dell’eccellenza “culturale, artistica e artigianale Made in Italy”.
Il Maestro Gerardo Sacco, per il concorso, ha realizzato un vassoio d’argento, sbalzato e cesellato a mano con riproduzione dell’antico mosaico della pavimentazione di un edificio termale dell’area archeologica di Capocolonna – Crotone, che gli ha fatto conquistare il Primo Premio.


A ritirare il Premio è stata Paola Isabella, segretario generale della Camera di Commercio di Crotone, che ha ricordato come le opere e la sua arte siano conosciute in tutto il mondo.

A Gerardo Sacco il Primo Premio Nazionale "Mirabilia ARTinART", tra tutte le eccelelnze culturali, artistiche e artigianali Made in Italy. Il maestro stupisce tutti alla Borsa Internazionale del Turismo Culturale di “Mirabilia” con il vassoio in argento che raffigura il mosaico di Capocolonna.

Pubblicato da GERARDO SACCO su Sabato 27 ottobre 2018

Per tutta la durata degli eventi, l’opera realizzata dal Maestro orafo è rimasta in mostra, raccogliendo apprezzamenti da parte dei visitatori. Al termine di questi, l’opera sarà esposta spesso la Camera di Commercio di Crotone. (rkr)

Due calabresi per Sanremo: Gianni Testa e Maurizio Caridi selezionano i giovani

25 ottobre 2018 – Da oggi a domenica la seconda e ultima tornata di semifinali per il prossimo Festival di Sanremo con il calabrese Gianni Testa chiamato a far parte della commissione di valutazione. La prima tornata eliminatoria si è tenuta dal 19 al 21 ottobre, mentre dall’8 al 10 novembre al Teatro dell’Opera del Casinò Municipale di Sanremo è in programma la finale, durante la quale sarà selezionata la rosa dei 24 vincitori da sottoporre alla commissione RAI, che sceglierà chi entrerà nel cast di Sanremo Giovani.
Area Sanremo TIM 2018 è il concorso musicale promosso dal Comune di Sanremo e dalla Fondazione Orchestra Sinfonica di Sanremo. In questa edizione tante e sostanziali sono state le novità, le più salienti sono: l’iscrizione gratuita, fortemente voluta dall’Amministrazione Comunale di Sanremo, e l’obbligo di presentazione di un inedito. Grande quindi l’attesa per i tantissimi talenti in corsa che sognano di calcare il prestigiosissimo palco del Festival della Canzone Italiana, a cui anche quest’anno si lega il nome di Gianni Testa.
Dopo il grande successo del talent show televisivo The Coach, il produttore e vocal coach calabrese farà infatti parte della commissione di valutazione per le semifinali e le finali. «Edizione Boom! Difficilissima la scelta. Livello elevato con picchi di grande statura artistica». Sintetizza così il suo entusiasmo Testa sul livello artistico della rosa dei partecipanti. Con lui siederanno nella commissione, presieduta da Antonio Vandoni, Direttore Artistico musicale di Radio Italia, anche Enzo Campagnoli, Direttore d’orchestra, e Monia Russo, cantante, mentre gli altri componenti, per preservarne la neutralità, saranno annunciati in prossimità delle finali.

Da sinistra: Massimo Cotto, Gianni Testa, Antonio Vandoni, Enzo Campagnoli e Maurizio Caridi.

E ad Area Sanremo Tim si respira aria di Calabria anche per la presenza del calabrese Maurizio Caridi (di origini reggine), presidente della Fondazione Orchestra Sinfonica di Sanremo.
«È un’edizione  – ha detto Caridi – nuova in ogni sua sfumatura. Abbiamo dovuto investire molto sui corsi formativi riservati e pensati per i partecipanti al concorso. I feedback del passato ci confermavano che gli incontri con un Big della canzone, pur essendo entusiasmanti, non portavano ad un accrescimento artistico-esperienziale. Per questo abbiamo voluto favorire i corsi sulle tecniche di canto, di scrittura e sull’ispirazione per dare a tutti la possibilità di crescere e non solo di partecipare. Abbiamo avuto il coraggio di cambiare, saranno i ragazzi a giudicare».
I ragazzi che stanno partecipando alle fasi finali di Area Sanremo – la cui direzione artistica è firmata Massimo Cotto – sono coloro che hanno superato le selezioni di Area Sanremo tour, organizzato dalla Anteros Produzioni del presidente Nazzareno Nazziconi. Il tour, al quale si sono iscritti bene 2322 ragazzi, ha contato 123 tappe e 7 finali regionali e interregionali (svolte in Piemonte-Liguria-Valle d’Aosta, Emilia Romagna, Marche-Abruzzo, Puglia, Calabria e Sicilia). Il traguardo delle audizioni nella città ligure è stato raggiunto da più di 1000 giovani artisti (compresi gruppi e band) che in due week-end presenteranno 860 inediti.
Media partner della manifestazione, come nelle scorse edizioni, sarà Radio Italia che, con collegamenti in diretta e differita durante lo svolgimento dei corsi ed interviste ai protagonisti, è la radio ufficiale di Area Sanremo. (rs)

Il crotonese Franco Eco firma la colonna sonora del film “Pozyvnyi “Banderas”

23 ottobre – È un crotonese a firmare la colonna sonora del film sulla guerra in Ucraina “Pozyvnyi Banderas”.
Il suo nome è Franco Eco, classe 1984, compositore, direttore artistico, regista teatrale e produttore discografico.
Ha composto musiche e film documentari pubblicando per Warner Chappell Music Italiana, Sony Music e Ala Bianca, collaborando con i produttori cinematografici come Luciano Martino, Agostino Saccà, Pietro Innocenzi, e Franco Scaglia.
Dal 2015, è il direttore artistico della rassegna musicale crotonese “Festival dell’Aurora”, mentre dal 2017 è consigliere “attacchè culturel” nel corpo diplomatico dell’Ambasciata del Benin, curando i rapporti culturali tra il Governo Benin, lo Stato Italiano e la Comunità Europea.
Il film, la cui colonna sonora porta la sua firma, si basa su avvenimenti accaduti nel 2014, durante l’attuale guerra del “Donbass” conflitto civile che vede schierata l’Ucraina contro la Repubblica Popolare di Doneck, che è appoggiata dalla Russia.
Dall’inizio del conflitto, secondo le stime ufficiali, sono morte circa 8.000 persone.
Solo con l’attentato del 17 ottobre, avvenuto in Crimea nell’Istituto Tecnico di Kerch, l’opinione pubblica e i quotidiani hanno ricominciato a dare attenzione a un conflitto quasi dimenticato.
«Ho sempre difficoltà nel rapportarmi con una storia vera – ha dichiarato il compositore Franco Eco – sopratutto quando parliamo di un conflitto così complesso e delicato come la guerra del Donbass, in cui pochissimi di noi hanno effettivamente gli strumenti per saperlo leggere ed interpretare».
«Il cinema – ha proseguito Eco – è il luogo della finzione per eccellenza: qualsiasi particolare è curato, studiato e pensato in virtù della finzione e dell’intrattenimento. Ma, spesso, il cinema è anche il luogo che restituisce una crudele verità, ed è proprio quella crudeltà che ho cercato di indagare con la musica. È stato un lavoro molto complesso e, a lungo, abbiamo dibattuto con il regista Zaza Buadze su quale strada musicale percorrere».

La locandina del film

«Alla fine, pur essendo un film d’azione, – ha concluso il compositore – la colonna sonora risente della psicologia del protagonista il quale combatte un doppio conflitto; interno ed esterno. Ebbene, se cinematograficamente il film restituisce azioni spettacolari con inseguimenti, combattimenti corpo a corpo ed esplosioni, musicalmente siamo su un piano totalmente diverso; la musica infatti si muove tra le emozioni interne dei personaggi del film in relazione al protagonista; in contrapposizione alla guerra troviamo spesso un pianoforte, una voce angelica, o un adagio di un’orchestra sinfonica. Nel film la musica è quasi come un lento fluire di emozioni musicali, più probabilmente il mio modo personale per dire in musica quello che penso sulla guerra, così abbiamo voluto mettere al centro i drammi umani che da essa derivano».
Il film, in Ucraina, è uscito l’11 ottobre. «Uno dei film più belli per cui abbia lavorato – ha commentato Franco Eco -. La musica è delicata, entra nel film piano, piano, in punta di piedi; non è aggressiva come la guerra, ma è dolce… una dolcezza che, al nostro mondo, serve tanto». (rkr)

Il promoter Ruggero Pegna cittadino onorario di Oppido Mamertina (RC)

17 ottobre – Il promoter e scrittore lametino Ruggero Pegna, cui si devono i più importanti eventi musicali in Calabria, è diventato cittadino onorario di Oppido Mamertina. Lo ha deciso l’Amministrazione comunale di Oppido, con deliberazione del Consiglio su proposta del sindaco dottor Domenico Giannetta. Stamattina la cerimonia. Dopo la lettura di un lungo elenco di dati biografici da parte del presidente del Consiglio comunale, Vincenzo Frisina, relativi alle varie attività del promoter, molte delle quali rivolte alla promozione della Calabria, dalla Cultura e di temi socio-umanitari, il Sindaco ha letto la motivazione impressa sulla pergamena del conferimento: “A Ruggero Pegna che, orgoglioso delle sue origini oppidesi, attraverso la sua poliedrica attività nel mondo dello spettacolo, della musica e della cultura, dà lustro alla nostra terra”.
Pegna, nella sua attività ultratrentennale di promoter e produttore, ha spaziato dalla produzione di grandi eventi, anche televisivi e internazionali come “la Sera dei Miracoli” per Rai1 al Porto di Gioia Tauro, “La Notte degli Angeli” dedicata a Natuzza Evolo per Rai International a Paravati, il “Tributo a Gianni Versace” con Elton John per Rai2 e Rai International a Reggio Calabria, l’ “Omaggio a Mia Martini” per Rai2 a Lamezia Terme, il “Ponte fra le stelle” per Rai1 a Cosenza, dedicato ai bambini vittime delle violenza, della criminalità e del terrorismo, a centinaia di altri eventi e spettacoli di ogni genere, molti dei quali inseriti nel suo festival storicizzato “Fatti di Musica”.
Durante la cerimonia sono state ricordate anche le numerose pubblicazioni che Pegna ha voluto donare alla Biblioteca di Oppido, dalle prime raccolte di poesia (“Aspettando la Luna” e “Le Gocce e il paradiso” – Calabria Letteraria di Rubbettino”), al volume di satira “La Pecora è pazza” (Calabria Letteraria), fino ai noti romanzi “Miracolo d’Amore” e “La Penna di Donney” pubblicati da Rubbettino e l’ultimo “Il cacciatore di meduse” , pubblicato da Falco, storia di un piccolo migrante somalo e dei suoi amici miseri e immigrati di tutto il mondo, dedicato alla lotta contro ogni forma di razzismo, per il rispetto di tutte le diversità, vincitore di numerosi riconoscimenti e inserito dalla World Social Agenda tra i 13 libri di sempre consigliati alle scuole sul tema “Migranti e Diritto al futuro”.
Dopo la consegna della pergamena, Pegna ha ricordato commosso le origini paterne, legate proprio a Tresilico di Oppido, sottolineando le straordinarie qualità di questa comunità, basate sul culto dell’accoglienza, sull’affetto e sulla grande devozione alla Madonna SS. delle Grazie, apparsa tra il 1835 e il 1837 all’oppidese Rosa Vorluni e venerata nello storico Santuario.

Ruggero Pegna e Gennaro Repole al Museo del Traforo di Oppido Mamertina

Il promoter ha anche sottolineato le bellezze paesaggistiche in cui è immersa Oppido e l’enorme patrimonio storico monumentale e culturale, meritevole di maggiore attenzione e valorizzazione, a cominciare dalla splendida Cattedrale, sede della Diocesi, a numerosi palazzi Signorili, dal Museo Diocesano, ricco di reperti eccezionali, fino alla maestosa Piazza Umberto, tra le più grandi e suggestive della Calabria.
Dopo il ricevimento della Cittadinanza, Pegna ha visitato il nuovo “Museo del Traforo”, situato a pochi metri dalla Cattedrale, insieme all’artista Gennaro Repole, anch’egli insignito della Cittadinanza Onoraria, che ha voluto donare le sue straordinarie e uniche opere apprezzate in tutto il mondo proprio alla Città di Oppido Mamertina. (rrc)

L’omaggio di Atene, capitale della cultura, al poeta Corrado Calabrò

17 ottobre 2018 = C’è ancora spazio, c’è ancora senso per la poesia, oggi? Il quesito è stato alla base dell’evento celebrativo in onore del poeta e giurista reggino Corrado Calabrò ieri ad Atene, promosso dal Comitato della capitale greca della Società Dante Alighieri. Una serata all’insegna della cultura, di cui Atene è capitale indiscussa, ma anche della poesia, nell’ambito della Settimana della lingua italiana nel mondo. Il prof. Calabrò, uno dei più insigni figli della Calabria che vale, ha risposto egregiamente alla domanda, con una conversazione che ha affascinato il numerosissimo pubblico presente all’Istituto Italiano di Cultura di Atene. La successiva recitazione di alcune liriche, in italiano da parte dello stesso poeta, e in greco, a cura della dottoressa Anthi Nikas, ha confermato l’emozione che i versi di Calabrò sono sempre in grado di suscitare a qualsiasi latitudine.


Corrado Calabrò, fine giurista, uomo delle istituzioni, figura eccelsa di magistrato, con l’orgoglio di una Calabria mai dimenticata e sempre presente nel cuore, ha un animo poetico inusuale per un contemporaneo: nello spirito del classico riesce a plasmare la parola-verso e rivestirla, di volta in volta, di mille significati, nel segno dell’amore e della passionalità, ma anche lungo percorsi evocativi straordinariamente attuali. Il mare, l’amore di donna, lo struggimento per la terra lontana, il senso di appartenenza che avvolge ogni lirica dedicata alla Calabria, sono stimoli di sentimento che non è facile scansare. Durante il suo intervento il prof. Calabrò ha saputo ripercorrere con gli occhi dell’uomo di oggi le tracce magno-greche delle comuni origini: Grecia e Italia hanno un legame indissolubile, puntualmente ribadito e rafforzato da iniziative culturali di interscambio come questa di Atene.
«Il bisogno della poesia – ha detto il prof. Calabrò – nasce dalla scontentezza della banalità dell’espressione, dell’inadeguatezza della comunicazione. In un’epoca contrassegnata dalla sovrabbondanza di parole, constatiamo l’insufficienza del linguaggio. La poesia è un interruttore, un commutatore di banda, che fa sì che appaia sul nostro schermo interiore qualcosa che avevamo sotto gli occhi e che guardavamo senza vedere».
Non poteva, ovviamente, il prof. Calabrò non citare i Bronzi di Riace. «Ho costeggiato  – ha detto – per anni a nuoto, da adolescente e nella prima giovinezza, estate dopo estate, le spiagge di Riace, in Calabria, senza sospettare minimamente che sotto pochi metri d’acqua – quell’acqua che portavo a me una bracciata dopo l’altra – ci fosse un’altra presenza, sdraiata su un letto di sabbia. Dopo averli cullati per millenni nel suo liquido oblio, il mare ci ha offerto – ha offerto a noi – i guerrieri di bronzo, alzatisi in piedi ai nostri giorni come se soltanto adesso, soltanto per noi, prendessero forma dall’inconscio dell’artista. Corpi perfetti, di contemporanei, ma con gli occhi di chi non ha più fretta. Di chi sono i guerrieri di Riace? Di Fidia, di Lisippo, di un Pitagora reggino, d’ignoto scultore? Come il mare, così l’arte, la poesia non sono nostre o di un altro. Una poesia, una composizione musicale, una statua, un quadro non appartengono all’autore più di quanto non appartengano al lettore, all’ascoltatore, al contemplatore che, entrando in sintonia, li faccia rivivere dentro di sé».


La serata è stata introdotta dalla nuova Direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Atene, Signora Anna Mondavio, quindi sono intervenuti l’Ambasciatore d’Italia in Grecia, Efisio Luigi Marras e il Presidente del Comitato greco della Dante Alighieri Giuseppe De Luca. Al termine della bella serata è stato consegnato un attestato di benemerenza, conferito direttamente dal Presidente della sede centrale della Società Dante Alighieri, on. Andrea Riccardi, all’Ambasciatore Marras e al professor Calabrò. (rrm)

L’ambasciatore d’Italia ad Atene Efisio Luigi Marras (a sx)
Il prof. Corrado Calabrò e Anthi Nikas che ha recitato in greco le sue liriche

 

 

 

Anna Mondavio, nuovo direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Atene

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il testo integrale dell’intervento del prof. Calabrò all’Istituto Italiano di Cultura di Atene:

C’è ancora spazio, c’è ancora senso per la poesia, oggi?

  1. Nella mia infanzia e nella mia prima adolescenza ho vissuto una doppia vita. D’inverno studio, orari da rispettare.
    L’estate, l’estate era un’altra cosa. Vivevo, nelle lunghe estati, in una casetta ai bordi della spiaggia a Bocale, a 15 chilometri da Reggio Calabria.
    Da giugno a ottobre vivevo in quella casetta, dalla soglia sempre insabbiata per le onde lunghe che in autunno giungevano a lambirla.
    Certi pomeriggi, seduto sulla spiaggia, stringendo le ginocchia tra le mani, seguivo con lo sguardo le navi che s’allontanavano piano piano nello Stretto verso oriente rimpicciolendo sempre più fino a venire ingoiate nella distesa liquida.
    Fu lì, fu allora che provai per la prima volta l’impulso a poetare.
    Quel mondo venne spazzato via quando avevo sedici anni.
    Nelle estati successive scoprii le grandi spiagge sabbiose e il mare caldo di Locri, di Gioiosa, di Riace, dove avevo dei parenti.
    Quel mare, quando ormai non ci andavo più, mi avrebbe riservato una sorpresa.
    Ma anche la Grecia ha lasciato un segno profondo nella mia poesia: in particolare “Il Vento di Myconos”, un poemetto di 480 versi, è dedicato alle isole Cicladi. E non è l’unica.
  1. Viviamo in un tempo in cui si parla tanto: al telefono, via sms, whatsapp, e-mail, in televisione. Telefonini, radio, televisione, computer hanno determinato un nuovo rapporto tra noi e il “mondo”.
    La TV ha abituato la gente a parlare fluentemente; e non è merito da poco. Ma con la TV e con la rete ci siamo abituati ad appagarci di una visione banale del nostro essere nel mondo. Per la quotidianità ciò è sufficiente. Ma al fondo del nostro animo si annida l’insoddisfazione. Noi sappiamo che l’apparenza superficiale non è tutto. Noi vediamo (con i nostri occhi e con tutti gli strumenti tecnologici di rilevazione) solo una minima parte della realtà e solo alcune delle molteplici dimensioni in cui essa è strutturata.
    Noi tocchiamo solidi e liquidi, vediamo colori, sentiamo suoni, odori, sapori: in realtà esistono soltanto vibrazioni, onde con diversa frequenza e lunghezza, particelle con funzioni d’onda. Viviamo, in certo senso, in un mondo soltanto simulato, metamorfizzato.
    I nostri sono tempi di pensiero debole, di destrutturazione della conoscenza.
    Oggi l’insicurezza, il senso di precarietà, ci fanno sentire in balia della casualità.
    È andato così smarrito il senso profondo dell’arte, della poesia; e con esso la capacità stessa di percepirlo. La poesia è stata relegata al mondo del divertimento intellettuale, del relax, del solletico, dell’intrattenimento, del desiderio di apparire originali, all’avanguardia, alla moda; e la moda cambia ogni stagione.
    Smarrita l’impressività, l’icasticità di Omero, dei lirici, degli epici e dei tragici greci, dei forgiatori della parola come Dante e Shakespeare, la poesia, l’arte vivono la vita effimera di una moda vorace che le consuma vorticosamente senza che ne resti traccia, come avviene dei giornali che appunto durano un giorno, o delle migliaia di notizie che scorrono ininterrottamente sul video dei nostri terminali.
    “Nelle scienze si cerca di dire in un modo che sia capito da tutti qualcosa che nessuno sapeva. Nella poesia è esattamente l’opposto” osservava sarcasticamente Paul Dirac.
    Ma non è così; la poesia non è mistificazione. La poesia cerca di dire in modo indiretto, allusivo, ma non finto, quello che attinge all’inesplicabile voce dell’inconscio, per aiutarci così a disvelare la suggestione dell’essere, dell’altro noi stessi che è in noi.
    Il bisogno della poesia nasce dalla scontentezza della banalità dell’espressione, dell’inadeguatezza della comunicazione. In un’epoca contrassegnata dalla sovrabbondanza di parole, constatiamo l’insufficienza del linguaggio.
    Per Blanchot “scrivere è portare in superficie il senso assente” e Emily Dickinson affermava che “il poeta è colui che distilla un senso sorprendente da ordinari significati”. Il senso si promette alla poesia come la presenza rimandata di un’assenza.
    La poesia è un interruttore, un commutatore di banda, che fa sì che appaia sul nostro schermo interiore qualcosa che avevamo sotto gli occhi e che guardavamo senza vedere. Come quando sul teleschermo grigio ballonzola un pullulare di puntini; premendo il tasto giusto, il televisore si sintonizza e un’immagine appare. Un trasalimento dell’anima che sposta un po’ più in là il nostro orizzonte mentale, o così ci piace credere.
  1. Funzione della poesia è rivelarci –foss’anche nella cosa più insignificante- un aspetto non percepito. Ci rivela di più Neruda con la sua poesia sulla cipolla che molte dissertazioni sociopolitiche, e anche religiose.
    La poesia asporta la cateratta dell’abitudinarietà: un intervento oculistico di chirurgia estetica che ci apre gli occhi.
    Non sono solo la realtà nascosta dell’universo e il substrato fine della realtà in cui siamo immersi, che ci sfuggono. Ci sfuggono i fondamenti stessi della nostra esistenza.
    Notava Rainer Maria Rilke nella sua Lettera a una giovane signora: “Com’è possibile vivere, se non possiamo affatto penetrare gli elementi di questa vita? Io non sono riuscito a esprimere tutto il mio stupore che gli uomini da millenni abbiano consuetudine con l’amore, con la vita, con la morte e stiano ancor oggi così sprovveduti di fronte a questi primi, unici compiti”.
    Ecco, il poeta si porta dentro questo stupore.
    Forse la vita è solo una “piroetta nel vuoto” (Cioran), ma più la realtà ci sfugge, più sentiamo il bisogno di preservare l’unicità del nostro vissuto, la suggestione di un’alba sul mare, l’emozione del primo amore, il dolore per la morte del nostro cane, il rimorso per un abbandono.
    C’è poi la vita non vissuta che si protende e si sovrappone a quella (che crediamo) vissuta.
    Tuttavia in poesia non c’è possibilità di rappresentazione diretta.
    Niels Bohr osservava che “quando si pensa ad un’emozione, questa scompare”. L’emozione, quindi, è il punto di partenza, non d’arrivo. Un punto di partenza, per di più, che bisogna dimenticare nella memoria volontaria perché riaffiori, metastatizzato, nella memoria involontaria; quella che ci riporta il senso ritrovato del tempo perduto, con la madelaine di Proust.
    La poesia è un dono, un talento innato, un’attitudine, ma per dare frutti ha bisogno di sapiente coltivazione. Poi, però, il poeta deve chiudere gli occhi per “vedersi” dentro senza guardarsi.
    La poesia trascorre come un’ala; per catturarla al volo occorre una tecnica raffinata.  Forma e contenuto sono un tutt’uno. Non si può cogliere il senso di una visione poetica separato dal suo modo d’esprimersi, di significarsi, come non si può cogliere una palla al volo in un attimo diverso da quello del suo impatto e se non con quell’atteggiamento dinamico di tutto il corpo, con quella giusta torsione del piede (quella e quella sola) che indirizzi la palla in modo appropriato, tale da cambiare la situazione in campo. Non c’è tempo per pensare in quel momento: bisogna fare in un attimo la cosa giusta.
    Il poeta deve allenarsi, fare laboratorio e ricerca, deve esercitarsi, così come il calciatore si allena, fa preparazione fisica, palleggia, in attesa di giocare la sua partita.E tuttavia dopo tanto allenamento, dopo la più applicata preparazione, può darsi poi che, nella partita, nel momento della verità, il calciatore dotato di grande tecnica, di colpo d’occhio, in perfetta forma fisica,  non faccia un tiro in porta o un assist degni di questo nome.
    Il lungo lavoro di sperimentazione, di esercizio, serve semplicemente per essere pronti in quell’attimo, in quella fase che è stata definita d’avantesto, cioè la fase di gestazione del testo, in cui ci troviamo in uno stato d’attesa, d’incubazione di qualcosa che preme oscuramente a livello subliminale; preme per prendere forma. Accade quando accade, se accade.
    Parafrasando Jules Renard, possiamo dire che nella casa della poesia la stanza più grande è la camera d’attesa.
  2. Una poesia senza messaggio è fatua, derisoria e al tempo stesso pretenziosa fino alla megalomania, come l’imperatore della fiaba di Andersen che se ne andava in corteo in mutande a farsi riverire e ammirare dai suoi sudditi, convinto di essere rivestito sontuosamente di un abito visibile solo dagli intelligenti.
    Attenzione, però! La poesia non tollera un messaggio voluto. La comunicazione poetica è intuitiva, non discorsiva, non concettuale.
    È come un dribbling, un colpo di tacco, un’azione fulminante, una rovesciata che il calciatore non sapeva di avere nel proprio repertorio e che credeva non potessero più arrivare e che, pure, hanno portato al goal.
  1. L’amore è forse la principale porta della poesia.
    L’amore rompe la scorza del nostro ego, ci spinge a uscire dall’incomunicabilità e, al tempo stesso, nel momento cioè in cui avvertiamo un’immagine nuova di bellezza – un’immagine che vediamo noi soli-, ci spinge ad usare un’espressione inedita, tutta nostra, forse indicibile, per esprimerla. Ci spinge, quindi, alla creatività. E’ talmente forte la spinta dell’amore che, dopo aver cercato di fare di noi carne e anima dell’altro-da-sé e dell’altro carne e anima nostra, ci induce all’oltre da entrambi noi stessi.
    Cosa ci spinge ad innamorarci?
    Se la nostra individualità ci bastasse non ci innamoreremmo.
    Se la vita ci bastasse non si farebbe poesia (possiamo dire, arieggiando Pessoa).
    In amore, come in poesia, a spingerci è il bisogno della parte mancante al senso-non senso della nostra vita.
    È il mistero dell’altro-da-sé col quale vogliamo immedesimarci.
    Ma come viene a visitarci la poesia?
    «Il primo verso è sempre un dono degli dèi» testimonia Paul Valéry, che pure era un raziocinante, non certo un romantico.
    Accade come in amore. Quanti ragazzi hanno guardato quella ragazza senza vedere in lei nulla di più delle altre? Poi un ragazzo s’innamora e vede in lei una bellezza che nessun altro ha visto.
    La poesia, l’arte fanno lo stesso. Ci rivelano una bellezza che era sotto pelle e che avevamo guardato senza vedere: per trasparire abbisognava dell’asportazione della cateratta dell’abitudinarietà: un intervento oculistico di chirurgia estetica che ci apre gli occhi. È come il fiammifero di Prévert. Ricordate quella poesia di Prévert, Tre fiammiferi accesi nella notte? Un innamorato, al buio su un ponte sulla Senna, accende tre fiammiferi: uno per vedere gli occhi, uno per vedere la bocca, un terzo per vedere il volto tutto intero della sua ragazza.
    In quel momento in cui si accende, in cui scatta il flash, siamo tutti poeti, dentro di noi. Ma è poeta solo chi riesce a far intravedere agli altri quel flash di bellezza che l’ha abbagliato.
  2. Ma come comunica la poesia? È qui il punto.
    È dal non detto che scaturisce l’evocazione.
    Eran las cinco en punto de le tarde”. Erano le cinque in punto della sera. Erano le cinque a tutti gli orologi. Ventisette volte Garcia Lorca ripete “A las cinco de la tarde”, alle cinque della sera nel suo Llanto por Ignacio Sánchez.
    Non lo fa certo per dirci l’ora.  Niente, come quella ripetizione, quell’insistenza sull’ora segnata dalle lancette dell’orologio in quel momento ci fa sentire come la vita (una giovane vita) possa essere stroncata in un istante: le lancette dell’orologio, per Ignacio, si sono fermate e, per lui, l’esistenza del mondo (non solo sua) è venuta meno per sempre quando Atropo ha tagliato il filo.
    La necessità della modulazione del verso: è questa un’altra cosa che i classici ci hanno insegnato.
    La metrica sta al verso come il battito cardiaco sta al respiro: dà alla poesia la misura della nostra attenzione.
    Cosa ci rivela la poesia?
    La poesia è come un sogno che dica e non dica, ma che (come certi sogni in prossimità del risveglio) ci lasci l’impressione di una rivelazione imminente. Rivelazione di che cosa? Per essere percepite, la poesia, l’arte, devono suscitare empatia, cioè il piacere di condividere come proprio il messaggio dell’autore.
    Nel momento in cui questo avviene, la poesia, l’arte, consentono uno scambio profondo, un’interazione di personalità simile a quella che si realizza tra due innamorati i quali si compenetrano. Mittente e destinatario, sconosciuti l’uno all’altro, sono qui, adesso, compresenti – magari a distanza di secoli – in un’interazione che estrinseca l’uno e interiorizza l’altro.
  3. Ho costeggiato per anni a nuoto, da adolescente e nella prima giovinezza, estate dopo estate, le spiagge di Riace, in Calabria, senza sospettare minimamente che sotto pochi metri d’acqua – quell’acqua che portavo a me una bracciata dopo l’altra – ci fosse un’altra presenza, sdraiata su un letto di sabbia. Dopo averli cullati per millenni nel suo liquido oblio, il mare ci ha offerto – ha offerto a noi – i guerrieri di bronzo, alzatisi in piedi ai nostri giorni come se soltanto adesso, soltanto per noi, prendessero forma dall’inconscio dell’artista. Corpi perfetti, di contemporanei, ma con gli occhi di chi non ha più fretta.
    Di chi sono i guerrieri di Riace? Di Fidia, di Lisippo, di un Pitagora reggino, d’ignoto scultore?
    Come il mare, così l’arte, la poesia non sono nostre o di un altro. Una poesia, una composizione musicale, una statua, un quadro non appartengono all’autore più di quanto non appartengano al lettore, all’ascoltatore, al contemplatore che, entrando in sintonia (in sumpάqeia, dicevano i greci), li faccia rivivere dentro di sé.
    Quando questo avviene, allora si realizza un piccolo miracolo: poeta e lettore, musicista e ascoltatore, pittore e contemplatore sono un tutt’uno per il tratto di tempo in cui entrano in risonanza. Lo scultore che, millenni or sono, scolpiva i suoi guerrieri di Riace e noi che per un dono del mare li sfioriamo oggi con gli occhi e con le dita, siamo contemporanei. Beethoven, che quasi due secoli fa scriveva le ultime note su uno spartito, e noi che siamo oggi pervasi dalla sua musica siamo contemporanei.
    Ecco, è tutto qui. È questo, questo nonnulla che fa l’arte, che fa la poesia.  (Corrado Calabrò)

 

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Nella foto di copertina, il prof. Corrado Calabrò ad Atene con la poetessa Fabia Baldi

 

Lucano ha lasciato Riace, non può restare nel paese che ha bisogno di lui

17 ottobre – È partito da Riace questa mattina presto, poco dopo le 6, Mimmo Lucano, diretto a un paese del circondario, a seguito della decisione del tribunale del riesame di Reggio che ieri ha revocato gli arresti domiciliari, disponendo, però, la misura del divieto di dimora. Da un lato un’attenuazione delle misure restrittive, dall’altro il provvedimento appare come un “esilio” amaro che lo allontana dal paese dove tutto è cominciato dieci anni fa. Il modello Riace per l’accoglienza ha lasciato sicuramente il segno, ma, obiettivamente, bisogna proprio pensare che si si stia facendo di tutto per cancellarlo.
Perché Mimmo Lucano dà fastidio? La domanda ha troppe implicazioni per trovare una risposta semplice. Il fatto è che gli tolgono gli arresti (domiciliari) e lo esiliano dal paese dove hanno bisogno di lui. Il divieto di dimora è una misura cautelare obbligatoria prevista dall’art. 283 del codice di procedura penale. Al di fuori dell’ambito territoriale Lucano ha piena libertà di circolazione: evidentemente i giudici del riesame ritengono “pericolosa” la presenza dell’ex-sindaco (il prefetto lo ha sospeso) a Riace (inquinamento delle prove o reiterazione del reato?). (rrm)

Per chi lo avesse perso, segnaliamo il bel servizio di ieri di SkyTg24

 

Su Facebook il prof. Nicola Fiorita (Unical) ha diffuso il 5 ottobre scorso un suo intervento, che riteniamo utile far conoscere anche ai nostri lettori:

«Ho atteso alcuni giorni prima di intervenire pubblicamente sull’arresto del sindaco di Riace. Ho voluto prima leggere l’ordinanza del Gip, ho voluto riflettere su tanti commenti, ho voluto lasciar sedimentare le mie emozioni. Per diverse ragioni – non ultimo, il mio ruolo di docente di materie giuridiche che insegna ai propri allievi il valore della legge, il diritto della critica e dell’impegno per cambiare le norme ingiuste ma anche il dovere di rispettarle finché vigenti – ho ritenuto di non poter confinarmi in uno slogan (io sto con Mimmo Lucano, questo è certo) ma di dover articolare il mio pensiero, distinguendo alcuni profili, a mio avviso i più rilevanti, della vicenda.
C’è innanzitutto l’aspetto giuridico-formale. Posto che il Gip liquida molti dei capi d’accusa (e inviterei tutti a soffermarsi su questo dato: è abbastanza raro che un Procuratore capo sia così clamorosamente smentito in sede di valutazione delle richieste di misura cautelare) e che la vicenda dei matrimoni combinati è risibile (è davvero incredibile che per un (1) matrimonio forse combinato e un (1) matrimonio suggerito e nemmeno celebrato si parli di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) l’unica accusa rimasta in piedi è quella relativa all’affidamento diretto del servizio di raccolta differenziata a cooperative prive dei requisiti richiesti.
Rispetto a questa accusa Mimmo Lucano è un cittadino come tutti gli altri. Dovrà difendersi secondo le regole, ha diritto ad essere considerato innocente fino all’ultimo grado di giudizio e dovrà pagare nel caso abbia sbagliato. Si può e si deve aggiungere che non gli viene contestato nessun arricchimento personale, che l’affidamento riguarda un servizio erogato in un piccolissimo centro abitato e quindi per importi molto contenuti e che è del tutto evidente la sproporzione dei mezzi d’indagine utilizzati e della misura cautelare applicata, ma chiunque – anche se vittima di un accanimento investigativo – deve essere giudicato come tutti gli altri.
Accanto a queste considerazioni ci sono quelle più propriamente politiche. Le dichiarazioni di Salvini (e anche di alcuni deputati 5 stelle) sono inaccettabili in qualunque contesto democratico. La criminalizzazione delle idee altrui, la volontà di annientamento degli avversari, l’odio sparso a piene mani, la strategia di estremizzazione delle posizioni ravvivano ancora una volta l’allarme sullo scivolamento di questo paese verso una democrazia svuotata dei propri valori e riempita di autoritarismo. Allo stesso modo, l’azione sempre più dura di pezzi della magistratura e dell’apparato statale in Calabria sta conducendo verso l’azzeramento di esperienze scomode e alternative, con il rischio (o la volontà) di sterilizzare i fermenti positivi che ancora si sviluppano in questa Regione. Tra scioglimenti dei comuni, interdittive antimafia e ordinanze di custodia cautelare poi annullate si sta colpendo – da Cortale a Gioiosa a Riace – sempre più spesso chi non è allineato.
Guardare alla magistratura e/o alle prefetture con la massima fiducia e con la speranza che da loro venga lo sradicamento della ‘ndrangheta e della mala politica non può significare accettare acriticamente che esse si posizionino oltre la legge.
Ma non è ancora questo il punto.
Se si inscrive la vicenda di Mimmo Lucano dentro un perimetro esclusivamente legalitario o politico non si può comprendere quello che è accaduto in questi anni a Riace.
Riace è stato un modello si è chiesto qualcuno in questi giorni? Penso di si, penso anche che forse lo abbiamo rivestito di una retorica eccessiva e non abbiamo voluto vederne alcuni limiti (ad esempio, si dovrebbe riflettere sulla capacità o meno di generare sviluppo economico duraturo una volta ripopolati i borghi), ma Riace ha parlato al mondo della possibilità di salvare le vite degli ultimi, di dargli una speranza, di costruire incontri, di privilegiare l’umanità invece del denaro. E soprattutto Mimmo Lucano è stato un uomo, un uomo che ha caparbiamente e generosamente dedicato le proprie energie verso uomini e donne che non conosceva, che avevano un altro colore dal suo, che scappavano da guerre lontane. Un uomo che ha fatto indubbiamente, evidentemente, costantemente del bene.
E’ per questo dato – l’umanità che trionfa in un minuscolo paesino della Locride mentre soffre nel resto del mondo – che Mimmo Lucano dovrebbe essere candidato per il premio Nobel della Pace. Anche, o forse soprattutto, se avesse violato qualche norma procedurale o non avesse osservato qualche disposizione di legge. Per i suoi eventuali errori dovrebbe pagare, ma allo stesso tempo per i suoi evidenti e straordinari meriti dovrebbe essere riconosciuto per quello che è: un uomo speciale, un eroe.
Qualche giorno fa, prima di questa vicenda, all’inizio del mio corso ho chiesto ad alcuni studenti di leggere un libro di Natalia Ginzburg (Serena Cruz, o la vera giustizia) per poi discutere del rapporto tra legge e giustizia. La tensione tra legge e giustizia affonda nella notte dei tempi e sappiamo anche che non sempre chi sta dalla parte della giustizia ottiene ragione. Ma questo non è un motivo sufficiente per non continuare a stare dalla parte degli indiani, come direbbe il mio amico Giancarlo Rafele.
Chi, come me, insegna diritto nelle aule universitarie, insegna – deve insegnare – anche a non trasgredire la legge. Ma se mai mi capitasse di essere sindaco della mia città e di trovarmi dinanzi ad una regola che sento profondamente ingiusta e dalla quale può dipendere la vita di una persona, proprio come Mimmo Lucano non esiterei, assumendomene tutte le responsabilità, a trasgredirla. Non viviamo per essere salvi, viviamo per essere giusti». (Nicola Fiorita)

 

 

 

 

Omaggio ad Atene a Corrado Calabrò

16 ottobre – L’Istituto Italiano di Cultura di Atene festeggia oggi il poeta Corrado Calabrò con un ricevimento in suo onore organizzato con il Comitato di Atene della Società Dante Alighieri. Fine giurista, uomo dello Stato, ma soprattutto eccellente poeta, Corrado Calabrò, reggina di nascita, è l’espressione più sentita dell’amore per la Calabria. I suoi versi d’amore, i suoi inni al mare, altro non sono che la continua dimostrazione della passione per la terra delle sue origini. Calabrò è il poeta della calabresità, nel senso più genuino e autentico del termine da lui stesso adoperato spesso per indicare il fortissimo senso di appartenenza che caratterizza i calabresi. Il tema della serata sarà “C’è ancora spazio, c’è ancora senso per la poesia, oggi? (rrm)