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L'OPINIONE / Franco Cimino: Il cinema a Via Teano, la città, la democrazia

L’OPINIONE / Franco Cimino: Il cinema a Via Teano, la città, la democrazia

di FRANCO CIMINO – Io ci sarei andato egualmente, come sono stato altrove. In viale Isonzo, in particolare. Ma ieri sera tantissime persone ci sono andate. Io pure c’ero. Prima che puntuale. È difficile muoversi su una vasta area disarmonica e con poche segnaletiche. Con saliscendi aperti su altre vie, che se non imbocchi quella giusta ti perdi.

L’orario previsto, le venti. Immaginando venisse molta gente, arrivo sul posto mezz’ora prima. In contemporanea al Sindaco e al mio amico Giacomo, avvocato, intervenuto con la moglie. Pensavamo che via Teano fosse quella larga piazza davanti alla chiesa. Invece, il posto giusto era alle spalle di quella. Raggiungibile salendo sulla destra e poi scendendo a semicerchio. Il piazzale che ci ospita, dove erano già sistemate circa trecento sedie, è ricavato dallo spazio quadrato derivante dalla costruzione a filiera di palazzoni informi e incolori, uno accanto all’altro in pessima continuità edilizia. Pavimentazione degli spazi, difficile concepirla in quel duro affossamento del bitume. Le strade per arrivarci, una gruviera. L’ampio spazio in cui abbiamo parcheggiato le tante auto, una sorta di sterrato prima della campagna. Illuminazione assai improbabile, lascia in semi buio luoghi che dovrebbero essere illuminati a giorno.

Questo è fisicamente l’Aranceto, il cui nome gentile forse evoca la distruzione di quegli enormi colorati aranceti, il cui profumo in tempi lontani arrivava fino al mare. Difronte, quasi suo gemello, viale Isonzo. Stessa situazione in eguale brutta edilizia. Stessa cultura urbanistica, in cui la devastazione del territorio, l’isolamento dello stesso, l’impoverimento di tutte le risorse ivi presenti, genera la più grave questione sociale. Quella in cui povertà economica e culturale, attivano quella politica, che va dal voto disturbato all’assenza di qualsiasi coscienza politica. Dispersione scolastica e dispersione delle migliori energie giovanile, fanno il resto.

Da qui la questione sociale diventa questione democratica. La questione, che la Politica, con i suoi partiti e il suo personale, confondono, un po’ per ignoranza, un po’ per furbizia, con emergenza criminale. Un’emergenza che si vuole strumentalizzare per giustificare le colpe delle istituzioni nei confronti di gente “buona e gentile” e di famiglie “buone e oneste”, che, come ho più volte affermato, rappresentano le vere vittime di ogni forma di violenza che quei territori investe. Di quella della criminalità organizzata, piccola o grande che sia, soprattutto. In un contesto come questo, c’è chi devia, in modo spontaneo o organizzato, dalle regole civili, muovendosi all’esterno e contro quella legalità di cui tanto si parla. La legalità, che, se vista nella sua vera accezione, troverebbe irregolari tanti di noi che ricopriamo diversi ruoli sociali. Quindi istituzionali. Anche culturali. Pertanto, politici. L’allarme che si è costruito intorno a quelle realtà, scoraggia i più ad andarci, pure per far visita a parenti e amici. E fa sì che se un tale solitariamente, ovvero insieme a qualcun altro magari, si atteggiasse a bullo del rione e portasse minacce che non spaventerebbero neppure lui stesso davanti allo specchio, si porti tutti noi ( quelli di oltre “confine”, i “fortunati” che hanno potuto scegliere di fare ciò che desideravamo)a gridare alla violenza delinquenziale, forse mafiosa, contro la cultura e contro il bene che essa rappresenta. Contro la Città! La quale compie la ribellione della Civiltà e chiama a raccolta i “resistenti”.

Cosa c’è di più bello che partecipare in abito elegante a queste manifestazioni? Ci sono i giornali. Ci sono le televisioni. Ci sono molti di quelli che contano. C’è il Sindaco che ci ha chiamati e vuoi che non sia utile in tempi di nomine farci vedere da lui? E così in molti ci siamo ritrovati, ieri sera in quella piazzetta. Non c’eravamo venuti mai. Non ci torneremo più. Non eravamo tantissimi, ma basta poco per il colpo d’occhio televisivo. Non c’erano gli abitanti del luogo. O, forse pochissimi. O, forse, erano sui balconi o dietro i vetri delle finestre di quegli appartamenti “ lontani” dal Centro. Comunque, quei tanti o pochi che siamo venuti da “molto lontano”, eravamo lì perché siamo stati chiamati. Dalla più alta istituzione territoriale siamo stati chiamati. La gran parte è rimasta delusa. Aspettava discorsi impegnati, duri e accesi, sulla lotta alla criminalità organizzata e cose del genere. Invece, nulla.

Com’era prevedibile. Com’è stato giusto. Com’era doverosamente vero, il dire. Le parole esatte, le ha dette lui, Mauro Lamanna, il giovane artista e inventore di “Schermi”, il cinema nelle periferie. Lui, che ha dovuto annullare la proiezione nel giorno previsto nella sera fissata, perché qualcuno, isolato velleitario, gliel’ha impedito, ha detto parole vere. Sincere. Di dispiacere anche per aver visto abbattersi su tutta quella realtà il fuoco incrociato di giudizi in rete che hanno fatto di tutta l’erba un fascio, e condannare sprezzantemente tutta un’umanità già ferita da mille minacce interne ed esterne. Quelle di cui ho detto sopra e non ripeto.

«Qui, ci sono uomini e donne belle e buone, i ragazzini sono stati con noi e hanno giocato con noi… Il senso di questo incontro è creare coesione e inclusione. Questa gente è meno fortunata di noi che abbiamo avuto il privilegio di scegliere la vita che vogliamo fare…» E, poi, ancora: «andate via da qui e raccontate solo dei sorrisi. Non di altro».

Il Sindaco, apparso stanco o deluso, triste o preoccupato, è stato ancora più breve, mostrando, però di aver capito tanto del non detto. E, cioè, che è giunto il tempo di fare tante cose per queste zone abbandonate. E, rivolto, ai cittadini del luogo, ha chiesto di poterle fare insieme a loro. D’altronde, l’aveva giurato in campagna elettorale. In politica, purtroppo, il tempo passa velocemente anche sulle parole, che tutte consuma. La verità più vera, la più politica, l’ha detta al microfono della Rai, un ragazzino, rispondendo alla domanda su cosa volesse chiedere al sindaco. Immediata e chiara la risposta: «il campo sportivo. Il campo di calcio». Ecco, l’atto politico più alto, il gesto rivoluzionario più forte, l’ha compiuto quel ragazzino, di nome Francesco. Che vuole fare anche l’operatore di ripresa.

Un ragazzo intelligente di poco sotto i dieci. Accanto a lui uno di dieci e l’altro poco più grande. Un campo di calcio salva i giovani dalla sfiducia e dall’abbandono. Basta un solo campetto sportivo, per cambiare il mondo. Infine, noi. Nella triade che presento ai miei ragazzi a scuola, sostengo che bisogna curare contemporaneamente, e con eguale impegno, sia i muscoli, sia la mente e sia il cuore. Per i muscoli ci siamo, quasi. Per la mente, cioè la cultura, Schermi ha portato il cinema. Manca ancora il cuore.

Quello dobbiamo portarcelo noi, ché lì già c’è e forte. Noi, la Politica, le istituzioni, attraverso un piano di risanamento di tutte le periferie, che renda possibile l’unità reale dei catanzaresi e della Città, e la crescita in democrazia e civiltà dell’intero Capoluogo di regione. Noi, uomini e donne cosiddetti impegnati, che dobbiamo smettere di ricordarci delle zone degradate solo quando insorge un timore per la nostra serenità. Noi, la Politica, che deve tornare quotidianamente su quel posto, invece che reclamare, scaricandone le responsabilità, soltanto più forze dell’Ordine, cosa comunque necessaria su tutto il territorio comunale.

Noi, Cultura e religiosità, invece che andare alle grandi manifestazioni e ai celebrati eventi, ben sostenuti con i soldi pubblici. Ovvero, come santi, noi, alle processioni. Noi, catanzaresi brava gente, che vogliamo amare e vivere tutta la Città, non solo parti di essa. (fc)