NON È UNA POLEMICA LOCALE: L'EPISODIO RIVELA IL REALE DISTACCO TRA IL TERRITORIO E L'AMMINISTRAZIONE;
Il progetto della futura Piazza De Nava

REGGIO, DEMOLIZIONE DI PIAZZA DE NAVA
COSÍ SI CANCELLA LA STORIA DELLA CITTÀ

di SANTO STRATI – Potrebbe sembrare una storia di beghe locali, circoscritta alla città di Reggio, invece rappresenta, in maniera univoca, come in tutta la regione prevalgano scelte slegate dal territorio e dalla volontà dei cittadini, ovvero un plateale distacco tra amministrazione e amministrati. Parlare di piazza De Nava, quella prospiciente Palazzo Piacentini (dove c’è il Museo Archeologico Nazionale) da un lato e il Palazzo di Camillo Autore dall’altro, significa – lo sappiamo – attizzare un fuoco che cova sotto la cenere, ma un giornale non può ignorare il malcontento popolare e le assurdità portate avanti a giustificazione di un’operazione di demolizione totale, che avrà un solo risultato, alla fine: la cancellazione della memoria storica cittadina.

Basta leggere l’atto di assenso del Comune alla demolizione della storica piazza intitolata a un grande della città, Giuseppe De Nava, per rendersi conto che il cosiddetto “restauro” (così viene definita la distruzione dell’attuale piazza) si giustifica alla fine con l’esigenza (!) di offrire spazi per “fiere, mercati ed esposizioni”.

Cosa resta – ha evidenziato il presidente della Fondazione Mediterranea, Enzo Vitale, uno dei più strenui difensori del mantenimento strutturale della piazza – dell’ambizioso progetto della Soprintendenza? Praticamente nulla. Attraverso la demolizione dell’esistente, secondo l’arch. Vitetta, si sarebbe dovuti arrivare a un’integrazione del Museo con una piazza completamente pedonalizzata e in connessione pedonale con il Monumento a Corrado Alvaro. Per quanto riguarda l’apertura del museo all’esterno, è stata rifiutata la proposta della Fondazione Mediterranea sulla creazione di teche protette in cui esporre materiale non deperibile contenuto negli scantinati museali. Con il diniego da parte del Comune di pedonalizzare via Vollaro, cadono gli altri due obiettivi: non vi sarà l’allargamento della piazza pedonalizzata sul lato sud e non vi sarà la connessione al Monumento Alvaro. Resta solo la demolizione dell’esistente per la creazione di uno spazio aperto, che avrà sostanzialmente la stessa volumetria dell’attuale piazza, da dedicare a “fiere, mercati ed esposizioni” (testuale dal progetto della Soprintendenza). In sintesi si demolisce un impianto storico, in stile razionalista e probabilmente disegnato dallo stesso Camillo Autore, progettista del palazzo fronteggiante il Museo piacentiniano, per costruirvi uno spazio aperto da dedicare a “fiere, mercati ed esposizioni”. Se è questa l’idea di città che ha in mente la Soprintendenza, che dovrebbe per sua mission tutelare i beni culturali, ovvero una città che in pieno centro storico demolisce piazze storiche per creare spazi aperti da dedicare a “fiere, mercati ed esposizioni”, siamo messi molto male».

«La cosa che lascia quantomeno perplessi – prosegue Vitale –, è la supina sottomissione dell’Amministrazione alle idee demolitive della Soprintendenza: le firme in calce al documento ne sono un inequivocabile segno. L’arch. Alberto DiMare, il dr. Giuseppe Melchini, l’arch. Domenico Macrì, l’ing. Domenico Scalo, l’arch. Domenico Beatino, come giustificano il loro parere positivo? Nel documento non c’è traccia di approfondimenti e analisi ma un semplice, e direi banale, “non si rilevano motivi ostativi”. È questo il modo di gestire i beni culturali di una città? Nessuna discussione, nessun dibattito, nessun approfondimento, nessun coinvolgimento della cittadinanza. Solo un banalissimo “non si rilevano motivi ostativi” alla demolizione di una storica piazza cittadina».

I reggini sono indignati, ma l’Amministrazione comunale guidata dal sindaco Giuseppe Falcomatà pare non essersene accorta e già questo è un problema. Non può bastare la sola giustificazione che si corre il rischio di perdere il finanziamento di 5 milioni di euro destinato al “restauro” (si badi bene, restauro non distruzione!), perché non è vero: un restauro adeguato lasciando al suo posto ogni aspetto identitario della piazza permetterebbe ugualmente di utilizzare i fondi già stanziati. È l’ostinazione del  Segretariato regionale del MIC e della Sovrintendenza a negare l’evidenza “fotografica” della piazza e la necessità di mantenere intatta la sua storia. Sarà la stessa Sovrintendenza che alcuni anni fa ha impedito al Comune di dar luogo ai lavori (indispensabili e necessari) di ristrutturazione del Lido Comunale per preservare la “storicità” (1970) delle cabine balneari? Buttare giù una piazza storica sì, ristrutturare cabine fatiscenti no. C’è una logica che in molti, a Reggio e non solo, non riescono proprio a capire.

Per intenderci è come se a Catanzaro si demolisse piazza Matteotti (a partire dal Picconatore) – che, peraltro, non ha obiettivamente memoria storica: qual è il criterio che muove questo “misfatto” che si sta perpetrando ai danni della Città? Il sindaco Falcomatà avrebbe il potere di revocare l’atto di assenso dei tecnici e di negare gli interventi demolitivi della piazza, ma evidentemente non ha contezza del tipo di intervento distruttivo che sta, in buona sostanza, autorizzando.

Occorrerà, probabilmente, battere i pugni sui tavoli, organizzare flashmob, coinvolgere la parte pigra della città per bloccare (si è ancora in tempo) quest’azione distruttrice della memoria storica cittadina. Dopo l’interpellanza parlamentare e la lettera aperta ricevuta, il ministro Franceschini ha imposto alla Segreteria regionale di rispondere alle contestazioni fatte da Fondazione Mediterranea e Associazione Amici del Museo. I contenuti della risposta, giudicata lacunosa e imprecisa oltre che culturalmente debole, sono stati stigmatizzati con una lettera/denuncia inviata per conoscenza anche al Ministro.

Si legge, tra l’altro nella lettera: «Premesso che a una articolata e coerente e approfondita critica sul progetto (approvata nelle sue linee concettuali dal prof. Salvatore Settis, archeologo e architetto, Presidente del Comitato scientifico del Louvre, e dal prof. Alessandro Bianchi, ingegnere e urbanista, già Rettore dell’Università Mediterranea), proposta nelle giuste sedi e con interpellanza parlamentare oltre che naturalmente in sede di Conferenza di Servizi, si risponde in modo impreciso e lacunoso oltre che culturalmente fragile, comunque si ribatte in maniera puntuale alle considerazioni pervenute. Prima di procedere in maniera chiara e sintetica, occorre comunque evidenziare che in alcuni passi della lettera si va ben oltre l’approssimazione e la superficialità, giungendo a un vero e proprio tentativo di mistificazione: si fornisce una falsa rappresentazione della realtà oggettiva e si nega l’evidenza fotografica dello stato dei luoghi oggetto dell’intervento. In altri termini, pur di non ammettere che l’insieme è un esempio di architettura razionalista italiana del Ventennio, probabilmente ideata così com’è da Camillo Autore, progettista del coevo palazzo che vi si affaccia, quindi oggettivamente da tutelare anche perché ricadente nel centro storico urbano, si citano singolarmente i vari costituenti materici della piazza (“tubi di ferro”, “materiale lapideo”, “pali di illuminazione”, “bordatura delle aiuole”, ecc) affermando essere di nessun valore storico e architettonico. Così si va ben oltre la pur forte lesione della storia cittadina, della memoria collettiva e dell’identità dei luoghi: si arriva alla negazione tout court dell’esistente. Si opera una vera e propria mistificazione della realtà dei luoghi: un fatto grave, molto grave, in architettura e urbanistica come in altri ambiti professionali».

Fondazione Mediterranea e l’Associazione Amici del Museo contestano «l’inconsistenza concettuale e la debolezza culturale: contraddizioni interne al progetto tra “restauro” e “demolizione”; mancanza di identità del “non-luogo” che si va a costruire e mancato suo rapporto con la storia cittadina; destinazione d’uso per “fiere, mercati ed esposizioni”; mancanza di trasparenza amministrativa e di coinvolgimento cittadino; improponibile riferimento a uno schizzo del Piacentini, subito dallo stesso abbandonato perché collidente con la piazza già progettata; falsa questione del “servizio” al Museo; complessiva debolezza e “fragilità” culturale di tutto il progetto».

Nella lettera si azzarda un teorema: «Posto che la stessa struttura amministrativa dello Stato: 1) richiede e acquisisce e gestisce un finanziamento; 2) è artefice del progetto preliminare, riportato poi pedissequamente nel progetto definitivo; 3) è stazione appaltante ed è responsabile del procedimento; 4) indica la direzione dei lavori; 5) sarà beneficiaria di tutti gli emolumenti previsti dalla normativa; sarebbe legittimo pensare che, se in qualche passo si stesse commettendo un errore o un abuso, senz’alcun controllo esterno non vi sarebbe modo di porre riparo? Il persistere da parte della Segreteria Regionale del Ministero della Cultura in un atteggiamento di chiusura alle disinteressate e legittime e valide oltre che culturalmente inattaccabili richieste delle organizzazioni scriventi, spingerebbe queste a convincersi ancor di più di essere in presenza di interessi, singoli o di gruppo, collidenti con un’etica ricerca di soluzioni condivise e operate in un’ottica di bene comune».

Cosa aveva risposto il Segretariato regionale del Ministero della Cultura (MIC) che fa capo a Salvatore Patamia? «L’intervento – ha scritto il dott. Patamia – ha come obiettivo quello dell’integrazione di Piazza De Nava con il Museo Archeologico Nazionale, attraverso un’operazione culturale di riqualificazione del contesto urbano di riferimento. Il Museo in quanto istituzione deputata alla promozione della cultura è chiamato a svolgere un ruolo centrale nella città ed è esso stesso, come la Piazza, luogo pubblico portatore di valori.

«Il progetto – prosegue la lettera di Patamia – realizza un rapporto di connessione dialogica tra i due luoghi e nel contempo riqualifica il contesto urbano restituendo alla piazza la sua originale identità, ovvero la dimensione dell’agorà, come centro dinamico e culturale della città. La progettazione è stata ispirata dalla consapevolezza che piazza De Nava rappresenta un nodo fondamentale dell’impianto urbano consolidato ed è un luogo strategico per l’accoglienza di turisti e visitatori. La progettazione definitiva già conseguita è stata sviluppata sulla base degli indirizzi progettuali definiti nel PFTE dal gruppo di lavoro incaricato, costituito dai funzionari architetti della SABAP RC e W e del Segretariato Regionale, con gli apporti documentali dei Referenti del Comune di Reggio Calabria, dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, Facoltà di Architettura – Dipartimento PAU e Facoltà di Agraria. In coerenza con le istanze di tutela e con gli indirizzi definiti nel PFTE, la progettazione definitiva interpreta le connotazioni storiche della piazza (monumento a Giuseppe De Nava, fronti edilizi storici e strade che la delimitano) in chiave di miglioramento della fruibilità e dei servizi. La Piazza che ha visto peggiorare nel tempo le proprie condizioni di accessibilità e fruibilità, appare oggi spazio residuale, luogo poco accessibile e non inclusivo, funzionalmente disgiunto dal Museo. Unica emergenza monumentale di rilievo della Piazza è il monumento a Giuseppe De Nava, opera dello scultore Francesco Jerace, che sarà restaurato; le vie adiacenti verranno liberate dall’asfalto per mettere a vista il basolato d’epoca; il verde verrà rimodulato per ristabilire le originarie relazioni visive tra gli edifici monumentali immaginate e volute da Marcello Piacentini (progettista del Museo) nei suoi schizzi preparatori al progetto dell’edificio museale. Le criticità del comparto di riferimento come oggi si appalesa, inducono a ripensare questo luogo in termini di riscoperta di un rinnovato principio di urbanità.

«Le opere di pavimentazione e degli arredi verranno realizzate con materiali tradizionali, così come è avvenuto per le altre piazze storiche della città. Nessun materiale lapideo degno di pregio e testimonianza della storia territoriale sarà demolito, ma verrà smontato, restaurato e recuperato per essere riutilizzato nelle fasi di realizzazione dello stesso progetto. L’intervento prevede esclusivamente la demolizione della pavimentazione in mattonelle di cemento, priva di significato dal punto di vista storico-artistico, delle bordature delle aiuole, dei tubi di ferro, dei pali di illuminazione. Nessun stravolgimento quindi delle connotazioni storiche della Piazza verrà operato dal progetto ma, viceversa, la riqualificazione della Piazza andrà a definire uno spazio più aperto alla comunità locale, ai turisti e ai visitatori del Museo rispettoso di quelle caratteristiche storiche riconosciute e approfondite nel quadro conoscitivo del PFTE».

Queste argomentazioni sono confutate da Fondazione Mediterranea e dall’Associazione degli Amici del Museo:

«1) Si evidenzia l’insanabile contraddizione interna al progetto tra il titolo, che apre con la parola “restauro”, e la prevista “demolizione”, termine usato nel progetto, di tutta la piazza (ad eccezione della statua) e sua sostituzione con un’architettura in stile “non-luogo” (Marc Augé) che non ha alcun rapporto, né culturale né identitario, con quella preesistente degli anni Trenta né con la storia della città.

2) Come si può evidenziare nella documentazione progettuale, anche la statua del Jerace sarà soggetta non solo a restauro ma anche in parte a “snellimento”, con l’eliminazione di alcune parti del basamento/corredo marmoreo, facendo perdere alla stessa la sua conformazione sorgiva.

3) È quantomeno sbagliato affermare, quindi, che la concretizzazione delle idee base progettuali sia “un’operazione culturale”: non può essere considerata tale la demolizione di un esempio di architettura razionalista italiana del primo Novecento.

4) È un’azzardata previsione che la piazza, com’è stata progettata, diventi un “luogo pubblico portatore di valori”: i valori, che sono il portato della nostra storia intellettuale, hanno spesso bisogno anche di riferimenti materici storicizzati, non proprio della demolizione di una piazza storica per costruirci sopra un non-luogo, paradigma dell’assenza di valori.

5) Non ha nessuna base storica affermare che il progetto di demolizione “restituisce alla piazza la sua originale identità, ovvero la dimensione di agorà, come centro dinamico e culturale della città”: la piazza, così com’è, è frutto della ricostruzione dopo il terremoto del 1908 ed è antecedente all’edificazione del Museo piacentiniano. Quale dovrebbe essere questa fantomatica “originale identità” se in tempi precedenti alla sua costruzione era un luogo periferico e non frequentato, quasi extraurbano?

6) Per quanto riguarda l’abusato termine di “agorà”, occorre precisare che Reggio la sua Agorà (se si vuole usare il corretto e condiviso significato del termine) l’ha sempre avuta e continua ad averla: è piazza Italia, al centro dalla città, di cui tre lati sono costituiti dai palazzi rappresentativi (Prefettura, Comune, Provincia). Parlando di “agorà” cittadina a proposito dell’esito progettuale, una spianata senza storia né identità, si dimostra di non conoscere il significato né urbanistico né storico né corrente del termine agorà.

7) Come si può ignorare che, nella relazione che accompagna il progetto definitivo, questa nuova piazza, una volta divenuta “agorà” cittadina, verrà destinata a “fiere, mercati ed esposizioni”? È questo il concetto di identità dei luoghi o di apertura del Museo alla città?

8) Si cita un ipotetico “rinnovato principio di urbanità”, forse facendo riferimento ad alcune presunte cattive frequentazioni dell’attuale piazza. Ma una nuova piazza, che aspira a divenire centro della movida cittadina, si può ipotizzare che divenga immune dal degrado operato da torme di giovani gozzoviglianti nottambuli? Puranche piazza De Nava fosse degradata antropologicamente, cosa tutt’altro che documentata, è sensato affermare che in futuro non lo sarà?

9) Se si ragiona con i piedi per terra, il degrado sarà certamente accentuato per le caratteristiche intrinseche al progetto che, di basso livello culturale e orientato a gusti in stile parco tematico (basti pensare al previsto impianto di illuminotecnica e ai festoni luminescenti incastonati tra i rami del ficus magnoloide), paradigma del concetto di non-luogo di Marc Augé, sembra avere per specifico target i raduni giovanili notturni o essere destinato, come da progetto, a “fiere e mercati”.

10) Si parla di degrado della piazza e si insiste sul tema, dimenticando che in alcuni passi del progetto si descrive piazza De Nava come “in buono stato”.

11) Da notare che un intervento demolitivo di tal genere in centro storico avrebbe dovuto essere oggetto di un democratico dibattito pubblico (mentre la cittadinanza, se non fosse stato per il clamore sollevato dalle nostre critiche, non ne avrebbe saputo nulla), in linea con l’illuminata tradizione cittadina rispettata dai precedenti Soprintendenti (Paolo Orsi, Alfonso De Franciscis, Giuseppe Foti, Elena Lattanzi) che, con grandi iniziative culturali, hanno sempre coinvolto la Civitas in temi di tutela architettonica, saldando il loro rapporto con la città.

12) Da segnalare che non risulta esserci stato alcun coinvolgimento della direzione del Museo in un progetto che si definisce di supporto al Museo, e che nessuna sollecitazione dello stesso progetto è stata mai prodotta dalla citata Direzione.

13) La modalità asincrona della Conferenza dei Servizi ha comportato che le nostre critiche non siano pervenute in maniera completa ed esaustiva e che, tra l’altro, la Commissione Cultura della Regione abbia ascoltato solo la versione dell’arch. Vitetta, convocata ad hoc il 20 aprile, interessata perché ideatrice di tutta l’operazione.

14) Si fanno una serie di considerazioni, elementari e quasi banali, sulla necessità di valorizzazione della statua e del palazzo retrostante, del restauro del basolato lavico, ecc. Non si può che essere pienamente d’accordo. Tutto si potrebbe attuare, con minor spesa (ma forse questo è il problema), restaurando l’esistente storicizzato, piuttosto che raderlo a zero per costruire un non-luogo.

15) Non si parla più di pedonalizzazione dell’area, su cui vi è il parere negativo del Comune riguardo a via Vollaro: cade così uno dei capisaldi dell’impianto teorico del progetto, che prevedeva anche un continuum pedonalizzato tra la piazza e il Monumento Alvaro.

16) È logico porsi una domanda: cosa resta delle linee guida che avevano ispirato il progetto?Praticamente solo la demolizione dell’esistente e sua sostituzione con una nuova piazza delle stesse dimensioni, seppur priva di delimitazioni esterne.

17) Si afferma, tra l’altro, che la nuova piazza sarebbe funzionale a una maggiore fruibilità di Palazzo Piacentini da parte dei turisti e a una sua apertura verso l’esterno. Anche qui si fanno affermazioni nebulose e irrealistiche: storicamente, anche nei periodi di maggiore afflusso turistico (oltre 500.000 visitatori all’anno nei primi anni Ottanta), lo spazio antistante al Museo, caratterizzato da larghi marciapiedi e ampia sede stradale già a traffico limitato, è stato più che sufficiente a una buona accoglienza, esaltata dalla signorilità e compostezza della piazza che si vuole demolire».

La lettera prosegue, ma riteniamo che i punti fin qui evidenziati siano più che sufficienti per permettere ai reggini di rendersi conto dell’assurdità del progetto così come è stato concepito: Il sindaco Falcomatà, che si mostra così attento alla rigenerazione urbana e alla rinascita artistica e culturale della Città, farebbe bene ad ascoltare i cittadini: è ancora in tempo per fermare uno scempio che nessuno gli potrà mai perdonare. (s)