Ancora fumata nera per il commissario della sanità calabrese, l’Anci si mobilita
Fino a tarda sera ancora nessuna notizia da Palazzo Chigi sulla nomina del nuovo commissario ad acta della sanità calabrese. L’ultima voce riguarda il dott. Agostino Miozzo attuale coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico antiCovid e la domanda che tutti si pongono è perché, in questa fase di emergenza, togliere da una struttura dove sta lavorando in maniera egregia un professionista come Miozzo? Possibile che il Consiglio dei ministri si sia incartato su una questione così semplice?
Lo stesso procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, martedì sera ospite di Giovanni Floris, ha ribadito che ci sono ottimi professionisti in Calabria e diverse eccellenze in campo medico-scientifico in grado di supportare adeguatamente l’azione di un commissario alla sanità.
Lo abbiamo scritto più volte ed è opinione diffusa che non serve un medico, ma un manager che abbia competenze specifiche, purché supportato da una squadra di specialisti (locali, o comunque con buona conoscenza del territorio) in modo di attuare un programma non solo di risanamento di tutto il comparto sanitario calabrese, ma anche di rilancio e crescita del settore. Ci sono grandi scienziati, ottimi specialisti, ma i calabresi sono costretti a fare “turismo sanitario” per potersi curare, con un costo per la Regione stimato in oltre 300 milioni l’anno. È da qui che si deve ripartire: serve volontà politica di risolvere il problema della sanità calabrese, azzerando o quantomeno congelando il debito per ripartire.
Intanto è già trascorsa una settimana dall’incontro di giovedì scorso dei sindaci calabresi con il presidente Conte. L’Anci Calabria, per voce del vicepresidente vicario Francesco Candia, segnala che si avvertono «gravi sensi di sconforto e di sfiducia» nei sindaci e in gran parte dei cittadini. L’Associazione dei Comuni calabresi conferma «lo stato di allerta e vigilanza dei sindaci della regione che, nel perdurare di tale situazione, si dichiarano in stato di permanente agitazione e formulano un ennesimo sollecito al Presidente del Consiglio dei ministri affinché si provveda alle attese nomine per assicurare l’indispensabile operatività dei vertici sanitari in Calabria nel mentre incombe l’emergenza epidemica».
L’Anci Calabria preannuncia «una imminente ulteriore iniziativa di lotta con picchettamento di uno o più Palazzi di Governo nella Regione e ciò a oltranza, sino al verificarsi di effettivi e concreti efficaci sviluppi sulle problematiche pendenti le cui iniziali soluzioni sembrano inspiegabilmente e irresponsabilmente sospese». (rrm)
Prevale ancora la lottizzazione? Narciso Mostarda (Pd) nuovo Commissario Sanità?
Tanto tuonò che piovve, ma ancora ancora una volta prevale nel Governo la logica della lottizzazione. Narciso Mostarda, medico e attuale direttore generale dell’ASL 6 di Roma (Castelli Romani), dovrebbe diventare Commissario della Sanità calabrese. È una scelta che, al di là degli indiscutibili meriti professionali, tradisce chiari obiettivi di lottizzazione: il dott. Mostarda è in quota Zingaretti. Con un colpo solo, il presidente Conte accontenta il segretario Zingaretti mentre non avrebbe trovato il consenso del suo scoraggiato ministro della Salute. Senza pensare che quasi certamente scontenta e delude la Calabria e i calabresi. La fumata, a tarda sera, è ancora nera e non è improbabile che il Consiglio dei Ministri, che ha rinviato nuovamente la nomina, si orienti sulla nomina di un prefetto di lungo corso (Luigi Varratta o Luisa Latella?)
È un incarico pesante e difficile, soprattutto per chi non ha conoscenza del territorio: c’è solo da augurarsi – come suggerivano ieri i sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil – che venga affiancata una squadra “locale” di eccellenze sia in campo medico-scientifico sia con competente di management di sanità. Diversamente, avremo un commissario a mezzo servizio (andrà a vivere a Catanzaro?) per affrontare una criticità ormai non più tollerabile. Il presidente ff. della regione Nino Spirlì consultato su Mostarda avrebbe espresso la sua delusione. (s)
Chi è Narciso Mostarda? Medico e manager della sanità, 58 anni, è laureato in medicina con specializzazione in neuropsichiatria infantile e management. È stato dirigente psichiatra alla Asl Rm/C e alla Asl di Frosinone. Nel 2009 è stato assessore del Pd nel Comune di Frosinone. Nel 2016 è stato nominato direttore generale della Asl H, la numero 6, di Roma (Albano Laziale e Castelli Romani), incarico mantenuto fino ad oggi.
DISAVANZO SANITÀ, LA PESANTE EREDITÀ
CHE RICADRÀ SUL FUTURO COMMISSARIO
Il 17 novembre 2020 si è riunita la Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati per discutere del disegno di legge recante misure urgenti per il rilancio del servizio sanitario della Calabria. In questa sede, Andrea Urbani, direttore generale della Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute, ha dichiarato che il risultato economico attuale della sanità calabrese registra un disavanzo di 221,57 milioni di euro nel 2019 e che, dopo le coperture, il deficit residuo non coperto ammonta a circa 160 milioni di euro. Questo valore, tuttavia, non è ancora definitivo in quanto non sono pervenuti al Ministero i bilanci di alcune Aziende Sanitarie.
Come riportato da diversi organi di stampa regionali, a conclusione della riunione del tavolo di monitoraggio interministeriale sull’attuazione del Piano di rientro (Tavolo Adduce), ad ottobre 2020 è stato “certificato” un disavanzo di 225,42 milioni che sarà parzialmente coperto per 106,62 milioni. Il residuo negativo, pertanto, ammonta a 118,8 milioni di euro a cui va aggiunta la perdita portata a nuovo dell’anno 2018 che – come emerge dal verbale della riunione – sarebbe pari a 41,8 milioni. La somma del deficit netto 2019 e del residuo da coprire del 2018 ammonta a 160,61 milioni di euro.
La copertura del deficit pari 106,62 milioni di euro deriva dal gettito delle aliquote fiscali massimizzate derivanti da IRPEF e IRAP (98,06 milioni di euro) e dal conferimento di 8,56 milioni di euro a titolo di quota sociale delle prestazioni socio-sanitarie presente sul Bilancio regionale.
Se l’ammontare e la natura della copertura (a carico dei cittadini calabresi) del deficit siano apparentemente consolidati, entrambi i dati sul deficit 2019 e sulla perdita netta dell’anno precedente sono rappresentati in misura sostanzialmente differente in documenti e dichiarazioni recanti date molto ravvicinate.
Questo può certamente dipendere dal fatto che, di là dall’aver ottenuto parere favorevole da parte dei revisori, vengono esposti ed aggiornati i risultati dei bilanci delle aziende sanitare/ospedaliere che possono far aumentare o ridurre il deficit complessivo. Rispetto alle risultanze di ottobre (disavanzo del 2019 pari a 225,42 milioni) il deficit (sempre 2019) sarebbe pari a 221,56 milioni. Sulla perdita portata a nuovo del 2018, tuttavia, rileviamo una sostanziale differenza rispetto a quanto pubblicato nell’ultimo rapporto di monitoraggio della spesa sanitaria (Ministero dell’Economia delle Finanze) di agosto 2020.
Nel report, infatti, il valore della perdita portata “a nuovo”, cioè quella non coperta da maggiori tasse, da aggiungere al deficit netto dell’anno successivo, è pari a 57,22 milioni di euro. Dall’esito del Tavolo Adduce di ottobre, invece, tale perdita ammonterebbe a 41,8 milioni. La differenza è di 15,42 milioni di euro.
Sempre in base ai dati dell’ultimo rapporto sul monitoraggio della spesa sanitaria, in riferimento al IV trimestre 2019 la Calabria registra un disavanzo certificato di 116,7 milioni di euro che rappresentano il 10% del disavanzo sanitario italiano (1,1 miliardi di euro circa). Tale valore – come già rilevato – differisce di oltre 100 milioni di euro rispetto al dato esposto dal DG Urbani a novembre 2020. Tale differenza sarebbe ascrivibile all’esposizione nel bilancio di esercizio del 2019 dell’Azienda ospedaliera “Mater Domini” di Catanzaro di una perdita di esercizio di 101,78 milioni di euro.
Nonostante il grande clamore mediatico, prevalentemente determinato dalle dichiarazioni pubbliche dei principali attori coinvolti nella gestione della sanità regionale, la Calabria non è l’unica regione a registrare un deficit nei conti della Sanità.
Le regioni che, in base ai dati del IV trimestre 2019 (Fonte MEF), presentano un elevato disavanzo corrente sono la Provincia autonoma di Bolzano (-264 milioni), la Sardegna (-206,6 milioni), la Provincia autonoma di Trento (-184,4 milioni) e il Friuli-Venezia Giulia (-143,3 milioni). Il deficit di queste 4 regioni (tutte a statuto speciale) contabilizza circa il 72% dell’intero deficit sanitario nazionale.
Nel 2010, anno in cui è iniziato il commissariamento della sanità in Calabria, la regione aveva un disavanzo di 187,5 milioni di euro che, fino al 2013, è tendenzialmente migliorato, passando da 110,4 milioni nel 2011 a 70,7 nel 2012, fino a 33,9 milioni di disavanzo nel 2013. Dal 2014, invece, il trend è nuovamente peggiorato e il disavanzo è salito a 65.7 milioni nel 2014, per poi scendere a 58.5 nel 2015 e risalire rapidamente: 99,4 nel 2016, 101,5 nel 2017 fino a raggiungere il picco di 213,3 milioni di deficit nel 2018. Quest’ultimo disavanzo è stato parzialmente coperto tramite il conferimento delle aliquote fiscali preordinate dal Piano di rientro per oltre 98 milioni di euro, dagli oneri della quota sociale (8,6 milioni di euro) e da ulteriori coperture di 48,76 milioni di euro derivanti dall’innalzamento delle aliquote “addizionali” Irpef e Irap. La quota non coperta, 57,22 milioni di euro alimenterà il disavanzo netto del 2019 (Fonte MEF).
Diversamente dalla Calabria, la Regione Lazio – che partiva da una situazione ancora più drammatica – è uscito dal Commissariamento nel 2020 chiudendo il IV trimestre con un residuo positivo di 55.6 milioni di euro, a fronte di un disavanzo lordo di oltre 770 milioni del 2011.
Ad oggi, pertanto, non è ancora chiaro e definitivo l’ammontare del disavanzo della sanità regionale in Calabria registrato nel 2019. Il prossimo commissario ad acta della Sanità calabrese potrebbe trovarsi a gestire un deficit che oscilla (al netto di ulteriori disavanzi che potrebbero emergere dai bilanci delle ASP ed in particolare dal bilancio dell’ASP di Reggio Calabria) tra i 160 e i 175 milioni di euro che andrà sommato algebricamente al risultato della gestione del servizio sanitario dell’anno 2020.
[Courtesy OpenCalabria]
La storia infinita della sanità calabrese: ne parla il medico-manager Rubens Curia
di GIUSEPPE SPINELLI – Rubens Curia portavoce della Comunità Competente, abbiamo la Calabria nel cuore come i tanti conterranei nel mondo Anche i calabresi in Italia e all’estero devono conoscere il perché di questo stato di cose, la Calabria deve reagire, bisogna essere tutti uniti. Alla base di questa intervista la volontà d’informare chi attualmente non trova spiegazioni. Ci sono momenti che non si può “palleggiare” la responsabilità, la storia della Sanità calabrese e la sua crisi perenne hanno nomi e cognomi.
Ne parliamo con il dott. Rubens Curia, medico in pensione, ex dirigente in Calabria e a livello nazionale nell’ambito sanitario. La sua lunga carriera lo ha fatto diventare punto di riferimento e portavoce di Comunità Competente, organizzazione composta da 34 associazioni, Sindacati, Fondazioni, singoli cittadini e imprenditori, i quali in questa delicatissima fase sono vicini alle Istituzioni calabresi.
Tenteremo di tracciare la storia e i motivi di questa lunga agonia, la Sanità calabrese ha bisogno di iniziare un percorso “sano”, senza dimenticare il passato, oggi si parte da questo.
– Dott. Rubens Curia, perché la Calabria si trova in questa drammatica situazione? Ii calabresi in Italia e nel mondo, soffrono a vedere la propria terra succube di questa sventura, vogliono capirne le ragioni. Perché siamo arrivati fino a questo punto?
«Posso assicurare che sono arrabbiato anch’io e tutte le persone che mi onoro di rappresentare.
Partiamo dall’inizio, la Calabria inizia il suo percorso di commissariamento il 17 dicembre del 2009, a breve facciamo l’undicesimo compleanno.
Quando siamo entrati nel piano di rientro avevamo solo per l’anno 2009, un deficit di 253 milioni di euro, perché il debito pregresso non si conosceva (un pozzo di S.Patrizio). Successivamente venne fuori, si parla di oltre 2 miliardi di euro debito che la Calabria avrebbe.
Quindi partendo dal 2009 con i 253 milioni di euro e andiamo a leggere il verbale Adduce (commissione tra il Ministero dell’Economia e il Ministero della Salute che ogni sei mesi esamina i nostri dati), noi nel 2019 abbiamo fatto debito pari a 225 milioni di euro. Da questo si capisce benissimo che in 11 anni alla fine abbiamo risparmiato 28 milioni di euro di debito annuale.
Tutto questo lo abbiamo pagato nel 2019, con 320 milioni di euro di mobilità passiva (dato che indica il 21% dei ricoveri che i calabresi fanno fuori dalla propria terra). Significa che le famiglie calabresi per spostarsi hanno dovuto rimetterci in: biglietti aerei, treni, soggiorni e spese varie per andarsi a curare fuori regione, oltre all’aumento di ulteriori tasse che si chiamano Irap e Irpef. In questo la Calabria è la prima regione d’Italia».
– Cosa possiamo ricavare da questi dati, esiste un risparmio reale oppure mi lasci passare il termine, è solo di facciata?
«Le rispondo in questi termini, il Ministero dell’Economia ha applicato una ricetta che chiunque poteva applicare. Praticamente hanno deciso di fare il blocco del turnover bloccando le assunzioni, in 11 anni abbiamo perduto 4.000 unite del personale specializzato, perché andati in pensione.
Le faccio un esempio; nel 2019 l’Azienda Sanitaria di Cosenza ha avuto un “risparmio” di personale di 4.700.000 euro. Questo significa che sono andati in pensione altre 147 persone e non sostituite, questa è la forma che qualcuno ha attuato per risparmiare nella sanità calabrese.
In sintesi, come se piovesse sul bagnato, a una struttura già con tante criticità praticamente hanno tolto la fonte vitale.
Questo è quello che hanno fatto il Ministero dell’Economia e il Ministero della Salute, hanno dato l’ulteriore colpo di grazia a un sistema già drammaticamente al tracollo.
A tutto questo aggiunga che ogni anno tutte le regioni sono esaminate tramite una pagella che si chiama LEA (Livelli essenziali di Assistenza). Hanno esaminato il 2019, proprio in questi giorni è arrivato il verbale, immaginate un po’? Siamo stati bocciati perché abbiamo sommato 132, una vera e propria pagella scolastica, per essere promossi bisogna raggiungere 160 punti.
Tengo a precisare che questi LEA non sono fattori burocratici, ma sangue e lacrime dei calabresi, per essere più chiaro le faccio degli esempi: quando una persona ultrasessantacinquenne si frattura il collo del femore, entro 48 ore deve essere operata, noi in Calabria non garantiamo questo livello di assistenza, superiamo la procedura con punte di 4 giorni in su. Immagini la persona che rimane con la gamba per aria per tutto questo tempo in attesa di essere operata.
Secondo lei perché questo si verifica? È evidente, non assumendo ortopedici e anestesisti, non ci sono i tempi per poter operare nei tempi prestabiliti.
Come vede è una burocrazia pazza, in pratica esiste una volontà strana, come se la mano destra non sa quello che fa la mano sinistra… io non ti faccio assumere il personale ma nello stesso tempo tu non mi operi le persone».
– Dott. Curia è stato chiarissimo. ora in sintesi ci spieghi l’antitesi del “Peccato Originale”.
«Nel 2009, anno del Commissariamento, la responsabilità era tutta della classe politica della Calabria, parlo di tutti dalla destra, centro e sinistra, tutti responsabili.
Con il piano di rientro la responsabilità è da condividere tra chi governa la Regione Calabria e il Commissario ad Acta, nominato dal Governo centrale in una certa fase. Tenga conto di un fatto, cioè che il Commissario e sub commissario venivano nominati dal Governo centrale, mentre i Direttori Generali delle Aziende sanitarie erano nominati della Giunta Regionale.
Quindi il Commissario aveva un compito, quello di programmare e verificare che le attività venissero svolte, ma a sua volta la gestione era dei Direttori Generali o Commissari delle Aziende Sanitarie Ospedaliere che venivano nominati da parte del Presidente della Giunta Regionale.
Questo si è verificato fino al 2018, successivamente nel 2019 con il Decreto Calabria la famosa Legge n. 60. A questo punto il Governo ha avocato a sè tutto. Cioè, i Commissari non venivano nominati dal Presidente della Giunta Regionale, ma venivano nominati direttamente dal Commissario del Governo tranne due, Catanzaro e Reggio Calabria, perché lì sono state sciolte per ‘ndrangheta e quindi per queste nomine ha provveduto il Ministero dell’Interno.
È evidente che noi abbiamo una corresponsabilità fino a una certa fase (2018), successivamente, parliamo del 2019 e del 2020, sono da addebitare tutte al Governo centrale, perché lui ha nominato il Commissario Cotticelli e lo stesso a sua volta ha nominato i Commissari delle Aziende Sanitarie Ospedaliere.
– Dott. Curia da questo momento grazie a lei, riusciremo a capire il capo di questa “matassa” intorno a questa vicenda.
Che cosa propone Comunità Competente per uscire da questo stallo?
«Partiamo da una certezza, la Sanità è bipartisan, non ha né colori politici né religioni.
Noi da subito abbiamo presentato una proposta. Con due incontri ci siamo visti con il Commissario Cotticelli, ad agosto e ottobre del 2019, abbiamo incontrato il Capo di Gabinetto del Ministro Speranza il 7 febbraio del 2019 e poi il 7 luglio del 2019 a Roma abbiamo incontrato il Vice Ministro Sileri, il quale il 20 Agosto è venuto a Lamezia Terme dove insieme abbiamo tenuto una video conferenza, molto seguita con oltre 6000 contatti.
Questo programma era suffragato da 5000 firme, raccolte in otto giorni e da 120 firme di sindaci bipartisan.
Nella proposta chiedevamo: in primo luogo che si potenziasse la medicina territoriale, in pratica che si attuassero tutte quelle procedure rivolte ai dottori di medicina generale, per mantenere aperte tutte quelle strutture per 12 ore in alcune zone, e 24 ore in altre insieme al medico di continuità assistenziale (Guardia Medica), specialmente pedemontane o di aree interne, di cui la Calabria è piena.
Questo argomento non era qualcosa che ci inventavamo, già il Decreto Balduzzi convertito in Legge 8 novembre 2012 N.189, prevedeva che le regioni facessero questo, però nessuno attivò questa importante Legge.
Il concetto naturalmente si trasferiva anche ad aree più grandi oltre che ai piccoli comuni, proprio per creare un filtro alle Aziende Ospedaliere. Il cittadino sapendo che nel paese vicino c’era un ambulatorio sempre aperto, naturalmente con turnazione di medici sulle 24 ore, non si recava in Ospedale, diventando così importanti punti di riferimento sul territorio.
A proposito di ciò ora le do una buona notizia, in data 17 novembre – quindi freschissima novità – grazie alle pressioni dei sindacati medici del territorio di tutte le sigle, finalmente presso il Dipartimento Tutela della Salute è stato finanziato questo accordo che prevede le AFT, le quali permettono questi ambulatori di 12 ore e di 24 ore, successo molto importante.
Firmato l’Accordo con i medici di medicina generale (MMG) per effettuare i tamponi antigenici è necessario che l’ASP (Azienda sanitaria provinciale) d’intesa con l’Amministrazione Comunale mettano a disposizione dei locali dove fare il tampone.
Bisogna fare presto, tenuto conto dell’andamento della pandemia.
Come Comunità Competente seguiremo le Aziende Sanitarie che attuino queste strutture funzionali già esistenti sul territorio, come ambulatori pubblici, ospedali dismessi, essi diventerebbero UCCP (unità complesse di cure primarie) i quali avrebbero funzioni molto importanti di coordinamento e raccordo con i comuni.
Voglio dire un’altra cosa, quando nel 2010 sono state finanziate le case della salute praticamente gli ex ospedali, strutture che dovevano servire al territorio, questi fondi l’Unione Europea a noi li ha dati. Il paradosso è che non sono stati mai utilizzati e sono ritornati indietro alla stessa Unione Europea.
Complessivamente erano stati erogati 126 milioni di euro, attualmente sono rimasti 49 milioni.
Da queste cose si nota la poca attenzione anche da parte di chi dovrebbe stare attento a queste opportunità, non basta solo indignarsi serve anche proporre.
Diciamo anche un’altra questione legata al modo di operare in Calabria, da una parte fa debiti e dall’altra non riesce a spendere, forse per mancanza di capacità professionale.
La Regione in 20 anni dallo Stato ha avuto 1.611.000.000 euro, per costruire nuovi ospedali, per ristrutturare i vecchi ospedali, per costruire Case della Salute, per costruire gli Hospice».
– Dott. Curia, ma non è il tempo che Governo centrale e Governo Regionale invitino intorno a un tavolo Comunità Competente?
«Io sono il loro portavoce, dire che so tutto sarebbe come se parlasse un “trombone”, la situazione necessita di un lavoro di squadra. All’interno della nostra organizzazione abbiamo in ogni ambito uomini e donne capaci, dal momento in cui siamo nati abbiamo sempre detto che le nostre competenze sono a disposizione della nostra terra. Noi dobbiamo creare le condizioni che i nostri giovani rimangano in Calabria, quanti di essi medici, infermieri sono lontani per lavoro quando qui mancano.
Negli ultimi tempi, ha nuociuto molto lo scontro che c’è stato tra Oliverio e il Governo di allora, tra la Giunta regionale e l’attuale Governo.
È necessario che si ragioni tutti insieme, la Calabria non può più aspettare, io personalmente sono ottimista e pessimista al 50%. Pessimista perché la Calabria ha un debito che cresce incredibilmente, la Corte dei Conti quando parlava del 2018 ha detto che noi avevamo solo come interessi per i debiti, pagavamo 48 milioni di euro, l’anno tra interessi, interessi di mora e legali, immagini lei quante tac, risonanze e strutture si potevano fare».
– Dott. Curia come sono i rapporti della Comunità Competente con l’attuale Giunta Regionale?
«Noi come Comunità Competente abbiamo chiesto a tutti di essere ricevuti per portare il nostro programma che loro già avevano. Con l’attuale amministrazione forse per impegni vari non c’è stato il tempo, causa problematiche varie tra queste anche l’ultima campagna elettorale, non si pensava neanche che la Presidente Santelli avesse questo tragico passaggio.
Noi quando parliamo di Sanità, parliamo di cure domiciliari, di screening oncologici che non vengono effettuati, parliamo dell’organizzazione della Sanità in Calabria.
Invece il mio ottimismo viene da un fatto nuovo, quando noi abbiamo deciso insieme al gruppo di Giacomo Panizza, Progetto Sud e ad altri, abbiamo deciso di mettere in piedi il 1 luglio 2019 Comunità Competente a Lamezia Terme. Da allora si è creato intorno a questa esperienza un effetto a valanga, la palla di neve che parte e diventa sempre più grande.
Tante associazioni, organizzazioni in ogni ambito e tanta gente comune hanno creduto in questo progetto, da qui nasce il mio ottimismo. Noi crediamo molto in quello che facciamo, la nostra disponibilità nasce dalla conoscenza del territorio e dall’amore che sentiamo per questa terra, un appello lo faccio anche ai calabresi, a tutte le persone competenti in materia sanitaria e a tutta la politica, stringiamoci tutti insieme per risolvere questo dramma nel dramma, la Sanità è di tutti, noi ci siamo». (gsp)
CONTE HA ACCOLTO I SINDACI CALABRESI
FORSE QUESTA VOLTA QUALCOSA CAMBIA
di SANTO STRATI – Quasi due ore di colloquio, cordiale e affabile – riferisce la delegazione dei sindaci accolta a Palazzo Chigi dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte –. Forse qualcosa sta cambiando, forse è la volta buona che il Governo muta l’atteggiamento un po’ arrogante e supponente con cui fino a oggi ha affrontato le criticità della Calabria. È un segnale da cogliere, questo, forse la ritrovata coscienza dell’Esecutivo che s’è fatto troppo poco per i calabresi e, dopo le figure da cioccolataio con la nomina dei commissari a scadenza immediata, è maturata la convinzione che non si può più scherzare. I calabresi hanno perso il senso dell’umorismo e non hanno alcuna intenzione di stare a guardare e lasciar fare chi decide sulla loro testa.
Era la giornata dei sindaci, un tiepido giovedì di novembre, con più di 150 (su 400) sindaci giunti da ogni parte della Calabria per manifestare contro il Governo: si aspettava l’en-plein, ma il Covid ha scoraggiato o impedito una partecipazione massiccia. Poco male, la rappresentanza era assortita, trasversale, sì da far capire che in questo momento non c’è la destra, la sinistra, il centro: ci sono i calabresi che esigono risposte. Soluzioni serie e rapide che il premier Conte s’è impegnato a trovare subito.
All’uscita da Palazzo Chigi, le facce di Maria Limardo (la sindaca di Vibo) di Giuseppe Falcomatà (Reggio), di Mario Occhiuto (Cosenza), Sergio Abramo (Catanzaro) e Flavio Stasi (Corigliano Rossano) con quella del capodelegazione Anci Calabria Francesco Candia (sindaco di Stignano) erano serene e per niente tese. Avrebbe dovuto esserci il sindaco di Crotone, Vincenzo Voce, all’incontro istituzionale, ma è rimasto bloccato perché ancora in quarantena. Al suo posto il giovane sindaco di Corigliano-Rossano che ha mostrato di avere le idee molto chiare, soprattutto a proposito dell’azzeramento del debito della sanità.
Conte ha voluto ascoltare le ragioni e le motivazioni di tutti, ha preso appunti, ha rassicurato e ha quasi convinto la delegazione che è uscita soddisfatta. “Quasi” convinta perché – è legittimo, visti i precedenti – avere un minimo di dubbio. C’era anche il ministro della Salute Roberto Speranza all’incontro, ma non è rimasto fino alla fine: di commissari non si è parlato se non a proposito della necessità di individuare e formare una squadra di eccellenze del territorio in grado di avviare un serio processo di rinnovamento della sanità calabrese. Missione impossibile, per chiunque, se non si cancella il debito e si riparte da zero: è una sorta di risarcimento che il Governo deve alla Calabria per i guasti causati dagli uomini scelti a gestire in nome dello Stato la salute dei calabresi. Troppi danni, tagli indiscriminati, chiusure di ospedali, servizi essenziali sospesi o eliminati in barba alle reali esigenze di cura dei calabresi, costretti a recarsi fuori regione anche per un’unghia incarnita (riferisce amareggiata qualche fonte medica). Un “turismo” sanitario che costa alla Calabria oltre 300 milioni e se si considera che i debiti della sanità sono poco più di 200 milioni se si riportassero le prestazioni in Calabria ci sarebbe persino la possibilità di sanare il disavanzo. Un deficit che il nuovo decreto Sanità che dovrà essere convertito in legge (e che si sta rivelando micidiale per i calabresi) prevede di coprire con 60 milioni aggiuntivi l’anno per tre anni. Ma se si deve continuare a pagare i debiti, si devono accantonare somme per il cosiddetto rientro, come si può investire in assunzioni di medici, specialisti, infermieri, paramedici, tecnici e attrezzature di nuova generazione? Bella domanda, facile la risposta: se ci sono debiti da saldare, i nuovi investimenti possono aspettare con buona pace dei calabresi.
Ora si tratta di vedere cosa succederà nei prossimi giorni: c’è una vacatio politica provocata dalla drammatica scomparsa della presidente Jole, ma c’è anche un vuoto clamoroso nella sanità, visto che il nuovo decreto il 3 novembre scorso ha azzerato tutte le nomine e cancellato tutti gli incarichi preesistenti. Serve dunque rapidamente una guida, possibilmente con competenze scientifiche e buona conoscenza di amministrazione, non il contrario. In Calabria ci sono ottimi professionisti, eccellenze sia in campo medico-scientifico sia in quello amministrativo e la conoscenza del territorio – pare evidente – è un requisito essenziale per chiunque sarà incaricato di risolvere la critica (ma sarebbe meglio dire drammatica) situazione calabrese. Non sarà un atto di nascita con origini locali certificate a garantire la bontà di un manager se poi manca la conoscenza del territorio. E allo stesso tempo non ci può essere solo il manager che taglia e spende se non conosce le dinamiche della sanità, a maggior ragione in questo terribile momento di pandemia. Ma c’era ottimismo sui volti dei sei sindaci che uscivano da Palazzo Chigi: ci piacerebbe condividerlo presto. (s)
AZZERAMENTO DEL DEBITO DELLA SANITÀ
OGGI A ROMA I 400 SINDACI DI CALABRIA
di SANTO STRATI – A memoria, sembra sia la prima volta che tutti i sindaci di un’intera regione si trovino a manifestare tutti insieme, indipendentemente dall’appartenenza politica, davanti a Palazzo Chigi. I 400 sindaci calabresi che con ogni mezzo sono arrivati a Roma, hanno ben chiaro cosa vogliono dal Governo: intendono rappresentare «l’allarme crescente che si coglie nelle popolazioni dei comuni calabresi» di fronte al disastro sanità in cui la regione sta sprofondando ogni giorno di più. Il nuovo decreto Calabria – che proroga con qualche discutibile correttivo il precedente obbrobrio varato dal Conte 1 – è una nuova sciagura per la Calabria e i calabresi. Si ribadisce il commissariamento (anche se trovare un commissario sta diventando una corsa a ostacoli), e si sottrae ancora una volta la gestione della sanità ai calabresi.
Chi ha provocato i guasti della sanità calabrese? Al di là delle responsabilità penali su cui dovrà indagare la magistratura, c’è un responsabile istituzionale dello sfascio: il Governo. A fine luglio 2010 veniva cancellata la figura dell’assessore regionale alla Sanità e la responsabilità veniva acquisita dal Governo che avviava il commissariamento affidandolo al presidente della Regione Giuseppe Scopelliti. Il ministro delle Finanze dell’epoca era Giulio Tremonti, in carica c’era il Governo Berlusconi IV, il sessantesimo dalla nascita della Repubblica, e sarebbe rimasto in sella fino al 16 novembre 2011. Il commissariamento – secondo Tremonti – «doveva gestire il settore – affiancato dalla Guardia di Finanza – per sancire il ritorno dello Stato». I risultati sono noti, fino agli ultimi disastri firmati Cotticelli. La responsabilità è decisamente di chi ha scelto i vari commissari per sanare il deficit e non ha controllato cosa si stesse facendo: sempre il Governo.
Per questa ragione, già solo a titolo di risarcimento, il Governo dovrebbe azzerare il debito della sanità calabrese e permettere alla regione di ricominciare da zero. E ci sono le condizioni, vista l’ “elasticità” finanziaria concessa agli Stati per l’emergenza Covid, perché si possa davvero pensare ad azzerare tutto. Già, perché questa è una conditio sine qua non contro la quale neanche il più brillante mago della finanza riuscirà mai, nelle vesti di commissario dai super poteri (come indicato dal decreto Sanità che attende di essere convertito in legge), a risanare i conti. È molto evidente: non si sa quanti sono i debiti, chi sono i creditori, chi s’è fatto pagare tre volte la stessa fattura e chi è fallito per i mancati pagamenti di forniture reali: non esistono documenti contabili da anni, sembra fosse in uso la pratica della contabilità “orale”, una cosa che se per scherzo prova a praticare qualsiasi imprenditore finisce in galera e buttano via la chiave. Invece, l’allegra contabilità della sanità calabrese non è mai stata controllata dai vari commissari che, a loro volta, non sono stati controllati da chi li ha nominati. Un pasticciaccio brutto (Gadda non c’entra, purtroppo, almeno avremmo buona letteratura) che ormai ha scatenato un irreversibile processo di indignazione popolare. Quella che andranno oggi pomeriggio a rappresentare al presidente Conte i sindaci dei cinque capoluoghi (Giuseppe Falcomatà, Maria Limardo, Sergio Abramo, Vincenzo Voce e Mario Occhiuto) accompagnati dal vicepresidente vicario di Anci Calabria Franco Candia a nome delle 400 fasce tricolori che occuperanno simbolicamente Piazza Colonna in un sit-in statico, che avrebbe meritato anche l’attenzione del Presidente Mattarella.
I calabresi non ne possono più, non vogliono sentir più parlare di colonizzazione (commissari scelti dall’altro, senza consultazione né confronto col territorio), ma, soprattutto, non accettano di passare per cittadini di serie b, in particolar modo nell’ambito della salute. Un emiliano ha 90 euro per curarsi contro i 15 di un calabrese: come la vogliamo chiamare? Disuguaglianza, disparità o inammissibile vergogna? Lasciamo la scelta ai nostri governanti.
E meno male che dal cappello a cilindro il presidente Conte ieri sera non ha estratto il nome del quarto commissario destinato a occuparsi della sanità calabrese: visto che oggi pomeriggio incontra i sindaci, provi a trovare una soluzione condivisa, com’è giusto che sia. Visto che, data l’emergenza, un commissario responsabile della sanità serve con estrema urgenza, nel vuoto politico che s’è creato nella Regione. Il Consiglio regionale è formalmente sciolto, la Giunta si può occupare solo di ordinaria amministrazione, ma intanto la gente soffre e muore. Serve un commissario capace e competente che abbia a disposizione una squadra locale di scienziati, ricercatori, tecnici, amministratori: tutte professionalità di cui la Calabria è ampiamente ricca. Non basta la competenza amministrativa, servono conoscenza medico-sanitaria e conoscenza del territorio. Diversamente sarà un’impresa che parte già con freno a mano tirato.
Sono arrivate le tende-ospedali – grazie – ma dove sono i medici, gli infermieri specializzati, i tecnici necessari a offrire l’assistenza che serve? Ci sono una decina di ospedali in disuso, abbandonati, pronti, ripristinabili quasi subito, e in Calabria che si fa? Si montano le tende. La precarietà è ormai una consuetudine della regione, ma l’orlo è colmo, siamo arrivati alla fine del viaggio. Il Governo, lo Stato non può ignorare, trascurare, dimenticare la Calabria e i calabresi.
L’Associazione dei Comuni Italiani (Anci) Calabria l’11 novembre ha votato un documento già trasmesso a Palazzo Chigi con cui indica le priorità da raggiungere. Cinque punti con i quali si mettono in evidenza le seguenti necessità: superare la fase di commissariamento nella sanità calabrese; abbattere e ripianare il debito storico provocato dalle stagioni commissariali; potenziare il personale sanitario superando i vincoli imposti dal precedente decreto Calabria scaduto il 3 novembre; attivare il Piano Covid con allestimento di posti letto di terapia intensiva e subintensiva (con assunzione di medici e paramedici) e acquisto della strumentazione necessaria; coinvolgere i sindaci nelle Conferenze sanitarie regionali.
Può sembrare tanto, ma è piccola cosa rispetto ai danni provocati. Ma non si pensi che la mobilitazione dei 400 primi cittadini finirà oggi pomeriggio con un prevedibile “volemose bene” da parte del Governo. I calabresi non vogliono cortesie, ma esigono di essere rispettati e che siano rispettati i loro diritti di italiani, a cominciare dal diritto alla salute. Lo tenga ben presente il premier Conte, con la Calabria si gioca la sua futura carriera politica: il Governo non può cadere, data l’emergenza, e non ci sono alternative, ma il tempo scorre in fretta e le legittime ambizioni politiche di “Giuseppi” dovranno fare i conti con le azioni e le scelte di oggi.
Chieda ai sindaci, Presidente Conte, come si può uscire dal baratro della sanità calabrese e quante risorse umane di altissimo livello ci sono in Calabria pronte a mettersi in gioco con l’orgoglio di fare qualcosa di buono per la propria terra. Quel qualcosa che molti nostri giovani laureati, ricercatori, professionisti sono stati costretti a donare, arricchendoli, ad altri Paesi, per assenza di opportunità nella terra che li ha visti nascere. Perché noi calabresi abbiamo una marcia in più e basta guardarsi in giro, in ogni parte del pianeta: la Calabria è nel mondo, con fior di scienziati, uomini e donne delle istituzioni, professionisti e imprenditori che danno lustro alla propria terra lontana e soffrono a vedere com’è ridotta. La Calabria ha bisogno di ripartire, cominciando proprio dalla sanità. (s)
In copertina: i 97 sindaci della Città Metropolitana di Reggio Calabria davanti alla Prefettura qualche settimana fa (foto di Attilio Morabito, courtesy Comune di Reggio)
CAOS SANITÀ CALABRIA, GAUDIO RINUNCIA
HA PREVALSO LA “MACCHINA DEL FANGO”
di SANTO STRATI – Se non fosse drammatica e grottesca la situazione del commissario della sanità che dura un giorno, ci sarebbe persino da sorridere. E invece la Calabria piange, i calabresi si guardano smarriti e sbigottiti di fronte a una situazione che neanche il genio del teatro dell’assurdo come Ionesco avrebbe mai potuto immaginare. Senza guida politica, senza guida sanitaria e con livelli di contagio che crescono inesorabilmente. Siamo al caos politico, amministrativo, sanitario e non ci sono soluzioni. Funziona, invece, la macchina del fango, quella che ha portato alla quasi immediata rinuncia del commissario Eugenio Gaudio: l’ex Rettore della Sapienza aveva espresso qualche settimana fa (prima che venisse varato il nuovo decreto Calabria) la propria disponibilità a collaborare insieme con il Rettore dell’Università Magna Graecia Giovambattista De Sarro, al cardiologo Franco Romeo, al farmacologo Giuseppe Nisticò e altre eccellenze della sanità di origine calabrese, per aiutare la propria terra. Una squadra di tecnici (a zero costi) per affrontare in modo serio le criticità della sanità calabrese e affiancare un commissario in grado di sfruttare a pieno queste risorse aggiuntive di straordinaria competenza.
Poi è arrivato il decreto Calabria, una brutta copia di quello precedente che era stato portato in trionfo a maggio dell’anno scorso dai Cinque Stelle (in prima fila c’era l’ex ministra della Salute Giulia Grillo) per poi essere disprezzato per gli evidenti danni che ha provocato ai calabresi. E il governo ha, di fatto, prorogato il vecchio decreto, aggiungendo risorse finanziarie (per il personale, 25 amministrativi in più per la gestione, non per migliorare i servizi e assumere il personale sanitario necessario). E dopo il decreto è scoppiato il caso Zuccatelli, costretto dal partito (LeU) a rinunciare all’incarico per salvare la faccia al ministro Speranza che lo aveva indicato senza la minima incertezza. E quindi, ieri all’ora di pranzo, la designazione di Gaudio: uno scienziato, ex Rettore della Sapienza, con grandi competenze anche amministrative (sotto di lui la Sapienza è cresciuta nei conti e nelle iscrizioni). In più, persino calabrese, innamorato da sempre della sua terra. Bene, appena si è sparsa la notizia della designazione che spiazzava i desiderata di Nicola Morra, il presidente grillino della Commissione Antimafia, paladino della nomina di Gino Strada, si è scatenata la macchina del fango. Ma è un “indagato”! È stato un tam tam vergognoso, fango mediatico per cui i giornali nazionali, i tg, le testate online – salvo qualche piccola eccezione in cui rientra orgogliosamente Calabria.Live – non hanno parlato delle competenze scientifiche, dei meriti amministrativi, delle oltre 500 pubblicazioni, delle capacità e dell’apprezzamento internazionale che circonda la sua figura. No, hanno parlato solo dell’indagine catanese che lo riguardava (e che, pare, sia stata proprio oggi archiviata). “Evviva il nuovo commissario, ma è indagato!”. Non rinviato a giudizio – badate bene – né condannato, bensì coinvolto in un’indagine su concorsi universitari dove non era nemmeno tra gli esaminatori. Un sistematico processo di delegittimazione amplificato dai media senza alcuna vergogna: ma siamo sicuri di vivere in un Paese civile?
Il metodo Boffo dice qualcosa? Delegittimare una persona perbene per mezzo dei media e dei social è diventato uno sport nazionale e l’obiettivo è facilmente raggiungibile grazie anche a meccanismi perversi della comunicazione digitale. Il tam tam negativo prende subito piede: non importa se la persona indicata da Palazzo Chigi, una volta tanto, appare la persona giusta nel posto giusto, non importa che ci siano competenze e capacità, no è rilevante che sia “indagato” per cui “indegno” della nomina.
E una persona perbene che fa? Se prima ancora di aver detto una sillaba è sommerso dal fango mediatico che – appare chiaro – è solo l’inizio, che fa? Rinuncia, con la scusa dell’improbabile crisi familiare (“mia moglie non vuole trasferirsi a Catanzaro”) su cui nessuno può dire nulla e torna alle sue ricerche, al suo lavoro scientifico, al suo amato pianoforte, con l’amarezza di non aver potuto fare nulla di quanto si riprometteva a favore della Calabria e dei calabresi. L’amarezza è una brutta consigliera, soprattutto se non si hanno naturali doti di combattente: Eugenio Gaudio è una persona mite, squisita, garbata, troppo lontano dai giochi della politica per tirar fuori le unghie e combattere contro le infamie e gli spregiudicati attacchi mediatici. No, preferisce ritirarsi, con una modesta quanto risibile motivazione di sapore coniugale, anche se in fondo la delusione della rinuncia deve pesargli non poco. Amarezza accentuata ieri sera dalle dichiarazioni di Gino Strada sul suo profilo facebook: «non esiste alcun tandem con Gaudio». Una scorrettezza imperdonabile tipica di chi è abituato a gestire il potere da solo.
Ma il paladino Gino Strada (nobilissimo e apprezzabile il suo impegno speso in mezzo mondo a favore dei diseredati privi di assistenza medica) forse non aveva nemmeno voglia di fare il commissario in Calabria. Ci sono state delle telefonate con Palazzo Chigi, nulla di più – confesserà – ma non ho avuto alcuna proposta. E soprattutto nessuno gli ha spiegato il tipo di impegno richiesto. A tarda sera è trapelata una possibile intesa di collaborazione tra Protezione Civile ed Emergency, ma che c’azzecca col i guasti della sanità calabrese?
Per i Cinque Stelle era il nome/marchio di qualità per imbastire una nuova campagna di immagine per cercare di ridare un po’ di smalto al Movimento (missione impossibile, visto che continuano a litigare tra di loro), ma nulla di più. In realtà, non serve un Gino Strada alla Calabria, serve un manager con competenze scientifiche che abbia, prima di tutto capacità e voglia di rivoltare come un calzino la scassatissima amministrazione della sanità calabrese.
E non siamo i soli a pensarla così. Proprio ieri sera (martedì) da Lilli Gruber il procuratore Capo di Catanzaro Nicola Gratteri ha demolito in due battute il “capriccio” pentastellato di nominare Gino Strada. «Non serve alla Calabria – ha detto Gratteri –. Non servono ospedali da campo, ci sono 18 ospedali inutilizzati. Non siamo in Africa o in Afghanistan, serve competenza amministrativa». Serve dire basta alle ruberie, non montare ospedali da campo. E ci sono – ha detto Gratteri – fior di professionisti calabresi sparsi per il mondo: serve un calabrese emigrato per fame o perché ha rifiutato di partecipare a concorsi truccati, magari figlio di falegnami o contadini, che è andato a studiare al Nord e s’è costruito una carriera ammirevole e pulita. «Il nome ce l’ho – ha dichiarato alla Gruber – ma non lo lo dirò mai».
E il ministro Speranza, sempre meno rappresentativo del cognome che porta, sempre in tv ha difeso Zuccatelli, e ha tessuto elogi sul decreto Sanità che per la Calabria permetterà di cambiare tutto (film già visto, ministro). Ma ha detto che sulla nomina del commissario – da individuare e scegliere subito – non vuole metterci il naso. I calabresi, caro ministro, non ci credono più. Hanno avuto, per un istante, la sensazione di avere vinto una battaglia di civiltà (con la nomina dell’eccellente calabrese Gaudio) per scoprire subito dopo che probabilmente perderanno la guerra. Ma non siamo così pessimisti: i 400 sindaci di tutta la Calabria, dai capoluoghi ai minuscoli Comuni, che domani si ritroveranno a mezzogiorno a protestare davanti a Palazzo Chigi rappresentano la voglia di riscatto dei loro cittadini, il rifiuto dei calabresi di nuove e continue colonizzazioni, il bisogno di dire “adesso basta”.
Lo tenga a mente il presidente del Consiglio Conte. Lo tenga a mente anche il Presidente della Repubblica che invitiamo ancora una volta a dare domani un segno di attenzione a questi primi cittadini che vogliono una “carezza” del Capo dello Stato. Una “carezza” che è quella dell’Italia, una e sola, senza cittadini di serie a e serie b. Un’Italia che senza la Calabria e senza il Sud non può andare da nessuna parte. (s)
Giuseppe Nisticò: La sanità calabrese sfiora spesso l’eccellenza, va rilanciata la qualità
In un’intervista all’AGI (Agenzia Giornalistica Italia) il farmacologo calabrese Giuseppe Nisticò, uno scienziato di fama internazionale, già presidente della Regione Calabria, sottolinea la necessità di rilanciare la qualità della sanità calabrese che, molto spesso, arriva a sfiorare invidiabili livelli di eccellenza. «La sanità calabrese – afferma Nisticò – può essere risanata in un paio d’anni, a patto che sia affidata a persone competenti.
Ci sono delle priorità: Occorre – dice Nisticò – dare una risposta rapidissima e qualificata all’emergenza Covid che il precedente commissario non sapeva nemmeno cosa fosse. Fra sei mesi del coronavirus non sentiremo più parlare perché sarà debellato grazie alla scoperta degli anticorpi monoclonali e il vaccino è ormai prossimo. Occorre rilanciare la qualità della sanità calabrese. Da presidente misi a punto un piano che prevedeva la medicina territoriale e tre eliporti in grado di collegare rapidamente i centri periferici con i tre grandi ospedali della regione: quelli di Catanzaro, Cosenza e Reggio. La Calabria è carente di un polo oncologico, pur avendo un punto di forza nella ricerca in questo campo grazie all’università di Catanzaro. I calabresi devono emigrare a Roma o a Milano per le cure. È assurdo, perché il policlinico universitario di Catanzaro è un’eccellenza a livello sperimentale e clinico su alcune forme di cancro e leucemia, ma manca una rete di chirurghi specializzati che si può costituire in tempi rapidissimi dotando la Calabria di un istituto di oncologia ai livelli di quello di Milano. Risparmieremmo i soldi che la Regione spende ogni anno per rimborsare le cure a cui i calabresi si sottopongono in altre regioni e potremmo destinarle al reclutamento di personale specializzato».
La Calabria – rimarca il prof. Nisticò – non ha nulla da temere in termini di professionalità. L’Università di Catanzaro è stata inserita dall’Anvur fra gli atenei più qualificati del Sud, addirittura in graduatoria prima di quella di Napoli. La sua scuola di cardiologia è fra le migliori d’Italia, così come quella di pneumologia che ha formato il dottore Luigi Camporota che ha curato Boris Johnson dal Covid. Abbiamo oncologi che tutti ci invidiano ma che devono poter fare rete con chirurghi, radioterapisti ed altri oncologi. Non è impossibile risparmiare 200 milioni di euro all’anno. Ci vogliono persone competenti, è una missione possibile, servono persone serie e oneste. Ma bisogna fare attenzione «a non affiancargli sub commissari con interessi diversi. Il nuovo commissario dovrà stare molto attento anche alle infiltrazioni della ‘ndrangheta; dovrà avere collaboratori di primo piano che abbiano competenze cliniche e manageriali. C’è gente squalificata che non ha mai fatto niente di buono, ma anche gente di qualità. In due anni si può fare tutto questo, ma il Governo deve azzerare il debito della Calabria fornendole i soldi. La sanità non deve essere al servizio dei partiti ma dei cittadini. In una regione in cui esistono una facoltà di Medicina e due facoltà di Farmacia le competenze non mancano». (rrm)
Eugenio Gaudio rinuncia all’incarico: lo scoop di Repubblica
La Calabria di nuovo nel caos della sanità: il neo commissario Eugenio Gaudio ha annunciato, con un’intervista a Corrado Zunino a Repubblica, che rinuncia all’incarico, per ragioni personali e familiari. Gaudio ha dichiarato al giornalista «Mia moglie non ha intenzione di trasferirsi a Catanzaro. Un lavoro del genere va affrontato con il massimo impegno e non ho intenzione di aprire una crisi familiare».
Sembra incredibile, ma è un ragionamento che non offre il fianco ad alcuna critica. Di fronte a “motivi familiari” nessuno può dire nulla. Il sospetto, difficile da fugare, è, però, che l’opera di delegittimazione che è partita quasi contestualmente alla nomina abbia decisamente favorito una decisione che la moglie probilmente gradiva. Bisogna riconoscere che gran parte dei giornali nazionali e delle testate online ha accentuato un tono giustizialista fuori misura e davvero insensato: si è parlato più dell’inchiesta che lo ha sfiorato a Catania (e per la quale era semplicemente indagato – neanche rinviato a giudizio) che delle sue competenze scientifiche e delle sue capacità manageriali: l’università La Sapienza sotto la sua guida ha registrato un notevole balzo di qualità sia nei conti che nelle iscrizioni, a fronte di una crisi generalizzata che sta colpendo le università di tutto il mondo. Gaudio ha le competenze scientifiche e manageriali di cui la Calabria avrebbe avuto bisogno, ma la “macchina del fango”, dietro la quale non è difficile sospettare qualche manina grillina, ha distrutto il giocattolo prima ancora che venisse aperta la scatola che lo conteneva. Se l’obiettivo era delegittimare una persona perbene, uno scienziato e un manager della sanità che avrebbe fatto il bene della Calabria, è stato raggiunto in un baleno.
Ora non è solo la Calabria a chiedersi cosa accadrà. Gino Strada si prende la bici (visto che aveva respinto l’idea del tandem con Gaudio) e pedalerà da solo, con somma gioia del Presidente dell’Antimafia Nicola Morra e di un gruppetto di vispi grillini che ha fatto ferro e fuoco col Governo per imporre il fondatore di Emergency. Attenzione, la Calabria non è l’Afghanistan né il terzo mondo (senza offesa per alcun Paese in crisi), ma è Italia, fa parte dell’Italia e non vuole ospedali da campo e misure di estrema emergenza, ma una sanità che funzioni e che garantisca il diritto dei cittadini di curarsi a casa propria. Staremo a vedere. (s)







