di SANTO STRATI – Al di là della simpatia o antipatia che Matteo Salvini riesce a suscitare, dopo il viaggio di ieri in Calabria, riesce difficile capire come il centro-destra berlusconiano (in chiaro affanno) sia disposto a lasciar scegliere al leader della Lega il candidato a Presidente della Regione. Le tre anime della destra, quella sovranista di Giorgia Meloni che domani (sabato) sarà a Reggio, quella populista e reazionaria di Salvini, e quella proto-liberale di Silvio Berlusconi, sono in evidente conflitto permanente: da mesi girano intorno al nome da proporre agli elettori, sapendo di avere in mano buone carte per la probabile vittoria, e ogni volta, come se stessero giocando a Monòpoli, tornano al VIA senza pagare gabelle. Ignorando, però, che gli elettori di centrodestra sono sì arrabbiati col governo di Oliverio e la sua Giunta e vogliono cambiare, ma non accettano di sentirsi trattati da sudditi.
Salvini, col sorriso da incantatore di serpenti, è un gran simpatico e si fa forte dei sondaggi che indicano a favore del centro destra una percentuale superiore al 35%, tanto da poter dichiarare ai suoi numerosi fans che lo hanno seguito nelle tre tappe calabresi «chiunque sarà il candidato, vinciamo noi». Una dichiarazione improvvida, da non tenere in considerazione come la solita sbruffonata del capo leghista, bensì da valutare come l’ammissione di un disegno di colonizzazione neanche tanto mascherato. Con i suoi niet a Occhiuto (Mario prima, Roberto poi) e la facoltà di porre il veto a chiunque non vada bene (non tanto a lui, quanto ai fratelli coltelli della destra gentiliana) dimostra di essere l’unico a poter decidere sul candidato. Tanto – sostiene – non importa chi sarà l’uomo o la donna da proporre agli elettori, la vittoria è già sicura in ogni caso.
Non ha fatto i conti, Salvini, con il carattere dei calabresi. Mai rassegnati, mai indomiti, quietamente (in apparenza) pronti ad ascoltare le sirene del politico di turno che disegna scenari di favola e propone amministrazioni trasparenti, ma ugualmente rapidi a punire alla urne le aspettative di chi gioca sporco. La storia recente racconta ben diversamente l’esperienza leghista e non sono pochi quelli che non hanno dimenticato le farneticanti affermazioni razziste rivolte ai meridionali (calabresi inclusi). La Lega in Calabria sta giocando un brutto tiro agli elettori delusi (più o meno giustamente, a seconda dei punti di vista) dai CinqueStelle o da Oliverio: sta tentando di far passare l’idea che i partiti sono morti e occorre una rivoluzione copernicana per cambiare. Il concetto in sé ha molta verità, i calabresi non nascondono la grande, grandissima, voglia di cambiare, soprattutto in termini di azione, ma non tollerano più le prese in giro né tanto meno le sparate ad effetto. Fin ad oggi ci sono state sempre e solo le dichiarazioni prorompenti, le facili promesse, le assicurazioni dei politici (di ogni parte politica) che era giunto il momento di voltare pagina: peccato che, alle parole, quasi mai si sono visti i fatti. Basta il rapporto Svimez 2019 a svergognare i politici calabresi e rivelare la loro incapacità di attuare ciò che si era annunciato. Solo il dato della spesa dei fondi comunitari a disposizione (appena il 2% utilizzato) basterebbe ad autorizzare a mandare al diavolo chi ci ha amministrato negli ultimi vent’anni, senza alcuna esclusione. E qui s’insinua l’insidia di Salvini: un sorriso e un selfie e il capo della Lega pensa che i calabresi, boccoloni, sono pronti a dire sì a qualsiasi governo che rompa col passato. Parliamone.
La sensazione è che Forza Italia ha esaurito la sua forza propulsiva e non riesce più ad attrarre il ceto medio, gli elettori che guardano a destra senza estremismi e con ispirazione liberale ma non trovano accoglienza. Il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto aveva intuito questa esigenza di captare i sentimenti del popolo di centro destra e – occorre dire per onestà – presentatosi con largo anticipo sulla scena elettorale aveva predisposto un efficace quanto articolato programma di riforme. Progettualità e spirito costruttivo che sono stati vanificati dal capriccio di Salvini (e della destra contraria a Occhiuto). Quasi certamente correrà da solo, a sparigliare l’improbabile (nei fatti) alleanza dei tre leader di destra.
Giuseppe Nucera, ex capo degli industriali reggini, ha scelto un po’ tardi di proporsi, mutuando la politica del “fare” che gli insoddisfatti elettori calabresi chiedono a gran voce. Si ricordi che non hanno votato alle passate consultazioni regionali il 60% degli aventi diritto: Nucera ha predisposto un programma semplice, ma di indubbia efficacia: al centro di tutto il lavoro, che è la risposta che i calabresi attendono da anni, mentre vedono partire la meglio gioventù verso altri lidi dove c’è chi l’apprezza e offre grandi opportunità di crescita professionale. Il movimento di Nucera, La Calabria che vogliamo, esprime candidamente la speranza che è dura a morire nei calabresi, ma non ha trovato né a destra né a sinistra una spalla con cui costruire una coalizione di “rottura”.
Il geologo Carlo Tansi, altro “autonomo” in competizione, gioca la carta del Tesoro di Calabria con tre liste collegate: la sua esperienza alla Protezione civile regionale (finita in rissa con Oliverio) – crediamo – non basterà a convincere i delusi in cerca di cambiamento. Anche in questo caso il tempo gioca a suo sfavore: non ha avuto e non ha modo di percorrere il territorio in maniera adeguata per proporsi e convincere gli indecisi (che sono tantissimi).
Poi è arrivato Pippo Callipo. Anche qui con un tira e molla imbarazzante, prima con i CinqueStelle, poi col PD, infine con una dichiarazione di autonomia, pur col simbolo dei dem: Callipo non è l’uomo nuovo, ma chi ha detto che serve un “l’uomo nuovo” per dare uno scossone a questa martoriata e sfortunata (nelle scelte) terra? È un imprenditore e quindi sa cosa significa trattare con i lavoratori e i sindacati, sa cosa significa creare opportunità di lavoro, conosce i meccanismi della crescita, senza bisogno di fare complicati quanto irreali business plan. Ma anche lui è vittima di una guerra fratricida tra ex-amici ed ex alleati. Mario Oliverio non recede, chiedendo l’impossibile («azzeriamo tutto» – ha chiesto oggi in Direzione dem) e probabilmente correrà da solo, come Occhiuto. La guerra dei Mario contro la nevrastenia di Roma di un centro destra sempre più confuso e dei dem che commissariano le federazioni provinciali di Cosenza e Crotone per punire i dissidenti, quelli favorevoli alla ricandidatura di Oliverio.
Anche Callipo concorda che «La Calabria non è una colonia», a proposito delle dichiarazioni di Salvini e ci va pesante per fermare l’entusiasmo che il nuovo “conquistatore” pensa di poter raccogliere. Coglie le battute ironiche sul tonno artigianale per ribattere che «a me invece piace la Calabria che ha fiducia in se stessa, libera e orgogliosa della propria storia, non una Calabria ridotta a colonia che si prostra dinanzi a chi l’ha sempre insultata. Salvini si è mascherato col tricolore italiano e non sorprenderebbe nessuno se, per fare cassa elettorale, ora si definisse anche un cultore della questione meridionale. Ma questo vulcano di slogan velleitari è sempre a capo di una forza politica che, pur avendo accantonato la clava della “Padania libera” e le ingiurie al Sud, ha sempre il core business al Nord, come dimostra la folle intenzione di realizzare un regionalismo asimmetrico che spaccherebbe l’Italia e lascerebbe con le pezze al sedere le regioni meridionali. Né viene per abrogare l’assistenzialismo, il clientelismo e la cattiva politica che hanno reso la Calabria la regione con più disoccupati d’Europa, ma per dargli pieno compimento. E per farlo, qualora vincessero, avrà a disposizione un presidente di Regione che altro non sarà che la longa manus della Lega in fondo allo Stivale, visto che la scelta l’ha imposta Salvini. È nelle sue corde promettere mari e monti, salvo poi cancellare tutto una volta entrato nei palazzi del potere. Non possiamo infatti dimenticare che la Lega ha governato per decenni, provocando disastri al Paese e contribuendo alla discriminazione economica e sociale del Mezzogiorno».
In questo quadro, a nostro avviso, non entrano neppure in gioco i CinqueStelle, pur avendo candidato il pregevole docente Francesco Aiello: il Movimento ha perso il contatto col territorio e rivela non due ma più anime in contrasto tra loro che altro non fanno che disorientare gli ultimi idealisti ancora tentati a seguirli. Un vaso rotto si può incollare, ma si vedranno i pezzi alla bell’e meglio rappezzati. Chi comprerebbe un vaso visibilmente ricomposto dopo una accidentale (?) quanto funesta caduta? Sarà, perciò, una bella battaglia, sperando che l’astensione non torni ad essere il primo partito, incapace però di produrre un qualunque governo.
La Calabria non è terra di avventurieri e la storia racconta che ai vari invasori che ci hanno provato nel corso dei secoli non è finita mai bene. Ci riflettano i neo-nostalgici della colonizzazione e gli elettori guardino con attenzione i programmi. Non si può sostenere che qualunque nome va bene comunque: i calabresi hanno diritto di avere un governatore che impegni la faccia e tutte le risorse disponibili per guidare crescita e sviluppo per la regione più emarginata d’Europa. E di sceglierlo col voto, scartando – giustamente – eventuali imposizioni che tradiscono arroganza e scarsa considerazione del territorio. (s)