Provenendo dall’Arma dei Carabinieri, il gen. Saverio Cotticelli, attuale commissario della Sanità in Calabria, sa bene cos’è la dignità, quindi il minimo che gli si richiede, dopo l’allucinante intervista andata in onda ieri sera su Rai 3, è non di annunciare le dimissioni, ma di raccogliere immediatamente le sue cose e salutare tutti, subito. Senza aspettare o indugiare per raccogliere la richiesta di dimissioni che, a gran voce, sono richieste da tutti, in maniera trasversale.
Non bastavano le imbarazzanti esternazioni del presidente facente funzioni Nino Spirlì, al quale oggi il Fatto Quotidiano dedica un ampio servizio oggi, ai calabresi tocca pure inorridire davanti all’assoluto candore del Commissario Cotticelli a giustificare le cose non fatte nell’intervista televisiva del programma Titolo V. Il video dell’intervista sta diventando virale, e sarebbe esilarante se non fosse così drammatica la situazione: la fonte del Commissario sui posti letto in terapia intensiva un preparato funzionario «no, io sono l’usciere…!». E la domanda, facile facile, è: ma chi ha nominato Cotticelli? È questa la strada che che ha in mente di percorrere il Governo con la proroga dell’infame decreto Sanità? E la considerazione finale: con quale faccia, in Parlamento, si continuerà a parlare di commissariamento della sanità in Calabria?
Ci sarà il coraggio e la determinazione di affrontare il ministro della Salute e l’intero Governo per interrompere questo orrido scempio nella sanità calabrese? La parola passa ai 32 deputati e ai 12 dodici senatori eletti in Calabria o di origine calabrese, alla Giunta e al Consiglio regionale, a tutti i sindaci e gli amministratori locali. L’indignazione non basta, occorre produrre una formale contestazione al ministro Speranza e al presidente del Consiglio Conte: la Calabria non vuole più commissari incompetenti e scelti dalla politica. Ci sono in loco le professionalità giuste che saprebbero cosa fare. Non è difficile, provateci, ma senza timori o esitazioni: i calabresi non ne possono più. (s)
Ecco l’intervista integrale andata in onda nel programma Titolo V, ieri sera su Rai 3:
di SANTO STRATI – Il Consiglio regionale è stato convocato in via straordinaria domani, sabato per votare un ordine del giorno con cui si chiede per la Calabria il declassamento da zona rossa a zona gialla. Il che, se permettete, è una rispettabilissima iniziativa ma che non serve a nulla: rossa o gialla la zona, poco cambia per la nostra regione, visto che la decisione – sicuramente non facile – di un parziale lockdown per la Calabria risponde esclusivamente a una logica di prevenzione e non si basa, ovviamente, sul numero dei contagi, per fortuna molto più bassi che nelle altre tre regioni diventate zona rossa. Il problema principale riguarda la fragilità strutturale della sanità in Calabria: non ci sono, di fatto, le condizioni per affrontare ricoveri di massa in terapia intensiva, ove il contagio dovesse assumere livelli incontrollabili. In altre parole, occorre fermare le possibilità di rischio contagio costringendo i cittadini a evitare situazioni di assembramento e l’unico strumento valido, ad oggi, risulta la chiusura di attività e bloccare le persone a casa. Piaccia o no, la situazione provocata da dieci anni di insensato commissariamento della sanità nella regione ha messo in ginocchio il territorio calabrese, con una feroce (e criminale) politica di tagli economici che hanno guardato solo ai risparmi ottenuti e non al numero delle vittime di malasanità che si sarebbero potute evitare. È questo il vero senso della battaglia che tutti insieme, Consiglio e Giunta regionale, sindaci, amministratori, società civile, devono portare avanti: opporsi con ogni mezzo all’infame decreto Sanità la cui proroga per 24-36 mesi è un’offesa ai calabresi e una mortificazione per le competenze e le capacità locali che, grazie a Dio, non mancano.
Da ogni parte si levano scudi contro la decisione di instaurare una zona rossa (ogni sindaco ha deciso di dire la sua), ma dopo le dichiarazioni del ministro della Salute Roberto Speranza alla Camera c’è poco da contestare: il problema non è il colore della zona, ma ha due aspetti di fondamentale importanza. Il primo riguarda l’organizzazione e l’immediato adeguamento delle strutture sanitarie per fronteggiare la crisi covid (visto che da giugno ad oggi, pur avendo i quattrini, si sono realizzati appena sei posti in più di terapia intensiva a Reggio), così da scongiurare una evitabile quanto odiosa ondata di nuove vittime per mancata assistenza. Il seocndo è rivolto al tessuto imprenditoriale e sociale: se il Governo decide di chiudere, lo faccia, ma prima metta i quattrini per ristorare le perdite nelle tasche di ristoratori, baristi, commercianti, esercenti che vedono sfumare non solo ricavi che già si annunciavano ridotti al 50%, ma anche qualsiasi aspettativa di ripresa economica. È comodo dire chiudiamo e poi paghiamo: il Governo deve prendersi la responsabilità diretta di gestire la crisi sia sanitaria sia economica, lasciando parte le promesse (ci sono svariate migliaia di lavoratori che aspettano ancora la cassa integrazione da aprile e si sono salvati grazie alle generose anticipazioni dei datori di lavoro, quando è stato possibile) e mettendo nero su bianco date e cifre, Soldi veri, non crediti d’imposta. Le serrande sono abbassate ma le spese corrono ugualmente: affitti, utenze, tasse e imposte, contributi, manutenzione e quant’altro serve per tenere in piedi un’azienda. I nostri governanti, probabilmente, non conoscono le dinamiche di spesa per gestire un’attività commerciale, ma non possono più ignorarle, come non possono ignorare le centinaia di migliaia di imprenditori e lavoratori autonomi invisibili ed esclusi, pur facendo capo alla filiera produttiva del Paese. Lo abbiamo scritto e lo ripeteremo fino alla noia: si rischia di provocare una spaventosa crisi di nuova povertà che investe il ceto medio, i piccoli imprenditori, gli artigiani, i commercianti. Serve bloccare ogni imposizione fiscale se si vuole salvare il tessuto produttivo, diversamente salta in modo irreversibile l’economia del Paese e sarà troppo difficile arginare la spaventosa massa di nuovi disoccupati (licenziati) di precari senza alcuna possibilità di reimpiego, di padri di famiglia disperati perché privati di qualsiasi reddito. E cosa danno da mangiare ai propri figli? Le promesse del Governo?
Quindi, ben vengano le iniziative di lotta, il rigore – possibilmente trasversale – delle forze politiche calabresi a chiedere di guardare con occhio diverso ai bisogni reali della nostra disgraziata terra. Perché è intollerabile che ancora oggi gli italiani del Nord, ricco e opulento, abbiano in investimenti fissi di sanità 84,4 euro a disposizione, contro i 15,9 degli italiani di Calabria: è qui l’odioso divario su cui – proprio nell’ambito sanitario – bisogna confrontarsi e alzare la voce, battere i pugni, fino a farsi sentire, senza rinvii né vaghe assicurazioni. La riserva del 34% a favore del Mezzogiorno in termini di spesa per gli investimenti è diventata legge e bisogna dare atto al premier Conte e al ministro per il Sud Peppe Provenzano, ma già ecco che a proposito del Recovery Fund le regioni del Nord (che covano silentemente il sogno dell’autonomia differenziata) stanno già brigando per togliere al Sud buona parte dei fondi proprio a esso destinati.
Il presidente f.f. Nino Spirlì – cui suggeriremmo per amor di patria di astenersi da altre comparsate televisive che generano solo imbarazzo – fa bene a promuovere una decisa iniziativa contro il rinnovato decreto Sanità, rimarcando le colpe dei commissari che «non hanno svolto il loro lavoro correttamente». Spirlì afferma che «è necessario raccontare le cose per come stanno, sulla scorta di atti formali che fotografano al meglio la verità che stiamo raccontando da giorni. Prima di dire che questa situazione è responsabilità della Regione, dunque, è opportuno che i rappresentanti del Governo interroghino la propria coscienza, facciano un passo indietro e accettino, una volta per tutte, quella che ormai è una certezza: il fallimento della gestione commissariale in Calabria. Quella stessa gestione che l’esecutivo Conte, malgrado una forte opposizione interna, si accinge a riproporre». E il presidente facente funzioni non dimentica di elogiare il lavoro di quanti stanno dannandosi l’anima per aiutare chi soffre: «non consentirò mai – ha detto – che vengano messi in discussione lo sforzo e la professionalità dei medici, degli infermieri e del personale sanitario e amministrativo della regione. Professionisti eccezionali che, nonostante le tante criticità determinate dalle varie strutture commissariali scelte dal Governo, hanno dato – e stanno dando tuttora – il massimo di se stessi per far funzionare l’intero sistema. Li ringrazio uno a uno».
Ma c’è anche chi il commissariamento lo difende. La senatrice pentastellata Bianca Laura Granato non usa mezzi termini: «Paghiamo le dirette conseguenze dell’inadeguatezza anche degli apparati burocratico-amministrativi regionali che solo un commissariamento rafforzato potrebbe sopperire. È davvero fuori da ogni logica invocare l’uscita del commissariamento in queste condizioni, a chi dovremmo affidare la sanità in questa regione? – si chiede la senatrice Granato – certo non ad una classe dirigente e politica che ha miseramente fallito pur avendo avuto il tempo e le risorse per intervenire e mettere in sicurezza il diritto alla salute e alle cure dei calabresi». Con buona pace della sen. Granato è forse utile ricordarle che il decreto Sanità portato a vanto del M5S è stato poi sconfessato da numerosi parlamentari calabresi pentastellati per l’incapacità di offrire soluzioni alla grave situazione della sanità in Calabria.
Anche per questo motivo, ci permettiamo di considerare un’inutile discussione quella che domani il Consiglio regionale – già con le contestazioni di natura politica dell’opposizione – andrà ad affrontare. Si parli di emergenza sanitaria e dell’impossibilità per i calabresi di autogestirsi in un momento così drammatico del Paese e in una situazione dove la salute di tutti è messa seriamente a dura prova. Si individuino gli strumenti di lotta civile per impedire che venga votato il nuovo decreto di commissariamento: questo è l’impegno che i calabresi si aspettano dai loro rappresentanti istituzionali, è questo il vero obiettivo da raggiungere. Mai più commissariamenti, autodeterminazione delle figure professionali locali adeguate a risolvere i problemi e a gestire la sanità, con una non meno importante aspettativa: l’azzeramento del debito pregresso nella sanità. Si può fare, le norme dell’emergenza, l’extradeficit, la disponibilità dell’Europa nei confronti del debito pubblico, lo permetterebbero. Ci vuole volontà politica e una buona dose di coraggio e autorevolezza, che ahimè, non riusciamo a intravvedere in questo esecutivo, in balia dei capricci dei cinquestelle (prossimi a diventare quattro gatti) e dei colpi di tosse d’un Salvini ormai in caduta libera. Il Covid lascerà una insopportabile scia di vittime e danni spaventosi alla nostra economia, ma allo stesso tempo può rappresentare un’opportunità unica per cavalcare la crisi e guidare il Paese verso crescita e sviluppo, mettendo al primo posto il Mezzogiorno e il suo ruolo fondamentale nell’ottica mediterranea.
Ci piacerebbe, dunque, auspicare una sorta di tregua per il bene comune, ma sappiamo che quasi certamente è un sogno irrealizzabile. I nostri irresponsabili esponenti politici (nessuno escluso) sanno solo continuare in inutili schermaglie dialettiche, impalpabili, fumose e inaccettabili, per imputare all’una e all’altra parte ogni genere di errore, per attribuire tutti i guasti di dieci anni di commissariamento della sanità, e, infine, per contrastare qualsiasi iniziativa solo perché presentata dalla parte avversa. Per cortesia, fermatevi, i calabresi ne hanno le scatole piene di questi atteggiamenti e trovate un punto d’incontro per raggiungere il comune obiettivo del bene comune. A leggere le note che arrivano in redazione, da maggioranza e opposizione, non si può non notare che l’emergenza covid non ha insegnato nulla, anzi sta accentuando – in vista del prossimo appuntamento elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale – lo scontro politico, senza esclusione di colpi. Basterebbe un onesto e serio esame di coscienza per mettere da parte arroganza, supponenza e incapacità di dialogo e ragionare, una volta tanto, nel solo interesse dei calabresi. (s)
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di SANTO STRATI – Non piacciono a nessuno le nuove misure introdotte dal l’ultimo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (dpcm) e come potrebbero? Ci eravamo illusi che il temuto lockdown 2 fosse un’ipotesi remota, ma le cifre del contagio non lasciano scampo. Siamo di nuovo in piena epidemia, anche se – grazie al cielo – il numero dei decessi non è quello della fase acuta della pandemia di marzo-aprile, ma crescono a dismisura le prognosi di positività al virus. Le quali indicano brutalmente una cosa fin troppo evidente: il contagio non s’arresta e cresce in misura esponenziale. La tracciatura immaginata come soluzione ottimale mediante l’app Immuni non funziona perché non tutti hanno scaricato l’applicazione per lo smartphone, ma c’è da dire che anche tantissimi che avrebbero voluto farlo hanno dovuto rinunciare per l’incompatibilità con i telefonini di qualche anno fa. E, poi, non è detto che chi ha Immuni sul telefono comunichi al servizio sanitario che è positivo. Per non parlare della caotica e allucinante situazione dei tamponi la cui gestione è davvero da dilettanti allo sbaraglio. I pochi mesi di tregua e di illusoria scomparsa del virus non sono stati utilizzati dal Governo e dai ministeri coinvolti per mettere in pratica le misure di prevenzione, per attuare il rifornimento di scorte dei materiali necessari al personale medico-sanitario, per attivare, per esempio, i ventilatori polmonari acquistati e tenuti imballati alle prime timide avvisaglie di un’estate “sicura”.
In questo contesto, il presidente facenti funzioni della Regione Calabria Nino Spirlì, scaraventato in una situazione emergenziale e di gestione amministrativa alla quale non era preparato, ha tirato fuori gli artigli, subito dopo la sua prima ordinanza, e si è lanciato in una feroce invettiva contro il Governo, accusandolo di essere «privo di buonsenso». Il nuovo Dpcm? «Assolutamente inutile» – ha detto dall’ufficio ereditato inaspettatamente all’ottavo piano della Cittadella di Germaneto. «L’incapacità di questo Governo di ascoltare la voce dei territori e le urgenze di tutte le categorie sociali e produttive – da detto– non solo sorprende, ma offende il senso di unità nazionale di cui tutti gli italiani, oggi, hanno assolutamente bisogno. Mentre, con belle parole, il presidente del Consiglio e i suoi ministri chiedono, appunto, una nuova unità nazionale, al chiuso del Palazzo la umiliano fino al punto di privarla di ogni possibilità di vita futura. In questa nostra Italia il quadro sociale e politico è davvero drammatico. Purtroppo, decine di migliaia di imprese rischiano di morire inutilmente. Per ore e giorni, abbiamo tentato, purtroppo invano, di convincere l’esecutivo a non chiudere l’Italia. Ma quello che è venuto fuori è una finta vita e una vera morte».
Per poi aggiungere: «Penso a tutte quelle categorie di lavoratori che avrebbero trovato ristoro alle proprie fatiche se solo avessimo consentito lo svolgimento delle attività nelle ore più consone a ciascuna professione. Mi chiedo quali esperti abbiano individuato il luogo del contagio nella controllata e rispettosa convivialità. Mi chiedo quali studi abbiano acclarato che i teatri, i luoghi dell’arte e dello sport – che seguono, già dal primo allarme, tutte le indicazioni governative con rispetto e rigore – possano essere una minaccia alla salute pubblica». E non ha torto a proposito del teatro: secondo l’Agis nel periodo 15 giugno-10 ottobre, a fronte di 2.782 spettacoli e 347.262 spettatori, c’è stato un solo contagiato. I contagi avvengono sui mezzi pubblici – dove la gente si accalca – nei trasporti aerei e ferroviari, nonostante i lodevoli sforzi delle Compagnie: ma chi lavora e studia prende i mezzi. L’assembramento è inevitabile, il rischio di contagio altissimo.
Ma torniamo a Spirlì: un bellissimo discorso e un’apprezzabile presa di posizione a favore di esercenti e imprenditori ormai alla canna del gas, peccato che nel suo intervento riecheggino echi salviniani, lo stesso motivetto che da giorni sentiamo ripetere nei confronti del Governo da Lega e Fratelli d’Italia (Berlusconi è più moderato e suggerisce un esecutivo di unità nazionale per affrontare la nuova crisi). Del resto, quale migliore opportunità per Salvini – visto che ha un suo uomo al vertice regionale (la presidente Jole nominò Spirlì su espressa indicazione del leader della Lega) – di tentare di arrestare la frana che ha investito la Lega (4% a Reggio Calabria!) in tutto il Mezzogiorno? E Spirlì, intellettuale che merita rispetto per le sue qualche volta bizzarre idee sulla libertà di linguaggio, si presta agevolmente, dimenticando o fingendo di dimenticare che era pronta la sua sostituzione con Sergio Abramo già la scorsa settimana se non ci fosse stata la prematura dipartita della presidente Jole. L’attuale sindaco di Catanzaro sarebbe stato nominato vicepresidente, in grado di fronteggiare quella inevitabile sede vacante della presidente prevista nella prossima primavera per motivi di salute e cura. La Jole è scomparsa d’improvviso, i patti col “nemico” Salvini a favore di Abramo sono saltati. E, inopinatamente, Spirlì si è trovato nella stanza dei bottoni, dove – metaforicamente – magari non sapeva nemmeno dove fosse l’interruttore della luce. Assistito da bravi e capaci funzionari, questo senz’altro, ma una guida che abbia polso è fondamentale e irrinunciabile, perché poi l’ “esercito” sappia cosa fare.
Spirlì non ha avuto il suo quarto d’ora di celebrità di warholiana memoria, ha, invece, a disposizione l’intero palcoscenico e se dovesse andare in panico bisogna comprenderlo. In realtà il neopresidente ff ha mostrato, inaspettatamente, di saper interpretare in modo adeguato gli echi leghisti che vengono da Roma: anche se accusare il Governo di mancanza di buonsenso è come sparare sulla Croce rossa. È vero che siamo di fronte al dilettantismo più sfrenato e a continui colpi di scena che rivelano, purtroppo, l’assenza di qualsiasi copione e la realtà di un’improvvisazione continua. Solo che a teatro un buon guitto con l’improvvisazione ci va a nozze, anzi spesso dà il meglio di sé, ma qui non si recita a soggetto: ci sono infelici e funeste realtà di morti, di ricoveri in terapia intensiva, di ospedali e presidi impreparati e lasciati, ancora una volta, a gestire l’emergenza facendo ricorso alle sole forze disponibili. Medici e personale sanitario che stanno mostrando ancora una volta il grande senso di abnegazione, di massima attenzione, a rischio anche della propria incolumità, per accogliere i malati da ricoverare, da intubare e da assistere.
Salvini, nonostante non ne stia azzeccando una dall’estate dello scorso anno al ‘malefico’ Papeete, ha capito che deve tentare la qualunque per rimanere a galla, ovvero al centro dell’attenzione. La Calabria era perduta? Eccola ritrovata con un Presidente pronto a difendere con le unghie e con i denti l’idea leghista , per permettere a Salvini di “riprendersi” (ma quando mai l’ha avuta?) la Calabria. Tant’è che il leader in felpa d’ordinanza sta sondando il terreno, a proposito delle prossime elezioni regionali calabresi, per tentare il colpaccio, d’intesa con Berlusconi: cedere qualche provincia importante (Napoli?) nel risiko delle discutibili spartizioni tra la coalizione dei centro-destra che ha assegnato la Calabria a Forza Italia. E nel caso ha anche l’uomo giusto da piazzare come candidato presidente: l’avvocato Cataldo Calabretta, attuale commissario straordinario della Sorical. Il quale non ha mai sfoggiato la cravatta verde nelle sue continue apparizioni in programmi televisivi che lo vedevano immancabile ospite, ma è di “area”. Espressione che significa che potrebbe anche essere digerito facilmente dalla Meloni, disposta a sacrificare Wanda Ferro – vera candidata con buone chances di successo ma non proponibile perché in quota a Fratelli d’Italia, e un po’ meno – salvo ordini da Arcore – dai forzisti calabresi. I quali, per inciso, sono senza coordinatore regionale e si muovono in ordine sparso, facendo finta di ascoltare il coordinatore provinciale reggino Francesco Cannizzaro la cui nomina, a norma di statuto, potrebbe essere considerata azzerata. Non c’è una bella aria in casa degli azzurri e le beghe interne sembrano difficile da superare con il sorriso: non hanno bisogno di rifarsi il guardaroba per Germaneto – vestono abitualmente con molta eleganza – Roberto Occhiuto e Gianluca Gallo, allo stato vicecapogruppo a Montecitorio e attuale assessore regionale all’agricoltura, che appaiono gli unici in grado di coagulare consensi in una destra che sembra orientata – qualora non ritrovi una vera unità – a ripetere l’insuccesso di Reggio e Crotone di qualche mese fa.
La verità è che al posto di insultarsi a vicenda, i leader politici e i ministri, a cominciare dal premier Conte, dovrebbero cominciare a pensare seriamente a un “gabinetto di guerra” che il presidente Mattarella, a norma della Costituzione, dovrebbe presiedere per combattere il più insidioso dei nemici fino ad oggi apparsi sul fronte mondiale. Perché non è solo ai morti, che meritano ogni rispetto prima d’ogni altra cosa, che bisogna pensare: le vittime sono molto più ingenti. Il nuovo lockdown 2, con le sue mezze chiusure, porterà sul lastrico migliaia di esercenti e di imprenditori, ai quali bisogna ristorare immediatamente le perdite. Diversamente, ci sarà una dramma sociale dalle conseguenze inimmaginabili. Una nuova gigantesca povertà alla quale nessun Mes, nessun Recovery Fund – quando arriveranno – potrà più mettere rimedio. Troviamolo il buonsenso, da tutte le parti, e coralmente s’individuino le soluzioni non solo per i positivi e i contagiati ma anche per tutti coloro che hanno già perso molto e rischiano di perdere davvero tutto. (s)
Una fabbrica di emozioni, una raccolta di suggestioni: Gabriele Muccino si è veramente innamorato della Calabria e, in otto minuti, è riuscito a trasmettere le sensazioni vissute durante i suoi sopralluoghi, in lungo e in largo nella Regione, stuzzicato, stimolato, punzecchiato dalla presidente Jole Santelli che credeva molto in questo racconto filmato. Voleva non una cartolina la presidente Jole ma una storia d’amore con al centro la Calabria.
Difficilissimo concentrare in otto minuti le tantissime risorse paesaggistiche, naturali, artistiche, culturali della Regione, serviva un’idea brillante, una linea che permettesse di tessere un racconto pieno di vibrazioni. L’obiettivo di Calabria terra mia era – è – quello di creare attenzione, interesse verso la Calabria, una terra sconosciuta che non si è mai saputa vendere nei mercati turistici internazionali, pur avendo soltanto materia prima di ottima qualità. La Santelli negli incontri via streaming e di persona con Muccino e il produttore parlava di una Calabria a colori: quale migliore opportunità se non i colori dei frutti tipici della regione?. Bergamotto di Reggio Calabria, il cedro della riviera omonima, il limone di Rocca Imperiale, le clementine di Corigliano, le arance di tutta la regione. E su questi frutti, Muccino ha creato una storia d’amore tra Raul Bova e la bella Rociò (che è sua moglie nella realtà): un uomo innamorato che vuol far conoscere la sua terra alla donna che ama, fino a farla innamorare del mare, delle montagne, dei tramonti, delle rocce che sono un prodotto esclusivo della natura.
Tutta la Calabria è un set naturale, dove si potrebbe girare di tutto: non servono effetti speciali, ritocchi di luce: i tramonti se li dipinge da sola questa meravigliosa terra – ha detto Muccino – e la gente dovrà cominciare a conoscerla e apprezzarla sempre di più. È il compito assegnato a questi otto minuti di storia d’amore della Calabria che, se fatti circolare adeguatamente, avranno un impatto incredibile sulle scelte dei vacanzieri prossimi venturi.
Certo, ai calabresi non susciterà particolari emozioni: siamo abituati al mare di Tropea, alle rocce delle Valli Cupe, ai tramonti mozzafiato, ai panorami incredibili, alle immense distese di verde, alle nostre montagne piene d’incanto, ma a chi non conosce la Calabria – statene certi – questo promofilm susciterà un’attrazione senza eguali. Qualcuno dirà che non ci sono i Bronzi di Riace e molte altre ricchezze sotto tutti i punti di vista che la Calabria possiede, ma allora non basterebbero 800 di minuti per mostrare la bella, affascinante, Calabria. Il film deve incuriosire, ammaliare, suggerire di venire a scoprire di persona le meraviglie di questa terra e la sua meravigliosa gente, che ha nel suo dna i geni dell’accoglienza genuina e autentica, che esprime amicizia e calore umano, che sorride al forestiero e lo tratta come fosse un vecchio amico.
La nostra terra che come ha fatto innamorare Muccino farà altrettanto con i tantissimi futuri viaggiatori affascinati da questo promofilm (da cui saranno ricavati quattro minisport di 15 e 30 secondi) che decideranno di scegliere la Calabria come meta per le prossime vacanze. Muccino ha raccontato la Calabria con gli occhi disincantati di chi non la conosceva, ma ha trasmesso l’entusiasmo – tipico di chi scoprendo questa terra – poi non se ne vuole più andare.
Grazie a Muccino, grazie alla presidente Jole che, anche se assente fisicamente alla festa che aveva organizzato lei stessa alla Festa del Cinema di Roma, in realtà è presente – come ha detto il vicepresidente Nino Spirlì, ora presidente facente funzioni – in ogni fotogramma del minifilm di Muccino. È il suo dono d’addio che risulterà gradito a tutti, soprattutto a chi non sa nulla della Calabria se non per fattacci di cronaca nera, e scoprirà, d’un tratto, che cosa si è perso finora. (s)
L’intervista di Jole Santelli sul film di Muccino, quando erano ancora in corso le riprese: https://www.facebook.com/JoleSantelli2020/videos/2450085258629077/
L’omaggio di Nino Spirlì a Jole Santelli alla festa del Cinema di Roma
LA PRESENTAZIONE ALLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA
È un cortometraggio scritto e diretto da Gabriele Muccino Calabria terra mia, un promofilm per far conoscere la regione e le sue bellezze a quanti non sanno nulla della Calabria.
Alla presentazione alla Festa del Cinema di Roma hanno partecipato gli assessori regionali Gianluca Gallo, Fausto Orsomarso, Sergio De Caprio, Sandra Savaglio, Francesco Talarico e Domenica Catalfamo, parlamentari e consiglieri di tutti gli schieramenti politici, il sottosegretario Anna Laura Orrico e il commissario della Calabria Film commission Giovanni Minoli. L’opera, fortemente voluta dalla presidente Santelli, scomparsa lo scorso 15 ottobre, è stata proiettata in anteprima nel Teatro Studio “Gianni Borgna” alla presenza del regista Gabriele Muccino, degli attori protagonisti, Raoul Bova e Rocìo Munoz Morales, e del producer Alessandro Passadore.
La serata è stata introdotta dal direttore artistico della Festa del Cinema Antonio Monda il quale ha voluto ricordare con affetto Jole Santelli: «Ci tenevo a dare un saluto – ha detto – perché sono per metà calabrese e questo progetto ha una risonanza particolare per me. La drammatica sorte della governatrice pesa su tutti noi. La ricordiamo con affetto e stima per la sua vitalità e la sua forza».
E prima della visione di Calabria, terra mia, è stata proiettata una clip dedicata al primo presidente donna della regione, realizzata con materiale video registrato a margine della conferenza stampa di presentazione del cortometraggio, avvenuta la scorsa estate. “Voglio che chi guarda questo corto dica: ‘Sai che c’è? Il prossimo weekend me ne vado in Calabria’”, spiegava Santelli.
«Dalla prima volta che ho incontrato Jole – ha detto Muccino nel dibattito dopo la proiezione – non abbiamo smesso di sentirci e di chattare. Era un canto continuo che celebrava la Calabria ancora prima che fosse raccontata in questo corto. Penso che lei mi abbia chiamato per questo, per far venire voglia di conoscere questa regione, che non si è ancora fatta conoscere del tutto, che è riservata come i suoi abitanti. Questa è stata la mia intenzione principale: far conoscere questa regione così mutevole».
Muccino non ha perso l’occasione di celebrare la bellezza della Calabria: «I suoi colori sono i miei colori. Non avevo mai visto un mare come quello di Tropea. E nel corto non c’è nessun ritocco. La spiaggia di Capo Vaticano è una delle più belle al mondo. Lo Jonio Cosentino è ancora più stupefacente. Noi non abbiamo abbellito nulla. Questa è la Calabria che sono riuscito a scovare, ma è solo la punta dell’iceberg».
Anche Bova ha reso omaggio al presidente Santelli: «È nato tutto da Jole, che ha messo insieme le energie di ognuno di noi. La Calabria è stata raccontata per quello che è. E ci sono tante altre Calabrie che vanno scoperte. Questa regione è sempre stata un po’ messa da parte, ma Jole ha voluto dire: “Esistiamo e siamo forti, anche nelle cose belle”. Ha voluto sostenere una Calabria mai sostenuta da nessuno. È stata la prima».
Dello stesso avviso anche Rocìo Muñoz Morales: «La Calabria ha qualcosa che non sai dire cos’è. La senti, la respiri, ti emoziona, ti tocca. Non fa finta di essere qualcosa che non è. È Fiera di essere così com’è».
«Jole – ha aggiunto il produttore Passadore – aveva questo orgoglio calabrese dentro. Noi non volevamo raccontare la cartolina, ma la Calabria vera».
«Quest’opera – ha commentato il presidente della Festa del cinema, Laura Delli Colli, che ha moderato il dibattito – è un piccolo grande sogno realizzato. È questo il grande omaggio per Jole. Viva Jole Santelli».
Ha chiuso la serata il presidente f.f. Spirlì: «Terremo Jole sempre con noi. Siamo qui – ha detto – per starle vicino in una giornata in cui un suo sogno è diventato realtà. Jole ha deciso di parlare del profumo di questa terra, che non viene solo dagli alberi e dai frutti, ma dal lavoro degli uomini e delle donne. Jole ha cancellato le tante brutte pagine dedicate alla Calabria, con una dolce e forte prepotenza di madre. E ha deciso che da oggi bisognerà solo parlare delle cose profumate di questa terra. Ogni volta che si vedrà un solo fotogramma di questo lavoro – ha concluso – sarà riportato alla figura di chi lo ha voluto nel suo cuore». (rrm)
di SANTO STRATI – La medaglia di cartone che il leader della Lega Matteo Salvini è corso a ritirare a Taurianova è l’unica consolazione per la Lega che esce con le ossa rotte dalla mancata “conquista” della Calabria, avamposto di una ingloriosa quanto impossibile avanzata sudista. Ma in realtà anche la “vittoria” (4.000 voti !) di Taurianova non è merito della Lega né del suo impegno a conquistare le simpatie del Mezzogiorno: il voto ha premiato l’uomo e il suo territorio. Il nuovo sindaco Roy Biasi, ex Forza Italia ora neoleghista, conosce la sua città e, soprattutto, è conosciuto dalla sua città. Ed è un segnale che tutti i partiti, in Calabria, dovrebbero tenere a mente: non si deve e non si può trascurare il territorio se si vuole recuperare la gente alla politica. Purtroppo, passate le elezioni tutto torna come prima e ci si dimentica di promesse e mancate attenzioni, almeno fino al successivo ritorno alle urne.
A Taurianova è avvenuto il contrario di quanto successo a Reggio con l’«uomo del ponte» Minicuci, voluto a ogni costo da Salvini, che lo ha imposto alla città e agli alleati senza curarsi dell’appeal che il candidato avrebbe suscitato. La “batosta” calabrese (non dimentichiamoci della clamorosa vittoria del civico Vincenzo Voce a Crotone) indica che il “modello Salvini” non funziona. Il leader non ne sta azzeccando una, dall’agosto dello scorso anno al Papeete, quando aprì la crisi al buio con l’uscita dal Governo.
Un’elezione comunale non può avere il parametro del voto nazionale: contano la persona e il territorio. Contano la conoscenza l’uno dell’altro e viceversa. Salvini non ne ha tenuto conto e la sua smargiassata è riuscita in un colpo solo non soltanto a spegnere ogni velleità leghista sullo Stretto (ma questo sarebbe il meno) ma anche a lacerare un centrodestra reggino (calabrese) già logorato da continue crisi di nervi. Anche le intemperanze del vicepresidente regionale, Nino Spirlì – scelto anche in questo caso direttamente da Salvini –, giocano in senso contrario, provocando imbarazzi e giustificate preoccupazioni sulla sua compatibilità con una carica istituzionale così rappresentativa. La Lega, sia ben chiaro, possiede personaggi di elevata intelligenza e provata cultura politica: non si capisce perché il vertice lasci annaspare il Capitano in mezzo ai marosi di una politica che gli sta presentando il conto. Ovvero, la spiegazione – politica – ci sarebbe ma nessuno ha voglia di svelare le trame del Palazzo verde con i due protagonisti che aspettano soltanto che si completi il suicidio politico di Salvini. Bobo Maroni punta a raccogliere il testimone con occhio a Palazzo Chigi – in vista di un’improbabile sterzata destro-leghista alla prossime elezioni politiche, con il trionfatore del Veneto Luca Zaia, nelle azzeccate vesti di un facondissimo Richelieu. Per quale ragione non dovrebbero permettere a Salvini di scavarsi la fossa politica da solo con le sue cazzate?
Parliamo di Lega e dell’insuccesso calabrese di tutta la coalizione di centrodestra, ma non è che la contrapposta parte politica abbia molto da scialare (e non solo in Calabria). Il timore dei cittadini di sinistra è che i “vincitori” si rilassino, credendo di aver vinto tutto, e che venga meno quella sana dialettica destra-sinistra da cui – volendo – possono anche venire importanti riforme e iniziative importanti per il bene della regione. I calabresi hanno mostrato con la loro partecipazione al voto – alta quanto inattesa – che vogliono partecipare alla politica, vogliono essere protagonisti e non pedine che qualche parlamentare pensa di avere a disposizione per spostare voti. La sinistra calabrese è in una peggiore situazione della coalizione di centrodestra: sconfitta clamorosamente alle regionali, ad arginare il disastro crotonese, c’è oggi il significativo risultato reggino che, però, non deve ingannare. I voti di Falcomatà non sono voti della sinistra, sono la risposta – ovvia e scontata dei reggini – di fronte alla paventata “invasione” leghista (al 4%, roba da far ridere i polli). Però, la strategia ha funzionato e, soprattutto, ha permesso di mettere in evidenza che in Calabria – in particolar modo a Reggio – la sinistra è sì in gran parte sonnnecchiosa e divisiva, ma riesce a reagire. Non va allora sprecata questa opportunità di portare avanti personaggi che vanno valorizzati. In vista di un congresso ormai non più rinviabile per un Partito democratico che non riesce nemmeno a presentare il simbolo a Crotone e che in Calabria è immeritatamente commissariato da troppo tempo.
Tutte queste cose le sanno benissimo Falcomatà e i suoi compagni di viaggio che hanno riconquistato Palazzo San Giorgio, ma, capita spesso, che dopo l’euforia della vittoria ci si dimentichi del territorio e delle istanze dei cittadini. Reggio chiede un secondo tempo anche per la politica, svillaneggiata, mercificata, svenduta in nome di interessi particolari (e a volte personali): occorre che destra e sinistra ripensino il percorso che – nel parallelismo dei rispettivi ruoli e diversi obiettivi – la città, ma diremmo meglio la Regione, chiedono con ansia e profonda convinzione. Ci vuole il coraggio da parte dei politici locali di individuare prima il bene comune, poi attuare quelle politiche di coesione il cui peso si valuta di fronte alle urne.
Lo stesso Governo regionale ha subito, senza discutere, imposizioni e suggerimenti di Salvini, in un’epoca (sono appena trascorsi otto mesi) che pare assai lontana, accettando posizioni non più sostenibili. Il caso di Spirlì – sul quale è stato chiesto un confronto in Consiglio regionale – è la cartina di tornasole per la presidente Santelli che deve smettere di pagare “cambiali” elettorali agli alleati. La posizione del vicepresidente – che sta ridicolizzando la Calabria e facendo passare un messaggio sbagliato di intolleranza, quando è proprio tutto il contrario – va definita e chiarita non con un sorriso e un’alzatina di spalle come ha fatto la presidente Jole. Il vicepresidente, da libero pensatore, intellettuale e cittadino italiano, è libero di esprimere dovunque e comunque le sue personali opinioni, anche quando siano politicamente incorrette. Che, però, diventano istituzionalmente inaccettabili quando si ricopre una carica pubblica. Poiché “il signor Spirlì” (come si firma nel suo profilo facebook) insiste, l’unica via non sono le dimissioni (che non darebbe mai) ma il ritiro della nomina e delle deleghe. Presidente Jole, un ingrato compito che tocca solo a lei. (s)
Non sappiamo chi abbia suggerito al vicepresidente della Regione, Nino Spirlì, fine intellettuale della Magna Grecia, di abbinare il simbolo della Lega allo stemma della Regione nella campagna promozionale “Scegli calabrese” che nessuno sa da chi è stata commissionata ed eventualmente pagata. Se poi è frutto di una sua personale idea, va ancora peggio. Come si fa a mettere sopra i peperoncini o i maccheroni di Calabria – dove peraltro è in minore evidenza lo stemma regionale – il logo Lega Salvini Calabria?
Ma siamo ancora in campagna elettorale? A parte che qualcuno ha fatto notare che è stata utilizzata la foto di un supermercato di Helsinki con i pomodorini siciliani, risulta quanto meno imbarazzante l’invito a consumare prodotti calabresi con la sponsorizzazione della Lega. Non sono mancate le più che giustificate proteste, mentre la campagna “a cura della vicepresidenza della Regione Calabria” è improvvisamente “scomparsa” dai social.
«A questo serviva l’ingresso della Lega nel governo della Regione Calabria? – ha commentato su facebook Pippo Callipo –A usare i prodotti calabresi e il logo istituzionale della Regione per fare propaganda a un partito che, tra l’altro, ha sempre disprezzato noi e la nostra cultura? Se si vuole sostenere chi produce e chi consuma calabrese lo si faccia con atti concreti, non con “campagne” che fanno emergere solo luoghi comuni e scarso senso delle istituzioni».
Il gruppo dem in regione, guidato da Mimmo Bevacqua, ha consegnato un’interrogazione per la presidente Santelli chiedendo conto dell’iniziativa che, in ogni caso, – a quanto pare – ha provocato qualche imbarazzo persino in casa centrodestra. Le buone intenzioni non giustificano la mescolanza sacro/profano. (s)
C’è già il vicepresidente del nuovo governo regionale: è il giornalista Nino Spirlì, di Taurianova. Di area leghista, indicato, pare direttamente da Salvini, previa consultazione con il commissario regionale Cristian Invernizzi e il vice responsbaile degli Enti locali Walter Rauti. Restano a bocca asciutta i consiglieri eletti in quota lega. Al vicepresidente della Giunta la presidente Santelli – che entro oggi – sembra scioglierà ogni riserva e completerà il puzzle del nuovo governo, sono affidate quattro importanti deleghe: Artigianato, Commercio, Cultura e Legalità. Spirlì è un giornalista con un profondo senso del Mezzogiorno e un forte attaccamento alla sua terra. È molto seguito sul suo blog personale. Su Facebook, dopo l’incarico, ha scritto: «Invoco la Benedizione del Signore e mi affido alle amorevoli cure della Santa Vergine Immacolata. E mi impegno a svolgere il mio compito nell’unico interesse della mia Gente. Accompagnatemi solo con le Vostre preghiere. Grazie. Dio Vi voglia bene».
Di sé dice nel blog: nato a Taurianova (RC) il 13 luglio 1961, ma romano d’adozione. È crudo, diretto, spregiudicato, tenace, sentimentale, passionale, tuttosessuale, espansivo e non perdona. Scrittore audace, comico di talento e autore di format TV e soggetti cine-televisivi. (La Fattoria, Né con te, né senza di te, Forum) Inizia giovanissimo a recitare nelle rappresentazioni delle commedie e delle tragedie greche e latine. Nel 1990 è chiamato a Parigi dal Centre Dramatique National Theatre du Campagnol: la collaborazione durerà fino al 1996. Li definisce gli anni più artistici e sensuali. Nel 1995 dirige in teatro “Ryoju – Il Fucile da Caccia” – di Y. Inoue. Nel 1996 dirige “L’uomo dal fiore in bocca” – di L. Pirandello – Unica versione autorizzata ad essere interpretata da sole donne: Che fissazione! Nel 1999 resta “vedovo” di suo padre, al quale era legato da un legame profondo. Nel 2000 crea il reality tv “La Fattoria” e ne cede i diritti a Rti. Firmerà la puntata pilota, ma non il programma… Sic! Nel 2005 cede i diritti televisivi e cinematografici del racconto “La Capitanessa”, che diventerà la fiction “Né con te, né senza di te” su Rai Uno, nell’autunno 2012. Dal 2001 a 2011 è Autore di “Forum” (Canale 5 e Rete 4). A primavera 2011, torna in scena con “PirandelloDrag”, dialogo platonico ispirato a “La morte addosso” di L. Pirandello. Novembre 2011 è il mese di concepimento del primo romanzo “Diario di una Vecchia Checca”, Premio Metauros 2012. Dal 2013 scrive per IlGiornaleOFF.it. Dal 2014, scrive “I Corsivi della Vecchia Checca” su Il Garantista. Dal 23 giugno 2014 dirige l’emittente tv SUD, “la ttivvù con l’accento meridionale”, sul canale 656 ddt.
Per meglio capire questa atipica figura di intellettuale del Sud basta leggersi queste sue considerazioni che appaiono nel blog:
Non mi è mai stato facile usare la tecnologia per scrivere.
Mi considero figlio della carta e della matita.
Amo sentire il profumo del mio taccuino coi suoi fogli di carta di Amalfi. Sento l’odore delle parole appena scritte con la punta del lapis. Ecco perché sono cosciente di essere, ormai, una vecchia checca: perché vivo di cose da toccare, mentre il resto dell’occidente diventa sempre più virtuale.
Ma, poi, penso: le cose della vita non sono mica tanto virtuali… e , dunque, riporto sul web quella sensazione di parola e pensiero “tangibili”, appena li ho appoggiati sulla carta. E’ come munirli di un biglietto A/R per il resto del mondo.
… e non mi sento solo…
E poi un messaggio di vicinanza ai “Bergamaschi nel cuore”:
Nella nottata fra lunedì 16 marzo e martedì 17 marzo 2020, San Patrizio. A Casa Spirlì, con la Mamma addormentata sul divano del salotto e cagnolina e gatto sul grembo #Iorestoacasa
Nulla e Nessuno di più lontano, Fratelli miei, che le nostre terre e noi. Voi e la Vostra buonissima polenta, noi e le nostre affamate valigie di cartone legate con lo spago. Quando si incontrarono, tanti decenni fa, fecero vicendevolmente scintille. Prima e al posto degli abbracci, partirono i muri degli uni e degli altri, e le incomprensioni. Eppure, anche Voi avevate valigie di cartone sugli armadi e anche noi preparavamo la polenta. Un po’ diversa dalla Vostra. La nostra si chiamava e si chiama ancora “friscàtole” e si prepara coi broccoletti e la salsiccia di maiale…
Anche Voi eravate e siete dei gran lavoratori. Come e quanto quei meridionali che partivano dall’unica terra che conoscevano a naso, dagli odori, dal contatto dei piedi nudi sulle zolle, per cercare pane per sé e per quella Famiglia che Voi non conoscevate, ma che loro pensavano ogni momento.
Nulla e Nessuno più lontano delle nostre Identità e di Noi, Fratelli miei che vivete a Bergamo e nelle Sue Contrade, fino alle valli e ai monti. Eppure…
Eppure… Ho un dolore, uno strazio, che nemmeno una lancia, un’alabarda nel petto potrebbero procurarmi! Mi pare di trascinarmi per le vie dei Vostri quartieri, spezzato come solo noi, tragici meridionali, riusciamo ad essere, e sentire, respirare, attonito, il Vostro Dignitoso Contegno, il Vostro Esemplare Silenzio, la Vostra Compostezza, pur battuti, come siete, schiaffeggiati, dalla malattia e dalla spietata morte.
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