SANITÀ CALABRIA, PER USCIRE DALLA CRISI
SERVE LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO

di ETTORE JORIO – La Calabria bersaglio. Nonostante morente, sembra essere divenuto il leitmotiv dominante di tutta l’informazione, soprattutto televisiva. Tutti le sparano addosso dopo un irresponsabile silenzio durato tredici anni – solo per fermarci alla Regione commissariata – sulle atrocità assistenziali somministrate ai calabresi e sui disastri causati al suo bilancio. In tanti (troppi) lavorano oggi per fare spettacolo sulle rovine. Alcuni per sensibilizzare, altri per dileggiare. Dal lato della proposta, il vuoto. Nessuno progetta. Da oltre un decennio un silenzio assordante sulla sanità calabrese, cui fa oggi eco un chiasso fine a se stesso.

La storia docet
Ricorreva l’anno 2011, appena successivo alla approvazione del DM 26 novembre 2010, afferente alla perequazione infrastrutturale, e all’approvazione del decreto delegato n. 88/2011, attuativo del c.d. federalismo fiscale (legge 42/2009), che prevedeva gli interventi speciali per le aree deboli, allorquando scrivevo in lungo e in largo sulla necessità di intervenite con una perequazione del debito pregresso.

Una sorta di bonifica del deficit patrimoniale allora appena al di sotto dei due miliardi, da associare ovviamente alla perequazione infrastrutturale, ad esito della quale fare ripartire la Calabria dagli stessi blocchi delle altre regioni. Lo facevo all’indomani della conclusione del lavoro di rendicontazione dell’indebitamento della sanità calabrese, consolidato al 31 dicembre 2008, effettuato dall’allora commissario di protezione civile, cui ha fatto seguito l’accensione di un mutuo agevolato trentennale, che sarà a carico della Regione sino al 2040 o giù di lì.

Da lì ad oggi, il nulla in tal senso, con un andirivieni di commissari ad acta, cui sono state affidate le sorti della Calabria e dei calabresi, senza però le occorrenti misure accessorie. Quindi, senza prevedere gli investimenti necessari a fare ciò che occorreva per conseguire il «minimo sindacale», ma soprattutto per compensare il vero punto debole: l’assistenza territoriale. Quella che avrebbe anche interpretato lo strumento ideale per opporsi, ovunque, al coronavirus.

Nulla di questo, perché la Calabria fa comodo (a chi lo vedremo!) così com’è. Perché ivi, ove la ‘ndrangheta vive di appalti e di rapporti contrattuali di somministrazione di prestazioni essenziali, si ebbe a pensare alle grandi inutili forniture di beni e servizi. Del tipo quello che, per esempio, qualche anno prima aveva riguardato l’acquisto di cinque mammotomi in terra di Calabria (sanzionato pesantemente dalla Corte dei conti), a fronte di uno disponibile per ogni altrove regionale, attesa la sua propensione ad essere inusuale strumento diagnostico di remota istanza per le patologie mammarie.

Dunque si pensò di investire esclusivamente su: un rinnovo tecnologico per qualche centinaia di milioni di euro, spesi poi per comprare le solite attrezzature che non sono servite affatto a cambiare la qualità del regime erogativo; quattro nuovi ospedali, rimasti sulla carta da dodici anni, a fronte della chiusura della quasi totalità degli ospedali periferici esistenti senza mettere nulla al loro posto.

Oggi, regina dei palinsesti e non dell’interesse generale
Ebbene, dopo una «campagna di guerra» con tanti morti (veri) al seguito, si puntano i riflettori. Pronti a fotografare il triste esistente senza che alcuno riconduca al disastro, giustamente televisivamente mostrato, le relative responsabilità. E dire che il materiale non mancherebbe.

Lo si fa senza che ci sia, a qualunque livello, un progetto di ripristino del diritto fondamentale che la Costituzione consacra nell’articolo 32: la tutela della salute. Non solo. Anche quello urlato dall’articolo 38 della Carta: l’assistenza sociale, usata in Calabria come si fa con il verme nella pesca alla trota.

In assenza di tutto ciò, si è sviluppato l’interesse dell’informazione. Ben arrivata, purché non finalizzata ad una spettacolarizzazione del fenomeno fine a se stessa.

La Calabria commissariata per tredici anni – di cui i primi due di protezione civile a fronte delle morti innocenti che produceva e di un indebitamento che non si conosceva – ha bisogno di altro. Ha bisogno di ciò che occorre a tutte le regioni, ovverosia della ricostruzione dell’assistenza territoriale che non c’è (buone, ad esempio, le case di comunità di avanzata generazione) e delle attenzioni domiciliari necessarie alla cura della persona, che nel post-Covid sarà più che indispensabile, nonché di una riconversione del più generale assetto ospedaliero (buoni, ad esempio, i presidi di prossimità), sì da renderlo pronto ad ogni evenienza.

Le occorre una manifestazione di «affetto nazionale»
Nel particolare, la Calabria ha bisogno delle «coccole», di quelle che nessuno le ha mai dedicato. Le occorre uno strumento straordinario di revisione, magari compartecipato dalla magistratura contabile, che scopra cosa c’è nei suoi bilanci (e non solo in quelli della sanità!), con una conseguente disponibilità perequativa statale, senza porre il solito carico alla Regione di provvedere al naturale ammortamento. Non ce la farebbe mai!

Certo, il comma 842 della legge di bilancio 2021 consente la rateizzazione del debito accumulato a tutto il 2019 in trent’anni, che consentirebbe al Ssr di ripartire da capo. Per andare bene, però, il suo ammortamento dovrebbe essere accollato allo Stato, pena l’asfissia finanziaria del bilancio della Regione.

La Calabria va trattata come Napoli e Reggio Calabria che, senza le consistenti «coccole» ricevute dalle leggi finanziarie e di bilancio statali sarebbero andate a finire, da subito, nel girone dei grandi falliti istituzionali.

Ha bisogno di una svolta. Lo si diceva, di investimenti mirati, quindi individuati a seguito di riforme strutturali, che sono tutt’altra cosa dei Programmi operativi triennali (da rinnovare con dentro il Piano Covid e riapprovare così per il triennio 2021-2023!), cui è da anni sottoposta per ragioni di commissariamento, che le stanno recitando un progressivo de profundis. (ej)

[Ettore Jorio, avvocato, è professore all’Unical di Diritto civile della Sanità]

[Courtesy quotidianosanità.it]

SANITÀ CALABRIA, PER AZZERARE I DEBITI
SERVE UN’INTESA POLITICA TRASVERSALE

di SANTO STRATI – Come potrà mai rimettersi in carreggiata la sanità Calabria se permane il gigantesco debito che undici anni di commissariamento hanno contribuito a far crescere ulteriormente? La richiesta di azzeramento avanzata, nei giorni scorsi, dal presidente ff della Regione Nino Spirlì al ministro della Salute Speranza si poggia sulla constatazione che se non si riparte da zero sarà impossibile poter prevedere nuovi investimenti, acquisti o sostituzione di macchinari ormai obsoleti, nuove assunzioni, nuovi servizi, al fine di dare dignità al diritto alla salute dei calabresi.

Lo abbiamo scritto molte volte, da quando venne il primo scellerato decreto Calabria nel 2019 che portava la firma della ministra Giulia Grillo, e lo abbiamo ribadito anche alla vigilia dell’approvazione del nuovo – non meno infausto per la Calabria – decreto Sanità varato da Roberto Speranza. Il problema è molto semplice, nessun supercommissario (e il prefetto Guido Longo avrebbe tutti i numeri per fare cose egregie) potrà mai risolvere il problema sanità se deve far fronte a una valanga di debiti arretrati: come può disporre nuove iniziative, provvedere alle esigenze più elementari, se il debito non arretra e ingoia gran parte delle risorse disponibili.

La motivazione – o giustificazione, se volete – dell’azzeramento del debito è sotto gli occhi di tutti: il debito è stato provocato – anche – dal commissariamento della sanità calabrese, quindi c’è stata un’inadempienza dello Stato (che ha nominato via via i vari commissari che si sono succeduti prima di Longo) e lo Stato deve porre rimedio ai danni da esso stesso in qualche modo provocati o, almeno non evitati. Quindi ci dev’essere una volontà politica di riconoscere l’inadempienza di Stato nei confronti del diritto alla salute dei calabresi e va immaginato un “risarcimento” che può configurarsi nell’abbattimento del debito pregresso. È evidente che in tale ipotesi (in Calabria la madre dei pessimisti è sempre incinta…) la nuova sanità calabrese non avrebbe più alcuna giustificazione per non funzionare adeguatamente. Perché, è bene ricordarlo, in Calabria ci sono tante realtà di eccellenza in campo medico-scientifico e i calabresi potrebbero tranquillamente smettere di praticare il turismo sanitario anche per interventi di modesta importanza. E, invece, come ci ha riferito più di un medico, spesso vanno fuori a farsi operare anche per un’unghia incarnita, non perché mancano gli specialisti, ma per l’inadeguatezza delle strutture. Sapete quanto costa il “turismo sanitario” alla Regione Calabria che paga gli interventi alle Asl del Centro e Nord Italia? 3oo milioni l’anno, ai quali sarebbe opportuno aggiungere una cifra analoga che spendono direttamente i calabresi per viaggi, soggiorno e assistenza familiare, etc. In dieci anni sono 3 miliardi andati in fumo: cosa sarebbe stata la sanità calabrese con questi soldi andati, invece, a rimpinguare le casse delle già opulente regioni del Nord (dove, per colmo d’ironia, l‘accento calabrese supera abbondantemente quello locale).

Il deputato ex grillino Francesco Sapia  ha chiesto al ministro Speranza un confronto parlamentare sulla ripartizione delle risorse del Fondo sanitario nazionale. Secondo Sapia «il Servizio sanitario della Calabria ogni anno riceve dallo Stato trasferimenti inferiori di almeno 150 milioni rispetto al proprio fabbisogno di cure. Se cambiassimo gli attuali criteri di ripartizione rapportandoli al dato dei malati cronici, in breve tempo la Calabria uscirebbe dal commissariamento e dal Piano di rientro». «Ciò permetterebbe alla Regione Calabria – ha detto il deputato di Alternativa c’è – di gestire in proprio la sanità, di cambiare abitudini, di investire in nuove assunzioni, prevenzione, tecnologia, specialistica e assistenza territoriale. Così il Servizio sanitario calabrese cambierebbe volto e garantirebbe pienamente la tutela della salute; il che oggi è impossibile perché, in quanto a risorse, la coperta è troppo corta».

Spirlì ha detto di aver chiesto al Governo «l’azzeramento dei debiti dell’Asp di Reggio Calabria e di una parte di quelli dell’intero comparto sanitario regionale. È, questa, l’unica condizione per poter avviare una nuova politica sanitaria in Calabria. Senza questo atto, non serviranno a nulla nemmeno altri cento commissari ad acta»., interessando direttamente il ministro Speranza, il commissario per l’emergenza Covid, generale Francesco Paolo Figliuolo, i ministri dell’Interno e degli Affari regionali,  Luciana Lamorgese Maria Stella Gelmini, i sottosegretari Dalila NesciFrancesco SassoClaudio Durigon e Nicola Molteni.

Sulla stessa linea appare il sen. Ernesto Magorno (Italia Viva) che ha preso atto «con soddisfazione della richiesta avanzata dal presidente facente funzioni della Regione ai vertici del Governo dell’azzeramento del debito sanitario in Calabria. Da tempo mi batto su questo fronte, testimoniato in ultimo dal mio voto contrario al decreto Calabria, perché sono profondamente convinto del fatto che qualunque pianificazione nell’ambito della sanità calabrese non possa prescindere da un ripiano finanziario. Undici anni di commissariamento hanno, d’altro canto, dimostrato che il debito enorme accumulato nel tempo non possa essere ricostruito con esattezza e quindi rappresenta uno scoglio insormontabile, un macigno che affossa la necessaria e urgente opera di ricostruzione del sistema sanitario regionale, piegato non alle logiche finanziarie ma alla domanda di salute che arriva dalla comunità calabrese.

«Siamo in una fase cruciale – ha dichiarato Magorno –, acutizzata dall’emergenza sanitaria, ecco perché auspico e mi spenderò affinché – come avvenuto per l’attraversamento veloce dello Stretto – anche su questo tema prenda forma un gruppo interforze all’interno del Parlamento, come luogo istituzionale nel quale lavorare insieme a soluzioni rapide ed efficaci per la sanità calabrese. Soltanto uno sforzo congiunto e partecipato, un remare tutti verso la stessa direzione, potrà fornire alla Calabria gli strumenti necessari per garantire a tutti i cittadini livelli di assistenza adeguati e omogenei rispetto al resto del Paese».

Qualche giorno fa, il sen. Marco Siclari, capogruppo di Forza Italia in Commissione Sanità al Senato, aveva fatto presente al ministro Speranza le «notevoli e gravissime differenze fra i 20 servizi sanitari regionali che mostrano programmazioni, organizzazioni e gestioni profondamente diverse che vanno a discapito dei cittadini, delle famiglie e dell’economia del Paese: sprechiamo risorse senza garantire a tutti gli italiani il diritto alla salute». Secondo Siclari, «È necessario che lo Stato ripiani il debito sanitario delle regioni in piano di rientro a condizione che le stesse regioni investano nel miglioramento delle strutture sanitarie, ospedali e poliambulatori, sia in termini di strumenti efficaci, dotazioni tecnologiche e macchinari che di personale, e che programmino e organizzino la medicina territoriale e quella di prossimità. Dobbiamo quindi ricentralizzare il SSN, evitando e superando le distorsioni di 20 sistemi periferici che hanno mostrato il fallimento del regionalismo sanitario. Da ultimo e non per importanza occorre ancorare il Fondo Sanitario Nazionale alla percentuale minima dell’11% nel rapporto con il PIL al di sotto del quale la spesa sanitaria non può essere decurtata (la media europea è il 9.5%). Oggi è all’8,8 %, in Francia e Germania il rapporto è circa 2 punti in più. Solo in questo modo potremmo eliminare il l’imbuto formativo per avere più medici specialisti, completare le strutture ospedaliere incomplete, rendere funzionanti gli strumenti ed i macchinari per la diagnosi, le terapie e le cure, potenziare il pronto intervento del 118, per rendere la salute un diritto di ogni cittadino italiano da Nord a Sud».

Gli elementi di valutazione, che rimarcano il divario tra Nord e Sud fortissimo anche nella sanità regionale, ci sono tutti: il Governo dovrà prendere una decisione chiara e forte, per interrompere una situazione non più tollerabile, ancor più di fronte alla pandemia in corso. Ma ci vuole un impegno comune, trasversale e non difficile da realizzare. (s)

«SI MUORE D’ALTRO, NON C’È SOLO IL COVID»
ALLERTA DEL CARDIOLOGO FRANCO ROMEO

di SANTO STRATI – Con responsabilità, il prof. Franco Romeo, uno dei luminari di cardiologia del mondo, lancia un preciso allarme: non si muore solo di covid, ci sono altre patologie trascurate. Gli ospedali devono ripristinare i reparti oncologici, cardiologici, ematologici: ci sono stati 30mila morti in più rispetto allo scorso anno non attribuibili al Covid. È un messaggio chiaro che fotografa l’attuale situazione che si registra un po’ dappertutto, in Itali; interventi rinviati, diagnostiche sospese, ricoveri impossibili per migliaia di pazienti afflitti da gravi patologie, ai quali viene negato per disorganizzazione e per mancanza di posti letto un ricovero che potrebbe salvare loro la vita. Reggino di Fiumara di Muro, una carriera di eccellenza, il prof. Franco Romeo vive a Roma, ma viene spesso in Calabria, la sua terra che ama in modo incondizionato e per la quale spende moltissime risorse personali per offrire capacità e competenza ove necessarie. È l’ultimo consulente scientifico rimasto della task force sanitaria istituita all’inizio della pandemia dalla compianta Jole Santelli: l’ha voluto il presidente ff. Nino Spirlì, confidando nella sua “calabresità” e nella sua generosa disponibilità a favore della regione.

A dire il vero, lo stesso allarme era stato lanciato dal prof. Romeo insieme con una fitta schiera di illustri clinici già lo scorso anno verso marzo e aprile, in pieno lockdown: purtroppo non c’è solo il Covid, ma ben altre patologie che non possono aspettare e per le quali occorre mobilitarsi per consentire cure adeguate e i ricoveri quando necessari. Il prof. Romeo fa l’esempio degli infarti: «È vero che la riduzione dei ricoveri per infarti è stata drammatica – dice a Calabria.Live –, quasi del 50%. ma questo significa che per questi pazienti non è che si era è ridotto il numero degli infarti che si verificavano: i pazienti non andavano in ospedale e quindi è aumentata la mortalità in casa. La riduzione di questi pazienti era legata allora a una paura che c’era di andare nei pronto soccorsi per l’affollamento e la disorganizzazione. Senza trascurare la difficoltà di accesso, che si è avuta durante la prima fase, perché ad esempio allora chiamare un’ ambulanza del 118 era complicato: erano tutte le predisposte per il trasporto covid quindi non era facile trovarne e poi i pazienti cercavano di minimizzare i sintomi, erano sempre con la paura che si potesse trattare di covid e quindi alcune sintomatologie con cui esordisce l’infarto erano sottovalutate. Ci sono dei sintomi che noi chiamiamo equivalenti ischemici, per cui l’infarto si può presentare, per esempio, con una dispnea, con un affanno, perché il cuore riduce la sua capacità contrattile perché c’è un fatto ischemico, si  muove male e non ce la fa e questo spesso veniva scambiato per altro. Ora questo, diciamo, è un po’ diminuito, quasi normalizzato, ma ancora l’altro giorno c’era un allarme per quanto riguardava noi cardiologi per il fatto che interventi di cardiologia interventistica strutturale cioè la sostituzione delle valvole per via percutanea e tutti quegli interventi che noi cardiologi facciamo in modo non chirurgico, invasivo ma non chirurgico sulle valvole, sulle coronarie si sono ridotti di almeno un 30-40 per cento. E questo allarme è stato lanciato di nuovo qualche giorno fa, su una situazione che avevamo messo in evidenza a marzo dell’anno scorso pubblicando i dati sulle casistiche».

– Cos’è successo lo scorso anno con l’arrivo del caldo, è migliorata la situazione ?

«Durante l’estate quando sembrava che l’epidemia avesse preso una discesa abbastanza consistente, la situazione negli ospedali è un pochino migliorata, ma adesso si sta nuovamente aggravando: ci sono alcune regioni, come la Lombardia, che in questi giorni hanno dato di nuovo l’allarme temendo l’arrivo di una terza ondata, dicendo che gli ospedali sono già sotto pressione per il covid. E quando gli ospedali cominciano ad essere sotto pressione per il covid, purtroppo, proprio per la mancanza di posti letto, di organizzazione, quelle che ne risentono sono le altre patologie. Una stima, credo Istat, dice che quest’anno ci sono stati trentamila morti in più di quelli attesi. Per patologie non covid. Rappresentano un terzo dei morti totali per covid e sono pazienti morti per altre patologie. Quindi dobbiamo rafforzare le nostre strutture sia territoriali sia ospedaliere. Questo mainstream, questo concetto così che è ormai dilagante e maggioritario, che il problema sia il territorio è vero solo in parte. Il territorio è importante rinforzarlo, ma i pazienti, a mio avviso, sono morti di più e questa alta mortalità in Italia si è avuta perché nel nostro Paese non avevamo ospedali in grado di accogliere i pazienti in una fase diciamo adeguata, non troppo tardiva. Noi abbiamo consigliato i pazienti di andare tardi in ospedale per non intasare i pronto soccorsi e i pazienti sono andati troppo tardi poi in ospedale e quindi questo ha comportato l’impossibilità di cure adeguate. Non essendoci una terapia specifica per questa malattia virale, per questo Covid – purtroppo non abbiamo una terapia – ci siamo sforzati di intercettare il paziente prima e curarlo sul territorio perché non abbiamo posti negli ospedali, perché questa mancanza di disponibilità, questa mancata resilienza del sistema sanitario ospedaliero ha portato tutti quei messaggi che invitavano i pazienti a non andare in ospedale, se non troppo tardi. Quindi dobbiamo rafforzare il territorio per l’identificazione dei pazienti nella fase più precoce, ma quando il paziente con covid presenta la malattia deve andare in ospedale perché sul territorio la malattia va avanti e non è possibile dare delle cure adeguate e la malattia quando è in fase molto avanzata, oggi mancando delle cure specifiche, spesso non si riesce a fare molto».

– Com’è la situazione in Calabria secondo lei, visto che il tasso di mortalità è abbastanza basso rispetto agli altri?

«In Calabria abbiamo avuto – se uno va a vedere i dati – 660 morti per due milioni di abitanti. La Liguria che ha 500.000 abitanti in meno ne ha avuto più del triplo dei nostri morti, 3.800. Il Lazio – se si rispettassero le proporzioni – ne avrebbe dovuti avere 1500, invece ne ha avuti seimila. In Calabria la mortalità per ogni 100mila abitanti è la più bassa d’Italia. Anche le nostre terapie intensive non hanno una forte pressione in questo momento – siamo sotto il 30% di occupazione. La cosa positiva è che la Calabria è la prima regione in Italia ad avere iniziato la vaccinazione ai pazienti più fragili, oncologici, ematologici e cardiologici gravi, oltre i dializzati e i trapiantati. La Calabria, in questo senso, si è mossa prima di tutte le altre regioni. Noi abbiamo fatto una campagna nazionale come Foce, che è la Federazione degli oncologi cardiologi ematologi, abbiamo fatto un documento che abbiamo condiviso con il ministero della Salute, con il commissario Arcuri, per sollecitare l’inserimento dei pazienti fragili nel piano di vaccinazione unitamente agli ultraottantenni. E il personale sanitario mi risulta che sia stato tutto vaccinato in Calabria, quindi non è vero che siamo indietro come vaccinazione. Si consideri che nel Lazio, tra l’altro, non sono stati vaccinati ancora tutti i medici. Quindi, mi sia consentito di dire che non siamo messi male, qualche dato positivo alla Calabria ogni tanto diamolo. E a questo proposito devo dire che, a mio parere, era ingiustificato l’insediamento di tende ospedaliere, non so perché si era diffuso quell’allarme ha provocato una specie di psicosi collettiva: la Calabria ha retto sempre abbastanza bene. Quando hanno messo la Calabria in zona rossa hanno detto “non sappiamo in caso di uno tsunami epidemiologico cosa si può scatenare e come reagisce”. Potevano dirlo a inizio della pandemia, non dopo un anno. Dopo due mesi si è visto come ha reagito la Calabria, che ha avuto meno morti di tutti. Certo, il fatto di inserire il parametro della fragilità del tessuto sanitario calabrese ha giocato contro, ma non mi pare sia stato fragile. Il ragionamento è stato questo: “ne muoiono pochi, però siccome non ci fidiamo della solidità del sistema sanitario calabrese, mettiamo la regione in zona rossa”. Si tenga conto che abbiamo avuto meno morti per numero di pazienti che si sono ammalati, questo vuol dire che il sistema ha retto».

– Un punto a favore della sanità calabrese che ha potuto contare su risorse efficaci e su medici preparati e brillanti?

«Tutto sommato gli ospedali hanno retto. In ospedale non è stata fatta alcuna selezione, sono stati ricoverati anche pazienti con pochi sintomi: nella grandi città c’era pure la difficoltà pure di avere un contatto. A Roma, per esempio, anche persone di un certo livello avevano difficoltà di avere un contatto con l’ospedale per ricoverarsi, per fare un tampone a casa e gli si diceva: bene, state tranquilli, con la febbre prendete la tachipirina, etc, poi quando improvvisamente la saturazione scendeva da 93 a 80 il paziente arrivava in ospedale con i polmoni seriamente compromessi, spesso era troppo tardi,.

Basti pensare che, all’inizio della pandemia, la Lombardia aveva 500 posti letto di terapia intensiva, la Calabria 140 e la Lombardia è sei volte la Calabria proporzionalmente. Diciamolo senza timore: nella prima fase c’è stato un grave pregiudizio nei confronti della Calabria, ma questa terra ha saputo reagire e sta reagendo bene. E se non si trascureranno le altre patologie si potranno salvare molte altre vite. E questo è questo un obiettivo possibile». (s)

Magorno (IV): La sanità non ha bisogno di commissari

Il senatore di Italia VivaErnesto Magorno, ha ribadito che la sanità, in Calabria, non ha bisogno di commissari.

«Sulla tutela della salute dei calabresi – ha detto – e sulla complessiva riorganizzazione dei servizi sanitari sul territorio non si accetteranno partite ai ribasso e compromessi di convenienza. Esiste solo una strada maestra che il Governo nazionale può percorrere per sancire che il diritto alla salute dei calabresi vale quanto quello dei cittadini delle altre regioni: ovvero cassare il decreto Calabria e avviare una nuova pagina nella gestione sanitaria».
«Sono sempre più convinto, infatti – ha aggiunto – che occorra chiudere al più presto la struttura commissariale, che nulla ha prodotto in dieci lunghi anni né in termini di contenimento dei costi, né di innalzamento dei livelli minimi di assistenza. È giunto il tempo di archiviare questa inconcludente e deleteria pagina di espropriazione di diritti, autonomia e poteri».
«La sanità torni in capo ai calabresi – ha detto ancora – stralciando il debito in capo allo Stato, e avviando subito una riorganizzazione complessiva della rete ospedaliera, con la riapertura dei presidi chiusi e i necessari interventi finalizzati ad arginare il fenomeno dell’emigrazione sanitaria,  tra le cause maggiori del debito e pratica costosa sotto molti punti di vista».
«Risulta evidente che – ha concluso – la questione della sanità è centrale e prioritaria e ci aspettiamo dal Governo Draghi ogni adeguato provvedimento che abbia come orizzonte non le chiacchiere da corridoio ma la piena realizzazione di un diritto primario sancito dalla nostra Costituzione». (rp)

SANITÀ, PER LA RIFORMA E IL SUO RILANCIO
IN CALABRIA SERVONO SCELTE CONDIVISE

Il commissariamento della Sanità in Calabria, che ormai ha superato i dieci anni, ha bisogno di un intervento chiave per una riforma e il rilancio dell’intero settore. A cominciare dall’abbattimento del debito della Sanità che in Calabria ha raggiunto cifre insostenibili, importi pazzeschi che sarà impossibile ripianare. È utile sottolineare che gran parte del debito è stato provocato dall’esercizio del commissariamento che anziché sanare le situazioni pregresse ha prodotto altro debito e qui pare evidente che la responsabilità della ricadere tutta sullo Stato che ha disposto il commissariamento, ma non ha provveduto a controllare i conti e i risultati dell’esercizio. Bisogna interrompere lo scandalo del “turismo sanitario”: oltre 300 milioni l’anno pagati dalla Regione per ricoveri fuori della Calabria, senza contare una pari cifra di esborsi dei familiari per viaggi e spese soggiorno. Cosa si sarebbe potuto fare, in Calabria, in questi dieci anni con gli oltre tre miliardi “regalati” dalla Regione a Roma, Milano e in tutte le altre regioni – dove peraltro i migliori medici sono quasi tutti di origine calabrese? È dunque ora di pensare in termini concreti a formulare in termini propositivi soluzioni definitive al problema numero uno della regione. Una sanità al collasso non sarà risanata con il solo commissariamento, che tra l’altro ha penalizzato ulteriormente sia i cittadini bisognosi di cure sia il personale medico e paramedico.

Per la verità, analisi e idee per il rilancio della sanità calabrese vengono continuamente da ogni parte politica, ma molte non hanno basi solide su cui poter impiantare programmi di sviluppo. Non si dimentichi che occorre prioritariamente provvedere al più presto al risanamento della posizione debitoria che di fatto impedisce nuovi investimenti, nuove assunzioni, nuovi acquisti di macchinari fondamentali per offrire ai calabresi una sanità degna di questo nome. Altre ipotesi, invece, meritano attenzione e un necessario approfondimento. Tra queste ultime si segnala l’iniziativa della rete apartitica di professionisti, imprese e semplici cittadini che ha preso il nome di Calabria condivisa per affrontare temi utili allo sviluppo della regione. 

Il gruppo di Calabria condivisa ha affidato un documento di analisi e suggerimenti sulla sanità all’avv. Ernesto Mancini già direttore amministrativo dell’azienda ospedaliera-universitaria di Verona, con alle spalle diverse esperienze da dirigente in altri enti del Servizio sanitario nazionale e incarichi di docenza per università e altri enti, pubblici e privati, ed oggi presidente onorario dell’associazione “Prosalus Palmi”.

Il documento è molto interessante e sviluppa una serie di proposte che andrebbero analizzate e possibilmente valorizzate, fermo restando che, secondo Calabria condivisa, è fondamentale per la loro realizzazione la partecipazione delle cittadinanze ai processi decisionali e di controllo sulla salute pubblica. 

Infatti, nel corposo dossier è più volte ribadita l’idea di una sanità da riformare secondo scelte condivise con le cittadinanze: “Occorre attivare con urgenza – si legge nel documento – adeguati strumenti di partecipazione, cioè strumenti di relazione permanente tra Regione, Aziende e Cittadini. Questi ultimi, attraverso le associazioni e le altre formazioni civiche di cui fanno parte, potranno intervenire con funzione consultiva e di controllo sociale, ma anche di impulso, nei processi di elaborazione dei piani e dei programmi socio-sanitari e nella fase di attuazione degli stessi”. “Va chiarito – prosegue nella sua relazione l’avv. Mancini – che la partecipazione non si configura come “graziosa concessione” dell’Amministrazione in quanto è prevista e resa obbligatoria dalla stessa legge 833/78 di riforma sanitaria”.

Gli obiettivi di riforma. Alla richiesta di una partecipazione allargata alle scelte della sanità si aggiungono altre proposte in termini di obiettivi fondamentali. “È chiaro – si legge nel documento – che vanno compiuti i piani di rientro dai disavanzi, vanno assicurati i livelli essenziali di assistenza, non devono più tollerarsi scandalose inerzie e ritardi per la costruzione e l’attivazione dei nuovi ospedali né per l’ammodernamento di quelli strategici già esistenti”. Inoltre, “vanno realizzati i presìdi della medicina territoriali” e “vanno riadeguate le risorse umane professionali e quelle materiali”.  

Responsabilità chiare. Si sollecita, inoltre, l’individuazione di responsabilità chiare rispetto all’esecuzione dei programmi: “Occorre individuare per ognuno di tali atti programmatori il ‘responsabile unico dell’esecuzione’ o ‘team leader’ dei gruppi di lavoro aziendali o interaziendali. Troppe volte i risultati non si raggiungono proprio a causa della mancata chiarezza e la non individuazione di chi deve in concreto provvedere a risponderne”.

Dalla responsabilità alla trasparenza: “L’organo regionale o commissariale – è poi l’appello – deve inserire nell’apposita sezione ‘amministrazione trasparente’ prevista dalla legge, i dati e le informazioni attinenti ai principali procedimenti tecnici e amministrativi di cui è competente”.

Gli atti aziendali. Nel documento si fa il punto anche degli atti organizzativi delle aziende sanitarie e delle aziende ospedaliere: “C’è da augurarsi che questa volta gli atti aziendali non rimangano meri atti formali per la gran parte non eseguiti e che, invece, contengano princìpi e soluzioni che privilegino imparzialità, rapidità, efficienza, partecipazione, modalità di partecipazione adeguate”.

La formazione. “Si ritiene – scrive Mancini – che la formazione dei funzionari sia una scelta strategica da fare al più presto. Beninteso, la formazione deve essere orientata verso una moderna visione della Pubblica amministrazione sanitaria secondo princìpi da tempo codificati nella legislazione”.

Pubblica amministrazione e politica. Il tema della pubblica amministrazione viene affrontato anche in relazione alla classe politica. Nel documento si fa riferimento a responsabilità politiche “diffuse in ogni formazione che si è avvicendata al governo regionale”. Ma “è evidente – si legge ancora – che accanto ad una mediocrità palese della classe politica, peraltro non esclusiva della sola Calabria, è l’apparato tecnico-amministrativo che non ha saputo svolgere adeguatamente la propria missione di supporto e proposta”. Dunque, rispetto a una sanità regionale definita “fallimentare”, “non si può ritenere – afferma sempre Mancini – che ciò sia dipeso solo dalla presenza di una gestione commissariale anch’essa fallimentare”. 

La criminalità organizzata. “A scanso di equivoci – prosegue il documento – va detto che la criminalità organizzata resta il principale nemico da battere ma l’inefficienza della pubblica amministrazione sanitaria e, in alcuni casi, anche la sua corruzione, non è certamente questione di poco conto. Si tratta perciò di una miscela esplosiva di più elementi pur se oggetto di diversa graduazione”. 

Nella parte conclusiva della relazione si auspica la fine del commissariamento della sanità: “Deve perseguirsi al più presto l’obbiettivo di far cessare la gestione commissariale e far rientrare la Regione Calabria nella regolarità della propria funzione istituzionale. In ogni caso – è   la richiesta -, qualunque sia la componente di vertice (commissariale o politica) è decisivo per garantire risultati concreti e misurabili, il rinnovamento dell’apparato tecnico-amministrativo”. E infine: “Non dovrà mancare la partecipazione dei cittadini attraverso formazioni sociali di tipo associazionistico durature nel tempo che sappiano farsi carico del controllo sociale che la legge loro attribuisce”. (rrm)

CONTRIBUTO-DI-ANALISI-E-PROPOSTE-PER-LA-SANITA-IN-CALABRIA-Dicembre-2020-1

OSPEDALI CHIUSI E CASE SALUTE, NO ALIBI
PARTE DA REGGIO L’URLO DEL TERRITORIO

di SANTO STRATI – L’ottimo lavoro che il nuovo Commissario alla Sanità prefetto Guido Longo sta facendo, in attesa della definitiva approvazione del Decreto Calabria (già passato alla Camera, ora in Senato) è un buon segnale per avviare quel profondo rinnovamento necessario alla sanità calabrese. Va dato atto al prefetto Longo dell’impegno a riattivare ospedali chiusi, case salute inutilizzate, Usca (i centri per l’assistenza domiciliare) mai avviati: c’è bisogno di una visione strategica ad ampio raggio e un’ampia collaborazione da parte di tutti gli attori. I calabresi, in materia sanitaria, sono fino ad oggi stati considerati figli di un dio minore, sulla loro salute ci sono le fortune delle già ricche regioni del Nord (vale oltre 300 milioni il “turismo sanitario” cui sono costretti ogni anno i calabresi per insufficienza di strutture locali e non per la qualità di medici e specialisti che spesso sfiora l’eccellenza). Non a caso, negli ospedali del Centro Nord l’accento calabrese è diffusissimo a conferma che le nostre menti migliori, le più capaci risorse della regione hanno dovuto (o voluto) lasciare la propria terra e mettere a profitto competenze e capacità a vantaggio di altre regioni. È motivo d’orgoglio, ma anche di profonda amarezza, sapere che ci sono svariate centinaia di professionisti che occupano posti di grande rilievo nelle principali strutture sanitarie del Paese. Sono andati via, senza che in dieci anni di commissariamento nulla in regione sia stato fatto o cambiato per favorirne il ritorno.

Per non parlare poi dei “pensionati”: medici specialisti calabresi che hanno speso la loro vita negli ospedali e nelle cliniche del Centro Nord e che sarebbero felici di ritornare in Calabria a offrire la propria esperienza. Pensate che qualcuno ha mai pensato di contattare qualcuno dei tanti specialisti a riposo, anche in questa sciagurata stagione di pandemia, sia nella prima ondata sia nella seconda? Qualcuno che abbia chiesto l’eventuale disponibilità e offerto non quattrini ma almeno il riconoscimento delle loro competenze per dare aiuto e sollievo alla popolazione calabrese? Manco per idea. Assenza di risorse, in primo luogo, certo, ma anche cecità assoluta da parte di chi è stato delegato fino ad oggi a gestire l’emergenza e pianificare assistenza, ricoveri, strategie di intervento. Bene, è ora di voltare pagina.

A questo proposito parte da Reggio un’iniziativa di riscatto e di rivalsa che il prefetto Longo dovrebbe prendere in seria considerazione. L’ha lanciata un ex consigliere comunale di Reggio, l’avv. Pasquale Imbalzano (il padre Candeloro è stato un apprezzato consigliere regionale), che fa parte del coordinamento provinciale di Forza Italia. Doverosa una premessa: date le circostanze e l’emergenza, non si tenga conto da quale parte vengano suggerimenti e segnalazioni. L’obiettivo dev’essere trasversale, ovvero richiede una collettivizzazione apartitica dell’emergenza, con il solo fine di portare soluzioni e sollievo alla popolazione calabrese. Ci sarà tempo per vantare meriti o espiare colpevoli mancanze, oggi è importante trovare un comune percorso che superi le diffidenze, i dispetti e le tradizionali schermaglie politiche tra le parti avversarie. Non è un sogno irrealizzabile, basta metterci la passione giusta e l’impegno di trovare risposte adeguate alle esigenze dei calabresi ormai stanchi di illusorie promesse e fallimentari soluzioni, spesso a senso unico e non certo a favore della popolazione. In Calabria ci sono risorse eccezionali, figure di eccellenza sia nel campo medico-scientifico che in quello amministrativo: è a queste forze che il prefetto Longo dovrà attingere nel difficile percorso intrapreso. I calabresi gli hanno dato e gli danno ampia fiducia e questa spinta è l’ideale incoraggiamento a mostrare a tutti quanto è grande il suo amore verso la Calabria, che considera come sua seconda patria.  

Scrive l’avv. Imbalzano nel suo documento programmatico: «La storia della sanità calabrese e reggina, in particolare del segmento ospedaliero, degli ultimi dieci anni ha registrato alcuni fatti incontrovertibili. Il Commissariamento ha fallito la sua missione di risanamento economico-finanziario, tant’è che il debito annuale, tra alti e bassi, è rimasto sostanzialmente  inalterato, mentre quello complessivo continua ad essere una voragine  inquietante. Le rendite parassitarie non sono state minimamente scalfite, le baronie imperano ancora con la connivenza delle  burocrazie ai diversi livelli, mentre i Lea  hanno subito un ulteriore, drammatico ridimensionamento. In più, a dispetto della enormità degli investimenti tra gli anni ’90 e primi  anni 2000 per dotare il territorio di nuovi ospedali e  ammodernare quelli esistenti, dall’inizio di questo decennio col Commissariamento si è proceduto  allo smantellamento dell’esistente, nella falsa convinzione che chiudere strutture sul territorio fosse la panacea di tutti i mali, non solo sanitari, regionali.

«Se i risultati sono  innegabilmente questi, tant’è che  la Calabria è diventata “Zona Rossa”, al pari della Lombardia che da mesi registra migliaia  di morti Covid, sol perché ha un sistema sanitario al limite del  collasso, è anche banale sostenere che urge nel settore una immediata inversione di tendenza in ordine alle scelte che dovranno essere assunte, per non far precipitare nel baratro  quel poco che ancora resiste e  togliere completamente ai calabresi ed ai reggini il sacrosanto diritto alla salute. Altro che logica degli ospedali da campo, oggi adottata per l’emergenza in corso, ma domani chissà perché! Riaprire gli ospedali inattivi ed immediatamente utilizzabili, che ospitano uffici o sono  sedi di poliambulatori, in una logica di complementarietà territoriale,  nonché rafforzare quelli esistenti, ridotti oggi al lumicino, che se funzionanti avrebbero potuto accogliere centinaia di pazienti, sia ordinari che colpiti da Covid, invece che  costretti nelle corsie dei Pronto Soccorso e qualche volta sulle ambulanze. Questo punto di partenza è un imperativo da cui non si sfugge.

«È possibile tenere vuoto un ospedale come quello di Taurianova, al centro della Piana, già sede di un reparto di Medicina di eccellenza, a suo tempo pure cablato, o quello di Cittanova, per anni punto di riferimento per l’Ortopedia? In attesa del nuovo Ospedale territoriale tra 5 o 10 anni, la struttura di Palmi può continuare a ospitare soltanto l’unica Camera Iperbarica della provincia di Reggio? Per quello di Gioia Tauro, da un paio d’anni progressivamente mortificato con trasferimenti di personale e di reparti, non si è trovato di meglio, nella logica dell’emergenza e dell’improvvisazione, di utilizzarlo come Centro Covid» – evidenzia l’avv. Imbalzano.

«C’è poco da sottolineare, sulle attuali condizioni del  glorioso Ospedale di Melito, unica struttura dell’Area Grecanica, dopo lo smantellamento di Reparti fiori all’occhiello della sanità calabrese, a partire da quello storico di Ostetricia, e sulla necessità di un suo rilancio. Mentre nulla si sa del fantasma dell’Ospedale di Gerace, quello di Locri, pur depotenziato, è  costretto a sobbarcarsi i bisogni di tutta l’Area Locridea. Per non parlare delle Case della Salute rispettivamente di Scilla, dove grazie alle battaglie politiche di alcuni di noi, è stato finalmente aperto il “centro di Procreazione Medicalmente Assistita”, e di Siderno esistente solo sulla carta, nonostante  un corposo finanziamento da anni colpevolmente e misteriosamente  inutilizzato».

Nel suo documento, l’avv. Imbalzano lancia un appello al prefetto Longo: «Vogliamo confidare nella intelligenza, nella capacità decisionale e nel pragmatismo del  nuovo Commissario, per avviare un  capovolgimento della funesta tendenza al ridimensionamento perpetrata in  questi anni. Urgono scelte equilibrate e soprattutto compensative dei deficit dei Livelli Essenziali di Assistenza sofferti sia dal territorio pianigiano che da quello grecanico-locrideo. Ma si faccia presto, anzi prestissimo, perché il prezzo in perdite di vite umane e di costi sociali pagati dai cittadini sono stati troppo alti e non  sono più ulteriormente sopportabili». Parole chiare, suggerimenti preziosi che siamo certi possono costituire una buona base di discussione per la necessaria ripartenza. Lo si deve alla Calabria e ai calabresi e alle centinaia di medici che in questi mesi stanno dando persino la vita pur di salvarne altre. Le risorse finanziarie ci sono, bisogna solo saperle spendere: in quest’ottica  la scelta dle prefetto Longo fda parte del Governo è stata davvero felice. (s)

Arruzzolo: Con l’arrivo del Commissario Longo si apre una nuova stagione per il bene comune

Il presidente del Consiglio regionale della Calabria, Giovanni Arruzzolo, ha voluto dare il suo benvenuto e l’augurio di buon lavoro al neo commissario alla Sanità, Guido Longo, che da oggi è in Calabria.

Le aspettative sul lavoro del nuovo commissario sono altissime: «i cittadini – ha aggiunto Arruzzolo –  si attendono che faccia, in tempi rapidi, chiarezza sulle tante vicende da cui dipende l’esito del contrasto efficace  al Covid-19 e il diritto alla salute dei calabresi previsto dalla Costituzione».

«Lasciamoci alle spalle – ha proseguito Arruzzolo – le troppe polemiche che, negli ultimi tempi, hanno generato confusione e disorientato i calabresi e sperando che da parte del Governo vi sia finalmente un’attenzione puntuale, corroborata da  segnali concreti anche in relazione agli stanziamenti pubblici di cui le infrastrutture materiali ed immateriali della sanità calabrese hanno urgenza,  apriamo una stagione nuova, d’impegno leale e serrato, che veda tutti i livelli di responsabilità cooperare esclusivamente per il bene comune».

«Il Consiglio regionale che mi onoro di rappresentare – ha concluso – pur nei limiti derivanti dall’agire nell’ultima fase della legislatura, è pronto all’ascolto e alla massima collaborazione con il nuovo Commissario dottor Guido Longo,  così come fin qui non ha mai mancato di sostenere l’egregio lavoro di tutti gli operatori sanitari che, con sacrificio e abnegazione, si sono adoperati per fronteggiare la pandemia ed a cui non finiremo mai di essere grati». (rrm)

Sapia (M5S) e Guccione (PD): Le decisioni su sanità spettano al Commissario, Regione non lo scavalchi

È ferma la posizione del deputato del Movimento 5 Stelle, Francesco Sapia e del consigliere regionale del Partito DemocraticoCarlo Guccione, secondo cui «la gestione dell’emergenza Covid in Calabria spetta al nuovo commissario alla Sanità regionale, Guido Longo, cui per le vie brevi abbiamo già chiesto di coordinare la programmazione dei reparti e posti Covid al fine di tutelare a modo il diritto alla salute e di allontanare possibili frizioni istituzionali e rischi per i pazienti».

«Questo – hanno aggiunto – è il momento del metodo e della collaborazione nell’interesse esclusivo dei calabresi, che non possono subire scelte impulsive nate nel periodo in cui non c’era il commissario alla Sanità e che meritano risposte, sicurezza e tranquillità. Bisogna garantire strutture e posti dedicati ai malati Covid, ma senza intaccare l’assistenza sanitaria dovuta ai pazienti acuti e cronici, ai cardiopatici, ai nefropatici, agli oncologici ai e così via. Pertanto, è giusto consentire al commissario Longo di verificare gli interventi che nel merito si stanno realizzando, che la Regione Calabria e le aziende del nostro Servizio sanitario cooperino con il nuovo responsabile del Piano di rientro, cui le norme vigenti affidano compiti e funzioni precise, intanto il ruolo di timoniere dell’emergenza sanitaria in atto, che non può essere scavalcato».

«Bisogna, prima – hanno proseguito Sapia e Guccione –potenziare gli organici e i reparti ordinari degli ospedali non hub come Rossano, Acri e San Giovanni in Fiore, e poi verificare la possibilità di utilizzarli in sicurezza anche per ricavare posti Covid, tenuto conto che con l’imminente conversione del decreto Calabria sarà possibile incrementare il personale sanitario con assunzioni a tempo indeterminato, sia pure nei limiti delle risorse disponibili». (rrm)

IL RITORNO IN CALABRIA DI GUIDO LONGO
IL PREFETTO COMMISSARIO DELLA SANITÀ

di SANTO STRATI – Una persona perbene, un funzionario integerrimo, un fedele servitore dello Stato: l’ex prefetto Guido Longo ha accettato la nomina di Commissario ad acta per la sanità calabrese, ponendo fine a un imbarazzante vuoto istituzionale non più sostenibile. È un ritorno: il prefetto Longo conosce molto bene il territorio, quasi da essere considerato calabrese d’adozione. Catanese, è stato Capo della Mobile a Reggio e poi questore, per poi diventare questore a Palermo e chiudere il suo servizio come prefetto a Vibo Valentia, che ha lasciato, per raggiunti limiti d’età, il 1° giugno 2018. Il presidente Giuseppe Conte ha twittato, subito dopo la nomina – fatta «su indicazione del ministro dell’Economia Gualtieri, di concerto con il ministro della Salute Speranza e sentito il parere del ministro per le Regioni Boccia –: «un uomo delle istituzioni».

E dopo 20 giorni di di una desolante telenovela tra licenziamento (Cotticelli) proposte, dimissioni obbligate (Zuccatelli), rifiuti con varie motivazioni, qualcuna persino risibile (Gaudio), s’è trovata la quadra su un nome che nessuno può mettere in discussione. È finito il vergognoso balletto della lottizzazione partitica (avviata da Speranza, proseguita con Zingaretti, apparentemente avversata ma in realtà sostenuta dai Cinque Stelle) e c’è un uomo del fare che da oggi non avrà tempo di pentirsi di aver accettato. Prima di tutto perché, da fedele servitore dello Stato, il prefetto Longo non è abituato a tentennamenti e, se chiamato, risponde senza il minimo indugio; poi perché, per la sua natura di uomo del fare, accetta sempre di buon grado ogni tipo di sfida. Non sarà un Commissario seduto dietro una scrivania e già da stamattina in parecchi cominceranno a tremare sulle metodiche che da superpoliziotto ci ha abituato ad aspettarsi da lui: nessuna esitazione e rispetto assoluto delle istituzioni, con lotta spietata a ‘ndrangheta, malaffare e corruzione (cosa che ha fatto da questore, sempre in prima linea).

L’ultimo candidato a Commissario, Agostino Miozzo, in atto coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico antiCovid – incarico che sta svolgendo con competenza e assoluta capacità – aveva chiesto per accettare che gli fossero concessi “poteri straordinari”. In altri termini, aveva – secondo alcune voci – chiesto garanzie sull’azzeramento del debito pregresso o quantomeno su un suo congelamento. Non glieli hanno concessi.

E allora, ci si chiede, il prefetto Longo è destinato a una missione suicida? Visto che dovrà affrontare un debito spaventoso da ripianare e, allo stesso tempo, rilanciare la sanità calabrese, garantendo pari opportunità di accesso alle cure e diritto alla salute ai calabresi, al pari di tutti gli altri italiani? Beh, l’ex prefetto di Vibo non è un incosciente e sa perfettamente quali saranno le criticità più forti e che incontrerà ostacoli a non finire, soprattutto per la sua modesta conoscenza del comparto sanitario. Ma, se a un superpoliziotto si affianca una squadra di tecnici e scienziati, la strada è sicuramente in discesa. È, difatti, fondamentale che il prefetto Longo possa disporre (è nei suoi poteri) delle migliori eccellenze disponibili sul territorio, sia dal punto di vista medico-scientifico che da quello dell’amministrazione sanitaria. I nomi li abbiamo fatti più volte e circolano da diverso tempo, da quando si è entrati nel grottesco di una nomina che sembrava impossibile: il prof. Franco Romeo, cardiologo di fama internazionale e direttore della Cardiologia al Policlinico Tor Vergata (e attualmente consulente scientifico della Giunta regionale calabrese per l’emergenza Covid), il prof. Giuseppe Nisticò, farmacologo di fama internazionale, già presidente della Regione Calabria nel 1995-1998, il Rettore dell’Università Magna Graecia di Catanzaro Giovambattista De Sarro, farmacologo e ricercatore, il prof. Massimo Martelli, chirurgo toracico di elevato spessore al Forlanini di Roma, per la parte medico-scientifica; il dott. Rubens Curia, medico virologo ed esperto di amministrazione sanitaria, il dott. Gianfranco Luzzo, memoria storica della Sanità in Calabria. Tutti e sei hanno due caratteristiche in comune: sono eccellenze nel loro campo e sono calabresi. Il prefetto Longo li convochi, li coinvolga nel progetto di rilancio (oltre che di risanamento) della sanità calabrese, ne faccia una task force invincibile che avrebbe a cuore solo il benessere dei calabresi. L’impegno di queste sei eccellenze sarebbe appassionato, quanto competente, per dare una definitiva svolta al crack della sanità in Calabria. Impegno al pari di quello – siamo certi – che ci metterà il prefetto Longo che è profondamente legato alla Calabria e ha a cuore il benessere dei calabresi.

Un disastro, quello della sanità, che ha origini lontane e, probabilmente, una rete di connivenze e di complicità che dovranno interessare l’autorità giudiziaria. Con il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri il nuovo Commissario ad acta Guido Longo condivide un’antica amicizia e una stima reciproca che sono la garanzia migliore per un ottimo lavoro sul territorio, per fare “pulizia”, far uscire allo scoperto imperdonabili dimenticanze e cancellare l’orripilante abitudine della “contabilità orale” che se non fosse vera potrebbe anche indurre al sorriso. Certo, è difficile rilanciare la sanità se si deve pensare di risanare prima di tutto i debiti. Quindi l’impegno vero del Governo, se vuole veramente dimostrare che l’Italia non è vero che s’è dimenticata della Calabria, dovrebbe essere quello di azzerare o, almeno, congelare il debito pregresso. Debito di cui, peraltro, non si hanno notizie certe: ci sono state fatture pagate più volte, mentre altri (sfortunati) fornitori ancora attendono fino a 800 giorni per vedersi saldate le spettanze, ma soprattutto ci sono i crediti ceduti a società di recupero che hanno costruito una fortuna sul debito della sanità. La cosa più inquietante – e sarà la prima mossa, immaginiamo del Commissario – è che a fronte di decreti ingiuntivi e precetti di pagamento mai nessun avvocato delle varie aziende sanitarie chiamate a pagare si è mai presentato a proporre opposizione alle richieste. Così, è stato facile, soprattutto per le società di collecting avanzare richieste di pagamento attraverso la via giudiziaria, senza mai trovare alcun ostacolo, indipendentemente se il debito fosse vero e accertabile o inesistente.

L’azzeramento del debito della sanità non significa un condono penale per quanti hanno lucrato sui guasti del sistema sanitario calabrese, ma equivale a offrire ai calabresi la possibilità di ricostruire un apparato che offra servizi adeguati ai cittadini. E l’emergenza Covid giustifica e autorizza un’eventuale azione di azzeramento del debito: sarebbe il minimo del risarcimento dovuto da uno Stato incapace – attraverso le sue scelte commissariali durate dieci anni – di rendere la Calabria una regione “normale”, almeno dal punto di vista del diritto alla salute.

Intendiamoci, non farà certo piacere alle regioni del Centro-Nord un vero risanamento del sistema sanitario calabrese: significa dire addio a circa 300 milioni all’anno di ricavi dal cosiddetto “turismo sanitario”, ovvero le prestazioni a tutti quei calabresi che vanno a curarsi o farsi operare fuori dalla regione, per mancanza di strutture e, soprattutto, per l’assenza di un sistema funzionante. Un calabrese per la sanità dispone a malapena di 15 euro, contro gli 89 di un emiliano: come vogliamo chiamarla questa disparità? Divario? Sarebbe un’offesa all’intelligenza: è il risultato dell’atteggiamento furbo di chi ha dragato a fondo le risorse del Mezzogiorno (uomini, quattrini, investimenti mancati) per far crescere il Centro-Nord, dove peraltro i migliori specialisti della medicina (e non solo) hanno tutti l’accento calabrese.

La Calabria ha il triste record dell’export delle eccellenze e delle migliori risorse umane: questo il nuovo commissario ad acta Guido Longo lo sa perfettamente e siamo sicuri che il suo impegno sarà proprio rivolto per invertire – almeno nell’ambito sanitario – questo trend. È un uomo dello Stato: «Il presidente del Consiglio mi ha contattato oggi pomeriggio (ieri per chi legge) proponendomi l’incarico. Quando lo Stato mi ha chiamato non ho mai detto di no. E la cosa non mi spaventa: non ho mai avuto incarichi facili». (s)


I COMPITI DEL COMMISSARIO

Il dott Guido Longo è stato nominato commissario ad acta «per l’attuazione del vigente Piano di rientro dai disavanzi del Servizio sanitario della Regione Calabria”.

Spetta anche al Commissario ad acta «il monitoraggio delle procedure per la realizzazione dei Nuovi Ospedali secondo quanto previsto dalla normativa vigente e dalla programmazione sanitaria regionale», «la definizione dei tetti di spesa e dei conseguenti contratti con gli erogatori privati accreditati per l’acquisto di prestazioni sanitarie in coerenza con il fabbisogno assistenziale, con l’attivazione, in caso di mancata stipula del contratto e ridefinizione delle tariffe delle prestazioni sanitarie, nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente». È anche prevista l’attuazione «dei nuovi compiti assegnati al Commissario ad acta dal decreto legge 10 novembre 2020, n. 150 e tra questi l’adozione del Programma operativo per la gestione dell’emergenza Covid-19 previsto dall’articolo 18 del decreto legge 17 marzo 2020». (rrm)

 

Fragomeni: I calabresi stanno pagando il fallimento della politica

Mariateresa Fragomeni, candidata a sindaco di Siderno, ha commentato ciò che ha definito uno «squallido spettacolo a cui i cittadini sono costretti ad assistere», ossia la mancata nomina del Commissario alla Sanità calabrese.

«Non si riesce a trovarne – ha detto la Fragomeni – uno disposto a trasferirsi a Catanzaro, non contrario all’uso delle mascherine e, se possibile, esperto. La lista dei quasi-Commissari continua, infatti, ad allungarsi e, dopo le dimissioni di Saverio Cotticelli, il passo indietro di Giuseppe Zuccatelli e il dietroftont in extremis di Eugenio Gaudio, oggi conta anche il nome di Agostino Miozzo, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico con provata esperienza nella gestione delle crisi».

«È arrivato il momento di dire basta – ha sottolineato – i calabresi stanno pagando un prezzo troppo alto per l’inadeguatezza della politica, devono ribellarsi di fronte all’incapacità del governo Conte, responsabile oltre ogni ragionevole dubbio di un attentato alla loro salute. Nonostante le promesse fatte dal premier Giuseppe Conte in diretta televisiva, quando nel programma di Lilly Gruber ha annunciato il nuovo Commissario per la Calabria, la nomina è saltata ancora una volta, e per veto del Movimento 5 Stelle».

«Per questo – ha concluso – visto il protrarsi della situazione di stallo, ho chiesto al mio Partito, il Partito Democratico, l’assunzione di una immediata posizione a difesa della nostra regione. In un solo mese, nella nostra regione, sono morte di Covid 145 persone, non è possibile andare ancora avanti così. Anche in Calabria, vige la Costituzione». (rrm)