UNA RIFLESSIONE DELLA SCRITTRICE GIUSY STAROPOLI CALAFATI SULLE RESPONSABILITÀ SOCIALI DELLE ISTITUZIONI;
Un'aula deserta

TAR O REGIONE, LA GUERRA PER LA SCUOLA
L’EMERGENZA, GLI STUDENTI DISORIENTATI

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Dietro il buon funzionamento di un paese serve necessariamente il genio del suo popolo. Politica, istituzioni, sanità, scuole, associazioni e classi sociali. Uno per tutti e tutti per uno. Buon senso e soprattutto responsabilità, pronti a portare, in tempi emergenziali soprattutto, a scelte pubbliche lungimiranti che non abbiano in assoluto mai scadenze elettorali. Ma in Calabria, l’istituzione, definita più largamente con il termine più allargato di STATO, alla soglia massima dell’emergenza umana, non sfata miti e cronicizza le sue piaghe. L’emergenza invece di accelerare, rallenta. Azzera, in un battito di mani, ogni genere di responsabilità, e il buon senso le deraglia come i treni sui binari, portando via con sé, sui binari astratti dell’indifferenza, i valori inequivocabili della società civile, su cui, come sui testi biblici, è fondato lo spirito dell’umanità intera.

Accertate le fragilità croniche che la Calabria si trascina da decenni in ambito sanitario e non solo, a soffrire questa era pandemica, con cicatrici profonde sulla propria identità, è soprattutto la scuola. Il luogo in cui si forma e si forgia il più prezioso materiale umano del paese. Studenti, docenti, dirigenti, personale… Un ensemble di individui che a differenza d’altri, hanno sulla società intera un peso enorme.

La pandemia, in quanto tempo di progressiva anomala aritmia, mette in discussione il valore dell’essere umano in quanto tale, e in più la sua collocazione all’interno del mondo che in termini di progresso egli stesso ha modificato, con purtroppo cenni di effettiva instabilità a ogni margine di livello.

DAD O PRESENZA?

La scuola, in Calabria, rimane vittima di un acceso ed eccessivo focolaio politico, le cui beghe rocambolesche si snodano tra un duo d’eccellenza, Regione e Tar. Una dualità senza precedenti che, in Calabria, manda al macero anni e anni di impegno sociale da parte della scuola, dove gli studenti risultano essere i primi individui costitutori della società civile che conta, e sulla cui formula si stima la crescita del paese.

In Italia, a un anno esatto dalla pandemia, con 100.000 morti sui bollettini ufficiali e sulle coscienze, l’emergenza, se non tempestivamente arginata, rischia di diventare normalità. E l’industria della scuola continuerebbe a soffrire al pari di quella economica. Con conseguenze evidenti sul futuro della società moderna e dei progetti che su di essa, ogni singolo studente si costruisce.

“La scuola è un posto sicuro”, si è sostenuto per mesi. Ed è vero. È il più certo degli investimenti che una comunità può fare.

La scuola è quella certezza che protegge dalla strada, dalle insidie, dalle provocazioni. È lo scudo perfetto, necessario e indispensabile contro l’ignoranza, la mala gestione, la corruzione. È l’unica fabbrica vera che per legge e per coscienza, costruisce uomini liberi, e imbastisce le basi per il loro futuro. Ma contro il Covid, certezze non ne da. Non ancora.

Studenti costretti per ore a rimanere immobili tra i banchi, con le finestre aperte anche d’inverno per il ricambio dell’aria, nel più rigido regime del distanziamento sociale, non è scuola.

Studenti obbligati a non lasciare l’aula, senza intervalli, zero corse nei corridoi, nessuna pacca sulle spalle, e con proibizioni all’inverosimile, come scambiarsi un libro, prestarsi una gomma, copiarsi i compiti, o suggerirsi qualcosa, non è scuola.

Studenti senza la gioia dei 100 giorni, i laboratori in esterna, gli stage di lavoro, e con le bocche coperte fino al massimo delle ore da insopportabili mascherine, non è scuola.

La scuola vissuta in presenza non può essere frantumata così. Perchè se anche in formula di regime, continua ugualmente a insegnare Dante, Petrarca e Boccaccio, mai potrà a Matteo, Chiara, Roberta, Bianca e a tutti gli altri, offrire le basi libere su cui fondare la loro vita al di fuori dalle sue mura. Per tutto questo diventa necessaria la libertà assoluta nella pratica dei valori. E il Covid, ahinoi, non lo consente.

In era Covid, nasce la DAD. UN destino? No, una situazione d’obbligo.

Ci sono ragazzi che al ritorno da scuola si sono sentiti responsabili per aver portato a casa, quali principali vettori di contagio, il virus del Covid 19, con conseguenze fatali su componenti della propria famiglia. E le colpe sono dure da sopportare a certe età. Ci sono studenti, anche piccoli, su cui il Covid ha dato spettacolo, lasciando vuoti per sempre i propri banchi di scuola; e poi ci sono giovani liceali o universitari che hanno perso le madri, i padri, ma anche i nonni; e ci sono bambini della materna che sacrificano la lor età più bella, per mantenere vive  le loro vite.

DAD O PRESENZA? REGIONE O TAR?

Questo è il problema!

Un rimpallo che in Calabria va avanti ormai da mesi, come un fosse un gioco di magia. Scuola apri, scuola chiudi. Ma la scuola non è un negozio con un’apposita saracinesca. Che se la chiave gira a destra apre, e se invece torce a sinistra chiude. La scuola è l’angolo più sacro della società civile. È la suprema corte della formazione dell’individuo. E non fa giochi e non fa scherzi, nè si presta a terzi per far smuovere batacchi di campane politiche a nessuno e per conto di nessuno.

Quella Tar- Regione, più che una sfida, in Calabria, assume i connotati di una corsa. Chi arriva prima?

Nella gara, chi tifa Regione e chi Tar.

Uno sport estremo in cui gli studenti calabresi si ritrovano davanti due enti moralmente miseri. (gsc)