L’allarme del procuratore Gratteri sugli aiuti.
Impedire che i soldi vadano in mano ai mafiosi

È da fine marzo che il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri va ripetendo che le aziende hanno bisogno di liquidità, ma occorre vigilare sulla destinazione dei fondi: il rischio che i soldi finiscano in mano ai mafiosi è molto concreto e occorre prendere le opportune precauzioni per evitare questa ulteriore opportunità per la ‘ndrangheta. In altra parte del giornale riferiamo l’intervento di Gratteri, in teleconferenza, all’Università La Sapienza, ma sta avendo molta eco la lettera-intervento che il magistrato, insieme con il suo coautore di sempre Antonio Nicaso, ha inviato sul tema al Corriere della Sera, dopo le polemiche sorte con l’editoriale dell’autorevole quotidiano tedesco Die Welt. Il giornale aveva invitato l’Europa a limitare gli aiuti di liquidità all’Italia perché c’era il rischio concreto che finisse a finanziare la mafia.

«Le mafie – scrivono Gratteri e Nicaso – sono un fenomeno con cui bisogna fare i conti. Ma non possono diventare un alibi, quando si tratta di intervenire per fronteggiare una crisi che sembra rievocare quella della Grande Depressione, come osserva il Fondo Monetario Internazionale. Oltre 170 Paesi registreranno quasi sicuramente una riduzione del reddito pro-capite e i settori più colpiti dalla sospesnsione dell’attività economica e sociale imposta dagli sforzi per contenere il contagio saranno principalmente il commercio al dettaglio, il settore turistico-alberghiero, i trasporti, ma soprattutto la piccola e media impresa.». Ed è qui che s”insinua la minaccia mafiosa. Il riferimento a precedenti storici è ben preciso: «In questo momento – scrivono Gratteri e Nicaso – servirebbe una riflessione sulla necessità di trattenere nel presente qualcosa di significativo del passato… Dopo il terremoto del 1908, le leggi sulla ricostruzione di Reggio Calabria e Messina hanno finito per incattivire gli scontri “intorno alla distribuzione e all’uso del denaro pubblico” vivacizzata da una nuova presenza: quella degli ‘ndranghetisti che avevano fatto i soldi negli Stati Uniti e che, approfittando dei ritardi e delle incertezze dei provvedimenti governativi, si erano messi a prestare soldi a usura. Il desiderio di scalare la piramide sociale, in quell’occasione, ha infoltito i ranghi di una organizzazione che, come nel caso della mafia in Sicilia e della camorra in Campania, non si è sviluppata nel vuoto delle istituzioni, ma al loro interno, grazie a collusioni, corruzione e sperpero di denaro pubblico».

Gratteri e Nicaso sul Corriere osservano che «c’è molta ipocrisia nell’atteggiamento di Paesi come la Germania o l’Olanda che temono il saccheggio delle risorse comunitarie da parte delle mafie ma non hanno mai fatto abbastanza per frenarne gli investimenti nei loro territori. Dalla caduta del muro di Berlino in poi, le mafie in moltiPaesi d’Europa non sono state viste come minaccia, ma come opportunità. Oggi, più che mai, i soldi del narcotraffico sono diventa ossigeno dell’economia legale. Come è successo al tempo della crisi del subprime in cui molte banche sono riuscite a far fronte ai problemi di liquidità finanziaria grazie ai soldi del narcotraffico, come ha denunciato coraggiosamente l’allora direttore dell’ufficio delle Nazioni Unite per la lotta contro droga e crimine, Antonio Costa».

«Ci sarà – mettono in guardia Grattesi e Nicaso – chi cercherà di “condizionare” gli elenchi dei cittadini bisognosi che i sindaci sono chiamati a compilare; cercheranno di sfruttare i ritardi della burocrazia che regola il settore bancario, ma anche quello della pubblica amministrazione».

In conclusione, riferiscono i due autori di famosi bestseller su mafia e ‘ndrangheta che «Secondo i vertici della Direzione centrale anticrimine, tale scenario [l’impatto strutturale che deriva dall’attuale emergenza sanitaria, ndr] potrà evidenziare ampi margini di inserimento per la criminalità organizzata nella fase di riavvio di molteplici attività economiche, tenuto conto della circostanza che la crisi attuale si configurerà come portatrice di un deficit di liquidità, di una rimodulazione del mercato del lavoro, del conseguente afflusso di ingenti finanziamenti sia nazionali che comunitari».  Per queste ragioni «Il tempo della parole è finito. È tempo di agire, fare sistema, mettendo assieme tutte quelle forze che hanno a cuore il benessere del Paese. Se continueremo a cedere il passo a quella lunga e pericolosa convivenza tra faccendieri e mafiosi, faremo fatica a riprenderci.

A questo proposito è utile segnalare che il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha inviato ai prefetti una lettera in cui mette in evidenza i pericoli che nascono «nelle realtà caratterizzate da un minor sviluppo e da già elevati livelli di disoccupazione», in cui «un possibile aggravamento della situazione economica rischia di comportare il ricorso a forme di “sostegno” da parte delle organizzazioni criminali, che in tal modo mirano anche ad accrescere il consenso nei loro confronti». Diventa dunque «fondamentale l’azione di prevenzione e contrasto dei tentativi della criminalità organizzata di penetrare il tessuto produttivo… Un focus specifico – sottolinea il ministro – potrà essere dedicato alle dinamiche societarie della filiera agroalimentare, delle infrastrutture sanitarie, della gestione degli approvvigionamenti, specie di materiale medico, del comparto turistico-alberghiero e della ristorazione, nonché dei settori della distribuzione al dettaglio della piccola e media impresa». Non meno importante – secondo la Lamorgese – «l’attivazione di sportelli di ascolto e la promozione di iniziative di solidarietà a vantaggio delle fasce di cittadini con maggiori difficoltà. In tale ambito, una particolare premura dovrà essere prestata, tra gli altri, al tema del disagio abitativo».

Gratteri nella conversazione alla Sapienza (vedi il video) ha anticipato che gli incontri con l’Associazione dei Comuni italiani (Anci) hanno portato a focalizzare la necessità di un tempestivo controllo sul territorio utilizzando polizia e carabinieri cui i sindaci possono passare le richieste di solidarietà e aiuto. (rrm)

Buoni spesa: a Milano 150 euro, a Reggio 450
In Calabria ha vinto l’autonomia dei Comuni

di FRANCESCO AIELLO – I comuni italiani hanno adottato criteri diversi per determinare l’ammontare dei buoni spesa legati all’emergenza coronavirus. L’esito è che situazioni simili sono trattate in modo diverso a seconda del comune di residenza: il buono spesa ricevuto da una famiglia composta da tre persone è pari a 150 euro a Milano, 450 euro a Reggio Calabria e a 560 euro a Verona. Significative differenze sono presenti anche all’interno della stessa area e della stessa regione. Era un risultato prevedibile, poiché, data l’emergenza e l’assenza di linee guida, i comuni hanno agito in autonomia  Tra quelli esaminati, l’unico comune che sembra aver utilizzato un riferimento di dati per fissare l’ammontare dei buoni spesa è Lamezia Terme, che, nell’apposito avviso pubblico, cita la spesa alimentare delle famiglie italiane del 2018 di fonte ISTAT.  Una ragione del fatto di non aver usato criteri simili poteva essere l’eccezionalità del caso in esame e la necessità di dover essere rapidi nell’erogazione degli aiuti ai più bisognosi. Limitatamente ai comuni esaminati in questa nota, solo in pochi hanno già distribuito i buoni spesa, mentre gli altri sono ancora nella fase di verifica delle richieste. L’aiuto alimentare è, quindi, sia lento sia differenziato (a parità di composizione della famiglia).

L’intervento della protezione civile. Lo scorso 29 marzo il Dipartimento della Protezione Civile ha stanziato 400 milioni di euro per l’erogazione di buoni spesa a favore delle famiglie che, a seguito dell’espansione dell’epidemia da Covid19, soffrono lo stato di disagio e di povertà e che non sono in grado il soddisfare i bisogni alimentari ed essenziali (ordinanza n. 658 del 29/03/2020). Data l’emergenza, le somme sono state accreditate subito ai comuni, i quali individuano i beneficiari seguendo le determinazioni che, in piena flessibilità, ciascuna amministrazione ha fatto proprie.

I dati dei buoni spesa in alcune città. I comuni si sono auto-regolamentati per stabilire i dettagli per implementare la misura a sostegno dei poveri. Uno degli aspetti rilevanti per l’analisi economica di questo intervento riguarda l’ammontare dei buoni spesa. Non esistendo alcuna linea guida, i comuni hanno fissato regole proprie ed è, pertanto, interessante verificare l’esito di questo processo decisionale. L’esercizio che è stato fatto è di consultare i siti di un insieme di comuni e di estrapolare le informazioni relative al valore economico del buono spesa. I comuni selezionati sono Milano, Torino, Roma, Napoli, Bologna, Genova, Bari, Firenze, Catania, Palermo e Verona (vedi tabella sotto).

I buoni spesa Covid per città

Per la Calabria si sono considerati i seguenti comuni: Catanzaro, Crotone, Corigliano Rossano, Cosenza, Lamezia Terme, Reggio Calabria, Vibo Valentia (vedi l’altra tabella).

Buoni spesa nelle città calabresi

L’elemento che, in generale, differenzia il valore dei buoni spesa è la numerosità del nucleo familiare: nella prima tabella  il numero  di componenti di una famiglia varia da 1 a 7, che corrisponde al massimo dettaglio previsto da un comune (Lamezia Terme) (nella seconda tabella).

Si noti, innanzitutto, che alcuni comuni fissano il valore dei buoni spesa per variazioni unitarie dei componenti della famiglia (Bologna, Genova, Firenze fino al quarto membro della famiglia, mentre altri comuni prevedono due (Milano per esempio) o tre classi dimensionali dei nuclei familiari (Roma, Torino). Particolare è il caso di Catania e di Napoli che prevedono, rispettivamente, un bonus fisso di 400 euro e di 300 euro, indipendentemente dalla composizione della famiglia. A Catania si distingue la spesa in generi alimentari (300 euro) e prodotti di prima necessità (100 euro). Articolato è lo schema previsto dal comune di Palermo, il quale ha previsto una ponderazione su base settimanale, suddividendo i percettori anche per fascia di reddito mensile (nella prima tabella si ipotizza il valore mensile del buono mensa che, per il comune di Palermo, è spendibile sino al 30/04/2020).

Risultati. L’esito di questa verifica è una forte differenziazione dei contributi erogati dai comuni ai meno abbienti, con l’importante l’implicazione che situazioni simili danno luogo a trattamenti differenziati (scenario previsto in sede di analisi del provvedimento della Protezione Civile). Lo stato di povertà e di disagio determinato dal coronavirus “vale” in modo diverso a seconda del comune di residenza. Le differenze dei buoni spesa non seguono le differenze territoriali della spesa alimentare rilevate dall’ISTAT, perchè nel caso dei buoni spesa Covid molte differenze si riscontrano anche all’interno delle stesse aree o delle regioni.

A Milano una famiglia che è in emergenza alimentare riceve 150 Euro se è composta da 1 fino a 3 membri e 350 euro se ha 4 o più componenti. A Bologna il buono per una famiglia con un solo componente è uguale a quello di una famiglia di Milano con tre familiari. Se vivi a Bologna in una famiglia di 5 persone ricevi un buono spesa di 500 euro che è uguale a quello previsto, per esempio, a Genova e a Torino, ma maggiore di ben 150 euro di quello che otterrà una famiglia milanese. A Firenze la stessa famiglia percepisce 427 euro, a Reggio Calabria 600 euro, a Catanzaro 500 euro, mentre a Bari, Cosenza, Crotone il contributo è pari a 400 euro.

Il caso della famiglia media italiana. Considerando che la media dei componenti di una famiglia italiana è pari a 2,7, consideriamo il buono spesa Covid erogato a una famiglia con 3 membri . Il valore massimo (560 euro) è previsto dal comune di Verona, seguito dal comune di Reggio Calabria che, alle famiglie con tre componenti, eroga un contributo di 450 euro.  Seguito Roma e Torino (400 euro). A Palermo, il bonus varia da 80 euro per le famiglie con un reddito mensile compreso tra 461 euro e 560 euro al mese a 320 euro al mese per le famiglie senza reddito. Il valore più basso (150 euro) è fissato dal comune di Milano. In Calabria, tra le città analizzate, Vibo Valentia quella che assegna l’aiuto più basso (210 euro). Nelle città di Corigliano Rossano, Cosenza e Rende l’importo previsto è 240 euro, a Lamezia Terme 280 euro (che possono diventare 336 se uno dei tre componenti è un bambino di 0-6 anni, oppure un portatore di handicap o di patologie croniche). Alla famiglia media con 3 persone, il comune capoluogo di regione, Catanzaro, eroga 300 euro, così com’è previsto a Crotone.

Come varia il bonus al variare della numerosità della famiglia.   I dati delle tabelle 1 e 2 consentono di evidenziare altre due specificità dei contributi ricevuti dai meno abbienti. Le famiglie mono-componente ottengono un buono spesa che è compreso tra 80 euro (Cosenza) a 300 euro (Roma, Napoli, Torino).

E’ anche interessante verificare quanto “pesa” in termini di spesa alimentare un componente di una famiglia. A tal fine, si consideri l’incremento di buono spesa in ciascun comune all’aumentare del numero delle persone del nucleo familiare. I casi estremi sono Catania e Napoli, in cui il bonus è indipendente dalla numerosità delle famiglie.  Bari, Bologna, Genova, Catanzaro e Crotone fissano un incremento di 100 euro passando da una famiglia con un componente a una con due membri. Lo stesso dicasi passando da 2 a 3 componenti. Il passaggio da 2 a 3 membri della famiglia dà diritto a 100 euro in più di bonus spesa anche a Roma e a Torino. Milano ha previsto due classi dimensionali e il passaggio dalla prima alla seconda (da 3 a 4 componenti) dà diritto a un incremento di 200 euro in più di bonus. A Palermo, il bonus aumenta  sempre di 40 euro. A Verona, il bonus addizionale assegnato a ciascun nuovo membro della famiglia è pari a ben 160 euro . A Cosenza l’incremento del bonus è di 80 euro, a Rende di 60 euro, così come a Corigliano Rossano. A Vibo Valentia, il secondo membro della famiglia vale 70 euro di bonus spesa, mentre gli incrementi dal terzo membro in poi’ “pesano” 40 euro. (fa)

[courtesy OpenCalabria.com]

  • Francesco Aiello è professore ordinario di Politica Economica presso l’Università della Calabria. Attualmente insegna “Politica Economica” al corso di Laurea in Economia ed “Economia Internazionale” al corso di Laurea Magistrale in Economia e Commercio. 

La Pasqua dei calabresi con l’incubo del virus
Distanti ma vicini, pensando a come ripartire

di SANTO STRATI – Rispetto alla drammatica e insopportabile realtà degli oltre diecimila morti in Lombardia, la Calabria affronta con meno ansia la festività di Pasqua, pur piangendo i suoi poveri morti. Senza abbassare la guardia contro l’incubo del coronavirus, la solennità della Resurrezione (per credenti e non) può dunque essere l’occasione per ritrovare tutti insieme il senso di comunità e, soprattutto, non smarrire la speranza.

Imparare dagli errori degli altri è buona pratica per chi ci amministra e la governatrice Jole Santelli ha mostrato di aver affrontato con la giusta determinazione e il rigore necessario l’emergenza, senza fare sconti ad alcuno, battendo i pugni ove necessario, mostrando convintamente la solidità dei provvedimenti adottati.

Certo, la tragedia dei troppi morti della casa di riposo di Chiaravalle non assolve nessuno, ma non è il tempo di cercare responsabilità che, al momento giusto, saranno accertate. Ora semmai bisogna fare tesoro anche dei propri errori e individuare il percorso più adatto per uscire dalla crisi sanitaria, senza trascurare il “dopo”.

Anche qui, è opportuno segnalare che l’esecutivo guidato dalla Santelli si è mosso con tempestività, sia per organizzare posti letti aggiuntivi in terapia intensiva, sia per limitare al massimo il propagarsi del contagio dopo i quasi 13mila rientri in Calabria, mandati subito in quarantena. Ma anche sul piano dell’impatto sociale della crisi, va ascritto a merito degli assessori Fausto Orsomarso e Gianluca Gallo l’essersi mossi con tempestività per rendere subito disponibili risorse a chi ha perso il lavoro, a chi è andato in cassa integrazione, a chi aspettava (i tirocinanti) da tempo immemorabile i pagamenti.

Certamente, i nostri figli avranno da raccontare ai loro figli  di questa strana e tristissima Pasqua di un anno più funesto che bisesto. E nessuno è in grado di prevedere senza ragionevoli dubbi la fine della pandemia, quando torneremo alla vita normale, alla vita di prima. Ma sarà uguale la vita che verrà? Questa asocialità forzata, siamo convinti, lascerà tracce difficilmente cancellabili nel breve periodo. Da un lato c’è chi ha scoperto il calore della vita domestica, famiglie che si incontravano solo per la cena hanno sperimentato (più o meno piacevolmente) lo stare insieme h24. Dall’altro, più d’uno avrà capito che non vale la pena di continuare a correre, come faceva fino all’8 marzo, in cerca di chissà cosa, riscoprendo il senso di unità della famiglia. E i ragazzi, perennemente attaccati al telefonino, avranno intuito che in cambio di una passeggiata, mano nella mano con l’amato/a, restare disconnessi sarebbe stato un prezzo da pagare molto volentieri.

No, non ci sarà più nulla come prima, perché nessuno potrà dimenticarsi le piazze deserte e le strade abbandonate, come in un film catastrofico che purtroppo si è subito rivelato come reale.

E cambieranno anche i rapporti in politica, perché in troppi hanno perduto l’opportunità dell’emergenza per dimenticare la conflittualità permanente – più utile a dare segno di esistenza sulla scena che altro – e tentare un avvicinamento per raggiungere – insieme – un obiettivo comune.

È successo, succede a livello di Parlamento, ma anche in sede regionale continuiamo a registrare banali baruffe verbali tra le varie parti politiche che non portano alcun benessere ai calabresi.

Non intendiamo dire che l’emergenza deve ispirare per forza l’evangelico “vogliamoci bene”, ma un minimo di disponibilità alla comprensione e a un comune sforzo per il raggiungimento di importanti obiettivi per la crescita e lo sviluppo della nostra terra sarebbe quanto meno auspicabile.

Il punto principale è che, per disgrazia di tutti noi, la politica nazionale (e ovviamente quella regionale e locale) ci ha costretti all’abitudine degli annunci.

Si consumano frasi ad effetto, lanciando mirabolanti aspettative, per poi dimenticarsene fino alla prossima occasione.

Così non va proprio e, da questo punto di vista, senza partigianerie, ci piace rilevare che nel primo mese l’esecutivo della Santelli ha cambiato rotta, stupendoci con “effetti speciali”. Avevamo presagito, forse presi da un insanabile ottimismo, che la Jole ci avrebbe sorpreso: ebbene, lo sta facendo. I primi segnali sono positivi e largamente apprezzabili, soprattutto a sostegno delle fasce più deboli, delle categorie sociali più a rischio e delle imprese che rischiano di non riaprire più.

Ben altra cosa rispetto ai continui pronunciamenti di capitan Tentenna (il nostro Presidente Conte) che ha adottato la formula dell’attesa per le sue conferenze stampa e le sue (anche se magari collegiali) decisioni. Se permettete i vari annunci sembrano più “armi di distrazioni di massa”; ovverosia, l’annuncite, chiamiamola così, serve a far dimenticare la realtà che ci circonda. L’ultima sortita che sembra prevedere il trionfo della cultura sull’abituale riluttanza degli italiani a leggere è la prevista riapertura delle librerie.

Ma, scusate, se la gente non può uscire di casa, come fa ad andare nei negozi che ricevono il nulla osta a riaprire? Come fa ad andare dal libraio che – in poco più di 40 mq – dovrebbe ricevere un cliente alla volta, invitandolo a mettersi guanti e mascherina e possibilmente non toccare i libri per evitare di trasmettere l’eventuale contagio? Le librerie, per chi le frequenta, sono dei favolosi punti di aggregazione sociale: si va a guardare i nuovi libri, a cercare qualcosa di cui si è sentito parlare, e con l’occasione scambiare un po’ di opinioni con gli altri frequentatori, spargendo o ricevendo consigli, suggerimenti segnalazioni.

Un tempo, scusate la nostalgia, c’era l’amico libraio (ancora per fortuna qualcuno è rimasto) che conosceva il cliente, lo guidava, gli metteva da parte qualche titolo di suo sicuro interesse e gli annunciava le novità in arrivo. Oggi ci sono impiegati desolati e scontenti che, al massimo, in una grande libreria indicano uno scaffale dove cercare o tutt’al più fanno un’interrogazione al computer per vedere la disponibilità di un titolo. E qualcuno si chiede perché Amazon e le altre librerie online hanno tanto successo? Se devo andare a frugare negli scaffali da solo, faccio prima a ordinare via internet, e il libro arriva il mattino dopo.

Scusate la digressione, ma questa politica delle riaperture parziali non ci convince proprio, se non c’è parvenza (almeno quella) di ritorno alla normalità. Ma vi immaginate la Mondadori su corso Mazzini a Catanzaro o la libreria Ave a Reggio aperte sulle due strade principali dove però non c’è nessuno? Ma che senso ha?

Del resto, cose sensate è difficile pretenderle da questi dilettanti allo sbaraglio che ci sono toccati come governanti. Non riescono a mettersi d’accordo (dem e cinquestelle) sulle cose più stupide, figuriamoci su quelle serie. E sono senza vergogna: quanti lavoratori autonomi stanno ancora aspettando il misero obolo di 600 euro promesso? Non c’è da indignarsi? Con esclusione dei giornalisti freelance (ai quali ha provveduto l’Inpgi, il proprio istituto di previdenza) tutti gli altri stanno ad aspettare.

Come sarà la loro Pasqua e quella di artigiani (parrucchieri, estetiste, ambulanti) che da un mese – un mese! – non vedono un centesimo di incasso? Cosa è stato fatto per loro? Nulla, se non l’annuncio che potranno portare in detrazione come credito d’imposta il 60% dei costi dell’affitto. Roba che le brioches di Maria Antonietta per il popolo che non aveva pane, diventano la bizzarra conferma che sono davvero tanti a non conoscere i veri problemi della gente. Con la differenza che la regina perse la testa (non in senso figurato) mentre i nostri governanti mostrano di non avercela proprio. E quando ce l’hanno è occupata nel mantenimento di privilegi che fanno infuriare la gente comune, quella che lavora e paga le tasse. E che ha servizi da terzo mondo e una pressione fiscale insostenibile

La distanza tra paese reale e paese legale sta, dunque, diventando sempre più incolmabile e ogni iniziativa per aiutare chi è stato colpito dall’emergenza si trasforma, abitualmente, in una beffa insopportabile. Chi ci guadagna, per esempio, dal cosiddetto decreto-liquidità varato appena qualche giorno fa? Ve lo diciamo noi: le banche che, sotto sotto, stanno posticipando prestiti già concessi prima dell’8 aprile, in modo da farli rientrare sotto l’ombrello della garanzia statale e che si faranno pagare “modeste” commissioni per istruire le pratiche di finanziamento. E ci guadagnano i solerti funzionari di finanziarie e pseudo associazioni di categoria che assicurano i propri servizi per aiutare le imprese a richiedere il finanziamento per liquidità. Da 300 euro in su per avviare la pratica e non è detto che poi il finanziamento arrivi (e non esiste, in questo caso, il rimborso dei costi sostenuti). Un vecchio giochetto che ha fatto arricchire tante associazioni per imprenditori: 800 euro o giù di lì per avviare la pratica di finanziamento (pur sapendo che la banca non avrebbe concesso in assenza di garanzie reali). Ci hanno raccontato imprenditori che anche in presenza dell’80% garantito da Confidi o altri consorzi analoghi, le banche hanno chiesto fidejussioni a garanzia dell’importo totale del prestito e non del rimanente 20%). Queste cose le sanno tutti, tranne chi ha scritto le 40 pagine del decreto finito sulla Gazzetta Ufficiale.

Per fortuna, siamo in Calabria e la Regione provvederà con “Riparti Calabria” a ridare fiato alle attività produttive fermate dall’emergenza. Come si fa, da parte del governo centrale, a non capire che la chiusura forzata (pur se pienamente legittimata dalla necessità di fermare il contagio) ha lasciato senza reddito migliaia di piccoli imprenditori, professionisti, artigiani, negozianti? Il diritto alla salute è ovviamente primario e prioritario, ma si pensi anche a chi – improvvisamente – si ritrova senza un euro in tasca.  Servivano soldi veri: sono stati fatti annunci e promessi finanziamenti, che quasi certamente – caso mai arriveranno – dovranno superare le lunghe e assurde procedure inventate dai burocrati di Stato.

Un appello pasquale, dunque, alla presidente Santelli e al suo assessore Orsomarso che affidano alla Fincalabra la gestione dei finanziamenti alle aziende in difficoltà: non lasciatevi incantare dalle sirene della burocrazia, fate in modo che i soldi giungano alle imprese, quelle vere, che hanno chiuso o ridotto l’attività. Sono i piccoli imprenditori la ricchezza di questo Paese, una ricchezza che anche la Calabria deve preservare.

Buona Pasqua a tutti. (s)

La grande beffa del decreto salva-imprese
Vincono i burocrati, i soldi non arriveranno

di SANTO STRATI – Sarebbero bastate una o due paginette al massimo per stabilire le modalità di concessione del credito che serve a ridare liquidità alle aziende. No, il Governo, per mano dei suoi burocrati, è riuscito a partorire un mostro di 44 articoli, quasi ventimila battute (2714 parole, per essere precisi) che di fatto negherà aiuti immediati alle imprese, soprattutto alle più piccole, a quelle dei giovani, a quelle gestite da donne. Le più deboli, quelle che risentono di più della mancanza di incassi e di liquidità.

Neanche il più folle contabile amministrativo avrebbe saputo fare di meglio, a dimostrazione – ove ce ne fosse stato bisogno – che siamo governati da incompetenti che sono lontani mille miglia dal Paese reale. Un Governo che si basa sugli annunci, grandi annunci con cui accendere speranze dei poveri cristi che che da un mese non battono un centesimo nel registratore di cassa e si sono dimenticati persino come si fa una fattura elettronica. Una marea di imprenditori, soprattutto piccoli e medi, che ricevono una bombola di azoto liquido al posto dell’ossigeno.

Se si voleva accelerare il disastro Italia, lo strumento è stato trovato, è un decreto soffoca-imprese (e certo non le salva) che un qualsiasi neodiplomato in ragioneria avrebbe scritto meglio. Con un particolare di non poco conto: soffoca le imprese e avvantaggia le banche, che non solo non rischiano nulla ma sono persino legittimate ad applicare commissioni sull’istruttoria del prestito  però “limitate al recupero dei costi” (punto H dell’art. 1).

C’è solo da augurarsi che la Regione Calabria che per prima in Italia ha accantonato e promesso 150 milioni (di soldi veri) per aiutare le imprese, non si faccia dominare dall’eventuale delirio di onnipotenza dei burocrati di Germaneto e provveda in tempi rapidissimi a rimettere in moto l’economia del territorio.

Già perché i tempi sono la cosa più insopportabile del decreto del Governo: solo a studiarsi il testo pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale i funzionari di banca addetti al credito avranno bisogno di qualche settimana, per poi costruire un’ipotesi di credito per l’azienda morente. Sempre che ne abbia diritto e il titolare non abbia mandato (giustamente) a quel paese il direttore dell’istituto di credito e i suoi zelanti addetti che gli hanno sempre negato qualsiasi aiuto (e nel Mezzogiorno questa è storia di tutti i giorni).

Per capire quanta astrusità e cecità abbia potuto guidare il Governo nell’emanazione del decreto saranno utili un paio di esempi.

In Svizzera – riferisce sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella – basta una paginetta all’imprenditore che vuole avere un prestito pari a un decimo del suo fatturato dello scorso anno fino a 500mila euro. Non basta, tenetevi stretti sulla sedia per non cadere: i soldi dopo un paio d’ore sono già sul conto corrente dell’impresa. In Germania sono in po’ più lenti, si prendono una mezza giornata. Da noi se tutto dovesse andar bene serviranno dalle tre alle cinque settimane per istruire la pratica. E le banche hanno già avviato il piagnisteo, per voce del presidente dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli,  che due terzi del personale è in smart-working, cioè lavora da casa, e quindi bisogna pensare che ci sarà inevitabilmente qualche ritardo aggiuntivo… Ma perché li contano a mano i pochi spicci che – ammesso e non concesso – la banca “graziosamente” (tanto non rischia nulla) avrà in mente di erogare?

Ci vogliamo prendere in giro?

Qui sono in ballo milioni di posti di lavoro, centinaia di migliaia di aziende che non riusciranno a riaprire né tantomeno a ripartire e si pensa di dare i soldi quando farà comodo agli “esecutori bancari” delle complesse norme del decreto? Patuelli, peraltro, ha detto a Milano Finanza che la liquidità non è immediata: «sarà prima necessario ottenere il via libera Ue allo schema. E poi perché, per le coperture sotto il 100%, le procedure non potranno che essere quelle ordinarie. Non si potrà fare diversamente perché non sembrano previste deroghe al testo unico bancario né alle norme di vigilanza per semplificare le pratiche di fido con garanzie».

Con un altro particolare di non poco conto: se l’azienda fallisce, non solo le famiglie dei lavoratori vanno sul lastrico, ma lo Stato non incassa un centesimo di tasse. Ma che bisogna essere laureati alla Bocconi per capire questa semplicissima regola dell’economia reale?

E veniamo all’improbabilità di concessione del credito. Intanto i sei anni di rimborso (pur con la prima rata posticipata fino a 24 mesi) sono ingestibili con una situazione di crisi che non ha alcun riferimento con il passato e di cui nessuno è in grado di prevederne la durata. Ce la fa un’azienda a riprendersi e ripagare il debito in sei anni? Poi le condizioni di ottenibilità sono fatte apposta per stroncare le aziende più deboli, quelle più colpite dalla crisi dei consumi che ormai pesa da almeno due anni.

Per le piccole e medie imprese si fa riferimento al fatturato e ai costi del personale per il finanziamento che «deve essere destinato a sostenere i costi del personale, investimenti o capitale circolante». E si specifica che l’importo del prestito non è superiore al 25% del fatturato 2019 o al doppio dei costi del personale come si deduce dal bilancio (che nessuna azienda ha ancora approntato né approvato). Facciamo un esempio che magari può accendere qualche lampadina a chi ha vergato il decreto: Pasquale ha una piccola azienda familiare con annesso negozio per la produzione di bigiotteria. Da due anni, complice la contrazione dei consumi dei prodotti di non prima necessità, ha fatturato lo scorso anno malappena 10mila euro.

Bene, il Governo lo aiuta garantendo in pieno il suo prestito che la banca gli darà (quando sarà pronta a farlo) di ben 2.500 euro! Con questa cifra il povero Pasquale dovrebbe pagare i contributi previdenziali, le tasse e l’affitto del negozio, dimenticandosi delle perdite subìte in due (?) mesi di chiusura. Ah, e, naturalmente, dal 2022 deve ricordarsi di mettere da parte 35 euro al mese per rimborsare l’aiuto ricevuto. Ma stiamo scherzando?

Altro esempio: l’industriale Lello lo scorso anno ha fatturato – bontà sua – 10 milioni di euro. Se vuole potrà avere un milione e mezzo di euro, garantiti al 90% dallo Stato), per far ripartire (?) la fabbrica, i cui dipendenti sono stati in cassa integrazione (quindi a carico dei poveri contribuenti italiani) per tutto il periodo della forzata chiusura dello stabilimento.

Questo si chiama equità finanziaria che corrisponde al suicidio economico di uno Stato che soffoca la piccola impresa e protegge la grande industria. E quando verranno a mancare le tasse, i contributi, l’iva delle piccole aziende dove troverà i soldi questo Stato? Bella domanda, peccato che né il presidente Conte né il ministro dell’Economia Gualtieri forse si sono posti, vantandosi solamente di aver dato “400 miliardi per le imprese!”. Non sono soldi reali – ricordiamocelo – sono solo garanzie. Lo Stato non caccia una lira per le aziende, questo risulta chiaro.

E, come se non bastasse, c’è un codicillo in questo decreto-monstre che specifica che l’efficacia dei provvedimenti di aiuto alle imprese è ovviamente «subordinata  all’approvazione della Commissione Europea ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea».

Ma non finisce mica qui. Torniamo un attimo indietro nella procedura di assegnazione degli aiuti (ma quali aiuti? ribadiamo che sono garanzie sui prestiti che abitualmente le banche negano agli imprenditori che provano a lavorare e creare occupazione). C’è un bel rimpallo tra la Sace (la società a capitale pubblico che si occupa di garantire le aziende che vengono all’estero) e il Ministero, tra chi dovrà valutare, gestire, assegnare le garanzie sui prestiti.

Insomma, l’invito ad abbassare le serrande è più che esplicito. L’unica consolazione (si fa per dire) è che prima che venga convertito in legge ci sono 60 giorni per le opportune modifiche da parte di Camera e Senato. Sperando che qualche parlamentare coscienzioso sia disposto a sacrificare una buona giornata del suo tempo soltanto per leggere i 44 articoli del decreto. Perché in questo caso ci sarebbe solo un solo emendamento da proporre: questo decreto fa schifo e va immediatamente corretto e modificato.

Prevedendo, in una nuova formulazione, provvidenze a fondo perduto per le aziende, le piccole imprese, i lavoratori autonomi, le partite iva, che hanno perduto due mesi di incasso, pur restando inalterati i famosi costi fissi: affitti, utenze, contributi, imposte locali e tasse nazionali. E prevedere soldi veri, immediatamente, nei conti correnti delle aziende.

Il sottosegretario grillino alle Finanze Alessio Villarosa, aveva preparato una bozza di intervento che prevedeva subito 10mila euro alle famiglie e 100mila alle aziende da rimborsare rispettivamente in 10 e 30 anni. Questa sarebbe stata liquidità vera: per riaccendere i consumi delle famiglie e dare ossigeno alle imprese. No, non se ne parla nemmeno. Come se i grillini non fossero al Governo. Non abbiamo mai patteggiato per alcuna parte politica, ma la nostra simpatia a Villarosa non possiamo questa volta fare a meno di esprimerla. Gli suggeriremmo di formare un nuovo gruppo parlamentare, quello dei “sognatori”, ovviamente a lui andrebbe di diritto la presidenza…

Adesso che sono chiare le intenzioni del Governo sull’affondamento-Italia (ma quale ripartenza?) la palla passa alla regione. L’assessore al lavoro Fausto Orsomarso aveva espresso qualche giorno fa a calabria.live il suo ottimismo sulla tempistica della Fincalabra per distribuire liquidità alle imprese, ma doveva aspettare il decreto governativo per presentare un progetto più definito. Il decreto c’è e provocherà disastri, come se non bastassero l’angoscia sanitaria del virus e l’assurda quantità delle sue vittime. Tocca dunque alla Regione far ripartire la Calabria, aiutare gli imprenditori calabresi e dispensarli dalla carta straccia del decreto  8 aprile 2020 n. 23. Ci hanno impiegato due giorni per farlo uscire sulla Gazzetta Ufficiale. Sarebbe bastata una paginetta: nome dell’azienda e codice fiscale, importo richiesto (25mila euro senza la minima applicazione di formalità burocratiche) o importi superiori (da valutare in mezza giornata dalle Camere di commercio) e allora sì, “riparti Italia”.

Forse gli imprenditori calabresi che hanno avuto subito in dono dalla Giunta il provvedimento Riparti Calabria, una volta tanto, saranno i più fortunati tra gli italiani. Fosse vero. (s)

Il testo completo pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale

Covid-19: una nave ospedale per l’emergenza.
Il sindaco di Gioia insiste, la Regione dice no

L’idea del sindaco di Gioia Tauro Aldo Alessio di predisporre un ospedale galleggiante al porto di Gioia non piace alla Regione. Il primo cittadino gioiese aveva lanciato una proposta all’armatore Gianluigi Aponte di MSC/Grandi Navi Veloci che si era detto disponibile a concedere, al costo simbolico di un euro per tutta al durata del noleggio, una nave passeggeri, da trasformare in ospedale d’emergenza per fronteggiare l’epidemia da Covid-19. Ma il suo entusiasmo non ha trovato riscontro a Germaneto: in buona sostanza, la proposta non è stata nemmeno presa in considerazione.

Il sindaco, però, insiste e ha mandato una lettera circostanziata alla presidente Jole Santelli e al prefetto di Reggio  Massimo Mariani.

«Lo sviluppo della Pandemia nella nostra Regione – scrive il sindaco Alessio – e l’allarme generalmente avvertito dai cittadini – ben consapevoli dei rischi in un territorio non adeguatamente assistito sul piano sanitario – mi costringono a ritornare sulla proposta di attrezzare nel Porto di Gioia Tauro, una nave ospedale per il miglior contrasto del Covid-19.

«Voglio precisare, peraltro, che in ciò sono confortato dalle adesioni pubbliche di tanti Sindaci calabresi, consiglieri regionali di maggioranza e di opposizione, esponenti politici prestigiosi come l’on. Angela Napoli, decine di associazioni che meritoriamente operano da tempo nella nostra Piana. Appelli in questo senso sono venuti anche da personalità mediche riconosciute e portatrici di progetti che hanno trovato già adesione – quanto all’intervento medico – di​ tanti ufficiali medici in pensione e di tanti affermati medici di origine calabrese , impegnati con riconosciuta professionalità nel nostro​ Paese e pronti a ritornare in Calabria per dare una mano. Evito di fare specifici riferimenti, atteso che la stampa quotidiana regionale ne ha dato ampio risalto. L’esperienza drammatica di quest’ultimo mese – come Lei ben sa – sta cominciando ad evidenziare errori e sottovalutazioni del rischio che hanno portato​ al collasso sistemi sanitari regionali molto celebrati e​, purtroppo, un numero inaccettabile di morti. La nostra Regione ha avuto, al momento, la fortuna di essere ai margini degli importanti focolai nazionali ma – come ci ricorda giornalmente il Comitato tecnico Scientifico e la Protezione civile – siamo lontanissimi dall’esserne esenti, ed anzi l’acuirsi di situazioni oramai note, ci impone la massima attenzione e prudenza.

«Conosciamo bene l’incertezza e – mi consenta – la confusione finora riscontrata nell’attrezzare adeguati Presidi Ospedalieri in Calabria e nella Piana. È stato, peraltro, già evidenziato il pericolo che i nostri Ospedali, per come organizzati,​ possano diventare pericoloso veicolo per la diffusione del virus, con immediata compromissione del Personale sanitario e parasanitario.​ La scelta della Lombardia di approntare ospedali dedicati (Milano alla Fiera, Bergamo con ospedale degli Alpini..) o della Liguria (nave​ ancorata nel Porto di Genova) fuori dai celebratissimi​ e storici ospedali di quelle città ci deve indurre a considerare anche per​ nostri territori a considerare una soluzione del genere. Purtroppo, al momento, non solo non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione in merito all’impraticabilità della nostra proposta di allestire una nave all’interno del Porto di Gioia Tauro, ma non è stata resa nota nessuna altra ipotesi, come, per esempio, la riapertura e la messa in funzione di reparti Covid-19 presso l’Ospedale di Gioia Tauro o altre strutture ospedaliere cadute in disuso.

Il caso Genova e la soluzione data – quindi verificabile nella positività della proposta – non può pertanto essere esclusa senza una adeguata motivazione. Questa, al momento non è stata data né altra similare soluzione – ad esempio presso uno degli Ospedali chiusi – è stata proposta o anche semplicemente rappresentata per ipotesi dall’Autorità Regionale che – con la Protezione civile – è abilitata a darla.

«Sono pertanto – ed ancora una volta – ad insistere perché sia affrontata la questione con la serietà e l’urgenza che il caso comporta».

Fin qui il sindaco di Gioia Tauro che trova il sostegno del consigliere regionale Giacomo Pietro Crinò (Casa della Libertà).

«Non è da abbandonare definitivamente – dice  Crinò – la proposta lanciata nei giorni scorsi dal sindaco di Gioia Tauro, Aldo Alessio, per una nave-ospedale nel porto calabrese, che darebbe la possibilità di liberare posti letto negli ospedali che sono importantissimi in questa fase e potrebbe ospitare tre diverse categorie di pazienti: coloro che, in uscita dall’ospedale e tecnicamente guariti, avessero bisogno di un periodo in più di degenza per ristabilirsi completamente; le persone colpite in modo lieve dal Coronavirus, che potrebbero restare in isolamento nelle proprie abitazioni ma che, non avendo nessuno ad aiutarli per la spesa o l’approvvigionamento dei farmaci o avendo altre persone in casa che potrebbero essere infettate, optassero per questa possibilità. In più, i pazienti godrebbero del vantaggio di trovarsi in mare e poter respirare iodio e aria umida che favorisce la respirazione. Una idea presa subito al volo – aggiunge Crinò-, dall’armatore Gian Luigi Aponte, patron di MSC, che ha dato immediatamente disponibilità di una sua nave per trasformarla in ospedale. Insomma, si tratta né più e né meno del progetto identico che è già divenuto operativo a Genova e che ancora si fa in tempo a replicare anche in Calabria”. Aggiunge Crinò: “La prima risposta della task force sanitaria regionale non è stata favorevole. Ritengo però che ci siano ancora i presupposti per non fare morire del tutto l’idea. Purtroppo, è sotto ai nostri occhi la situazione calabrese riguardo il progredire dei contagi. Le strutture ospedaliere calabresi rischiano di non reggere le necessità, tra quelle ordinarie e quelle dovute al virus. In pochi giorni, l’ospedale galleggiante potrebbe essere adeguatamente attrezzato e consentire a tutti di guardare con un certo ottimismo alla possibilità di nuovi posti letto in caso di bisogno. Non è il momento più di continuare a fare della sanità solo un calcolo aritmetico, soprattutto in momenti come quelli che stiamo vivendo. Se in altre regioni ciò è stato realizzato, ritengo che sia possibile anche in Calabria. Serve l’impegno fattivo di tutti. Auspico che la task force sanitaria della Regione Calabria, la Protezione Civile e altri attori competenti scendano ad un confronto dialettico, aperto e leale, per addivenire a concretizzare in tempo l’idea del sindaco di Gioia Tauro, ringraziando la MSC per la disponibilità manifestata».

Perché la Regione ha detto no già la scorsa settimana? Secondo quanto riferisce il sindaco Alessio la proposta non sarebbe praticabile perché, secondo la Regione, i posti letto in Calabria sarebbero sufficienti. «Ma oltre il danno, – ha detto Alessio – la beffa: infatti, da quello che percepiamo, l’ospedale di Gioia Tauro, individuato come centro Codiv sarà smantellato di tutti i servizi per evitare eventuali contagi».

E al primo rigetto, lo stesso sindaco aveva replicato con durezza parlando dell’Ospedale di Gioia: «In pratica – un vero e proprio ‘lazzaretto’. Ma anche quella trasformazione procede a rallentatore perché mancherebbero gli autorespiratori e quindi, almeno per adesso non si sarebbe in grado di attuare posti di terapia intensiva e sub intensiva. Ma la cosa che ci allarma e ci preoccupa ancora di più è che l’unico pronto soccorso di tutta la fascia tirrenica, secondo le ultime indicazioni prese dai responsabili sanitari, dovrebbe essere smantellato insieme a tutti quei servizi ordinari che sono essenziali e necessari a servire la popolazione sanitaria dell’intera fascia tirrenica, che ha circa 60 mila abitanti. Coloro che stanno gestendo l’emergenza sanitaria regionale e provinciale, oltre a disattendere le loro stesse determine, cambiano continuamente le loro strategie di intervento sanitario sul territorio, senza avere alcun rapporto istituzionale e nessun confronto con i legittimi rappresentanti delle comunità amministrate». (rrm)

Didattica a distanza impossibile in Calabria:
il 46% senza pc. E se utilizzassimo le tv locali?

di SANTO STRATI – Sono appena 3 milioni e 600mila euro i fondi destinata alla Calabria dal Governo per la didattica a distanza, che, in base all’ultimo decreto sull’emergenza, diventa obbligatoria. Scelta inevitabile, questa della obbligatorietà della didattica a distanza, vista l’impossibilità di far tornare sui banchi gli studenti. Peccato che, come al solito, chi ci governa fa i conti col pallottoliere anziché soppesare e valutare dati precisi che possono permettere di valutare e stimare le risorse necessarie a sostenere un qualsiasi provvedimento.

Secondo i dati Istat, il Mezzogiorno soffre del cosiddetto digital divide, ovvero patisce la mancanza di dispositivi (devices come li chiama la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina) nella misura del 41%. In poche parole 4 famiglie su dieci non dispongono né di un pc né tantomeno di un tablet. Se poi si scorre ulteriormente la ricerca dell’Istat sullo stato dell’Information Technology si scopre che in Calabria – la prima regione in termini negativi – la percentuale passa al 46%. Tanto per capirci in Lombardia la percentuale delle famiglie che hanno un computer in casa è del 70%.

La ricerca dell’Istat fotografa la situazione 2018-2019 in Italia e ci dice che un terzo delle famiglie (33,8%) non ha né computer né tablet, percentuale che, appunto , in Calabria, sale al 46%. E naturalmente non essendoci computer o tablet, risulta evidente che non ci sia neanche un collegamento internet.

Come si può pensare di fare didattica a distanza se non si garantisce in maniera equanime il diritto allo studio (anche via web) ai ragazzi italiani, sia che vivano, per dire a Mondovì o ad Acitrezza o a Badolato?

La ministra dell’Istruzione ha messo a disposizione 80 milioni di euro destinati agli istituti scolastici: si possono comprare al massimo 550mila tablet di fascia bassa, per altrettanti studenti. Per chi non lo ricordasse o non lo sapesse, in Italia ci sono 8,4  milioni di studenti di cui circa 7,6 milioni nelle scuole statali e  quasi 900mila negli istituti privati o paritari. In poche parole ci sarebbero quasi 3,9 milioni di ragazzi  senza computer. Che facciamo, usiamo i segnali di fumo?

Per non parlare di quanti docenti – visti gli stipendi di fame che lo Stato assegna a chi ha il compito di formare le generazioni future – hanno computer obsoleti o inutilizzabili per fare didattica via web. A loro chi ci deve pensare? Gli istituti scolastici, quegli stessi che a inizio dell’anno chiedono ai genitori di contribuire come possono (100 euro e passa la paura!) e di portare la carta igienica da casa perché mancano i fondi per comprarla?

Almeno, l’assessore regionale calabrese Sandra Savaglio, che ha le deleghe per Istruzione, Università e Ricerca Scientifica, ha per fortuna le idee chiare: «I 3,6 milioni destinati dal Governo alla nostra regione per la didattica a distanza – ha detto – non bastano a soddisfare le esigenze di decine di migliaia di studenti alle prese con lezioni on line e che al momento si adattano come possono, supportati dalle famiglie e dagli insegnanti».

La soluzione, propone l’assessore Savaglio, è destinare parte del Fondo Sociale Europeo ancora disponibile alle famiglie che non hanno accesso alle risorse messe a disposizione delle scuole, per acquistare i dispositivi necessari alla didattica a distanza e assicurare il diritto allo studio per tutte le nostre ragazze e i nostri ragazzi.

Una proposta avanzata di concerto di concerto con la presidente  della Regione Jole Santelli, a margine dell’incontro avuto dal Ministro Azzolina con tutti gli assessori regionali all’Istruzione. Un meeting durante il quale sono state sollevate molte questioni cui, ovviamente, non è stata data risposta.

«Per coprire quel terzo di studenti svantaggiati – osserva la Savaglio – servirebbero almeno altri 300 milioni. Basterebbe anche l’1% di quanto disposto per le imprese. Il ministro Azzolina, dopo aver ascoltato gli interventi di tutti gli assessori, è intervenuta senza però chiarire nulla sulle varie questioni avanzate: né sugli esami di stato, né sui tempi di chiusura e riapertura della scuola; nessuna risposta riguardo le risorse da destinare al comparto scuola. Sarebbe, invece, opportuno arrivare ai decreti ministeriali solo dopo aver ascoltato i rappresentanti istituzionali regionali portatori delle istanze dei vari territori, soprattutto in un momento emergenziale come quello che tutti noi stiamo attraversando».

Un’ulteriore considerazione non va trascurata: ammesso e non concesso che si trovino i fondi per dotare gli studenti di computer (o tablet) associati ovviamente alla disponibilità di banda larga, chi si prenderà la briga di configurare, spiegare, addestrare all’uso quanti non sono in grado di mettersi alla tastiera e usare un pc? Immaginiamo subito l’obiezione: i ragazzi di oggi, anche se non hanno il computer in casa, sanno usare tutti il pc (perché giocano con quello dell’amico), la playstation e qualsiasi altra diavoleria elettronica. Sì, ma un conto è giocare a Fifa oppure a Fortnite, un altro è mettersi a seguire ed eventualmente interagire col prof con qualche domanda usando un qualsiasi programma di comunicazione (teleconferenza?).

Abbiamo, a questo proposito, una modestissima proposta alternativa. Gli ultracinquantenni ricorderanno, almeno per sentito dire, un programma che si chiamava Non è mai troppo tardi, un corso di istruzione popolare andato in onda dal 1960 al 1968 dedicato agli analfabeti. Il maestro e pedagogo Alberto Manzi ha il merito di avere insegnato a leggere e scrivere a milioni di adulti analfabeti.

Perché non utilizzare il mezzo televisivo e più propriamente le televisioni locali per distribuire lezioni in video a quanti non hanno un pc?

La diffusione per aree provinciali permetterebbe di organizzare corsi specifici che possano permettere di diversificare le lezioni.

I docenti e gli insegnanti possono utilizzare i mesi estivi a registrare lezioni in video (si fa anche col telefonino) e metterle a disposizione delle emittenti locali, oltre che renderle disponibili sul web. Youtube è gratuito, pubblicare non costa nulla.

Certo non mancano i problemi: chi coordina i lavoro? Chi decide come svolgere il programma in teledidattica? Chi insegna ai docenti a realizzare i corsi in video? Non è che tutti sono dei maghi del computer, però la collaborazione tra colleghi potrebbe fornire risultati eccezionali e imprevedibili.

Le lezioni andrebbero distribuite al mattino, in tv, e i ragazzi non avrebbero scusanti per non seguirle. Un conto, come si sa, è studiare sui libri e basta, un altro è ritrovare sui libri quanto si è ascoltato dai prof.

Mancherebbe, ovviamente, il contatto umano e quella sorta di odio/amore che gli studenti sviluppano nei confronti degli insegnanti, ma siamo in una situazione d’emergenza, occorre gestire il momento di crisi con soluzioni adeguate. Soprattutto per non creare un pauroso vuoto formativo che difficilmente si riuscirebbe poi a colmare.

Quando si tornerà sui banchi, tutto ciò che è passato in tv o sul web non andrà perduto: è formazione, teniamolo bene a mente, di alta qualità che il docente realizza mettendoci passione ed entusiasmo (che difficilmente mancano negli insegnanti), aggiungendo un pizzico di “pionierismo” tecnologico che sicuramente renderà meno noiose le lezioni.

La Regione, l’assessore Savaglio, dovrebbero prendere in considerazione questa alternativa, coinvolgendo il Corecom (che sovrintende alle emittenti locali) e anche la sede regionale Rai di Cosenza. Non siamo tecnici e non azzardiamo soluzioni avanzate, ma la sola idea che potrebbe bastare un cavalletto (10 euro) e un telefonino da 100 euro con una discreta telecamera (che quasi tutti gli insegnanti già hanno)  registrare le lezioni, è sicuramente eccitante.

Non crediamo che le tv private avrebbero da obiettare: al posto di trasmettere televendite (che in questo periodo di emergenza sono sempre più rare) o riproporre sempre gli stessi film usurati dal tempo, andrebbero a svolgere un servizio di altissimo valore civile.

Non serve nemmeno che le tv locali mettano a disposizione tecnici, studi di registrazione o servizi di post-produzione: dovranno solo mandare in onda, secondo un calendario studiato ad hoc, per tipologia di studio e di classe, le videolezioni.

Oppure serviranno ben altro che i 300 milioni indicati dalla Savaglio per colmare il digital divide dei ragazzi calabresi. Un portatile di fascia medio-bassa può costare all’ingrosso meno di 200 euro, ma servirà anche portare internet nelle case dove ormai il telefono fisso non c’è generalmente quasi più.

E il lavoro di preparazione dei docenti e di realizzazione delle video lezioni andrebbe comunque fatto. In attesa del miracolo tecnologico digitale (ovvero web gratis per tutti e un pc in ogni casa) ricorrere alla vecchia televisione non dovrebbe apparire tanto assurdo. (s)

Ancora troppi stupidi irresponsabili in strada
Così è vano il sacrificio di tutti: restate a casa

Ci sono ancora troppi irresponsabili in giro, per strada, magari senza mascherina, a ridere e scherzare in compagnia: ma non bastano le immagini – terribili – che filtrano attraverso la tv dei malati in terapia intensiva? Non basta l’immagine terrificante delle centinaia di bare accatastate e portate via dall’esercito in nordi Italia? Non servono, evidentemente, gli accorati appelli della governatrice Jole Santelli che punta sull’intelligenza dei calabresi per farli stare a casa e impedire che si propaghi il contagio. Sono molti quelli che hanno capito la gravità della situazione e cercano di trasmettere agli altri il messaggio, purtroppo sono ancora troppe le persone in circolazione. Il blocco non è un castigo: è una necessità, serve a limitare al massimo il rischio di contagio. Ci vuole tanto a capirlo?

Non bastano, purtroppo, i divertenti – seppur serissimi – siparietti dialettali del sindaco di Reggio Falcomatà che invita i concittadini a restare a casa. Neanche il timore di una pesante multa trattiene in casa gli irriducibili della passeggiata a tutti i costi.

È un atteggiamento stupido e irresponsabile, che rischia di vanificare il grandissimo sacrificio che è stato chiesto a tutti quanti: fermare il contagio, evitare ogni possibilità di spargere o contrarre il virus. Al momento, l’unica arma a nostra disposizione – lo hanno detto all’unisono fior di specialisti epidemiologi e scienziati: è tenersi a distanza e restare il più possibile a casa. Meno contatti “sociali” ci sono e minori sono i rischi di alimentare il contagio. Non è uno scherzo né un gioco di società: dobbiamo difenderci e difendere i nostri cari. Il virus attacca tutti, indipendentemente dall’età e da eventuali cronicità patologiche che, semmai, aumentano il rischio. Quindi, lo ripetiamo anche da queste pagine: è necessario uscire esclusivamente solo in caso di necessità o per fare la spesa.

E qui si va a toccare la cosiddetta furbizia dei cretini patentati che vanno tre o quattro volte al supermercato comprando ogni volta qualcosa, per avere il pretesto di uscire continuamente di casa. Ma si può essere più stupidi e irresponsabili?

Si sa, la mamma degli imbecilli è sempre incinta, ma non è più tollerabile vedere il passeggio, anche con mascherina, di troppe persone che se ne infischiano delle disposizioni.

Guardiamo a cosa sta succedendo nel mondo: a noi italiani ci avevano preso per matti o esagerati per la “bizzarra” idea di chiudere ogni attività a contatto col pubblico, con esclusione dei generi alimentari. Poi in tutto il mondo sono stati costretti a imitarci. Senza bisogno di prendere a esempio le sfuriate di De Luca (il governatore della Campania che minaccia castighi corporali) cosa bisognerà inventarsi per convincere la gente a non muoversi di casa?

In Calabria, la situazione è tutto sommato contenuta, malgrado la sessantina di morti, cui va un commosso omaggio doppiamente doloroso, se si pensa che i loro cari non li hanno potuti accompagnare al cimitero né piangerli e onorarli con il dovuto funerale.

Per questa ragione occorre alzare il livello di guardia e impedire nuovi contagi che il nostro sistema sanitario non sarebbe in grado di gestire.

Certo, se non fossimo in un drammatico e terribile momento, sarebbe divertente fare una raccolta delle motivazioni più assurde proposte dai “passeggiatori abusivi” alla forza pubblica li quando ferma. Ma non c’è niente da ridere, serve la serietà di tutti e un forte senso di responsabilità se si vuole sconfiggere questa calamità che non risparmia nessuno.

Si può fare la spesa anche stando a casa. Diversi comuni hanno organizzato le consegne a domicilio, come quello di Cosenza che assicura la distribuzione di generi di prima necessità. L’assessore cosentino alle attività produttive Loredana Pastore ha trovato molte adesioni al suo invito a predisporre le consegne a domicilio: «È necessario – ha detto – limitare al massimo gli spostamenti dei cittadini. Ringraziando tutti coloro che hanno offerto la possibilità di consegnare i generi di prima necessità direttamente a domicilio, invitiamo i cittadini ad adottare questa modalità per fare la spesa senza bisogno di uscire da casa per approvvigionarsi».

E c’è il bell’esempio della spesa sospesa del Comune di Reggio – imitato da altri comuni della regione – per chi non ha i soldi per comprare cibo e dar da mangiare alla propria famiglia.

Sergio Abramo
Il sindaco di Catanzaro Sergio Abramo

A Catanzaro il sindaco Sergio Abramo in un videomessaggio su facebook  ha messo in evidenza venerdì scorso che sono ancora troppe le persone per strada.: «Quello che si percepisce – ha detto con tono grave ai cittadini – è un flusso di gente maggiore per le strade rispetto a qualche giorno fa». Il suo appello non è stato che solo in parte raccolto: ci vuole tanto a capire che il rispetto da parte di tutti delle regole oggi ci permetterà di non rendere vani questi sacrifici?

È importante che accanto alla solidarietà e alle generosità verso chi ha davvero bisogno, che quasi dappertutto sta caratterizzando questo triste momento, ci sia la consapevolezza che insieme si vince questa guerra, per adesso c’è solo qualche timido accenno di vittoria, ma bisogna usare cautela.

Qualcuno già pensa ai festeggiamenti di quando tutto sarà finito: scordatevi i caroselli in piazza del tipo vittoria dello scudetto, il ritorno alla normalità dovrà ugualmente seguire un rigido protocollo di sicurezza, per evitare i rischi di un riaccendersi dell’epidemia su larga scala. Non ce la potremmo fare.

In questo momento non va sottovalutato un altro rischio: quello che le voci incontrollate su quando finirà e sarà possibile tornare a una vita “normale” creino aspettative e un abbassamento della guardia. Bisogna essere realisti, non sarà semplice, né si pensi che sia vicino il momento in cui si potrà “ricominciare” a vivere.

Ci aspettano ancora giorni, settimane, forse mesi di sacrificio. Ci vuole un grande cuore per continuare nella generosità, ma serve essere giudiziosi e responsabili per evitare, giorno dopo giorno, qualsiasi possibilità di contagio

L’esempio della Cina dove c’è un contagio di ritorno, non appena hanno allentato il rigore dei blocchi, dovrebbe indicarci che abbiamo a che fare con un nemico insidioso oltre ogni previsione. Non prendiamo per buone le date che circolano perché sono fasulle: i modelli matematici sono ottimi strumenti per fare statistiche più o meno apprezzabili, ma non sono in grado di valutare la pericolosità del coronavirus e del suo livello di contagiosità e persistenza.

Quindi pensiamo di essere in guerra: i nostri nonni l’hanno combattuta in trincea contro un nemico ben individuato, alla nostra generazione è chiesto di difendere il Paese da una terribile pandemia restando sul divano di casa. (dc)

L’emergenza mal si concilia con la burocrazia.
Sospendere subito il decreto Sanità Calabria

di SANTO STRATI – Era già apparso da subito inutile e dannoso, in condizioni normali, figurarsi ora con l’emergenza coronavirus: il decreto Sanità Calabria, approvato lo scorso giugno, va annullato radicalmente, o quantomeno sospeso. È assolutamente incompatibile con l’emergenza sanitaria in atto e in Calabria non permette una gestione adeguata della Sanità.

Grazie a Dio, in Calabria la situazione è ancora sotto controllo e i numeri fanno sperare che si possa riuscire a contenere il contagio in limiti sostenibili, ma la burocrazia imposta dal decreto Sanità non aiuta ad affrontare nella maniera più opportuna l’emergenza. L’indignazione dei calabresi per il decreto, quando venne approvato con la bocciatura di tutti gli emendamenti presentati, fu molto forte. Il sen. Marco Siclari, uno dei più tenaci sostenitori dell’inopportunità del decreto, aveva stigmatizzato che questo provvedimento «non elimina ‘ndrangheta e tantomeno la politica. Ad essere danneggiate e, in molti casi, eliminate sono le aziende sane che non avranno le possibilità finanziarie di competere con quelle eventualmente infiltrate. Un decreto fatto su misura della politica, per permettere le nomine alla politica. Cotticelli e i commissari chi li ha nominati? Non rendetevi responsabili del colpo mortale inflitto a un sistema sanitario già devastato».

E Il Fatto quotidiano che generalmente è abbastanza tenero con i grillini  aveva titolato un corsivo di Enzo Paolini “La disfatta non è della Calabria, ma dell’intero Paese”.

È il caso di ricordare che lo scorso giugno c’era il governo lega-stellato. Ci fu un Consiglio dei ministri a Reggio, inutile passerella per lanciare un decreto che avrebbe creato disagi e scontenti, senza risolvere neanche la minima parte dei guasti della sanità in Calabria. Poi venne, grazie all’incomprensibile attacco di follia di Salvini, il nuovo governo, a conduzione grillo-dem, e il governatore Mario Oliverio aveva tentato (senza grandi risultati) di ottenere lo scorso ottobre dal ministro Speranza dei correttivi utili a sbloccare la situazione.

Nessuno poteva minimamente immaginare cosa sarebbe successo sei mesi dopo.

Quindi, un decreto che i grillini hanno imposto  con una stupida ottusità, si trova a complicare ulteriormente una emergenza la cui gravità è lampante, anzi è peggio di qualsiasi valutazione.

Siamo in emergenza? Servono misure emergenziali: la sospensione del piano di rientro dal deficit della Sanità è il minimo da pretendere dal Governo, anche se la cosa migliore sarebbe un controdecreto “Sanità Calabria” che annulli gli effetti di quello vigente e permetta una gestione non più commissariale nella regione.

Già, perché dopo dieci anni di commissariamento, la soluzione indicata dal decreto sanità è stato un altro commissariamento, identico se non peggiore dei precedenti.

«Un decreto – aveva detto la deputata Enza Bruno Bossio all’indomani del giuramento del nuovo governo – convertito in legge nonostante i limiti di costituzionalità e che oggi va valutato anche per i pesanti effetti che sta generando per la sua inapplicabilità».

La deputata dem calabrese ne auspicava la cancellazione da parte del nuovo governo: «un decreto concepito solo per espropriare la Regione delle poche e residuali competenze che poteva esercitare», visto che c’era un commissariamento da oltre un decennio. Non è una richiesta da sottovalutare e il viceministro Pierpaolo Sileri che, in un’intervista video a calabria.live, difendeva il decreto, dovrebbe farsi promotore di questo dietrofront: non rinviabile e di immediata esecuzione.

In più occasioni avevamo sottolineato che l’unica strada per uscire dalla crisi della sanità in Calabria era la cancellazione del debito. Ipotesi suggestiva ma non realizzabile prima, viste le limitazioni finanziarie dell’Europa nei confronti dell’Italia: oggi non ci sono ostacoli, si deve e si può spendere, si può registrare l’enesigibilità del debito per incapienza del debitore (la Calabria) e ripartire da zero.

Con quale ruolo e quanta responsabilità per il nuovo presidente della Regione sarebbe da vedere, ma Jole Santelli ha dimostrato di avere capacità e determinazione, anche nella scelta del team di collaboratori che serve ad affrontare l’emergenza. Non per niente ha rafforzato l’unità di crisi della Protezione civile attraverso un gruppo operativo con competenze trasversali ai dipartimenti regionali.

Nelle deleghe che ha trattenuto per sé, la Presidente Santelli ha compreso la sanità, dato che il decreto vigente assegna al commissario ogni potere e delegittimerebbe un eventuale assessore ad hoc. E visto che l’intesa col generale Saverio Cotticelli, commissario ad acta  per la salute, è ottima e, soprattutto, considerato che ha scelto tre luminari (le eccellenze mediche Raffaele Bruno, Paolo Cavalesi e Franco Romeo) il suo impegno nell’ambito della Sanità sarebbe totale, ove venisse cancellato o sospeso il decreto Sanità.

La presidente Santelli ha fatto capire che questa ulteriore responsabilità non la spaventa, anzi la sua disponibilità è pressoché dichiarata, ma occorre appunto un passo decisivo da parte del governo Conte.

Il drammatico viaggio della speranza per migliaia di calabresi verso gli ospedali del Nord (centinaia di milioni di euro buttati via) si è fermato solo per l’emergenza coronavirus, ma non è che non servano cure, purtroppo si muore anche per tumore e per altre gravissime malattie, che i medici calabresi – se messi in condizione di lavorare in maniera adeguata – potrebbero curare  nella regione. Abbiamo fior di specialisti e strutture sanitarie che solo l’insipienza della politica ha mortificato e represso nella crescita: basti vedere cosa hanno fatto e cosa stanno facendo contro il Covid-19 gli specialisti e i medici calabresi, affiancati da personale paramedico che non si risparmia. Una grande folla di “eroi” che – passata la pandemia – finirà probabilmente per essere dimenticata, travolta dalle mille insulse leggi e normative che strangolano la sanità calabrese.

A tutto questo si aggiunga la scoperta che in Regione – già ai tempi di Agazio Loiero presidente – era stato predisposto un piano contro il rischio di epidemie, elaborato per contrastare quella che è passata alla storia come “influenza suina”. Era il 26 ottobre 2009, poco più di dieci anni fa. Peccato che quel piano – come peraltro è capitato anche in altre regioni – sia stato messo da parte, appena passato il pericolo.

Come sempre, stiamo a chiudere le stalle, dopo la fuga dei buoi: in una Regione commissariata ad aeternum, chi si prendeva la briga di mantenere in piedi e aggiornare costantemente un piano operativo pronto a fronteggiare qualsiasi emergenza sanitaria di carattere epidemiologico? Nessuno, ovviamente e le conseguenze si vedono in queste drammatiche, terribili, settimane: ci sono ancora strutture sanitarie (dello Stato) che sono prive di dispositivi di prevenzione per medici e personale sanitario; sono stati chiusi ospedali mai aperti, messe fuori uso strutture che avrebbero potuto offrire, con le adeguate trasformazioni, posti aggiuntivi di terapia intensiva, assistenza  continua, modalità di pronto intervento.

La lezione del coronavirus servirà a far ripartire da zero la sanità in Calabria (ma anche in Italia)? Si sono viste tutte le inadeguezze e si piangono non solo i malati che il virus ha finito per decimare, ma soprattutto i tantissimi medici e operatori sanitari che hanno lavorato a costo della loro vita, fedeli al proprio impegno al servizio della collettività. La loro morte, in grandissima parte, si deve al contagio conseguente alla mancanza di strumenti di prevenzione, all’assoluta insufficienza di dispositivi di sicurezza (mascherine tenute per un’intera giornata, al posto delle tre ore consentite), macchinari obsoleti o in numero troppo modesto per assicurare la respirazione artificiale ai ricoverati in terapia intensiva. Bisognerà, quanto tutto sarà finito – e nessuno è in grado di valutarlo – bisognerà davvero pensare che siamo arrivati all’anno zero. E non solo nella sanità. Andranno ripensati il modello di vita e le prospettive di sviluppo, e ricominciare, ripartire. Con fatica e con la giusta passione. E in Calabria senza più commissariamenti nella sanità. Questo da subito. (s)

Parchi terrestri e marini, nasce l’idea di rete.
Le risorse più preziose, il volano della ripresa

di SANTO STRATI – Avessimo sbagliato regione? Noi e, crediamo neanche i calabresi, non eravamo abituati a una così graditissima efficienza del governo regionale. Prima i provvedimenti, poi gli annunci. Se voleva la presidente Jole stupirci con gli effetti speciali, ci sta riuscendo con i suoi assessori che stanno mostrando cosa significa “esecutivo del fare“. Qualche giorno fa  parlato della necessità di soldi veri per le imprese calabresi, il giorno dopo sono stati trovati 150 milioni, mica noccioline!, grazie all’assessore Fausto Orsomarso. La presidente Jole Santelli aveva nominato, presentandolo con un colpo di teatro a Montecitorio, il capitano Ultimo all’ambiente, e il buon Sergio De Caprio, zitto zitto, dal giorno del suo insediamento, ha preparato un altro ottimo siluro lanciando l’idea di un grande unico parco nazionale della Calabria, pur nel rispetto delle tre magnifiche realtà (Pollino, Sila e Aspromonte) e ponendo la massima attenzione alla aree protette. L’idea nella sua semplicità è straordinaria: il grande potenziamento del sistema parchi (che comprende anche le riserve marine) per mantenere l’equilibrio ambientale e costruire, nel contempo, un’offerta turistica/culturale di grande suggestione.

Certo, parlare di ambiente e sviluppo turistico mentre infuria il contagio potrebbe apparire di cattivo gusto, ma occorre cominciare a subito a pensare al dopo, mettere in atto tutto quello che serve per farci trovare preparati quando tutto sarà finito. Perché, sia chiaro, ha da passà ‘a nuttata, come diceva il grande Eduardo. Essere pronti soprattutto in un ambito, quello ambientale, che bisogno di cure e attenzioni eccezionali, visto che l’ambiente e il paesaggio, insieme con la cultura, sono le nostre più grandi risorse. Quelle che permetteranno di “ricostruire”. Quelle che potranno costituire il vero volano della crescita.

Dei 150 milioni per le aziende (messi in discussione, in maniera infelice, dal capogruppo pd alla Regione Mimmo Bevacqua sostenendo che non ci sono i fondi, senza prima informarsi) abbiamo già detto. Di questa idea di fare rete per i parchi naturali (terrestri e acquatici), invece, vogliamo approfondire oggi perché l’assessore De Caprio ha mostrato di avere le idee chiare e le ha condivise, in teleconferenza con i presidenti o i responsabili dei tre parchi calabresi

Leo Autelitano che è il presidente del Parco Aspromonte ha detto a calabria.live di essere favorevolmente impressionato dalla capacità operativa dell’assessore per potenziare il sistema parchi. Significa, in poche parole, mettere in rete le risorse e muoversi con un unicum che raccoglie ogni iniziativa e ogni provvedimento che riguardano le aree protette. Autelitano è di nuovo Presidente da appena due mesi, nominato dal ministro dell’Ambiente Sergio Costa mentre stava per scoppiare l’emergenza coronavirus. Ma era già stato presidente dell’Ente Parco tra il 2007 e il 2012. Le buone idee di allora le sta rispolverando (prima fra tutte quella del “Cammino della fede”  sulle orme dei monasteri basiliani che nell’anno 1000 in Calabria erano quasi 1400 e di cui rimangono affascinanti vestigia). L’idea della spiritualità da abbinare alla montagna è suggestiva e di sicura attrazione. E soprattutto può affiancare i due grandi progetti già avviati: quello della ciclovia e quello della sentieristica sul vecchio tracciato Italia, che dal Pollino finisce in Aspromonte.

È utile sapere che dal 1968 fino al 2002 c’era un ente parco univoco che raggruppava la Sila e l’Aspromonte. Poi si è aggiunto il Pollino e i tre, meravigliosi, parchi calabresi hanno cominciato a muoversi in autonomia. Non è un ritorno al passato, anzi è il superamento di lacci e lacciuoli che potrebbero limitare le potenzialità di sviluppo dei territori legati ai parchi.

Domenico Pappaterra
Domenico Pappaterra, presidente del Parco Nazionale del Pollino

Esprime soddisfazione il presidente del Parco del Pollino, Domenico Pappaterra per l’iniziativa dell’assessore, colonnello De Caprio: «Mi pare – ha detto a calabria.live – di grande significato perché intanto esalta il ruolo delle aree protette nella nostra regione e soprattutto assegna loro un ruolo strategico rispetto anche alle politiche di crescita e di sviluppo. Oltre che naturalmente per continuare a svolgere quella che è una grande azione legata alla tutela della straordinaria biodiversità che in tutti i parchi della Calabria e nelle aree protette è detenuta e conservata. Un plauso, quindi, all’esecutivo. Soprattutto – dichiara Pappaterra – mi piace anche l’idea che – devo dire la verità – già da tempo insieme con gli altri colleghi presidenti di parco stavamo perseguendo, di far diventare quello delle aree protette un vero e proprio sistema, nel senso che ormai è anacronistico, anche alla luce dell’ultima crisi, parlare dei singoli parchi o esaltare le buone pratiche o le belle azioni che in ogni parco si sviluppano. Oggi bisogna ragionare come sistema globale e quindi, da questo punto di vista, tutta la dorsale appenninica calabrese può rappresentare, senza dubbio, un grande volano di crescita nell’ambito di un’offerta da parte della nostra regione, in cui ci sono i borghi, c’è il mare, ci sono i grandi tessuti urbani, c’è lo straordinario paesaggio, di questo grande polmone verde che dal Pollino, attraverso la Sila, le Serre, arriva fin giù in Aspromonte. Da questo punto di vista l’assessore De Caprio credo abbia colto nel segno».

– Ci sono risorse nuove per progetti già avviati?

«Come Federparchi Calabria – dice Pappaterra a calabria.live –, con la passata amministrazione, abbiamo sviluppato un importante lavoro che ha dato una forte attenzione ai parchi calabresi perché per la prima volta quasi 30 milioni di euro che erano parcheggiati senza utilizzo in una misura del Por sono stati destinati ai parchi attraverso una proceduta negoziata, quindi non abbiamo neanche dovuto partecipare ai bandi. Invece abbiamo individuato alcuni progetti strategici, come quello della grande rete sentieristica che dal Pollino arriva fino all’Aspromonte lungo un tracciato principale che era il vecchio sentiero Italia ma con una serie anche di collegamenti secondari che vanno ad esaltare tanti altri sentieri importanti della nostra regione. Un progetto che è coordinato dal Parco dell’Aspromonte. L’altro grande progetto, invece, riguarda la Ciclovia dei Parchi, che è coordinato dal Parco del Pollino: sono già state fatte le gare d’appalto, purtroppo la crisi del coronavirus ha bloccato l’avvio dei lavori, ma siamo in una fase in cui attraverso la dorsale della vecchia statale 19 delle Calabrie stiamo per realizzare questa importantissima infrastruttura verde. Il Parco della Sila, invece, ha coordinato un significativo piano di marketing territoriale: per la prima volta i tre Parchi si presentano in tutte le grandi fiere turistiche per veicolare un messaggio unitario in termini di promozione turistico-ambientale e culturale dei loro territori».

– Il presidente del Parco d’Aspromonte Leo Autelitano – che condivide il suo entusiasmo per l’iniziativa dell’assessore De Caprio – rilancia, a sua volta, un vecchio progetto, quello cosiddetto del “cammino delle fede” che vuol individuare il percorso di spiritualità e di cultura sulla traccia dei monasteri basiliani in Calabria…

«La proposta e la suggestione che introduce Autelitano – dice Pappaterra – credo debba essere colta e questa potrebbe essere una delle prime azioni che potremmo negoziare col nuovo governo regionale della Calabria, perché questo itinerario che Autelitano propone lungo i vecchi monasteri basiliani, un po’ ripristinando quella che erano le vie della fede, io credo possa avere un significato importante e merita la dovuta attenzione».

– In questa rete dei parchi entra anche la Rete marina protetta…

«Questo è un connubio che va esaltato. Noi siamo, come dire, portati a parlare un po’ per deformazione dei parchi calabresi, mi riferisco ai parchi terrestri, ma non dimentichiamo che in Calabria c’è la grande riserva di Isola Capo Rizzuto, la riserva della foce del Crati e della diga di Tarsia, e sono stati accorpati in un unico ente gli ex parchi costieri che erano quelli delle zone rivierasche. Per questa ragione, è intelligente e di grande prospettiva l’idea di mettere in campo un prodotto con due possibilità di offerta, una la montagna, l’altra la grande risorsa marina.  Il mare che nella nostra terra continua a predominare. Del resto, è evidente: più di 700 km di costa meravigliosa e un mare splendido non possono che essere oggetto di questa nostra offerta turistica, però non c’è dubbio che adesso il visitatore, il fruitore, il turista potenziale ama anche differenziare la sua vacanza e cerca anche di diversificarla. Si gode il mare e il sole, ma sappiamo che vuole anche conoscere il nostro entroterra, nella sua naturalità, nei suoi paesaggi, nei suoi borghi, nella sua enogastronomia, nelle sue attività sportive, ovviamente parliamo di sport eco-compatibili. La nostra è una terra dotata di tutte queste potenzialità. Certo, oggi, in piena emergenza sanità può apparire anacronistico parlare di tutto ciò, ma noi dobbiamo augurarci che superata la crisi avremo a che fare indubitabilmente con la necessità di rilanciare l’economia di tutti i nostri territori. Occorre pensare già da ora a come ripartire nel settore del turismo e dell’agricoltura di qualità che sono settori trainanti per la nostra terra. A quell’appuntamento dobbiamo essere tutti quanti pronti e preparati».

Autelitano nel ricordare i tesori basiliani presenti già solo nel territorio aspromontano (ma ci sono tracce in tutta la Calabria), fa presente che occorre riscoprire queste importanti radici: è un elenco straordinario che farà coniugare il sacro con la naturalità dell’ambiente. Nell’ottica di sfruttare queste risorse come volano per attrarre visitatori e creare nuova occupazione (quanti giovani potranno trovare lavoro in questo ambito?) Autelitano mette l’accento sul rapporto Ecotour del 2012 sul Parco d’Aspromonte, poche presenze in assoluto, ma fortissima percentuale di stranieri. È su di loro che andrà modulata l’offerta turistico-ambientale-culturale (e spirituale). Ne prenda nota, capitano Ultimo. Il primo ad aver iniziato, dopo appena qualche settimana, a rivoluzionare l’assessorato all’Ambiente. Ne avevamo proprio bisogno. (s)

«Riparti Calabria»: 150 milioni contro la crisi
È la prima Regione a dare i soldi alle imprese

di SANTO STRATI – La soddisfazione di Fausto Orsomarso, neoassessore regionale al Lavoro, dopo dieci ore di fatica è comunque lampante: la Calabria è la prima Regione a varare in tempi record un provvedimento a favore delle imprese per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Una tempestività ammirevole che tiene conto non solo della gravità della situazione sanitaria attuale, ma guarda anche al dopo, alla cosiddetta ripartenza. E lo fa in maniera inedita per un ente regionale, con l’orgoglio di chi crede nel ruolo di cui è stato investito: prima la delibera, poi l’annuncio. Diciamo la verità, abituati ai grandi annunci cui poi non seguiva nulla, ci disorienta gradevolmente, anzi ci entusiasma, questo nuovo corso della politica regionale: chi ci legge sa che non parteggiamo per alcuno, all’infuori dei calabresi, ma desideriamo dare atto alla presidente Jole Santelli e alla Giunta di star mostrando capacità e voglia di fare, nell’interesse della Calabria, per il bene comune e non per accontentare qualche pretesa privata. La Giunta, al completo, si è riunita fisicamente a Germaneto (il tema era troppo importante per affidarlo alla video conferenza) ed ha ascoltato le proposte dell’assessore Orsomarso per l’aiuto, assolutamente non rinviabile, alle imprese. Ed ha approvato questo significativo atto di indirizzo per il sistema produttivo calabrese. Lavoro, impresa, mantenimento dell’occupazione, salvaguardia delle attività in essere. Non progetti per investimenti, ma sostegno all’economia reale, con determinazione e convinzione.

«Era importante – ha dichiarato Fausto Orsomarso a calabria.live – pensare da subito alla ripartenza, così come stiamo dedicando il massimo sforzo all’emergenza sanitaria. Occorre pensare adesso al “dopo” perché le aziende devono riaprire, devono poter ripartire e hanno bisogno di liquidità immediata. Bisogna dimenticarsi delle procedure tradizionali, abbiamo tenuto fuori le banche, affidando tutto alla Fincalabra, la nuova Fincalabra che può contare su funzionari preparati e attenti, in grado di gestire le istanze di finanziamento che arriveranno. Ripeto, finanziamenti per la liquidità e la ripartenza, non per nuovi investimenti, lì ci sono altre misure su cui ricorrere. Oggi è importante pensare all’apparato produttivo della regione e quindi le aziende, le partite iva e, grande novità, i professionisti che il governo centrale sta ignorando tranne che per il piccolo aiuto esentasse già previsto. I professionisti hanno studi, laboratori, attività oggi serrate che devono poter ripartire: questo fondo di dotazione pensa anche a loro. Le risorse le abbiamo trovate rimodulando alcune voci di spesa non utilizzate, per esempio 44,8 milioni dal credito d’imposta e il resto da somme non ancora assegnate. Partiamo con 150 milioni e altri 100 con buona probabilità riusciremo a trovarli dall’asse 3. Questo significa – sottolinea l’assessore Orsomarso – che il fondo non è soltanto per l’emergenza, ma potrà accompagnare gli imprenditori per i prossimi cinque anni, in quanto ci saranno i rientri dei finanziamenti che andranno a rimpolparlo costantemente».

Orsomarso rivendica con orgoglio che il provvedimento non è stato annunciato se non dopo che è stato sottoscritto e varato dalla Giunta. «Non è un cambio di passo, questo? – dice Orsomarso – Le altre regioni dovrebbero prenderci ad esempio. Anche il governo centrale dovrebbe guardare a come in Calabria si possano prendere iniziative immediate, in grado di rispondere all’emergenza, guardando alle vitali esigenze di sopravvivenza dell’economia. Verranno altri interventi dallo stato per le imprese, noi, intanto, in Calabria, abbiamo segnato una traccia decisamente importante. Occorre guardare all’economia reale che va salvata, senza trascurare l’allarme del procuratore capo Gratteri sulle insidie della ‘ndrangheta e del malaffare che possono aggredire aziende agonizzanti. Il provvedimento è rivolto alla Calabria produttiva: ci siamo basati sui dati Cerved sulle proiezioni circa la probabile riapertura dopo la crisi. Un conto è valutare una proiezione ottimista e poco reale di fine maggio, un altro prevedere almeno un semestre di difficoltà reali, soprattutto in termini di liquidità. Ed ecco che abbiamo costruito un provvedimento che permetterà di dare da 10mila a 400mila euro ad aziende, partite iva, professionisti. La valutazione è affidata alla Fincalabra, la burocrazia resta fuori della porta, sarà come un prestito – per intenderci – alla Findomestic per i privati: pratica immediata, contratto da firmare via mail e bonifico il giorno dopo sul conto corrente. Si valuteranno gli ultimi bilanci e il fatturato per offrire interventi tagliati su misura dell’azienda, con un moltiplicatore che sarà diverso a seconda delle attività. E abbiamo pensato anche a misure straordinarie da destinare alle piccolissime aziende e ai laboratori artigiani: un ristoro delle perdite subite a seguito della chiusura forzata (5-7mila euro) per aiutarli a riaprire e riprendere l’attività».

È dunque una notizia doppiamente importante, per la somma impegnata e per la dimostrazione della capacità di “fare” dimostrata in questa occasione.  La Giunta ha, dunque, varato subito il fondo “Riparti Calabria” di 150 milioni di euro per sostenere le imprese, ormai tutte in crisi di liquidità. Un fondo immediatamente disponibile in grado di aiutare imprese, professionisti e partite iva con aiuti che vanno dai 10mila ai 400mila euro. È una risposta adeguata, vigorosa e intelligente che dimostra che l’obiettivo, stavolta, è il bene comune, ovvero il contrasto serio a una crisi economica non meno insidiosa e temibile dell’epidemia. Il blocco forzato di attività, la chiusura obbligata di negozi, aziende, laboratori, artigiani ha innescato una pericolosissima deriva finanziaria che rischia di mettere in ginocchio un’economia che già si manteneva a fatica a galla, nella regione più disastrata d’Italia. In Calabria la parola competitività si è sempre scontrata con l’impari lotta col mostro della burocrazia e la cecità degli istituti bancari che tutto hanno fatto tranne che sostenere, incentivare e motivare il ricorso al credito per fini di investimento, crescita e sviluppo. Adesso si può veramente pensare a un’inversione di tendenza e dalla “povera” e sempre trascurata Calabria viene un modello di due diligence che – siamo certi – sarà preso a modello dalle regioni virtuose del Nord e, perché no?, magari dal governo centrale.

La crisi economica, come abbiamo scritto ieri, non va sottovalutata, sono in rischio centinaia di migliaia di posti di lavoro che in casa nostra dove la disoccupazione giovanile tra i 15 e i 24 anni arriva a superare il 52% equivale al suicidio dell’agognata (e possibile) crescita. L’epidemia del coronavirus, col suo drammatico e terribile carico di morti che nessuno – altra tragedia – ha potuto adeguatamente piangere e accompagnare alla tomba non è finita, né sappiamo a quali dure prove ci costringerà nelle prossime settimane. Occorre avere speranza, senza dubbio, perché noi italiani siamo un popolo abituato a saperci rialzare dopo qualunque tragedia, e i calabresi ancor di più, ma bisogna guardare già da adesso al dopo, al futuro che ci attende quando tutto sarà finito. Se ci saranno macerie su cui tentare la ricostruzione o più auspicabilmente polvere da spazzare via da scaffali, macchinari, attrezzature.

La prima ipotesi, quella delle macerie, è dunque oggi meno pressante e più lontana: in attesa degli interventi di stato, la Regione Calabria è corsa ai ripari, prima di ogni altra regione italiana, fornendo gli strumenti finanziari per dare il sostegno necessario a ripartire. Gli imprenditori seri, le aziende che danno occupazione e producono benessere alle famiglie, sono allo stremo ma non hanno fatto mancare ai lavoratori stipendi e aiuti necessari a sfamare i figli, pur in assenza di qualsiasi entrata o ricavo dall’attività. L’iniezione di liquidità promessa oggi dalla Giunta è un segnale importante, il conforto che le imprese cercavano per non sentirsi più soli e abbandonati. Un segnale della Calabria che vuole crescere e può farcela. (s)