L’addio a David Sassoli, il sorriso dell’Europa e della politica

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Il nodo alla gola e le lacrime agli occhi. Una commozione che sbuca lo schermo e si sente sulla pelle. Funerali di Stato, funerali di tutti.

Nessuno è sicuro da solo“. Così, oggi, senza alcun imbarazzo per le lacrime, attorno a David Sassoli, per il suo congedo terreno, davvero in tantissimi.

A salutare un vero amico, si è sempre in tanti. E David lo era. Anche per chi non era mai riuscito a stringergli la mano, ma attraverso uno schermo televisivo, aveva incontrato il suo sorriso.

David Sassoli lascia all’Italia e all”Europa qualcosa che resterà impresso per sempre negli occhi e nella mente della gente: il suo mite sorriso. Non è scontato saper sorridere a questo mondo, nè che gli altri colgano il sorriso che dai. David ci è riuscito. A sorridere e far vedere agli altri che lo stava facendo, È in quel sorriso, infatti, che ha dato il meglio di sè.

Sassoli è stato un uomo fatto di una pasta speciale. Quelli come lui andrebbero davvero custoditi nelle nicchie come i santi. Ma ci si accorge di questi esemplari, quando il tempo è ormai davvero finito.

È stato modello impeccabile di responsabilità e mitezza, David Sassoli. Costruttore di valori e ideali. Portatore di credo e uomo politico con un senso altissimo dell’onore.

Italiano ed europeista. Tempra, credo, autorevolezza umana e istituzionale. Onestà intellettuale ed equilibrio.

Il paese non perde semplicemente il Presidente del Parlamento Europeo, un militante di partito, un padre di famiglia, ma un grande italiano, garante della Repubblica e della sua Costituzione. Un cristiano e uno scout. E io che lo immaginavo, un buon Capo dello Stato, perdo un pezzo di sogno.

All’unanimità, in una Roma Caput mundi d’inverno, l’Italia e L’Europa si ritrovano raccolte, in un dolore attivo, a salutare, un uomo ancora capace di arrossire ai complimenti. “Il compagno di banco che tutti avrebbero voluto avere”.

Il feretro di Sassoli, con la bandiera europea posata sopra, accompagnato da sei carabinieri in alta uniforme, diventa simbolo inequivocabile di ripresa e resilienza, umana coscienza, per l’Italia e i paesi dell’Unione. L’Europa intera. Tutti i giovani che in questo grande continente si vanno formando e impegnando.

David Sassoli ha lasciato a questa Europa, dal volto comunitario, messaggi di vera umanità. Versioni di vita importanti sulle quali discutere il futuro unitario del paese. Appunti essenziali su cui continuare a lavorare. Con le parole del grande Baden Powell: “Prova a lasciare questo mondo un po’ meglio di come l’hai trovato e quando arriva il tuo momento per morire, tu puoi morire felice nel sentire che in ogni caso tu non hai perso il tuo tempo ma hai fatto del tuo meglio”.

La morte corporale non è certamente la morte dell’anima, né del pensiero di un uomo. Di Sassoli, sepolto il corpo, resterà tutto il resto. La dignità, la passione e l’amore. Le tre parole con cui i figli Giulio e Livia, oggi, lo hanno voluto ricordare.

DIGNITÀ. Di chi non ha mai fatto pesare la malattia a nessuno, né ora né dieci anni fa. ‘Sì, ma io c’ho da fa’’, continuavi a ripetere a tutti in ospedale, dimostrandoci che, in un mondo di scuse e giustificazioni, l’unico modo che conoscevi per combattere fosse continuare a lavorare, a conoscere, ad alimentare le tue infinite passioni, sorridendo.

PASSIONE. Per il lavoro, per le tue sfide. Ma ci insegni che avere passione vuol dire anche coltivare la sensibilità e la cura per le piccole cose, per la storia delle persone, cosciente che da ognuna si possa imparare e che ognuna meriti di essere ascoltata. Un uomo ambizioso, ma che non ha mai ceduto ad egoismi e sotterfugi, un uomo disinvolto, dal sorriso guascone e gli occhi vispi ma che arrossiva ai complimenti. Che ci insegna che la popolarità ha senso solo se si riescono a fare cose utili.

AMORE. quella parola che nelle tue ultime ore hai ripetuto più spesso, con le tue ultime forze e i tuoi ultimi sospiri. La pronunciavi e la ripetevi, la ripetevi, la ripetevi da sola, come un grido, come un’esortazione. Mi ha colpito perché fino alla fine non sei stato in grado di cedere allo sconforto, e fino alla fine ci hai parlato di speranza.  (gsc)

Addio a Roberto Visentin, già docente dell’Unical nei suoi primi venti anni di vita

di FRANCO BARTUCCI –  Il Dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, nel cinquantesimo anniversario della sua nascita, ha perduto in quanto scomparso a Roma il prof. Roberto Visentin, docente di fisica per gli studenti iscritti al corso di laurea d’ingegneria nei primi venti anni di vita dello stesso Ateneo.

Il prof. Roberto Visentin da fisico faceva parte del dipartimento di Fisica, ma era componente del corpo accademico della Facoltà di Ingegneria. Era orgoglioso di insegnare Fisica agli studenti del corso di laurea in ingegneria, che per il suo carattere, la personalità, il suo modo di fare nell’insegnamento era molto amato ed apprezzato.

Il suo nome fa parte della storia dell’Università della Calabria per essersi impegnato negli studi e nelle attività di ricerca sull’energia solare, ottenendo dal Consiglio di amministrazione un finanziamento utilizzato per impiantare presso l’edificio polifunzionale un laboratorio sull’energia solare con l’installazione di un modulo solare in grado di captare l’energia e che oggi ne rappresenta un simbolo e una memoria monumentale da tutelare.

Un impegno scientifico che in anni di crisi energetica come accadde in quegli anni settanta attirò l’attenzione di una Società come la Fiat, che con il direttore del centro ricerche Fiat di Torino, Ugo Luciano Businaro, il 17 luglio 1977, accompagnato dal Rettore Cesare Roda, sbarcò ad Arcavacata per un sopralluogo all’impianto solare e conoscerne i risultati  con la finalità di definire un accordo scientifico di collaborazione.

Per il prof. Visentin era necessario prendere atto, senza rinvii «che con l’esaurirsi di fonti energetiche come il petrolio – diceva compiaciuto e in modo entusiasta e fiducioso con chi si intratteneva a parlare con lui – si va verso una civiltà energetica dove la diversificazione e razionale utilizzazione delle fonti alternative è una scelta obbligata, dettata da ragioni di ordine economico-sociale e scientifico».

Con Rettore il prof. Pietro Bucci nell’anno accademico 1978/79 venne chiamato, in rappresentanza dei professori ordinari, a far parte del Consiglio di amministrazione dell’Università. Carica che gli fu riconfermata anche, attraverso una competizione elettorale, per il biennio accademico 1983/1985.

Tra le cose importanti legate al nome del prof. Roberto Visentin in questo momento ci piace ricordare il dono che il Rettore Pietro Bucci fece il 6 ottobre 1984 a sua Santità Giovanni Paolo II in  occasione della visita pastorale a Cosenza. Fu dato in dono a San Giovanni Paolo II un plastico raffigurante un complesso residenziale con impianti di energia solare progettato dall’arch. Maurizio Bonifati con il coordinamento del prof. Roberto Visentin.

Un progetto utile per le missioni che la Chiesa ha nei Paesi del terzo mondo. Ha fatto parte come presidente della commissione di laurea che il 20 marzo 1985 conferì la Laurea in Fisica al primo studente cinese, Xu Fang, arrivato all’Università della Calabria nel mese di dicembre 1979 insieme ad altri 15 studenti a seguito di un’apposita convenzione, firmata dal Rettore Pietro Bucci, con la Repubblica Popolare Cinese.

Il suo nome lo si trova pure il 1° marzo 1990  sempre all’Università della Calabria nel corso di un incontro in cui ci sono rappresentanti dell’Enel, Enea, Ansaldo, Efim, Eni, Italsolar, della Wacker di Monaco di Baviera e della Cassa di Risparmio Calabria e Lucania, nel corso del quale presenta un progetto mirato alla realizzazione, nell’area del porto di Gioia Tauro, di un elettro-generatore solare ad effetto  fotovoltaico in grado di fornire il 20% dei consumi elettrici civili della Calabria.

Per un ventennio, dal primo anno accademico 1972/73 e fino al 1991, anno di trasferimento in altra sede universitaria italiana, ha dato un grosso contributo, sia a livello didattico, scientifico ed amministrativo per lo sviluppo dell’UniCal, amandola come la stessa Calabria, trovando a Torremezzo, frazione del Comune di Falconara Albanese, una sede abitativa dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita.

Grande emozione ha trasmesso l’attuale direttore del Dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, prof. Riccardo Barberi, che lo ha pure avuto come docente  durante il suo percorso di studio, nel dare la notizia della scomparsa del prof. Roberto Visentin alla comunità universitaria. Una comunità che ha visto nell’arco di un anno la scomparsa di tre importanti docenti storici del dipartimento di Fisica, come Carlo Bellecci, Renzo Alzetta ed ora Roberto Visentin.

«Anche il prof. Roberto Visentin – ha dichiarato – non è più tra di noi. Il dipartimento di Fisica lo ricorda tra i primi ad accettare la scommessa dell’Università della Calabria. Tra i primi ad operare nel campo delle energie alternative, come l’energia solare, quando questi ambiti di ricerca erano ancora una visione quasi utopica. Tra i primi a coniugare con rigore tecnica e scienza nel campo della fisica applicata. Da studente di allora lo ricordo personalmente come uno tra i docenti “leggendari”, rigoroso e fantasioso insieme, estroverso e leader naturale. Un docente che distribuiva nuove visioni del mondo». (fb)

Addio a Carmelo Pujia, la politica come passione

di PINO NANO – Mi piace ricordarlo così. Era nato a Polia, in provincia di Vibo Valentia, il 5 ottobre 1927, ed è morto ieri a Roma nella sua casa che si affaccia direttamente sul Lungotevere, dopo aver dedicato alla politica tutta la sua vita. Aveva appena compiuto 94 anni. Lucido come non mai, aggrappato alla vita con la stessa tenacia con cui per anni aveva servito la sua gente, politico d’altri tempi, alla vecchia maniera, educato alla carriera politica che allora però incominciava solo dal basso. Prima consigliere comunale, poi consigliere provinciale, poi ancora assessore e presidente dell’amministrazione provinciale di Catanzaro, e poi ancora consigliere regionale, assessore regionale, e da qui il salto verso Montecitorio. Anche qui, prima deputato, poi uomo di Governo.

Una storia la sua senza sosta e senza rimpianti, piena di successi e di amarezze per quello che non sempre la politica riesce a portare a casa, intuitivo, aggressivo, padrone di sé e del partito, amabile sempre, amorevole con tutti, ma determinato e feroce con chi non lo rispettava, mediatore fino alla nausea ma leader assoluto e incontrastato di una delle stagioni politiche più esaltanti della democrazia cristiana in questo Paese.

Negli anni ’80 e ’90, in Calabria la DC era lui, e solo lui. Tutti gli altri dipendevano da lui, e dalla sua forza congressuale. Persino Riccardo Misasi che aveva una sua legittimazione nazionale forte a Roma, per via del suo rapporto privilegiato con Ciriaco De Mita prima segretario nazionale della Dc e poi premier, persino il vecchio Riccardo guardava a Carmelo Puija con rispetto e con senso di soggezione. Carmelo Puja era nei fatti la DC di quegli anni così turbolenti della vita calabrese, lui che per primo gettò le basi delle famose Linee Programmatiche dello Sviluppo, su cui poi nascerà la grande Calabria economica degli anni 2000.

Carmelino Pujia, lo chiamavano così i suoi amici più cari, in Calabria e in politica era tutto e il contrario di tutto, e non c’era pagina del dibattito nazionale che non lo chiamasse in causa o non lo considerasse interlocutore privilegiato di primissimo piano. Erano gli anni in cui la DC era governata dalle correnti, e la corrente che faceva capo a lui, e che era la corrente andreottiana, non conosceva né rivali né opposizione possibile. Congresso dopo congresso Carmelino diventa il “caso nazionale” di una Calabria politica che stava allora crescendo, per la forza devastante del suo consenso elettorale e della sua capacità di condizionamento delle migliori intelligenze del Sud.

In Calabria come a Roma, a Roma come in Calabria, Carmelo era riuscito a tessere attorno alla DC calabrese un reticolato di interessi e di ambizioni che favoriranno la crescita dell’intera regione. E quando lo chiamano alla guida dell’assessorato regionale all’agricoltura, ricordo ancora bene che davanti alla porta del suo studio, che allora stava a Catanzaro nel cuore della città, sopra la galleria Mancuso, c’erano ogni giorno in attesa paziente segretari e rappresenti politici di ogni colore e di ogni provenienza. Ognuno di loro aveva qualcosa da chiedergli, e solo raramente lui non trovava una soluzione ideale per tutti. Persino il PCI di quegli anni, che era soprattutto il PCI di Franco Politano, lo considerava “fondamentale” per l’equilibrio migliore da dare alla stabilità della regione.

Amato, idolatrato, seguito, coccolato, ammirato, imitato, ma anche odiato e contestato, Carmelo Puja era -e rimarrà per sempre- uno dei punti di riferimento di questi ultimi trent’anni anni di vita politica regionale. Anche da vecchio, quando Carmelo non aveva più incarichi di potere e di governo, e non aveva più nessun rapporto reale e concreto con la Calabria e la città di Catanzaro -che nei fatti lo aveva adottato da ragazzo- la sua casa in Lungotevere era continuamente frequentata da rappresentanti politici di ogni partito, che venivano qui a Roma a trovarlo per chiedergli un consiglio sul come fare e sul come muoversi.

Strategie, tattiche, accordi più o meno palesi, modi di concepire il dibattito e lo scontro politico, di cui lui era rimasto insuperabile maestro di vita. La politica intesa quasi come una religione, e lui continuava ad essere considerato di questo credo religioso il massimo rappresentante vivente. Carmelo Puija, perché non ricordarlo ora che non c’è più? era tante cose insieme, e quando negli anni 80-90 si pronunciava il suo nome il pensiero correva a tanti altri suoi amici e compagni di partito che nel bene e nel male, ma non sta a noi oggi stabilirlo, hanno segnato la vita sociale e politica dell’intera Calabria.

Una intera classe politica dominante che allora i voti se li andava a cercare casa per casa, collegio dopo collegio, paese per paese, contrata dopo contrada, campagna dopo campagna. Ma che ne sanno gli ultimi arrivati di cos’era la politica di quegli anni? Sacrificio, abnegazione, rinunce dopo rinunce, con la consapevolezza che ogni elettore fosse sacro per tutti loro, e come tale andasse rispettato e considerato. Uno vale uno, ma allora era così, perché ogni elettore nel chiuso dell’urna doveva esprimere il suo voto, quattro preferenze in tutto, ma era questo che creava tra politico ed elettore un legame a volte indissolubile e mai labile. Carmelo Puija era il grande sacerdote di questo rito quasi magico così ossessivo e avvolgente, e quando le urne si svuotavano del tutto e un uomo come lui portava a casa 120 mila-140 mila preferenze in un colpo solo, allora anche un uomo potentissimo come lui avvertiva su di sé il peso di una intera regione che lo aveva scelto e lo aveva mandato a Montecitorio affidandogli la propria storia e i propri sogni. Era questa la generazione politica dei Pujia.

E negli ultimi anni della sua vita romana non posso non ricordare qui le sue lacrime di dolore e di disperazione, quando mi parlava di sua moglie, gravemente ammalata, che da solo non riusciva più a gestire, e che si era “persa per sempre” dopo la morte DI Tony, il figlio maschio che stava lontano da casa e che il destino aveva chiamato al cielo prima di loro.” Per fortuna c’è rimasto Arturo e mia figlia laggiù in Calabria, e credo che prima o poi tornerò a casa mia per godermi meglio questi anni di silenzio”.

I SUOI INCARICHI DI GOVERNO

Tre diversi incarichi di Governo: X Legislatura della Repubblica italiana, I Governo Goria, Sottosegretario di Stato al Tesoro (30.07.1987-13.04.1988); I Governo De Mita, Sottosegretario di Stato al Tesoro (15.04.1988-22.07.1989); VII Governo Andreotti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio (17.04.1991-28.06.1992).

Firmatario di 137 progetti di legge, Membro di varie Commissioni: Commissione (trasporti ed aviazione civile – marina mercantile – poste e telecomunicazioni), Membro dal 12 luglio 1983 al 27 gennaio 1984; III Commissione (affari esteri – emigrazione), Membro dal 27 gennaio 1984 al 1 agosto 1986; XIII Commissione (lavoro – assistenza e previdenza sociale – cooperazione), Membro dal 27 gennaio 1984 al 1 luglio 1987; X Legislatura della Repubblica italiana, I Commissione (affari costituzionali, della presidenza del consiglio e interni) Membro dal 4 agosto 1987 al 6 ottobre 1987; XII Commissione (affari sociali), Membro dal 6 ottobre 1987 al 22 aprile 1992,Subentra a: Amedeo Zampieri; XI Legislatura della Repubblica italiana, XI Commissione (lavoro pubblico e privato), Membro dal 9 giugno 1992 al 28 giugno 1992; IV Commissione (difesa), Membro dal 28 giugno 1992 al 14 aprile 1994, Subentra a: Tommaso Bisagno; Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, Membro dal 8 giugno 1993 al 14 aprile 1994.

L’ANNUNCIO FUNEBRE DELLA FAMIGLIA

In un messaggio fatto pervenire alle redazioni degli organi di informazione la famiglia Pujia si dice «addolorata per la perdita del caro congiunto onorevole Carmelo, e condivide con quanti lo hanno stimato ed amato la tristezza ed il vuoto lasciato dalla perdita. La famiglia comunica che celebrerà in forma strettamente privata la funzione religiosa dispensando dalle visite onde limitare, in questo momento di pandemia, il rischio di diffusione di contagio. La famiglia – si legge infine nel messaggio – annuncia che verrà organizzata una commemorazione pubblica non appena la situazione epidemiologica lo consentirà per ricordare un uomo che ha profondamente inciso sulla storia della Calabria».

IL CORDOGLIO DELL’EX PRESIDENTE REGIONALE GIUSEPPE NISTICÒ

Profonda commozione e dolore sono stati espressi dal prof. Giuseppe Nisticò, ex presidente della Regione Calabria, suo amico da oltre 50 anni per i rapporti di affetto con il papà Salvatore e con tutta la famiglia. «Avrei dovuto – ha detto Nisticò – incontrare l’on. Pujia mercoledì prossimo in quanto con lui c’era incontri periodici nella sua casa di Catanzaro. Con lui scompare una delle figure più prestigiose della Democrazia Cristiana, un vero gigante della politica calabrese per i rapporti straordinari che aveva saputo intessere con i suoi amici e con tutti i cittadini. Aveva da poco finito di scrivere un suo ricordo su Riccardo Misasi per un libro che io stesso sto curando per onorarne la figura dopo oltre vent’anni dalla sua scomparsa. Il suo capitolo è intitolato “Ciò che abbiamo fatto con Riccardo non è scritto sull’acqua” e io ho aggiunto “ma rimarrà nella storia della Calabria”. Un cordoglio profondo e un abbraccio a tutti i familiari e in particolare al figlio Arturo, oggi Ordinario di Medicina Interna presso l’UMG che è stato mio allievo interno per preparare la tesi laurea, alla carissima figlia Marika. Carmelo lascerà un vuoto fra tutti coloro che ancora lo frequentavano, ma sono sicuro che dall’alto il suo cuore continuerà a battere per tutti quelli che gli hanno voluto bene».

IL SINDACO DI CATANZARO SERGIO ABRAMO

“La scomparsa dell’on. Carmelo Pujia lascia un vuoto pesante nella storia politica ed istituzionale della nostra regione. Una personalità che ha saputo rappresentare la Calabria con impegno e responsabilità a tutti i livelli, attraverso i ruoli rivestiti nel suo lungo percorso politico. Consigliere regionale, deputato e sottosegretario di Stato nella stagione storica della Democrazia Cristiana, senza dimenticare la parentesi da Presidente della Provincia di Catanzaro. Un periodo importante e significativo in cui il nostro territorio ha potuto contare su una voce autorevole, che ha fatto sentire il proprio peso a livello nazionale, garantendo una rappresentanza di rilievo alla nostra comunità. Un’impronta ed un’eredità che resteranno indelebili. Alla famiglia Pujia rivolgo le più sentite e sincere condoglianze, nell’esprimere anche la vicinanza delle amministrazioni comunale e provinciale che ho l’onore di presiedere”.

IL RETTORE DELL’UNIVERSITÀ MAGNA GRAECIA GIOVAMBATTISTA DE SARRO

“Esprimo, a nome mio personale e dell’intera comunità accademica di Catanzaro, i più profondi sentimenti di cordoglio per la scomparsa dell’Onorevole Carmelo Pujia, rivolgendo al nostro caro Prof. Arturo ed ai suoi familiari la vicinanza di tutti in questo triste momento di dolore. La scomparsa di Carmelo Pujia, Deputato, Sottosegretario di Stato, Assessore e Consigliere regionale, Presidente della Provincia di Catanzaro, esponente storico della Democrazia Cristiana, rappresenta una grande perdita per Catanzaro e l’intera Calabria, avendone attraversato, da protagonista, la storia repubblicana. Ha rappresentato l’esempio di una politica che si fa missione, volta alla costruzione di quel bene collettivo che deve appartenere a tutti, di un servizio alto da rendere alla propria terra. Il ricordo, per questo, si fa più intenso e pieno di gratitudine anche per l’importante e sicuramente fondamentale contributo che Carmelo Pujia ha saputo dare nei ruoli politici ed istituzionali ricoperti per la nascita dell’Ateneo di Catanzaro”.

L’ON. MARIO TASSONE

“È morto Carmelo Puija. Sono momenti di dolore profondo e di moltissimi ricordi. Ricordi di una vita, di esperienze vissute intensamente, stagioni non scevre da problemi ma ricche di passioni e di volontà. Carmelo fu protagonista di quelle stagioni con vivacità, con il desiderio di fare. Erano tempi in cui l’agire in politica significava vivere, operare e costruire. Tempi, quindi, di sogni e di ideali”. Lo afferma, in una nota, Mario Tassone, attuale segretario nazionale del Nuovo Cdu e per molti anni deputato della Democrazia Cristiana. “Un’umanità in cammino – aggiunge – e il piacere di ritrovarsi con tanti amici a rendere meno periglioso il percorso che portava alla città dell’uomo nella giustizia e nella civiltà. Carmelo fu parte significativa della Democrazia Cristiana. Le esperienze maturate nei giovani Dc., nel Partito, nell’amministrazione provinciale di Catanzaro come presidente, nella Giunta regionale della Calabria, nel Parlamento e nel Governo hanno lasciato tracce. Fu riferimento di moltissimi ed animatore vulcanico di tante iniziative che hanno prodotto frutti fecondi. Quello era il mondo di Carmelo, era il mondo di tanti di noi. Era la vita, la forza di andare avanti. Non mi sento di dire che con Carmelo se ne va una storia. No, le belle storie rimangono scolpite nei cuori, Le testimonianze non perdono forza e significato. Oggi c’è silenzio, aridità, narcisismo. Non ci sono passioni, si vive solo nel presente. Non c’è memoria, non ci sono ideali. E se non ci sono ricordi, non c’è la speranza, non c’è futuro ma un presente occupato da egoismi senza fine”. “Oggi c’è necessità – dice ancora Tassone – di ritrovare la forza di ricominciare. Bisogna riferirsi alla storia migliore per ritrovare le ragioni per riprendere il cammino. È alle tante testimonianze di dedizione che bisogna riportarci. E Carmelo Pujia fu testimone e parte di quelle storie umane che non muoiono ma vivono e possono riscaldare i cuori dopo tanti anni di gelo”.

IL CORDOGLIO DEL CONSIGLIO REGIONALE

«Con la scomparsa dell’on. Carmelo Pujia, alla cui famiglia porgo le condoglianze mie e dell’Assemblea regionale che mi pregio di rappresentare, viene meno una personalità che ha saputo autorevolmente rappresentare le ragioni della Calabria a livello nazionale». Lo dice il presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso, che aggiunge: «Oltre ad essere stato un esponente di primo piano della Dc, deputato per tre legislature e Sottosegretario di Stato al Tesoro nei Governi Goria e De Mita  e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per gli Interventi straordinari nel Mezzogiorno nel governo Andreotti VII, l’on. Pujia ha interpretato la supremazia rappresentativa della politica da Presidente della Provincia di Catanzaro (’70-’75) e da  consigliere e assessore regionale all’Agricoltura (’75-’80) e al Bilancio (’80-’85)». Conclude il presidente Mancuso: «Alle iniziative che si promuoveranno per ricordarne l’acume politico, l’impegno per la Calabria e ‘la capacità di rischiare’ che gli riconoscevano anche i suoi avversari, nonché la lucidità di analisi di cui dava prova una volta uscito dall’agone politico, il Consiglio regionale assicura fin d’ora la sua partecipazione».

L’ON. MICHELE TRAVERSA

“Carmelo Pujia – sostiene Michele Traversa storico ex Presidente della Provincia di Catanzaro– ha sempre messo le sue straordinarie qualità politiche e umane al servizio della Calabria, e nonostante la distanza delle nostre posizioni politiche avevamo costruito un rapporto di rispetto diventato presto una fraterna amicizia. Ho appreso con dolore la notizia della sua scomparsa. Ai suoi figli, agli amati nipoti, rivolgo un abbraccio affettuoso”.

GLI AMICI DEL CENTRO

«Per me -dice Vincenzo Speziali, Coordinatore Regionale Federativo dell’Area di Centro-ha rappresentato un leader e un punto di riferimento, con il quale mai mi sono perso e men che mai ho abbandonato. Sino all’ultimo siamo rimasti in contatto, costantemente, anzi lo aggiornavo su quanto stavo facendo e i suoi consigli erano preziosi, al pari di quelli che mi ha dato sempre, nella mia vita politica. Non ho parole, poiché esse sarebbero ripetitive ma al tempo stesso giuste, autentiche e doverose. Carmelo caro ci lasci un vuoto incolmabile, ma andremo avanti anche in nome e per conto tuo, onorando la tua memoria. Te lo prometto».

IL SEN. ERNESTO MAGORNO

«Addio a Carmelo Pujia punto di riferimento della politica calabrese e autorevole esponente della DC. La Calabria il faro del suo agire politico. Tutta la mia vicinanza ai suoi cari».

L’ON. CLEMENTE MASTELLA

«Sentite condoglianze alla famiglia Pujia. L’On Carmelo Pujia è stato protagonista della storia democristiana calabrese e nazionale, autorevole esponente dei Governi Goria, De Mita e Andreotti, nonchè assessore e consigliere regionale, Presidente della Provincia di Catanzaro. La sua militanza politica si è contraddistinta per la sua costante volontà finalizzata al riscatto delle popolazioni meridionali. Il mezzogiorno oggi perde un luminare della politica”. è quanto scrive in una nota l’onorevole Mario Clemente Mastella (Segretario Nazionale Noi Di Centro).

L’ON. LORENZO CESA (Udc)

«Con Carmelo Pujia scompare un democratico cristiano che ha dedicato tutta la sua vita alla Calabria. Uomo di straordinaria umanità e con un forte attaccamento alla sua terra e ai calabresi. Esprimo le mie più sentite condoglianze ai familiari a nome di tutto il partito». Così il segretario nazionale Udc Lorenzo Cesa.

Il farmacologo Enzo Mollace nominato vicepresidente Fondazione Dulbecco

Il prof. Enzo Mollace, apprezzato scienziato e farmacologo, prof. ordinario di Farmacologia e Tossicologia all’Università Magna Graecia di Catanzaro, già preside della Facoltà di Farmacia presso lo stesso Ateneo, su proposta del prof. Roberto Crea, presidente della Fondazione Renato Dulbecco, è stato nominato vicepresidente della stessa Fondazione per la sua brillante carriera scientifica e per le sue capacità manageriali nel campo delle scienze dell’alimentazione, doti che potrà mettere a disposizione per il Renato Dulbecco Institute.

Nel decreto di nomina, il commissario della Fondazione prof. Giuseppe Nisticò, ha sottolineato il contributo determinante che Mollace ha dato con la sua scoperta delle attività antidismetaboliche (ipocolesterolemizzanti, riduzione dei trigliceridi plasmatici e della glicemia, effetti anti obesità) dei principi attivi dell’estratto di bergamotto e si è detto sicuro che le sue ricerche saranno fondamentali per lo sviluppo e la crescita della Fondazione Renato Dulbecco in Calabria.

Il prof. Mollace, nato a Casignana, in provincia di Reggio Calabria, si è laureato in Medicina e Chirurgia con 110 e lode presso l’Università di Messina e successivamente si è specializzato in cardiologia con il massimo dei voti e la lode. Entrato interno presso l’Istituto di Farmacologia dell’Università di Messina, è risultato vincitore di una borsa di studio per l’estero con la quale si è recato a lavorare presso il William Harvey Institute dell’Università di Londra, sotto la guida del prof. sir John Vane, Premio Nobel per la sua scoperta del meccanismo di azione dell’aspirina. Rientrato in Italia ha continuato a lavorare in Farmacologia con pieno successo. Dal 2012 è stato il direttore del Centro di ricerca internazionale di sicurezza alimentare nell’Italia meridionale, finanziato dal Ministero della Ricerca per 40 milioni di euro per ricerche nell’ambito della nutraceutica. In seguito, è stato direttore del Dipartimento di Farmacologia del IRCCS San Raffaele di Roma, consulente dell’Agenzia europea del farmaco (EMA). Ha ricevuto per le sue scoperte numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Autore di oltre 200 lavori su riviste internazionali di farmacologia, di cardiologia e di tossicologia a elevato impact factor.

Una nomina che conferma la qualità dello staff della Fondazione che sta curando la realizzazione dell’Istituto Renato Dulbecco a Lamezia Terme, presso la Fondazione Mediterranea Terina. Il Dulbecco Institute ha già superato la prima fase di valutazione con il via libera da parte della competente commissione scientifica del ministero per il  Sud. L’Istituto diventerà un centro d’eccellenza per la produzione di anticorpi monoclonali e di nanoanticorpi (o pronectine), una forma più avanzata dei monoclonali e che attualmente sono in fase sperimentale per il trattamento del Covid e delle sue varianti ma anche in campo oncologico.

Il prof. Mollace si è detto onorato e orgoglioso della designazione e ha accettato l’incarico, inviando un messaggio al commissario della Fondazione Dulbecco prof. Giuseppe Nisticò. «È con vivo piacere – ha scritto il prof. Mollace – e con grande emozione che inoltro la presente quale accettazione della carica di Vice-Presidente della Fondazione Renato Dulbecco. Questo incarico, per il quale ringrazio oltre che Lei anche il Presidente Prof. Roberto Crea, oltre a riempirmi di orgoglio, mi impegna ancora di più nel sostenere lo sforzo che Voi state facendo, da anni, per creare un Polo di Ricerca in Calabria che sia di riferimento per tutti i nostri giovani che vogliano intraprendere il percorso dell’innovazione ed investire le proprie risorse ed entusiasmo nello sviluppo della Ricerca Calabrese. Il Progetto merita il massimo del supporto da parte di coloro i quali hanno avuto la fortuna di avere Lei quale esempio di dedizione e lungimiranza per affermare, in ogni momento, i principi di valorizzazione dei giovani talenti calabresi portandoli a raccordarsi con le eccellenze della Ricerca a livello internazionale.

Nel solco di questi valori e con questa storia a sostegno delle nostre azioni, è con vivo affetto e grande entusiasmo che mi appresto a fornire il massimo del supporto personale e del nostro gruppo di ricerca per questa nuova sfida che, come sempre, affronteremo assieme». (rrm)

Giorgio Marrapodi: è calabrese il nuovo ambasciatore d’Italia in Turchia

di Pino Nano – La nomina del nuovo Ambasciatore d’Italia ad Ankara Giorgio Marrapodi è stata siglata formalmente proprio in queste ore dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, e comunicata dal premier Mario Draghi all’interessato, dopo il gradimento espresso nei suoi confronti dal Governo di Ankara e notificato oggi al Governo italiano. Nomina per altro molto attesa dalla Farnesina per via del ruolo strategico e fondamentale che viene da sempre riconosciuto e attribuito all’ambasciata d’Italia in Turchia. Colto, elegantissimo, versatile, grande appassionato di arte contemporanea e architettura moderna, poliglotta, Marrapodi parla correntemente inglese, francese, spagnolo e rumeno.

È Giorgio Marrapodi dunque è il nuovo ambasciatore d’Italia ad Ankara, uno dei diplomatici italiani più apprezzati e più sofisticati delle cancellerie di mezzo mondo per via del suo profilo istituzionale altissimo e soprattutto per lo spessore culturale che questo diplomatico di origini calabresi vanta da quando giovanissimo vinse il suo primo concorso al Ministero degli esteri.

Nato a Martone, nella Locride, il 1° marzo 1961. Laurea in giurisprudenza all’ Università di Firenze con il massimo dei voti il 23 ottobre 1984. Il 14 febbraio 1987 dopo una prova di esame brillantissima viene nominato Volontario nella carriera diplomatica. Dal 16 febbraio al 14 novembre 1987 frequenta l’Istituto Diplomatico per il suo tradizionale corso di formazione professionale e il 14 novembre 1987 il suo primo incarico alla Direzione Generale dell’Emigrazione. Diventa Segretario di legazione il 15 novembre 1987, e va in aspettativa per adempiere agli obblighi militari di leva dal 15 dicembre 1987 al 13 aprile 1988. Poi da qui tutta la sua vita sarà un susseguirsi di incarchi di alto prestigio e di grande valenza diplomatica.

Prima alla Segreteria della Direzione Generale Emigrazione, poi Secondo segretario commerciale a Bucarest dal 12 gennaio 1990, e Primo segretario di legazione dal 14 agosto 1991. Confermato nella stessa sede con funzioni di Primo segretario commerciale, il 1° aprile 1992, e Primo segretario alla Rappresentanza permanente d’Italia presso l’O.N.U. a New York il 26 gennaio 1994. Diventa quindi Consigliere di delegazione il 1° maggio 1997, e viene confermato nella stessa sede con funzioni di Consigliere il 1° dicembre 1997. Assegnato alla Direzione Generale Affari Economici, Uff. VIII, il 23 febbraio 1998. E poi ancora di nuovo all’Istituto Diplomatico, per un ennesimo corso superiore di informazione professionale dal 1° ottobre 1998 al 30 settembre 1999. Assegnato alla Segreteria Generale il 1° ottobre 1999, e poi ancora alla Segreteria Generale, Unità di Coordinamento, il 1° gennaio 2000. Il 28 ottobre 2000 è alle dirette dipendenze del Segretario Generale, e il 15 ottobre 2001 viene nominato Consigliere alla Rappresentanza permanente presso l’Unione Europea in Bruxelles, incarico questo che gli varrà l’ammirazione e la stima generale di tutti i Ministri degli Esteri dell’Unione Europea che hanno modo di incontrarlo.

Confermato nella stessa sede con funzioni di Consigliere per l’informazione e la stampa il  1° dicembre 2001, diventa Consigliere di ambasciata il 2 luglio 2002. Confermato nella stessa sede con funzioni di Primo consigliere per l’informazione e la stampa, il 21 luglio 2005 è Primo consigliere a Madrid. Promosso Ministro plenipotenziario il 2 gennaio 2009, viene confermato a Madrid con funzioni di Ministro consigliere il 20 maggio 2009.

Il 21 settembre 2009 viene chiamato alle dirette dipendenze del Segretario Generale il 5 gennaio del 2010 è Capo dell’Unità per il Contenzioso diplomatico e dei Trattati della Segreteria Generale. Poi ancora, Capo del Servizio per gli Affari Giuridici, del Contenzioso diplomatico e dei Trattati. Il 5 agosto 2013 diventa Ambasciatore a Vienna, e dal 19 gennaio del 2018 fino a oggi è stato il nuovo Direttore Generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, incarico di grandissimo prestigio internazionale, che lo ha portato in giro per il mondo e che ha fatto di lui uno dei diplomatici italiani più seguiti e più rispettati dalla diplomazia internazionale di mezzo mondo.

Anni fa, tornando a Martone suo paese di origine rilascia una lunga intervista a Daniela Gangemi per Calabriaonweb e in cui ricorda la sua «infanzia bellissima a Locri».

«In Calabria – dice – ci sono nato e ci sono cresciuto. Ho frequentato le scuole a Locri, dalle elementari al Liceo Classico, ed ho sempre avuto insegnanti e professori di alto livello, che hanno saputo insegnarmi a guardare ai problemi con una visione ampia. In Calabria sono sempre tornato e continuo a tornarci molto volentieri, anche se mi piacerebbe farlo più spesso. I ricordi di quegli anni sono ricordi di un’infanzia e di un’adolescenza felici: bastava giocare al pallone in una piazza, fare la classica passeggiata sul corso, o sul Lungomare d’estate, passare il tempo a chiacchierare con gli amici. Parlo di più di quarant’anni fa: la vita era diversa, forse più semplice, c’erano meno sollecitazioni, ma svegliarsi e respirare l’aria del mare è certamente qualcosa che mi manca a Vienna e mi è mancato in altri posti dove ho vissuto».

Ma all’Università di Reggio Calabria c’è ancora chi ricorda perfettamente bene la sua Lectio Magistralis sulla Diplomazia Internazionale. Invitato nel marzo del 2016 dal Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia dell’Università Mediterranea, lui già Ambasciatore d’Italia in Austria, presentato agli studenti dai professori Marina Mancini e Nicola Selvaggi, le cattedre rispettivamente di Diritto internazionale e Diritto penale, ha affascinato tutti raccontando “il mestiere de diplomatico e la politica estera italiana”.

“Io credo che il ruolo dell’ambasciatore, soprattutto all’interno dell’Unione Europea, sia quello di comunicare il proprio Paese, di saper informare l’opinione pubblica del Paese dove si opera, sulla realtà del Paese di appartenenza, senza reticenze sulle criticità, ma anche con convinzione sui punti di forza”.

Dopo aver sottolineato il forte legame che conserva continuamente con la Calabria e il suo paese di origine, ha descritto il suo ruolo di diplomatico con queste parole: «Comunicare i tratti identitari dell’Italia, intensificare il dialogo politico e difendere gli interessi italiani all’estero sono i compiti principali del mio lavoro». Ha poi offerto agli studenti dell’Ateneo reggino un’ampia sintesi delle ottime relazioni politiche ed economiche tra Roma e Vienna e una descrizione della vivace attività svolta dall’Ambasciata italiana nella capitale austriaca. Ma diversi sono stati in quella occasione gli argomenti di politica estera trattati, dalla difesa del “made in Italy” e la lotta all’”Italian sounding“, alla Brexit e all’ondata migratoria in atto in Europa, rispetto alla quale Giorgio Marrapodi dichiarò di essere «orgoglioso di quello che l’Italia fa a Lampedusa» sottolineando «la necessità di un piano comune a livello europeo di gestione della crisi».

L’Ambasciatore ha ricordato infine la sua esperienza alla Rappresentanza permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite, il ruolo cruciale svolto dell’Ambasciatore Fulci in quella sede e il contributo dell’Italia agli sforzi di riforma dell’Organizzazione negli anni Novanta. Anni che sono dettagliatamente descritti da lui stesso nel libro L’Italia all’Onu 1993-1999, pubblicato da Rubbettino, e di cui Giorgio Marrapodi ha donato una copia alla Biblioteca del Dipartimento dell’Università Mediterranea. Per lui naturalmente standing ovation da parte degli studenti presenti. (pn)

Addio a Renzo Alzetta, tra i pionieri del Dipartimento di Fisica dell’Unical

di FRANCO BARTUCCIEra una figura molto riservata nell’esercizio della sua funzione professionale e sociale all’interno dell’Università della Calabria e con altrettanta riservatezza ha lasciato un mese fa questo mondo. Stiamo parlando del prof. Renzo Alzetta, originario di Trieste, docente di fisica teorica presso il dipartimento di fisica fin dagli albori della sua costituzione, a partire dal primo anno accademico 1972/1973, arrivando pure  in momenti difficili ad assumerne la responsabilità della direzione.

«Con Renzo Alzetta – ha scritto l’attuale direttore del Dipartimento di Fisica, prof. Riccardo Barberi – ci lascia uno dei pionieri del Dipartimento di Fisica e del nostro Ateneo, arrivato in Calabria agli inizi della grande avventura, che ha prodotto in 50 anni gli incredibili risultati sotto gli occhi di tutti. A questi risultati Renzo ha dato un grande contributo, formando fino al 2005, con le sue lezioni, diverse generazioni di fisici, molti dei quali sono oggi in servizio non solo nell’Università della Calabria, ma anche diffusi nel mondo internazionale della ricerca».

Persona di grande cultura a 360 gradi, cosa che gli permetteva di interagire in maniera efficace con tutti gli studiosi di varia formazione giunti in Calabria all’inizio delle attività dell’Università, uomo di grande generosità, che lo ha sempre spinto a mettersi a disposizione dei nuovi arrivati per favorirne l’inserimento nella comunità accademica calabrese. I più anziani ricordano ancora gli stivaloni con i quali si spostava nel campus quando, appena costruito il polifunzionale, bisognava affrontare il fango dei campi per raggiungere le aule.

In una situazione di crisi del dipartimento di Fisica ha dato, in spirito di servizio, la sua disponibilità a fare il direttore del dipartimento. Per tutto questo e molto altro i membri del dipartimento di Fisica lo ringraziano e ne ricordano la memoria”.

A tale ricordo si è pure accodato il prof. Piero Gagliardo, più volte direttore del Dipartimento di Ecologia, legato da una profonda amicizia e collaborazione in un’azione di volontariato educativo e formativo nel fare Scuola di Comunità. 

“«Quante occasioni – dice il prof. Gagliardo nel suo ricordo – passate insieme a raccontarci la vita, a parlare dei figli, delle mogli, dell’Unical, del tuo deciso attaccamento alla fede cristiana. Sì, perché negli ultimi anni ci trovavamo, insieme ad altri amici, a fare Scuola di Comunità, a leggere ed a commentare i testi di Don Giussani e di Don Carron. Come sono importanti per me e per te, anche ora, che sei vivo altrove, dove tutto diventa chiaro e il significato di una vita intera assumerà forma e concretezza in modo così leggero più di quanto la mia mente riesca ad immaginare ora».

«Sento la commozione del non esserti più vicino, ma da qualche mese ti eri dovuto trasferire altrove per le cure necessarie. Di te non mi dimentico, non dimentico il tuo sorriso quando ci si salutava, o il tuo sguardo quando cominciavi a porre sul tavolo una questione da discutere».

«Il mio cuore e il mio spirito non ti smarriscono nel nulla. È solo la mia memoria fisica che si perde con il passare degli anni. E quindi, in qualche modo continuiamo ad essere, tu di là, io ancora un po’ di qua. Certo, non ti serviranno più, ma il tuo cappellaccio e gli stivaloni, come dice Riccardo, portali ancora con te, insieme al sorriso dei tuoi allievi e dei tuoi amici».

La scomparsa del prof. Renzo Alzetta ha pure spinto il prof. Giancarlo Susinno, già Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, a lasciare una sua testimonianza di grande stima ed affetto.

«Era molto tempo – ha scritto il prof. Susinno – che ci eravamo persi di vista e non avevamo notizie l’uno dell’altro, ma costante è rimasta in me la stima per la sua figura di uomo e di scienziato. Ammiravo il suo impegno di fisico teorico e consideravo formative e stimolanti le discussioni sulle sue originali idee teoriche, da lui condivise e costruite in collaborazione con grandi colleghi teorici. Amava e sapeva far amare la fisica ai suoi studenti, da tutti seguito ed apprezzato. Tanto ha dato alla nostra Università ed in particolare al dipartimento di Fisica, essendo stato tra i primi suoi realizzatori. È stato un grande amico, di quelli che, se anche non frequenti tutti i giorni, non dimentichi neanche per un giorno».

In morte di Renzo Alzetta, filosofo della Natura, così ha intitolato il suo ricordo personale, di un’amicizia lunga, durata oltre cinquant’anni, il prof. Franco Piperno, suo collega presso il dipartimento di Fisica  dell’Università della Calabria. È un ricordo testimonianza che si riporta integralmente a seguire in quanto non è altro che uno spaccato della vita e della storia della nostra Università nei suoi primi anni di partenza facendoci vivere anche un periodo molto brutto legato all’accusa di presenze terroristiche al suo interno ch’ebbero nel blitz degli uomini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nella nottata del 28 giugno 1979, i momenti più brutti e pesanti per effetto di una immagine positiva dell’Ateneo che andava a sbiadire in campo nazionale, creando non pochi problemi all’equilibrio sociale e culturale interno.

Un ricordo e una fotografia dell’Ateneo di Arcavacata e non solo che può interessare i primi novemila studenti passati dal campus universitario negli anni settanta e i primi degli anni ottanta, dando loro consapevolezza e memoria dei loro studi e rapporti sociali vissuti in quegli anni nelle strutture residenziali e dell’edificio polifunzionale con le sue prime baracche provvisorie. Basta leggere il testo ed ogni cosa acquisisce memoria ed immagine visiva. 

«Un mese fa, era metà di novembre, giorno più giorno meno, un po’ prima dell’alba – così esordisce il prof. Franco Piperno nel suo ricordo dell’amico e collega Renzo Alzetti – la campana ha suonato per il più caro tra i nostri fratelli fisici: un suono breve e discreto, e Renzo moriva, sereno nel sonno. Per la verità, il Nostro era un fisico nel significato inattuale, premoderno del termine, cioè un filosofo della natura. In una epoca nella quale le università, come i centri di ricerca, sono affollati da specialisti di scienze peregrine; dove la divisione del lavoro ha rotto definitivamente l’unità e l’autonomia della conoscenza, finendo con l’assumere, fuori tempo massimo, la forma della fabbrica fordista. Infatti, la tecno-scienza assegna alla scienza un ruolo servile, un mero mezzo per moltiplicare a dismisura i dispositivi tecnici secondo le scelte del complesso militare-industriale, che abbisogna  non di lavoro cognitivo ma  di Fach-Idiot, idioti specializzati che sanno tutto su  niente».

«In una epoca così fatta, da rasentare l’incubo, inciampare in un vero fisico, in Renzo Alzetta, è un evento certo possibile ma improbabile. Io l’ho conosciuto nella seconda metà degli anni ’60 del secolo appena trascorso, alla Scuola Internazionale di Fisica di Trieste, diretta allora dal fisico pachistano Salem, Nobel per la fisica. Renzo teneva,in quella  melanconica città di confine, un corso di fisica delle alte energie; ed io ero stato spedito lì da Frascati, in quanto borsista CNEN, per completare il perfezionamento – come usava dirsi – nella fisica della fusione nucleare».

«Ci riconoscemmo subito, quasi fossimo amici ancor prima d’incontrarci; così, terminati gli impegni triestini, andammo entrambi ad insegnare fisica generale al Politecnico di Milano. Erano gli anni del movimento dei giovani operai e studenti; e noi due ne facevamo parte; cercando di preservare quanto di culturalmente creativo si era depositato in quelle lotte e di arginarne gli aspetti settari e puramente ideologici».

Tuttavia Renzo non si trovava a suo agio al Politecnico, mal sopportava la mentalità ingegneristica che scoraggiava la critica dei saperi. Ecco allora che, dopo  un triennio di insegnamento a Milano, venne  a sapere dell’ apertura di una nuova università pubblica in Calabria, l’Unical, con sede ad Arcavacata, un rione di Rende dove da secoli si svolgeva una antica fiera equina.

«Il comitato organizzatore dell’Unical era presieduto dal prof. Beniamino Andreatta; e questa circostanza sembrava garantire di per sé che non si trattava di un ennesimo insediamento accademico ma piuttosto di esperimento non banale di innovazione tanto delle strutture didattiche quanto di quelle di ricerca. Così, Renzo decise di abbandonare Milano e trasferirsi a Cosenza».

«La scelta di andare a vivere e lavorare nel Mezzogiorno, comportava l’affievolimento della nostra amicizia non più alimentata dalla presenza; inoltre, ogni volta che mi capitava di pensare a Renzo, avvertivo un certo disagio, modesto ma inequivocabile, come davanti un evento sgradevole e imprevedibile – e questo con ragione perché io calabrese ero letteralmente fuggito dal Sud, da quella aura inerte dove sembrava che non potesse accadere più nulla; avevo studiato a Pisa e poi a  Roma, e trovato una occupazione definitiva nel Settentrione – mentre Renzo aveva percorso quel cammino all’inverso».

«Poi, quando il Nostro era ormai da oltre tre anni all’Unical, in occasione del Capodanno del 1975, mi capitò di far visita ai parenti, a Catanzaro, mia città natale; e in quella occasione decisi di rivedere  Renzo che abitava nel campus universitario Unical di Rende, vicino Cosenza, a poche decine di chilometri da Catanzaro. Non ero mai stato a Rende e per la verità neanche a Cosenza. Renzo mi condusse nella città vecchia o, per meglio dire, antica».

«Una ragnatela di vicoli stretti per costringere gli eventuali invasori, prima barbari poi saraceni, a muoversi in fila indiana pochi per volta; i cerchi ancora visibili nelle midolla dei secolari ulivi abbattuti; gli edifici diroccati, le mura sbrecciate; qualche rospo uscito dalle fogne. Dopo questo atto di registrazione del luogo e sottomissione ad esso, il mio amico mi condusse  nel campus universitario, dove avevano sede le attività didattiche e i dipartimenti – questi ultimi introdotti per la prima volta nell’ordinamento accademico italiano – ospitati per lo più in baracche di legno e in prefabbricati.
Il tutto si estendeva per un intervallo temporale di oltre duemila anni».

«Renzo sembrava muoversi in un paesaggio a lui familiare: calabrese per scelta, aveva trasformato la sorte in destino. Per parte mia, rimasi  affascinato dalla vitalità di quelle rovine che pure sembravano custodire nel proprio seno una sorta di magia,quasi una  promessa di “vita nova” . È comunque, fin da subito più modestamente mi permettevano di rappacificarmi con il “Genius Loci” della mia adolescenza. Così nel gennaio di quello stesso anno chiesi e ottenni il trasferimento dal Politecnico di Milano all’Unical di Arcavacata; ricongiungendomi in questo modo al mio amico.
Renzo continuava ad Arcavacata le sue ricerche in fisica delle alte energie; e collaborava in questo campo con il prof. Preparata e il suo gruppo, tutti noti a livello internazionale per quel loro  proporre paradigmi, dirò così audaci, ai problemi irrisolti della fisica quantistica».

Il Nostro per altro non aveva mai ridimensionato il suo interesse rivolto a quel campo d’indagine, di grande portata per il senso comune, al quale dava il nome di “epistemologia” – mentre io mi ostinavo, e ancor mi ostino, a chiamare ” filosofia della natura”. Così Renzo e io, del Dipartimento di fisica, negli anni tra il ’75 e il ’79, organizzammo insieme a Mario Alcaro, del Dipartimento di filosofia, una ventina di seminari su alcune parole-chiave, parole  che strutturano, per lo più inconsapevolmente, la mentalità contemporanea».

In particolare, per il Convegno Internazionale sulla Funzione Sociale delle Scienze della Natura – convegno che si tenne all’Unical nel settembre del 1977(anno mirabile quanti altri mai)– al quale presero parte tra gli altri Sohn-Rethel, Levi-Leblond, Alquati, Fabbri, Cini; per quel convegno, il Nostro mise su un dibattito dal titolo: “Evoluzione della specie, morte dell’individuo e secondo principio della termodinamica».

Per inciso, i materiali di quel dibattito, vale a dire la relazione di Renzo, gli interventi e le domande dei partecipanti nonché le conclusioni; tutto questo, considerato a mo’ di prova penalmente rilevante, venne sequestrato qualche mese dopo dalla polizia politica (in occasione del blitz degli uomini del generale Dalla Chiesa nel campus universitario), grazie alle leggi liberticide varate in quegli anni dai governi dell’arco costituzionale.

Quella documentazione non venne mai più restituita né all’Università, né agli organizzatori, né agli intervenuti; e io, per ricostruire quell’evento, mi sono avvalso dei miei appunti, così come delle conversazioni frequenti su quegli argomenti con Renzo.

La discussione, in quel l’autunno del ’77, si era aperta sull’interrogazione: perché noi invecchiamo per poi morire? Di primo acchito la risposta sembra ovvia: tutto attorno a noi si deteriora:l’auto accusa l’età, i muri di casa presentano evidenti fratture, le strade si riempiono di buche e così via.

Ogni cosa è soggetta ad una sorta di ultima degradazione dell’ordine imposta dalla Termodinamica – degradazione che il senso comune constata facilmente, a livello macroscopico, senza ricorrere all’aiuto costosa degli specialisti – i cosiddetti scienziati –che usano un linguaggio cifrato e si servono di  costose apparecchiature. Questa degradazione si risolve in un aumento spontaneo del disordine; e giammai in una diminuzione spontanea di esso.

Non c’è quindi nessuna ragione per ritenere che l’individuo possa essere esentato dalla morte. E tuttavia la specie umana ne è preservata. La nostra specie, infatti, si alimenta dell’ordine generato dalla fotosintesi ed evolve verso stati di maggiore ordine.

Ma perché allora l’individuo non può usufruire di questo bengodi miracoloso nel quale è immersa la specie? L’individuo, salvo incidenti ambientali fatali, tutto sommato piuttosto rari, ha una collocazione fortunata in natura: si nutre dell’ordine fabbricato gratuitamente dai vegetali.

Attraverso la fotosintesi, la pianta forma la molecola di glucosio; questa viene mangiata dal vitello che usa l’ordine del glucosio per formare una molecola  proteica. L’animale uomo mangia la carne del vitello; e usa l’ordine impresso alla proteina per formare una altra molecola proteica tutta sua. Lo scarto viene espulso dal nostro corpo in uno stato di  disordine.

La domanda pertinente è: perché non è possibile consumare tutto l’ordine ambientale necessario per mantenere l’ordine del nostro corpo, cioè  per prolungare la nostra vita indefinitamente? Infatti, non v’è prescrizione alcuna nel secondo principio della termodinamica che richieda la morte dell’individuo. Detto in altri termini, nella morte dell’individuo v’è la sopravvivenza della specie. La morte infatti è vitale per l’evoluzione della specie – talmente vitale che possiamo affermare ogni morte essere l’occasione per una inedita forma di vita.

Una volta che l’individuo si è riprodotto un certo numero di volte, producendo una progenie che può essere a lui o a lei superiore, una volta che questo è accaduto la specie trarrà un maggior vantaggio dalla procreazione di questa progenie superiore piuttosto che dall’ulteriore procreazione del parente inferiore – sicché il parente deve morire.
Val la pena sottolineare che qui è messa al lavoro il ” principio dell’evoluzione” e non il “secondo principio della termodinamica”.

I processi adattavi-evolutivi hanno determinato una durata temporalmente finita della vita, allo stesso modo di come hanno assicurato l’evoluzione dell’occhio, o del fegato o dei testicoli, insomma di tutti gli elementi del nostro corpo che concorrono all’adattamento della specie.

Vi sarà pure una ragione se, lungo milioni e milioni di anni, la pressione evolutiva onnipossente non ha trovato un rimedio alla morte dell’individuo – infatti, la salvezza dell’individuo sarebbe stata fatale per la specie.

Questa, a grandi linee, la relazione di Renzo al seminario sulla morte  tenuto nel settembre del ’77 al Dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, in occasione del Convegno Internazionale sulla funzione sociale della scienza della natura.

«La morte – ha concluso il prof. Franco Piperno –  non ha ghermito Renzo, si è annunciata da lontano – e come scrive il poeta, l’ha preso da amica, come l’estrema delle sue abitudini».

Il prof. Franco Piperno nel ricordare il prof. Renzo Alzetta, fatto straordinario, ha portato alla luce con il suo racconto una vicenda, come il sequestro del libro Evoluzione della specie, morte dell’individuo e secondo principio della termodinamica, spesso oggetto di citazioni in occasione di grandi eventi culturali e storici, da parte dei Rettori Pietro Bucci e Giuseppe Frega, promossi dalla stessa università ,senza entrare nei contenuti, che in questo momento, invece, sono stati portati a conoscenza della collettività.

Ciò ci colpisce in quanto l’intero servizio giornalistico di informazione e comunicazione scritto per ricordare la figura del prof. Renzo Alzetta ci fa acquisire una certa consapevolezza che sfocia nella dimensione profondamente umana dei rapporti tra esseri umani, che contestualmente finisce per dare alla stessa Università il senso umano di una convivenza sociale e civile molto alta da tutelare e promuovere nel tempo.

Sentimenti e valori tutti da condividere con i figli: Sara, Matteo e Francesco, che certamente condivideranno ed apprezzeranno questo ricordo scritto con il cuore in omaggio del loro genitore. (fb)

Addio al senatore Renato Turano, la “Calabria” in Illinois

di PINO NANO – Domenica scorsa è morto a Chicago il senatore Renato Turano. Gli amici lo chiamavano Rano, ma il suo vero nome era Renato. Renato Guerino Turano (il primo a destra nella foto), figlio di calabresi, calabrese egli stesso. Era nato a Castrolibero, in provincia di Cosenza, il 2 ottobre del 1942.

La sua storia personale è anche la storia pubblica della comunità calabrese che vive a Chicago, ma è forse ancora di più la storia di una dinastia che qui a Chicago ha imposto il suo nome e le sue “regole” alla grande economia americana. Laurea in Economia con il massimo dei voti, e un master in Business Administration all’Università di Chicago, ma anche un Dottorato Honoris Causa all’Università del Wisconsin-Parkside.

I Turano sono originari di Castrolibero, un paesino in provincia di Cosenza. Il padre e lo zio di Renato erano dei poveri contadini. Lavoravano la terra, e guadagnavano quel poco che bastava per andare avanti. Era molto poco, per la verità. Erano gli anni in cui l’America era il sogno di intere generazioni. Un giorno, era il 1950, i due fratelli Renato e Toni Turano decidono di lasciare la Calabria e si trasferiscono a Chicago. Sono i primi anni 50, gli anni del boom economico, gli anni in cui nasce nei fatti l’economia americana, anni indimenticabili per migliaia di italiani emigrati. A Chicago i due fratelli cambiano mestiere, incominciano a vendere il pane che altri calabresi facevano in casa. Da qui il loro grande successo. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno.

Il primo piccolo forno di proprietà dei Turano diventa il “cuore” della Calabria che vive a Chicago, arrivano i primi apprendisti, le prime farine, i primi distributori, i primi acquirenti, poi la grande catena commerciale. Venti anni più tardi il nome dei Turano era diventato per tutta Chicago il simbolo del pane. Oggi la «Turanos-S.p.A.» produce il 70% del pane che viene normalmente distribuito in Illinois, è una delle industrie americane leader del settore, dà lavoro diretto ed indotto ad almeno 500 persone, e Rano Turano, lo era ormai per antonomasia, diventa il «re» assoluto e riconosciuto dell’azienda che la Mac Donald sceglie per i propri panini. Il grande sogno americano si compie.

Dell’Azienda, ufficialmente Renato ne era Presidente, ma nei fatti era l’uomo­immagine. Era colui che aveva il compito, non facile, di pensare al futuro della stessa, di rappresentarla nei consessi e nelle fiere internazionali, di raccontarla agli studenti universitari dei Campus più prestigiosi degli States. Renato era il solo proconsole riconosciuto di questa impresa dove i Turano lavoravano, e lavorano dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno, giorno e notte, tutti insieme, come se fosse ancora il loro vecchio piccolo forno di famiglia.

Figli, nipoti, pronipoti, una catena di montaggio fatta di sentimenti e di tradizioni di famiglia, per lunghi anni sotto lo sguardo vigile del vecchio zio ammalato di cuore ma incurante delle prescrizioni del suo medico, e sotto la protezione della vecchia mamma, che lavorava per loro, e con loro, come faceva ai vecchi tempi all’inizio di questa prima loro avventura americana. Esempio indescrivibile di modestia e di impegno, di amore per la propria famiglia e per il lavoro della propria stirpe, di attaccamento alle tradizioni e alle origini, di amore per l’Italia.

Onore e rispetto, amore e dedizione, patria e famiglia, casa e Italia, erano la stessa cosa per Renato e la sua dinastia. Visitare questa loro grande azienda era anche un ritrovare tra i grattacieli di Chicago una fetta importante di storia calabrese. Non a caso sarà ricordato come storico Presidente del “Columbiana Club of Chicago”, di “Calabresi in America Organization”, Presidente della Camera di Commercio Italo-Americana per il Midwest, e infine Presidente di “Casa Italia” e Chairman dell’azienda industriale Campagna-Turano Baking Co, e Chairman della American Bakers Association.

Molti erano messicani quelli che all’inizio lavoravano per i Turano, ma molti di più erano i calabresi, che dai Turano hanno ritrovato l’amore per un lavoro che in Italia non c’era e che in America che ha ridato ad ognuno di loro prestigio sociale sicurezza economica speranza di rinascita e soprattutto dignità e serenità familiare.

Il segreto dei Turano e del loro successo – si racconta all’Ambasciata d’Italia- è stata la capacità che i Turano hanno avuto tutti insieme di pensare e di lavorare al futuro esclusivo dell’azienda. 

Quando lo incontrai per la prima volta in Illinois, Renato Turano non faceva altro che ripetermi e senza mezzi termini: “Il nostro obiettivo è di diventare la prima industria del pane di Chicago. Tra poco sistemeremo i nostri nuovi macchinari, vogliamo dimostrare ai nostri più diretti concorrenti che i Turano sono davvero i migliori pastai dell’Illinois. Ma prima o poi conquisteremo anche altri Stati, vedrai”. 

Aveva ragione lui, aveva visto lontano. Oggi Renato lascia ai suoi eredi e alla storia d’Italia in America una dinastia che è una delle dinastie industriali più importanti di Chicago. Storia di post-emigrazione anche la loro, ma come tante altre, storia di riscatto sociale e di affermazione personale. In tutti questi anni in America, dopo il mio primo incontro con Renato Turano e la sua bellissima famiglia, ho avuto il privilegio di vedere con quale cordialità e quale rispetto istituzionale “Mister Turano” veniva accolto dal console generale d’Italia a Chicago, o dal sindaco della città, o dallo stesso cardinale. Dettagli, particolari, tasselli di un mosaico che a volte rischiano di non essere colti per intero, o peggio ancora sottovalutati, ma che fanno di una famiglia come questa un mito ed una leggenda insieme.

Dietro la storia della “Turano-S.p.A.” a Chicago si muove parallelamente la storia della grande comunità dei calabresi che vivono in Illinois. È una comunità che per anni è stata un insieme variegato di mestiere e professioni, operai, commercianti, artigiani, professionisti, piccoli industriali, e che Rano Turano, nella sua veste, per lunghi anni, di Consultore dei Calabresi nell’Illinois, rappresentava idealmente tutti. 

Per un momento, ricordo, in uno dei primi nostri incontri all’interno della sua industria, ho immaginato che quest’uomo avesse fatto in America i miliardi, parliamo naturalmente di milioni di dollari USA, e che forse aveva deciso ora di godersi la vita. Nulla di tutto questo. Ogni volta che sono tornato poi a Chicago a trovarlo lo ritrovavo dove lo aveva lasciato la volta precedente, in azienda, dalla mattina alla sera, un uomo capace di lavorare almeno quattordici ore al giorno di filato, e l’unica cosa che nella sua vita davvero sembrava non contare nulla era il dio-denaro. “Il denaro? Credimi- mi spiegava- serve molto poco. È utile solo per nuovi investimenti, per far crescere l’azienda, per migliore la qualità del prodotto, per garantire gli straordinari ai tuoi operai. Serve solo se lo usi in questa direzione, altrimenti non serve proprio a nulla”. Ma la sua vera grande “ossessione” era la Calabria e la sua casa di campagna a Fontanesi, su a Castrolibero, alle porte di Cosenza.

“La Calabria? È sempre nel mio cuore. Ma come potrebbe non esserlo? È la terra che ci ha generato. È la terra a cui sono legati i nostri ricordi più belli. È la terra di mio padre e dove mio padre sognava di tornare una volta per sempre. Oggi lui non è più con noi, è morto per un enfisema polmonare, ma al suo posto c’è sempre un fiore fresco, appena raccolto, che odora di emozioni e di ricordi calabresi. Prima di morire, mio padre mi prese per mano e mi disse “Rano non dimenticarti mai di salutami la mia terra”. Da quel giorno il mio rapporto con la Calabria è diventato ancora più vero ed ancora più intimo”-

La sua fama di “italiano eccellente” ad un certo punto è così plateale e così pubblica da portarlo in politica. Aveva provato in tutti i modi di evitare che lo candidassero ma i vertici dell’Ulivo, che era poi la vecchia DC di una volta trasformatasi nel nome e nel simbolo, riuscirono a convincerlo. Renato venne così candidato nella circoscrizione America Settentrionale e Centrale (che vuol dire Canada, Stati Uniti, Messico, America Centrale e i Caraibi) e il 21 aprile del 2006 viene eletto Senatore della Repubblica Italiana. Si trasferisce a Roma e continua a guidare le sorti dell’azienda per telefono, ma a Roma fa di tutto per adempiere in pieno anche ai suoi nuovi doveri istituzionali. Membro della 4ª Commissione permanente Difesa dal 29 maggio 2007 al 13 giugno 2007,in sostituzione del Vice ministro Franco DANIELI fino al 13 giugno 2007; Membro della 6ª Commissione permanente Finanze e tesoro dal 6 giugno 2006 al 28 aprile 2008: Membro della 9ª Commissione permanente Agricoltura e produzione agroalimentare dal 13 giugno 2007 al 28 aprile 2008; Membro della Commissione parlamentare per l’infanzia dal 12 ottobre 2006 al 28 aprile 2008; Membro del Comitato per le questioni degli italiani all’estero dal 15 giugno 2007 al 28 aprile 2008. “Con lui – dice oggi l’ex Presidente della Camera Pierferdinando Casini- se ne va una persona perbene”. (pn)

Commosso, il ricordo di Giuseppe De Bartolo, già presidente della Facoltà di Economia dell’Università della Calabria: Mi piace ricordare che negli anni ’60, durante una mia breve ma intensa esperienza migratoria andavo proprio alla loro bakery, situata all’epoca a Berwyin, piccolo sobborgo di Chicago, a comprare l’ottimo pane di Turano, molto simile a quello calabrese. Oggi la Turano Bakery è una realtà imprenditoriale di grande successo nel Midwest. Renato Turano, com’è noto, aveva mantenuto stretti legami con la sua terra e a lui deve molto l’Università della Calabria».

«Infatti, attraverso le borse di studio elargite dalla Fondazione – ha proseguito – intitolata al padre Mariano, era riuscito insieme con i suoi fratelli a far realizzare a molti laureati della Facoltà di Economia, anche durante la mia presidenza, esperienze formative irripetibili presso realtà accademiche e imprenditoriali di Chicago. È stato un grande calabrese e sono sicuro che la sua terra lo ricorderà degnamente. Invio alla sua famiglia le più sentite condoglianze».

Franco Bartucci, nel suo ricordo, ha scritto come «la scomparsa del senatore Renato Turano segna il tempo  di venticinque anni di un meraviglioso rapporto instauratosi con l’Università della Calabria, ed in particolare con la Facoltà di Economia, tramite un braccio operativo individuato nell’Associazione “Mariano Turano”, da lui istituita con le funzioni di gestire delle borse di studio riservate a giovani laureati di economia dell’Ateneo di Arcavacata per far vivere loro una esperienza di conoscenza e lavoro nel mondo delle piccole imprese affiliate alla Camera di Commercio italiana di Chicago».

«Fino agli ultimi attimi della sua vita – scrive Bartucci – ha lavorato nel nutrire un grande amore per la sua famiglia e la sua terra di origine e per quanto ha seminato a livello culturale e sociale con l’accordo con l’Università della Calabria e i giovani arricchiti dell’esperienza delle borse di studio finalizzate a dare loro conoscenza in materia d’imprenditoria».

«Ha tenuto che la nipote Maria Turano – ha scritto ancora – in un momento di grande difficoltà a causa della pandemia, lasciasse la Calabria, per raggiungerlo e raccogliere le sue ultime volontà per le sue funzioni di presidente dell’Associazione Mariano Turano. A questo punto è giusto che la dirigenza dell’ Università, che in quest’anno sta vivendo il suo Cinquantesimo anniversario della sua nascita, in accordo con la stessa Associazione, concordi  una manifestazione di commemorazione anche ai fini di una continuità del progetto Turano che tanto ha prodotto in questi ultimi venticinque anni a favore dei giovani laureati in Economia dell’Università della Calabria». (rrm)

Al prof. Arrigo Palumbo il Premio “Ernesto d’Ippolito” del Rotary Club Cosenza Nord

Prestigioso riconoscimento per Arrigo Palumbo, docente di bioingegneria elettronica all’Università di Catanzaro, che è stato insignito del Premio “Ernesto d’Ippolito” del Rotary Club Cosenza Nord per il progetto di ricerca scientifica di Medicina avanzata Il Futuro è SIMpLE, presentato in anteprima nazionale alla presenza delle autorità Rotariane e di rappresentanti istituzionali.

I lavori, tenutosi nella sala convegni dell’hotel Europa, sono stati aperti dal presidente Fedele Vivacqua. Nel suo intervento è stato evidenziato come Il Rotary sia da sempre impegnato ad individuare problemi nel sociale ed elaborare progetti atti a lenirne i disagi. Il Club Cosenza Nord ha per questo motivo attivato una apposita commissione per rintracciare le migliori menti calabresi operanti nel mondo al fine di creare una rete operativa basata sull’orgoglio e la dignità dell’appartenenza. La prolusione della serata è stata affidata a Piero Niccoli, Past District Governor, che ha ricordato la figura di Ernesto d’Ippolito.

L’ospite della serata, Arrigo Palumbo, ha illustrato l’impianto del suo progetto “Smart solutIons for health Monitoring and independent mobiLity for Elderly and disable people” che, finanziato dal MIUR, nasce dall’esigenza di garantire una migliore qualità della vita e promuovere una maggiore inclusione sociale di persone con disabilità grave, attraverso l’istituzione di sinergie derivanti dall’ingegneria e dalla medicina.

Sostanzialmente, grazie agli studi di Palumbo, una comune sedia a rotelle, equipaggiata con tecnologie innovative “pazientecentriche”, mediante una cuffia elettrencefalografica, prende vita dai pensieri di chi la utilizza.

Il sistema è un valido aiuto per le persone con disabilità sia agli arti inferiori che superiori e, in particolare, sarà rivolto a persone affette da malattie neurodegenerative e neuromuscolari, quali, Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), Atrofia Muscolare Spinale (SMA), Sclerosi Multipla (SM), Distrofie Muscolari, persone con Lesioni del Midollo Spinale (LM) causate, ad esempio, da traumi o incidenti e persone anziane con gravi menomazioni dell’apparato neuro-motorio.

Al partecipato incontro è intervenuto, anche, il sindaco di Cosenza, Franz Caruso che ha elogiato il Progetto SIMpLE e si è complimentato per il lavoro del Rotary Club Cosenza Nord, soprattutto per l’idea del Premio intitolato ad Ernesto d’Ippolito di cui, lui stesso, è stato allievo. 

Il momento di maggiore impatto emotivo è stato quello della consegna del premio Ernesto d’Ippolito da parte della signora Chiara d’Ippolito, alla presenza di Francesco Chiaia, vicepresidente del Rotary Club Cosenza Nord e allievo dell’illustre penalista.

Le parole conclusive dell’avvocato Chaia, sono state: “Il premio che stasera Arrigo riceve, costituisce una sublimazione del pensiero di Ernesto d’Ippolito nel rispetto del suo motto Oltre Io, l’Altro”.

«Ringrazio il Rotary – ha scritot su FB Palumbo – per l’opportunità e per il prestigioso riconoscimento! Il lavoro portato avanti fino ad ora è stato frutto di grande entusiasmo, ma sempre con l’umiltà necessaria per affrontare questo tipo di sfide e con il profondo rispetto di tutte quelle persone che affrontano tutti i giorni questa terribile malattia che è la SLA. Il progetto di ricerca formalmente volge purtroppo al termine, con la data del 24 Gennaio 2022, nonostante vi sia ancora ampio margine di budget da poter impiegare per ulteriori attività di sperimentazione». (rcs)

 

Premiato a Palermo il giovane ricercatore calabrese Luigi Bennardo con il Research Award

Premiato a Palermo nel corso della ventesima edizione del Congresso Internazionale di Dermatologia dell’Associazione dei Dermatologi della Magna Grecia (ADMG) e dell’Associazione Dermatologica Ionica (ADI) il giovane ricercatore calabrese Luigi Bennardo, allievo del prof. Steven Nisticò dell’Università Magna Graecia di Catanzaro.

Il Congresso, che si è svolto a Palermo, presso il prestigioso Astoria Palace Hotel, è stato organizzato con grande cura dal Presidente prof Steven Nisticò insieme ai dottori Santo Dattola e Fabio Zagni. Il programma scientifico comprendeva una selezione di argomenti proposti da relatori di alto livello italiani e stranieri. L’evento ha compreso alcune sessioni composte da Letture plenarie atte a stimolare la discussione su revisione e aggiornamenti in ambito dermatologico spaziando dalla dermatologia infiammatoria a quella oncologica, infettiva e tropicale, dermatologia pediatrica, immunologia, dermatologia ai tempi del COVID-19 e laserterapia.

Luigi Bennardo e Steven Nisticò
Luigi Bennardo con il prof. Steven Nisticò

Il programma del congresso prevedeva inoltre l’intervento anche dei giovani dermatologi, in particolare degli specializzandi dell’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro. Al termine del congresso l’azienda DEKA, che da anni si occupa della progettazione e produzione di sistemi laser medicali per la dermatologia, ha deciso di voler premiare e celebrare un giovane dermatologo il dott. Luigi Bennardo, specializzando della Scuola di Dermatologia e Venereologia dell’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro diretta dal professor Steven Paul Nisticò, come “best young scientist for innovation award 2021”.

Il dott. Luigi Bennardo si è distinto nel corso degli anni per la sua professionalità, per i suoi meriti accademici e per il suo impegno svolto nella comunità scientifica; è infatti autore di più di 50 articoli su riviste scientifiche internazionali di rilievo e collabora con impegno e dedizione a numerosi nuovi studi di ricerca. Il premio è stato consegnato dall’ing. Tiziano Zingoni direttore della ricerca e sviluppo del gruppo El.en di Firenze, leader mondiale di mercato nel settore tecnologico laser in ambito medicale. (rrm)

Alla farmacista calabrese Teresa Caporale il “Gran Premio delle Generazioni”

Prestigioso riconoscimento per la farmacista di Santa Caterina dello Ionio, Teresa Caporale, che ha ricevuto il Gran Premio delle Generazioni, conferito dall’Università delle Generazioni di Agnone del Molise.

La farmacista – che divide il premio con la signora Michela Ferri, proprietaria del bar del porto abbruzzese di Vasto – è stata premiata «per essere punto di riferimento, assai amorevole, delle quattro generazioni familiari, per curare i propri anziani genitori mantendoli nel loro domicilio e nel pieno degli affetti familiari quotidiani e generazionali; per praticare e diffondere i migliori valori etici della tradizione familiare e locale».

E ancora, «per fare della propria Farmacia un sicuro e fidato punto di riferimento umano e sociale per tutte le generazioni della comunità, al di là dei dovuti servizi professionali, già di per sé impegnativi, oltre che utili e spesso determinanti non solo per la salute umana; per essere sempre calma, dolce, sorridente, affettuosa e gentile con tutti fin dall’infanzia; per essere ecologista, adoperandosi per il decoro urbano e il riciclaggio dei rifiuti pure a scopo di beneficienza, per essere animalista cercando di attuare l’armonia francescava tra tutte le creature viventi e la natura». (rmm)