di PAOLO BOLANO – Ho seguito un dibattito alla regione Calabria sull’Autonomia Differenziata. I consiglieri del centro-sinistra contro quelli del centro-destra: è una legge liberticida, denunciano i consiglieri e se passerà, dividerà ancora di più l’Italia. Poi la stessa sinistra ha fatto atto di pentimento per aver approvato qualche anno fa la riforma del titolo quinto, mamma di tutti i mali odierni. Infine, la sinistra ha contestato al Presidente del Consiglio Occhiuto il voto a favore dell’autonomia, nell’incontro governo-regioni.
Intervenendo, il presidente Occhiuto, con furbizia politica, e grande capacità ha ribaltato la critica sostenendo che il suo compito è quello di fare gli interessi dei cittadini della regione e non dei partiti, compreso il suo. Quindi, continua a spiegare che in questa partita ha fatto gol. È riuscito a far modificare la legge sull’Autonomia Differenziata. Prima vanno realizzati i LEP (livelli essenziali di prestazione) e dopo si parlerà di autonomia. In soldoni significa che prima bisogna investire per colmare il divario Nord-Sud e poi si vedrà. Bel colpo presidente! E gli 80-100 miliardi che servono per attuare la legge dove si prendono? Chi paga per questo pegno? Il Nord? La vedo dura. Comunque il tema è scottante da qualunque lato lo si prenda. Nei prossimi mesi scenderanno in campo partiti e sindacati e tantissimi lavoratori che chiederanno conto finalmente del divario Nord-Sud.
Io vorrei entrare in questo ragionamento partendo dall’origine del divario. Dobbiamo chiarirci e poi continuare la partita col Nord, partita difficilissima. Ho letto molte chiacchiere su questo tema, non servono a nulla. Non serviranno a fare capire da dove veniamo e perchè siamo ancora qui, in mezzo al guado.
Secoli fa, l’unica ricchezza seria veniva dalla terra, il 90 per cento. Poi, le cose si modificarono leggermente. La rivoluzione francese e quella industriale inglese, due spinte rivoluzionarie, trasformarono la società in liberale-capitalistica. Il Regno di Sardegna col Piemonte di Cavour cominciava a confrontarsi con le maggiori potenze europee e faceva scelte giuste per lo sviluppo del territorio. Realizzarono una banca per dare crediti alle nascenti industrie, riformarono il codice sul modello francese, hanno ridotto i dazi, investito sulle infrastrutture come il canale Cavour, di Novara e Vercelli, ampliarono la rete ferroviaria, aprirono la galleria del Moncenisio che avvicinava l’Italia a Parigi. Per fare questo Cavour fece moltissimi debiti. Ergo. Serviva uno Stato più grande per spalmarli. Detto fatto. Mazzini, Crispi, Rosolino Pilo e lo stesso Cavour chiamarono Garibaldi, l’eroe dei due mondi. Il colonnello sbarca al Sud e per convincere i contadini che è giusto quello che hanno deciso in alto, gli promette la riforma agraria alle plebi contadine. Le terre demaniali divise tra i contadini poveri. A Bronte, poi, vediamo che le cose non andarono proprio cosi. Il comune recupera le terre demaniali e invece di darle ai contadini li consegna ai baroni. Ci fu una grande protesta domata, come sempre, al Sud, con le armi. Insomma, la riforma agraria fu impedita dai baroni e proprietari terrieri. È chiaro che i baroni per salvare le loro terre allora cambiarono anche casacca.
Poi, con l’Unità d’Italia le plebi contadini speravano nel miracolo. Non fu cosi. Come esempio voglio ricordare Mongiana, in Calabria. Prima dell’Unità d’Italia c’era una fabbrica siderurgica con 2500 operai, si producevano armi. Con l’Unità è stata trasferita a Terni. Proteste, saccheggi, incendi non hanno fermato il trasferimento. Molti operai disperati presero la via della montagna, ingrossando le file dei briganti, altri emigrarono all’estero. Di li a poco il brigantaggio si fece sentire.
Le baionette dei piemontesi sistemarono tutto, portarono , sostengono loro, la civiltà nel Mezzogiorno. Poverini! Vanno perdonati, non conoscono la storia. Non sanno che nella Magna Grecia, in questo territorio che loro hanno odiato e ancora odiano è nata la cultura: la filosofia, la medicina, la scultura la pittura il teatro e il bello che valicando i monti dei queste regioni ha raggiunto il mondo intero allora conosciuto.
Poveri mascalzoncelli, polentoni da due soldi. Hanno impiegato un esercito intero per uccidere contadini poveri che volevano uscire dal sottosviluppo, volevano pane e lavoro. Invece hanno ricevuto da questi piemontesi soltanto lutti e dolore.
Il Sud comunque esce sconfitto, ma i contadini-operai avevano mille ragioni per reagire ai soprusi e alle angherie. Vogliamo qui ricordare che in più di cento anni hanno lasciato il Mezzogiorno più di 20 milioni di cittadini, un milione sono calabresi.
Però si è cominciato a parlare di “questione meridionale”. Il primo a parlarne, dopo l’Unità, è stato il deputato radicale Billia.
In seguito, di questi ritardi rispetto al nord parlò Benedetto Croce. Li faceva risalire al Medio Evo. A causa di un clero avido e ignorante che aveva partorito un sanfedismo delle vandee rimaste isolate dall’autentica evangelizzazione cristiana, degradata poi dalle feste e credenze pagane. Il carattere elitario della cultura umanistica e l’arbitrio baronale fecero il resto. Inchiodarono al palo il Mezzogiorno d’Italia per altri secoli. Anche il grande meridionalista Giustino Fortunato intervenne più volte in Parlamento contro i polentoni che trascurarono sempre il Mezzogiorno. Anche oggi è cosi. Anzi, oggi che si sciacquano sul Po senza acqua sono diventati più cattivi. Vogliono l’Autonomia Differenziata per mantenere le distanze col Sud.
Chi più ha, più prende, poverini sono abituati cosi. Ci dispiace però che la politica calabrese e meridionale non intervenga per fermare l’emigrazione, l’oro del Sud che da più di un secolo tramutano in ricchezza per tutto il Nord. Siamo un Sud “palla al piede”, come dicono loro? Facciamogli leggere attentamente la storia. Il Sud ha subito quella maledetta storia di baroni e latifondi che lo hanno sempre danneggiato. Al Sud vive gente laboriosa, la responsabilità è di chi ha sempre sgovernato il Mezzogiorno, sin dall’Unità d’Italia.
“Ma che colpa abbiamo” noi recita la canzone. E intanto il divario aumenta. Ripetiamo. Vogliono l’Autonomia? Noi chiediamo il finanziamento immediato dei LEP. Solo cosi possiamo risolvere definitivamente il divario Nord-Sud.
Mattarella ricorda a tutti gli uomini di buona volontà che l’Italia deve restare unita, la Nazione non va ulteriormente divisa. Mi viene in mente un paragone che hanno fatto alcuni giornali nazionali qualche tempo fa. Hanno messo a confronto due città con gli stessi abitanti, una del nord e l’altra del sud: Reggio Emilia e Reggio Calabria. Reggio Emilia per l’istruzione spende all’anno 28 milioni di euro, Reggio Calabria ne spende 9 milioni. Reggio Emilia per la cultura spende 21 milioni, Reggio Calabria 8. Per le infrastrutture Reggio Emilia spende 54 milioni, Reggio Calabria 17. E poi, è possibile nel terzo millennio che la citta del Nord ha disponibili per i bambini, sentite e tremate, 60 asili nido, pagati dallo Stato e noi terun appena 3 asili? È una vergogna colossale. Dov’è la politica, dove sono i politicanti?
In questi anni il Nord ha ricevuto a causa del divario 60 miliardi di più del Mezzogiorno. Allerta amici che leggete questi dati. È l’ora del risveglio. Sproniamo la politica e i partiti che sono partiti , ma che debbono tornare. Il Sud ha bisogno di una nuova classe politica, di più democrazia. Si sostiene da più parti che con il PNRR il Mezzogiorno sboccerà. Ce lo auguriamo tutti. Servono però gli attori sul palco che sono mancati in questi anni, i politici, i partiti. Popolo del Sud, salite voi intanto sul palcoscenico. Recitate i bisogni, incalzate la politica e svegliate i governanti che stanno li tranquilli spesso a riscaldare le sedie negli enti locali, mentre i cittadini soffrono per le tante mancanze.
Siamo circa 25 milioni di cittadini nel Mezzogiorno che cerchiamo giustizia sociale, dignità umana e uguaglianza. Diciamo basta all’emigrazione, anche giovanile, basta! I nostri paesi sono ormai spopolati, nei nostri borghi vivono ormai vecchi e bambini. Servono risorse, investimenti e uomini capaci di rilanciare il nostro mezzogiorno. Ecco perché vanno finanziati i LEP (livelli essenziali di prestazioni). Vogliamo riprendere il cammino. Vogliamo raggiungere l’Europa, ma al tempo stesso non perdere di vista l’Africa, il nostro futuro. Serve un’operazione verità per il Mezzogiorno.
Intanto, chiedo ad alta voce e in modo democratico un sussulto dei partiti regionali: cosa hanno fatto le amministrazioni regionali, la Regione Calabria, in cinquant’anni di vita? Dov’è la crescita del territorio e dei cittadini? Si, è vero, c’è: nell’emigrare. È incredibile! Con L’autonomia le venti regioni diventeranno piccoli staterelli. Anche adesso spendono e “spandono”. Pensate, già oggi hanno gli uffici di rappresentanza a Bruxelles, buttano i soldi. Sono lì e non riescono trattenere il denaro che non spendono. Le altre nazioni ringraziano.
Non riusciamo a fare progetti a spendere, a realizzare le opere. Dobbiamo mettere il motore all’economia calabrese. Dobbiamo fermare i nostri giovani diplomati e laureati che vanno via.
Servono al sud 3 milioni di posti di lavoro, in Calabria almeno centomila. Bisogna rivitalizzare le aree interne cominciando dalla digitalizzazione che manca. Continuare a produrre cibo di qualità, puntare sull’agro-alimentare. Rilanciare il turismo, la cultura, finanziare le piccole iniziative, favorire gli investimenti privati.
La pandemia ha visto spesso il ritorno alla terra: assegnare gli incentivi giusti per fare innamorare i giovani della terra. Noi abbiamo il sole tutto l’anno, abbiamo ancora l’acqua, ce la possiamo fare ancora a raggiungere l’Europa.
Molti sostengono che siamo seduti su un vulcano e che l’Autonomia Differenziata se passa sarà ancora un provvedimento spaccaItalia. Non credo. I calabresi sono uniti sanno reagire. (pab)