Un anno fa ci lasciava Otello Profazio. Il ricordo di Bolano, Montemurro e Cimino

di PAOLO BOLANO – Oggi cade l’anniversario della morte di Otello Profazio. Un personaggio scomodo e ingombrante per la politichetta locale che spesso ha frenato la sua voce. Alla sua morte si è tenuta lontano, assenza totale. Profazio, anarchico-socialista, premio Tenco, meridionalista, il Gaetano Salvemini della Calabria, sconosciuto da una amministrazione di centro sinistra reggina. Ripeto. Alla sua morte nessuno di questi amministratori si è presentato in chiesa per onorarlo. Noi continuiamo a farlo.

Otello Profazio, il cantore degli ultimi. Dopo anni e anni di ricerche è riuscito a portare la cultura dei cafoni meridionali nella cultura euro-americana. A questo punto la domanda viene spontanea: chi era Profazio temuto dalla politichetta locale? Era una voce di protesta che indicava con forza a “lor signori” la strada per accorciare le distanze col nord. Cantava la cultura dei subalterni con frecciate velenose verso la politica incapace di costruire una nuova Calabria, un nuovo Mezzogiorno.

Profazio inizia le sue ricerche dopo la guerra in una regione ingombra di macerie, flagellata dalle alluvioni e dall’emigrazione biblica dove il tardo feudalesimo impediva ancora la realizzazione della tanto attesa riforma agraria. Ecco perché il “mastru cantaturi” si sforza a fare capire le tante rivoluzioni tradite al sud. Sulla scia di Giambattista Vico precursore della ricerca della poesia popolare, di Rousseau, Herder, intreccia il concetto di poesia popolare con quello nazionale.

È favorito anche da Italo Calvino che scrive Le Fiabe Italiane; da Letterio di Francia con Fiabe e Novelle calabresi. E’ una rivoluzione. La cultura dei cafoni salta sui libri oltre che musicata da Profazio.

Il nostro Otello attento alle cose italiane che interessano in particolare il Mezzogiorno, si accorge che a Sanremo, vetrina della canzone italiana, manca l’Italia vera, la Calabria, il Mezzogiorno. Manca Melissa dove durante l’occupazione delle terre la polizia di Scelba uccide tre braccianti. Manca Portella della Ginestra dove il brigante Giuliano durante la festa del Primo Maggio spara e uccide 11 contadini e ne ferisce 27. In questo contesto il grande intellettuale Profazio lavora e ricerca portando la cultura orale dei cafoni nella cultura ufficiale. Il calabrese studioso del mondo contadino traduce e trascrive la storia dei contadini e dei braccianti e va in giro per il mondo a trovare i nostri emigrati per alleviare le sofferenze cantando la loro storia. I suoi compagni di viaggio sono Matteo Salvatori, Rosa Balestrieri, Ignazio Buttitta col quale ha realizzato un importante programma radiofonico: Profazio canta Buttitta e l’Italia cantata dal sud.

Poi, Profazio, si misura con Roberto Murolo, Fausto Cigliano, Domenico Modugno ecc. Il grande artista calabrese fa satira con le sue ballate: Governo italiano e ironia con  Ca si campa d’aria. Poi il comunismo messianico di Buttitta viene corretto con l’umanesimo profaziano: “…compagno so che tu aspetti la vendetta con le braccia levate al cielo, ma io ti evo ricordare che l’odio è analfabeta e scrive pagine lorde di sangue…”. Quando poi la cultura degli esclusi del mondo popolare riesce a convivere con la società opulenta Profazio ci invita a considerare quest’altra ballata significativa: “…non pirchì su pecuraru ma su riccu di munita, ballati donna Tita”. Comunque vi dico che il dialetto lirico del grande amico mio Profazio, il suo canto, è oggi diventato lingua universale.

Per chiudere voglio ancora ricordare che Otello Profazio ha iniziato il suo cammino della ricerca al Teatro Comunale di Reggio Calabria intorno al 1955. Inizia meravigliando il grande conduttore Nunzio Filocamo (che lo aveva scoperot nel 1952 nella sua trasmissione Il microfono è vostro), cantando “U Ciucciu”,  durante una diretta radiofonica del programma Vicini e Lontani.

Il nostro Profazio poi lentamente diventa cantore dei poveri, degli ultimi. Poeta di strada , amato, ma anche invidiato per il suo talento. Sul brigante Musolino scrive tre ballate importantissime per il suo viaggio professionale. Dopo settanta anni di lavoro e di ricerche oggi è considerato l’intellettuale più illuminato e importante della Calabria. Ci conduce ad avere una visione globale della cultura dopo che quella dei cafoni ha superato i confini nazionali.

Adesso chiudo veramente. Ma non posso non parlarvi dei progetti che avevamo assieme a quelli del cardiologo Enzo Montemurro.

Primo. Con Otello eravamo d’accordo di iniziare una ricerca sul Kordax. Lui voleva approfondire meglio quella danza dionisiaca della Magna Grecia arrivata a noi col nome di tarantella. In illo tempore Aristofane chiudeva le sue commedia col Kordax. C’è rilevante unità tra passato classico e attività folclorica. Nella ceramiche greche vediamo le immagini dei danzatori di kordax. Una danza che vive la cultura classica e arriva quasi intatta dalla Magna Grecia. Speriamo che presto qualcuno investa nella cultura reggina della Magna Grecia per recuperare i ritardi.

Secondo. Profazio, Montemurro e il sottoscritto erano pronti a costituire la fondazione Profazio. Ogni volta che ci incontravamo Otello mi sgridava che rallentavo il progetto. Invece non era così. Volevo coinvolgere l’Amministrazione comunale di Reggio. Avevo difficoltà. Non riuscivo a trovare interlocutori. Poi è arrivata la morte che ha cancellato tutto. Durante il funerale, una delle figlie da me “intervistata” ha risposto che il papà non voleva la Fondazione. Silenzio assoluto da parte mia. Ai posteri l’ardua sentenza. Otello, grande amico nostro. Riposa in pace. Che la terra ti sia lieve. (pab)


IL RICORDO DI FRANCO CIMINO

Ote’ e chi caspita, moristi e mancu nu dicusti! Addirittura, l’annu scorzu. E sti tempi. D’estata . Propriu comu ohia, vintitrí lugliu. Ci furu i funerali a la chiesa e Riggiu, ma on c’era nudru e penzamma c’on c’eri mancu tu! Mo’ chi passau n’annu e non ci fu mancu u lutto e l’anniversariu, tu on moristi ancora! Ca nui calabrisi simu bona genti (comu a chiami tu) , de perzuni toghi on ni scordamu. Si ci volumu bena, puru a ciangimu

E si ni ficia bena, a pregamu com’u santu all’artaru.

No, on moristi,

sinnó u sai quanti missi sti chiesi chiesi!

E quanti comizzi sti chiazzi chiazzi.

Previti e patruni,

sindaci e padrini,

masculi e fimmini

a mugghiara, tutti a parrara e tia.

Quantu fusti bellu e bonu, intelligenta e allitteratu, eleganta cu a parrata fina!

Calabrisa d’o Strittu allargatu finu a la Sila piccola e randa.

De sta Calabria,

comu dici tu,

terra ducia e amara.

Duva l’arberi, chi si moticanu a lu ventu, sonanu

E l’ondi d’o mara cantanu. Cantanu supra i lacrimi de mammi, i risati de picciulidri, u lamentu

de cu fatica a la iornata,

E supra u gridu disperatu e sta terra chi non lotta e non s’arrenda.

A nui n’abbasta

l’aria pe’canpare, ca rivoluzziona po’ aspettara, si puru idra s’incriscia ma vena.

On moristi Ote’.

E si ni scordamma e tia, fannillu sapira tu. Mandani na poesia, cantani na canzuna. 

(Franco Cimino nell’anniversario dimenticato della morte di un grande calabrese)

 


QUANTO CI MANCA OTELLO

di VINCENZO MONTEMURRO – Quando Otello Profazio iniziava la sua carriera artistica, il Festival di Sanremo contava appena tre anni di vita, i dischi erano in vinile e a 78 giri e la televisione non era ancora nata!

La Regina indiscussa della canzone Italiana era Adionilla Pizzi in arte “Nilla” che, imperversava tra le masse popolari con le sue più note canzoni: Grazie dei fior, Campanaro, Papaveri e Papere.

Nei salotti buoni e nei seminterrati si ascoltavano le radiocronache di Nicolò Carosio e i programmi musicali dell’orchestra di Cinico Angelini.

L’Italia vera però, appariva devastata, flagellata e piena di macerie della seconda guerra mondiale e impoverita da una biblica emigrazione soprattutto meridionale: sono gli anni in cui i braccianti e i contadini lottano contro la realtà feudale per l’occupazione delle terre, sfociate successivamente nei fatti di Portella delle Ginestre, Torre Melissa e dei profughi Giuliani con la annosa, e allora irrisolta, questione della Città di Trieste.

In quegli anni, Otello Profazio si avvicinava alla musica popolare arricchendola, attraverso un continuo contatto con il mondo della tradizione contadina, degli artigiani del paese e con la partecipazione a riti e festività popolari. Otello Profazio, dotato di una bellissima voce, limpida e versatile e da una non comune capacità artistica, inizia ad “aggiustare”, cioè, a strutturare organicamente frammenti sparsi di canzoni, versi e storie popolari.  Crea brani e canzoni ex-novo, nel rispetto della metrica, mescolando melodie e arrangiamenti, ma soprattutto salvando i contenuti senza alterarne l’originalità.

Sono gli anni in cui nel mondo discografico non esisteva la coscienza della musica popolare, come genere autonomo,  nemmeno la consapevolezza che, tale genere, potesse avere un proprio potenziale settore di mercato. Pochi erano coloro che, come Otello Profazio, attingevano sistematicamente al mondo della tradizione popolare, sostenuti in ciò, solo da una profonda sensibilità personale verso storie e vicende raccontate dal popolo e tramandate nel tempo.

Profazio, a tale scopo, mantiene rapporti stretti e costanti con il mondo della tradizione contadina, segue i cosiddetti “cafoni” in Italia e all’estero; ricerca, lavora, studia, aggiusta strofe, stornelli e frammenti di canzoni, entra, in altri termini, nel mondo dei cantastorie e ricercatori etnomusicali nazionali.

Tra la sua numerosa produzione artistica la canzone U ciucciu rappresenta uno dei suoi primi esempi di “aggiustamento” e ristrutturazione della canzone popolare. Tale brano, nato in controtendenza allo stile canoro dell’epoca, tendente ad  esaltare amori struggenti e melodie coinvolgenti, canta la storia di un uomo che rimpiange più della moglie, l’asino.

Con la canzone del Ciuccio, Profazio affonda, con mordente ironia, il bisturi in una realtà di miseria in cui, lo sfruttamento dell’animale rappresenta la speranza di riscatto economico e sociale delle famiglie povere.

Il tema della canzone del ciuccio lo troviamo anche in “Gente in Aspromonte” di Corrado Alvaro il quale, nel suo racconto, parla di un finale apocalittico a seguito dell’uccisione di una mula in cui erano riposte tutte le speranze di riscatto sociale ed economico di una famiglia povera.

La fisionomia artistica e umana di Profazio appare, sin dall’inizio, caratterizzata da un individualismo ostinato e appassionato che, gli ha consentito di attraversare mode e tendenze, mantenendo sempre una distanza critica nel tempo.

Profazio compie sforzi artistici notevoli per approdare nei circuiti televisivi nazionali, compete, con pari dignità, con i più importanti “Chonsonnier” dell’epoca: Roberto Murola, Fausto Cigliano, Domenico Modugno.

Amplia il suo repertorio attraverso l’estensione della sua area culturale verso la Sicilia, Regione ricca di storie appassionate e struggenti che  racconta con grande maestria. A tal proposito si ricordano i brani: La Baronessa di Carini, La leggenda di Colapesce, Vitti na crozza, Ciuri Ciuri  e tantissime altre ballate che sono nella mente di ognuno di noi.

Con il brano  Governo Italiano Profazio avvia con un testo satirico-popolare il progetto che vedrò coinvolto il poeta siciliano Ignazio Buttitta: L’Italia cantata dal Sud.

Governo Italiano e più tardi Qua si campa d’aria rappresentano l’esempio più evidente di una ironia amara e paradossale con cui Otello Profazio affronta i temi della politica e della questione meridionale. Profazio, oltre ad incarnare lo spirito del cantastorie, che consiste nella capacità di strutturare in racconto la cronaca e la storia, secondo modalità spettacolari che sollecitano la riflessione del pubblico. Egli, con autentica originalità, sceglie di interpretare, musicare, “aggiustare” racconti, brani e storie popolari, trasformandole in grandi composizioni civili, attraverso le quali racconta la storia dell’Italia del Sud.

I temi raccontati sono: l’emigrazione, la mafia, l’amore e la morte, l’ingiustizia e la vendetta, il lavoro e lo sfruttamento, la grande questione meridionale nello stato post-unitario.

Nelle canzoni dedicate al Brigante Musolino, Profazio affronta il tema della vendetta e della giustizia individuale sottolineando, come quest’ultima ha avuto sempre una forte presa nel mondo popolare, ma a ciò, Profazio aggiunge l’inesorabilità del destino.

Nell’Italia cantata dal Sud, per dirla come Carlo Levi, l’autore di Cristo si è fermato a Eboli”, Profazio rappresenta la disperazione, il disfacimento, il senso di abbandono del Sud. Ed ancora l’estranietà alla storia unitaria delle masse meridionali; ovvero racconta con pungente ironia 150 anni di storia post-unitaria dalla parte degli esclusi, i Meridionali!

Profazio, con il suo stile, caratterizzato da individualismo libertario, ha condotto un percorso politico-culturale autonomo, mai subalterno alle ideologie e schieramenti politici di turno, ma attraverso la sua produzione artistica, ha espresso una personale lettura della condizione meridionale senza piegarsi, per tatticismo o opportunità, al contesto politico culturale dominante, bensì scagliandosi, musicalmente contro le inadempienze, verso il SUD, del governo centrale e della peggiore classe politica del Paese.

Da ricordare tra le tante attività svolte il programma radiofonico Quando la gente canta andato in onda per oltre un decennio ideato, condotto e diretto da lui.

Otello Profazio è stato insignito del disco d’oro per aver venduto oltre un milione di co pie dell’album Qua si campa d’aria: unico cantante del genere folclorico.

Attraverso i suoi unnimerovoli concerti ha incontrato le comunità di emigranti sparsi in titti gli angoli della terra e ci ha dato fino all’ultimo l’opportunità di rilanciare la cultura e la “questione merdionale”. Ovvero l’aspirazione del Sud a uscire dalla subalternità impostagli dal Nord, 150 anni fa, e che ancora oggi, quest’ultimo, mantiene il vantaggio del potere economico conquistato con le armi e con una legislazione squilibrata. Quell’Italia del Nord che arrivata al Sud svuotò le ricche banche meridionali, le regge, i musei e le abitazioni private per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati (al Nord).

Mentre il Sud è stato privato delle sue Istituzioni, delle sue industrie, della sua ricchezza e della capacità di reagire, posto che la gente meridionale è stata indotta ad emigrare (20 milioni in 100 anni!).

Chi emigra, abbandona una comunità e una terra non appartiene più alla sua gente, ma nemmeno a quella in cui si trasferisce. È un uomo senza identità!

il ritardo del Sud rispetto al Nord resiste ancora oggi, malgrado “l’Unità d’Italia”, e ciò perché il Nord, motore dell’economia non intende pareggiare il dislivello economico con il Sud depredato!  La Germania Ovest nei primi 20 anni della riunificazione con la più povera Germania dell’EST, spese nei territori dell’EST una cifra cinque volte superiore a quella che è costata in 50 anni la Cassa del Mezzogiorno. Ogni anno la Germania Ovest investe nei territori dell’ex Germania Est quanto gli USA, con il piano Marshall, inviarono dopo la guerra per la ricostruzione dell’intera Europa.

Ma torniamo a Profazio: sono trascorsi più di 60 anni dal suo esordio sulla scena artistica del canto popolare; oggi non si canta più la canzone cosiddetta “folk”, ma ci si limita ad ascoltare passivamente musichette senza anima e senza radici. Otello, fino all’ultimo, invece, ha continuato ad “aggiustare” in versi, senza alterare l’autenticità. Ha trasformato ciò, con la sua paradossale ironia, in battaglia di civiltà. (vmu)

                                   

Su “Made in Calabria” tv (ddt a Reggio e Roma e streaming web) si discute di teatro

Stasera (venerdì 21 aprile), alle 21, su GS Channel, canale 83 calabrese e sul Canale 98 Made in Calabria di Roma Capitale, per il programma Calabria ieri. Oggi. E… ideato e diretto dal giornalista e regista  Paolo Bolano si discute di teatro in Calabria. Ospiti in studio Gimo Polimeni, ex assessore alla Cultura della Giunta di Italo Falcomatà, il presidente del Circolo Rhegium Julii Pino Bova, lo scrittore e autore Oreste Arconte e il performer Peppe Mollica. Il programma sta crescendo in consensi e soprattutto a Roma – dice l’editore di GS Channel Franco Recupero – stiamo misurando un largo interesse tra la vastissima comunità calabrese (oltre 600mila nella Capitale) che ha mostrato di gradire una “presenza” televisiva indipendente che racconta della Calabria e propone personaggi, eventi e iniziative che non sarebbe diversamente possibile seguire da Roma. Il segnale del canale 98 del digitale terrestre è di altissima qualità, frutto anche di investimenti in tecnologie di ultima generazione, e le trasmissioni proposte suscitano ampio interesse. «È un’iniziativa destinata a crescere, destinata alla comunità romana dei calabresi, ma non solo: c’è la possibilità di far conoscere aspetti poco noti della nostra terra, sia dal punto di vista turistico-culturale ma anche religioso e imprenditoriale».

Il tema di stasera è in linea con questi progetti. Il Teatro, com’è noto, è uno dei simboli identitari della Magna Grecia e la Calabria vanta una meravigliosa tradizione millenaria. Quanto e cosa di produce oggi in Calabria? E con quali difficoltà? Bolano chiederà il parere degli operatori culturali che partecipano alla trasmissione, ripercorrendo iniziative fortunate e fatte fallire nel corso degli ultimi 50 anni non solo a Reggio, ma in tutta la Calabria. La politica culturale, purtroppo, ha sempre avuto il fiato corto, seguendo più ideologia che obiettivi di crescita e formazione, ma si è sempre in tempo a invertire la rotta. Servono risorse umane, prima di ogni cosa, ma non deve mancare l’apporto delle Istituzioni.

Il teatro è Cultura e va sostenuto e incentivato, così come vanno promosse le iniziative di formazione (scuole di attori, corsi professionali per registi, autori, e, ovviamente, tecnici e maestranze.

La risposta del pubblico a teatro è largamente positiva, in Calabria, ma è necessario promuovere e sostenere la nascita di nuove compagnie con talenti locali. Le idee ci sono, mancano spesso i mezzi e le risorse finanziarie, ma soprattutto manca (però si può delineare e costruire) una visione di futuro che veda il coinvolgimento dei giovani e l’utilizzo delle nuove tecnologie per far conoscere il piacere del teatro e seminare cultura. In una terra dove la cultura fa parte del territorio e fa sentire il suo profumo in ogni angolo della Calabria. (rrm)

REGGIO – Il giornalista Paolo Bolano presidente CNA Pensionati

 

È il dott. Paolo Bolano il nuovo Presidente di CNA Pensionati di Reggio Calabria. Una personalità della cultura reggina e un personaggio televisivo nazionale. Giornalista, impegnato nelle più importanti rubriche televisive della Rai, a cominciare da A come Agricoltura, Linea Verde, Di Tasca Nostra, AZ un fatto come e perché, ecc.

Sempre in primo piano nel sostenere la crescita della città di Reggio Calabria e dell’area metropolitana, Bolano, in questo suo nuovo impegno intende portare avanti le istanze delle categorie più fragili con progetti tali da sostenere la qualità della vita della terza età.

La parole d’ordini di questo nuovo impegno sono: la formazione che possono dare gli anziani ai giovani, la prevenzione della salute, la conoscenza e i saperi per i pensionati.

Questa categoria è interessata a conoscere da vicino il digitale e le nuove tecnologie della comunicazione. Per gli anziani deve essere un’occasione di crescita dei loro saperi.

La cura è la prevenzione degli anziani è determinante per una vita sana e tranquilla di chi si è impegnato tutta la vita a produrre ricchezza per questa società. Infine, gli anziani pensionati della CNA devono partecipare a tutti gli eventi culturali, per arricchire le loro conoscenze e per conoscere da vicino il teatro. Siamo figli della Magna Grecia, dove 3000 anni fa, è nato il teatro e il bello che poi valicando i monti di questa regione ha raggiunto il mondo intero allora conosciuto.

Il giornalista Paolo Bolano con i Pensionati della CNA intende fare conoscere questi progetti alle Istituzioni e agli Enti che dovranno sostenerli per dare un contributo alla crescita culturale dei pensionati artigiani.

Non mancheranno naturalmente le occasioni per portare gli anziani nei musei e per fare conoscere meglio la nostra regione e le regioni limitrofe.

Dall’assemblea è venuto fuori che i pensionati sono interessati a visitare Matera, in Basilicata, Siracusa e il teatro greco e le isole Eolie.

L’assemblea elettiva oltre al Presidente ha eletto la Vice Presidente Francesca Sgro e i componenti la presidenza avv. Michele Priolo e Giovanni Pastetti.  (rrc) 

 

 

L’OPINIONE / Paolo Bolano: Pianeta periferie. Da ripopolare nel post-Covid

di PAOLO BOLANO – Le periferie nei tempi del Covid. La gente che vive nelle grandi città, in piccoli appartamenti, costretta dal virus a restare rintanata in casa, adesso è in cerca di natura. vuole vivere in campagna, con case spaziose, orti, giardino, aria pura. Le aree interne, le nostre periferie, fino a oggi abbandonate, probabilmente torneranno a popolarsi. sarà bellissimo! Finalmente saremo in tanti a chiedere il rilancio di queste periferie. Intanto, proponiamo da subito i comitati di quartiere nelle nostre periferie, o un movimento, che si occupi dei problemi veri dei nostri quartieri abbandonati in questi anni da questa politica.

Più di 300 mila persone in questi decenni hanno lasciato le nostre periferie agricole e sottosviluppate del Sud per scegliere di vivere in una grande città. Adesso si torna al paesello. Quindi a causa del covid, un virus mortale, le nostre vecchie e abbandonate periferie risorgeranno? Pare di sì! Vogliamo essere pronti perché questa è la volta buona per cambiare in meglio questi territori. Vediamo.

C’è da registrare, intanto, che le nostre periferie non sono pronte a ricevere molta gente. Servono ingenti investimenti pubblici e privati per rendere vivibili questi luoghi. Dove prenderli? Ho fatto un sogno. Leggendo l’enciclica di Papa Francesco: “Fratelli tutti”, mi sono fermato a ragionare sulla “forma sociale della proprieta privata”: che significa in soldoni? Il Papa sostiene che “il principio dell’uso comune dei beni creati per tutti è il primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale. Il diritto alla proprietà privata è un diritto secondario”. Ergo, il nostro papa Francesco, secondo me, a giusta ragione, sostiene che il concentramento della ricchezza in poche mani fa male al mondo intero.

L’1 per cento non può possedere il 90 per cento della ricchezza. Il mondo cosi si incarta. Anzi si è già incartato. Insomma, forse è arrivato il tempo dove i privilegi di alcuni non possono essere a scapito dei diritti di tutti. serve una distribuzione più equa della ricchezza. chi è stato fortunato e ha di più in questo momento deve dare di più. Senza questo principio il mondo muore, e noi non potremo più rilanciare le nostre periferie. dunque, chi ha di più intervenga subito per sanare i debiti di questo nostro Paese. solo cosi si potrà intervenire con grossi investimenti per recuperare le nostre periferie, i nostri quartieri da sempre abbandonati. non vedo altre strade per il momento. serve denaro fresco urgentemente.

Noi, con i comitati di quartiere, possiamo solo dare il nostro contributo, con idee e proposte, e basta. I casali abbandonati vanno ristrutturati, le case in pietra vanno riscaldate, le strade sistemate, i marciapiedi, i trasporti, le biblioteche, i cinema i teatri etc. Servw subito denaro. Senza investimenti è tutto più difficile. Dopo possiamo ricevere i nostri emigrati e chiunque voglia respirare aria pura nelle nostre periferie, chiunque voglia arare i terreni, seminare, avviare gli orti etc. Serve quindi una politica nuova, uomini e energie fresche all’erta per far funzionare tutto il contorno. Ma serve come abbiamo detto in primis questo benedetto denaro. Speriamo bene. Intanto vediamo con piacere che in molti borghi i primi emigrati, neo-contadini, si organizzano. Viene ristrutturata la casa che fu dei genitori, poi si compra la prima zappa, si comincia a costruire il pollaio, si compra il maialetto per allevarlo, la capretta per avere il latte etc.

Si torna all’agricoltura biologica e patriarcale. Ma la domanda sorge spontanea: le amministrazioni comunali sono pronte a intervenire in aiuto per rendere finalmente vivibili le nostre periferie? Non credo! Lo abbiamo detto, aspettano il denaro che deve giungere dal centro. Noi speriamo che venga utilizzato bene. L’Europa ci guarda e ci controlla per il denaro che invia. Siamo alla vigilia di grandi cambiamenti.

Dall’Europa quindi arriverà un fiume di denaro che, se sapremo utilizzarlo bene, cambierà la storia delle nostre periferie, di Reggio e della Calabria. Da luoghi degradati e poveri si potrà passare a centri vivibili che potranno guardare finalmente con orgoglio all’Europa. Lo ripetiamo fino alla noia. Dovrà essere migliorata la rete viaria, l’acqua dovrà arrivare tutti i giorni nelle nostre case. Bisogna attivare le fogne. I depuratori devo funzionare tutto l’anno. Ci saranno poi i marciapiedi, le piazze, i cinema, i teatri le biblioteche, i centri per giovani e per gli anziani.

Noi, col nostro comitato, seguiremo passo passo tutti questi passaggi. Se si farà tutto questo allora la storia possiamo dire invertirà la sua rotta. Il mondo delle periferie migliorerà. Serve tutto in queste periferie da anni abbandonate. Presto potranno diventare il prolungamento delle città. Illo tempore, quando i contadini vivevano in questi luoghi curavano le strade di campagna, i pendii per evitare smottamenti, curavano il territorio e lo difendevano dalle frane e dagli incendi. Insomma in un futuro prossimo, se le cose cambieranno come noi auspichiamo, le nostre periferie potranno diventare centri di ricerca scientifica, di vacanze, di turismo rurale, centri culturali. Dobbiamo avviare l’agricoltura biologica richiesta dal mercato, allevamenti, piccole aziende di trasformazione dei nostri prodotti agricoli. Centri di ricerca per utilizzare meglio il nostro bergamotto, i nostri agrumi. Questo dovrebbero farlo in primis i nostri giovani, gli immigrati. Sì, anche gli immigrati adesso servono. Potrebbero diventare piccoli imprenditori agricoli e produrre ricchezza anche per noi.

Il ritorno in periferia è un bene per tutti e una grande opportunità abbiamo detto. Però “non è tutto oro quello che luccica”. Cosa intendo dire? Attenzione che il comitato intergovernativo dell’Onu che studia i mutamenti climatici sostiene che entro 50 anni circa i mari si alzeranno di 6 metri. Scompariranno le nostre coste. Ergo, dobbiamo prepararci a queste tragedie e non lasciare tutti i problemi irrisolti a quelli che verranno. Evitiamo di realizzare ingenti investimenti sulle coste delle nostre città. Limitiamoci a sanare le ferite ed evitiamo gli scarichi fognari intanto. Piccoli investimenti dunque. Gli investimenti maggiori dovranno concentrarsi nelle periferie collinari.

Già durante le invasioni saracene le nostre popolazioni si spostava all’interno dello stivale per paura di essere deportati e depredati. Abbiamo un esempio nella città di Reggio nell’area di Sant’Agata (Cataforio, San Salvatore, Mosorrofa, Cannavò), oggi periferie abbandonate. Allora fiorivano di splendore anche culturale. Era diventata la tana dei reggini che scappavano dalla costa per sfuggire ai corsari. Reggio allora era piccola cosa. questa periferia e precisamente Cataforio fu distrutta poi dal terremoto del 1773. Fu una città indipendente fino al 1925 quando il fascismo la inglobò nella Città di Reggio facendola diventare appunto una periferia. Oggi abbandonata. Bisogna recuperarla come tutte le altre periferie. Questo è il compito del nostro comitato, per questo ci avvieremo a nascere. Il comitato dovrà essere una spina nei fianchi di questa amministrazione comunale, con la quale noi vogliamo collaborare. Devono essere risolti i problemi vecchi e nuovi. Per avvicinare le nostre periferie alla città servono quindi progetti, investimenti e tante persone di buona volontà che lavorano. Io credo che strada facendo li troveremo, ma intanto dobbiamo pensare anche a come rendere attrattive le nostre periferie. Lo abbiamo già detto. non certo chiudendo le scuole di quartiere, le farmacie, i negozi, i bar. Ma facendo invece funzionare i trasporti, sistemando le strade etc., aiutando la crescita di una economia agricola e biologica dov’è possibile. Non è un sogno. Serve anche un’industria forestale, servono allevamenti, artigianato etc.

Certo, sarà una economia svantaggiata rispetto alle pianure, quindi necessita di un reddito di base per i giovani che vogliono risiedere. Insomma, queste periferie potranno diventare sedi di ricerca scientifica, di vacanze e turismo rurale. Il nostro obiettivo sarà anche quello di fermare i giovani e dare loro le condizioni necessarie per vivere. E poi, in Calabria, i tempi hanno falciato anche la nostra storia millenaria fatta di civilizzazione greca e romana. Noi vogliamo ricordare al mondo intero la nostra storia che non è fatta come ci descrivono i giornali del Nord di ndrangheta e malaffare. In queste nostre periferie è nata la filosofia, la medicina, la scultura, il teatro e il bello che poi valicando i monti di questa regione ha raggiunto il mondo intero allora conosciuto. Intanto, tutti noi ci auguriamo che il mondo intero continui a vivere in pace per assicurare anche alle nostre periferie una speranza. le nostre famiglie vogliono restare a vivere in periferia. Il nostro mondo è la periferia. Vogliamo farla crescere questa terra dunque e ci batteremo fino all’ultimo respiro. Chiediamo subito una buona illuminazione per i nostri borghi. Vogliamo anche illuminare cultura e storia per esempio di Cataforio-San Salvatore, Mosorrofa e Cannavò e di tutte le altre periferie. A Cataforio ogni anno si svolge uno stage internazionale dove si studia il folclore, la musica. si studia la tarantella erede del kordax, danza dionisiaca della magna-grecia. Ne parla anche Aristofane, che spesso chiude le sue commedie con questa danza. Noi vogliamo rilanciare questo festival culturale.Vogliamo approfondire questo studio proponendo una scuola di ricerca sulla musica della Magna Grecia. Vogliamo tornare a produrre teatro greco: la tragedia. A questo vogliamo aggiungere uno studio approfondito sulla “questione meridionale-mediterranea”.

Mentre ragioniamo sulle periferie sappiamo bene che dopo 250 anni di crescita, dopo lo sviluppo industriale, siamo passati allo sviluppo zero. Oggi siamo sotto a causa del Covid. Per questo siamo preoccupati. abbiamo detto che il concentramento della ricchezza in poche mani è un freno alla crescita del mondo e quindi per le nostre periferie. Serve un mondo migliore. Certo molti di noi discutendo al bar si spingono a chiedere più uguaglianza, giustizia sociale e dignità umana. Togliere la ricchezza a chi ce l’ha? No, non è proprio questo che vogliamo. Abbiamo detto che vogliamo una distribuzione più equa della ricchezza. E intanto oggi chi ha di più paghi di più per sanare le ferite del Mezzogiorno e delle nostre periferie.

Vogliamo ricordare a titolo di cronaca che Platone nella sua “Repubblica” si spinse a proporre un riequilibrio sociale tra ricchi e poveri. Aristofane nelle Donne in parlamento sosteneva che le ateniesi volevano abolire la proprietà privata. L’abate Gioacchino da Fiore era quello che chiedeva con forza la giustizia sociale, dignità umana e uguaglianza tra gli uomini. Non ha avuto fortuna con queste idee. Oggi il calabrese abate Gioacchino poteva essere venerato come santo, ma non è neanche beato. La Chiesa di allora lo ha penalizzato. Quella di oggi dimenticato. Parlava di uguaglianza e la chiesa non era pronta a tanto. Lo è oggi? Forse con Papa Francesco lo diventerà.

Il nostro comitato di  lotta per le periferie è accanto ai cittadini che vogliono migliorare la vita delle nostre contrade e le condizioni sociali. Meno sperperi, meno ruberie, più distribuzione della ricchezza. per questo dobbiamo lottare. Nessuno regala niente. Le chiacchiere al bar di Pasquale sono belle ma non sono sufficienti. Di certo sappiamo che la disuguaglianza si combatte a parole da duemila anni. Bisogna passare ai fatti. È dura! partiamo da qui per risalire la china,  senza “chiacchiere e marette”.  possiamo solo dire per arricchire il nostro progetto che parlando di periferie vorremmo anche ricordare le condizioni cui vivono intere popolazioni delle periferie del mondo. Il concentramento della ricchezza in poche mani produce questi risultati ovunque. Per esempio. noi abitiamo di fronte all’Africa. un continente arretrato ma ricco di risorse naturali. Milioni di persone muoiono letteralmente tutti i giorni di fame. È una vergogna! Cominciamo anche a parlare di Mediterraneo. Serve in tempi brevi un confronto per stabilire la centralità della cultura mediterranea come punto di partenza dello sviluppo del sud del mondo. Questo nostro Mediterraneo è un mare mitico dove Omero fece navigare Ulisse. Un luogo di antichi conflitti politico-sociali ancora irrisolti. Oggi però è il passaggio obbligato tra i mercati dell’Europa con l’Africa e l’Asia. È un mare importantissimo. Per noi può essere ricchezza. Approfondiremo i rapporti. cerchiamo di conoscere meglio l’islam e di essere conosciuti.

Siamo consapevoli dei tempi cui viviamo. Se dovessimo rappresentare tutto ciò a teatro diremmo che il palcoscenico è senza attori. La politica è assente o quasi. In sala gli spettatori di oggi saranno capaci di dialogare tra loro per contribuire a cambiare le cose? Saranno capaci, in questo vuoto, di sostituirsi agli attori? (i politici) se non saranno all’altezza dei tempi e meglio infilarsi le ciabatte e stare vicini al fuoco raccontando le favole ai nipotini. A questo punto le nostre periferie dovranno ancora attendere tempi migliori. (pb)

La via laburista è l’unica strada per superare la crisi della sinistra

Paolo Bolano, giornalista-regista e convinto assertore della cosiddetta questione meridionale e mediterranea, insiste sulla necessità di costituire in Italia un nuovo fronte laburista, dove possano convivere liberal-democratici, progressisti e socialisti fino ai trotkisti (se ancora ce ne sono). Oggi – sostiene Bolano – di fronte alla crisi economica mondiale (dovuta anche al covid) c’è bisogno di una Bretton-Woods 2.

Ricorda Bolano, reggino di nascita, già coordinatore centrale del TG2: «Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i vincitori si sono riuniti a Bretton Woods (negli Usa) con i maggiori economisti del momento tra cui Keynes per stabilire quello che sarebbe stato il mondo nel dopoguerra. Da lì è nato il Fondo monetario internazionale e si sono gettate le basi per la Banca Mondiale. L’accordo, in linea di massima, è consistito in due punti. 1) Le grandi potenze dovevano favorire la ricostruzione dei Paesi distrutti dalla guerra; 2) il mondo sindacale doveva contenersi nelle richieste salariali. È andato tutto bene fino agli anni Settanta, tanto che l’Italia è diventata settima potenza mondiale.

«Il sorgere della globalizzazione negli anni Ottanta modifica le strategie economiche mondiali. Il capitalismo, per guadagnare di più, decide di cambiare strategia e investire nei Paesi in via di sviluppo, investendo, per esempio, un dollaro e riportandosene a casa novanta.

«Qui emergono gli errori di quel capitalismo. Lasciare il 10% nei Paesi in via di sviluppo, non è stato sufficiente per creare un grande mercato di consumo, così che quelle popolazioni hanno avuto il solo minimo indispensabile per la sopravvivenza.

«L’errore gigantesco è stato di non aver lasciato più dollari (30-40) per attivare il mercato, in modo tale che noi occidentali potevamo vendere più agevolmente i nostri prodotti. Il secondo errore, non meno grave, è stato quello di investire gli enormi capitali che venivano dal Terzo Mondo nelle finanziarie, anziché in attività produttive: da qui è partita la profonda crisi economica che stiamo attraversando da oltre trent’anni. Dovrebbe essere ben chiaro che un mondo dove l’1% possiede il 99% della ricchezza mondiale non è più sostenibile: occorre ridistribuire la ricchezza per equilibrare l’economia e stimolare investimenti che creino occupazione. Ecco perché è necessaria una Bretton Woods 2, dove i Paesi più ricchi organizzino una strategia economica per i prossimi cinquant’anni, che preveda innanzitutto, per quanto riguarda il Mediterraneo, lo sviluppo del turismo, in primis, e le energie alternative, soprattutto quella solare, in quanto il petrolio è destinato a esaurirsi nei prossimi 50 anni.

«Prima del covid, la Banca Mondiale aveva realizzato uno studio sul turismo, da cui emergeva che in questi prossimi dieci-quindici anni sarebbero arrivati nel Mediterraneo quasi un miliardo di nuovi turisti (cinesi, indiani, giapponesi, etc). Il problema è che le Regioni del Mezzogiorno non hanno un progetto attrattore comune e non sono stati in grado di proporre un’offerta turistica per accogliere almeno cento milioni di questi visitatori, per mutare radicalmente l’economia meridionale.

«Qui, naturalmente, interviene l’altra crisi, di natura politica, che sta attraversando tutto lo schieramento tradizionale dei partiti. Per quanto riguarda la sinistra moderna, a mio avviso sarebbe opportuno puntare sul laburismo, come aggregazione di tutte le forze progressiste e di sinistra, in grado di proporre una strategia politico-economica a tutto il Paese e, in particolare, al Mezzogiorno. Si consideri che da più di cento anni aspettiamo un progetto per la soluzione definitiva della vecchia questione meridionale: vorrei ricordare a tutti noi il grande meridionalista Giustino Fortunato, che, illo tempore, in Parlamento sosteneva contro le forze conservatrici che nel Mezzogiorno c’erano “…valli da bonificare, pendii da rimboscare, vie da aprire, attività industriali da avviare”. Bisogna partire da queste idee per ampliare la questione meridionale e trasformarla in “questione meridionale-mediterranea”. Nel Mediterraneo convivono 500 milioni di consumatori: tutti i paesi rivieraschi dovranno avere un’unica strategia di sviluppo per favorire l’interscambio culturale con la conoscenza del mondo islamico e delle altre realtà mediterranee. Noi siamo un Paese industriale e possiamo favorire i paesi rivieraschi e assieme a loro costruire e sviluppare la ricchezza del territorio.

«In questa ottica, è opportuno che il capitalismo si ravveda e ripari gli errori commessi. I progressisti e la sinistra devono progettare e programmare una nuova società dove ci sia una più equa distribuzione della ricchezza e quindi maggiori opportunità di mercato e, soprattutto, di lavoro.

«La Calabria, in particolare, non può più sopportare che giovani diplomati e laureati lascino le nostre contrade per raggiungere le capitali del mondo che offrono le maggiori attrattive e opportunità lavorative e restarci. La Calabria può e deve cambiare, ma deve poter contare su queste forze intellettuali le cui risorse e capacità vanno a solo ad arricchire altri paesi.

«In ultimo – conclude Paolo Bolano –, vorrei fare una considerazione sulla Città di Reggio: noi giornalisti dobbiamo continuare ad essere corretti nel raccontare i fatti. In questi ultimi trent’anni, la Città è stata amministrata dalla destra, dal centro e dalla sinistra: le nostre periferie, agricole e sottosviluppate, dove vivono più di 100mila abitanti, sono sempre più abbandonate. Mancano le strade le fogne, i trasporti, i marciapiedi, i cinema, teatri e luoghi di aggregazione culturale, per poter dire che siamo oi finalmente anche noi arrivati in Europa. Occorre, dunque, offrire condizioni di vita adeguate e sbocchi occupazionali per i nostri giovani delle periferie. Tra qualche mese si voterà e non abbiamo ancora capito da parte del centro, della destra e della sinistra, quali sono i progetti futuri per cambiare radicalmente questa città». (rp)

Paolo Bolano, giornalista, regista, autore, innamorato pazzo della Calabria

La sua vera passione, mai sopita, da innamorato che non s’arrende mai, è la Calabria: Paolo Bolano, giornalista, regista, autore, nella sua lunghissima carriera ha sempre messo la Calabria al centro dei suoi interessi, e non ha ancora perso il vizio di indagare, provocare, stuzzicare con i suoi interventi, promuovere iniziative per difendere e valorizzare la sua terra e, soprattutto, i giovani che vede, disperatamente, sempre più numerosi andare via. L’ultima sua fatica, ancora in fase preliminare, è un docufilm che farà discutere: ovviamente riguarda la Calabria, e nello specifico si occupa dei figli dei boss, molti degli invisibili che hanno rinnegato la mafia e cambiato il loro nome per ricostruirsi un futuro. «Le colpe dei padri non devono pagarle i figli» è il tema centrale del nuovo lavoro di Bolano che sta raccogliendo materiale inedito sui “figli di mafia” e studiando la documentazione sull’affido forzato (del Tribunale dei minori di Reggio) dei figli dei ‘ndranghetisti. «C’è una storia di sangue, di dolore, di morti, ma c’è anche – dice Paolo Bolano – un filo di speranza che va sostenuto e alimentato. Lontano dal retaggio del malaffare, si forma e cresce la coscienza civica, diventa naturale il rifiuto della violenza, il rigetto di una vita che non si desidera vivere, sulle orme di parenti ‘ndranghetisti».

Bolano non è nuovo ai documentari: nel 1980 rappresentò l’Italia al Festival di Cracovia col suo mediometraggio Violenza (Primo Premio del Ministero del Turismo e dello Spettacolo per regia e sceneggiatura) e il suo ultimo Terroni di periferia (2018) è stato trasmesso da Sky. Ma si perde il conto dei filmati realizzati in Calabria e nel mondo, che vengono trasmessi in più occasioni in Canada e negli Stati Uniti. E pochi sanno che la regia del lunghissimo documentario RAI sul processo di Catanzaro (per la strage di piazza Fontana) porta la sua firma.

Bolano rappresenta una figura di intellettuale che la Calabria non ha mai onorato come dovuto: è stato con Nuccio Fava (poi diventato direttore del TG1) uno dei primi calabresi assunti in RAI, a Roma; ha esordito nel cinema facendo l’aiuto regista nel kolossal Mosè, firmato centinaia di video-inchieste per le più popolari rubriche RAI (A come Agricoltura, QuattroStagioni, AZ, Di Tasca Nostra), lavorando per tutte e tre le testate giornalistiche RAI, per chiudere come caporedattore e coordinatore del TG2 per otto anni prima della pensione. Ma i giornalisti non vanno mai in pensione: sono decine i docufilm dedicati alla Calabria realizzati in questi ultimi anni e non è mancato l’impegno, accanto ad Antonio Salines, col Teatro Belli di Roma a programmare, organizzare e dirigere numerose iniziative di spettacolo di grande respiro nella nostra regione. Attualmente sta lavorando, sempre con Salines, all’adattamento e riduzione teatrale de L’eredità dello zio di Fortunato Seminara, l’indimenticabile scrittore di Maropati. Il teatro è un’altra sua passione: nel 1985, con Santo Strati, ha diretto e prodotto Il Boudoir del Marchese de Sade, nello script originale di Roberto Lerici, proponendo da precursori con uno straordinario tv-film un nuovo e originale modo di “leggere” il teatro attraverso le telecamere: non una ripresa “statica” della scena, ma un attento e partecipato racconto filmico dell’azione teatrale, accentuato da un montaggio-video di valenza cinematografica, quando ancora non c’erano le magie attuali della computer-grafica applicata al video.

Paolo Bolano è anche un formatore in ambito di giornalismo e regia televisiva: ha organizzato e curato numerosi corsi destinati ai giovani, per i quali ha scritto il manuale Operatore Media, un libro che ha tracciato con largo anticipo le figure professionali oggi più richieste: giornalisti in grado di usare tutti i media e operatori multimediali con competenze giornalistiche.

Agli italiani, anzi ai calabresi nel mondo, ha dedicato numerose inchieste giornalistiche e nelle prossime settimane sarà in Portogallo per un docu-film sui tantissimi italiani che hanno scelto (per ragioni fiscali) di andare a soggiornare in quel Paese. Bolano vive tra Roma, Reggio e il mondo: la sua città d’origine gli ha ispirato un pamphlet (L’urlo di Reggio) che costituisce il manifesto di un ideale movimento di popolo che chiede a gran voce che si riapra una nuova “questione meridionale”. «Ma non quella di Giustino Fortunato, dello ‘sfasciume pendulo sul mare’ – avverte Bolano – ma un impegno che tenga conto del Mediterraneo, la vera grande risorsa di tutti i Paesi che vi si affacciano. È nel Mediterraneo la soluzione al sottosviluppo e alla mancata crescita e la Calabria – non dimentichiamolo – è proprio al centro: la posizione ideale da cui far partire iniziative di cultura, conoscenza e lavoro. La Magna Grecia è nata qui, la sua tradizione millenaria è il solco su cui imbastire il processo di rinnovamento e sviluppo di questa terra. Bisogna crederci». (rrm)

Terroni di periferia: approda su Sky il docu-film del regista reggino Paolo Bolano

Da non perdere, giovedì sera alle 21, su Sky il bel docu-film del regista e giornalista reggino Paolo Bolano (canale 897 digitale terrestre). È un film-inchiesta girato interamente a Cataforio, nell’entroterra di Reggio, dedicato agli “ultimi” della Magna Grecia, dove la tradizione musicale continua attraverso l’utilizzo di antichi strumenti e l’adattamento di vecchie ballate e canzoni di origine grecanica.

Ogni anno a Cataforio c’è un evento “formativo” per imparare a suonare antichi strumenti musicali e ballare il kordax (l’antesignano della tarantella). Gli stagisti, provenienti da tutta Europa, arrivano in Calabria accolti da Peppe Crucitti (instancabile animatore detto “il ballerino”) a ballare il kordax (ovvero la tarantella della Magna Grecia), a suonare strumenti musicali antichi come la lira, il tamburello e la chitarra battente, e a cantare. Il kordax della Magna Grecia, per chi non lo sapesse, è la danza dionisiaca che, quasi sempre, chiude le commedie di Aristofane, da cui è derivata la tarantella che ancora oggi si balla in tutta la Calabria. Il film racconta questo “stegg” (come lo chiama Crucitti) e raccoglie la testimonianza di chi vive in quei luoghi e di chi ci arriva per un’esperienza artistica davvero unica.

«Ho girato questo lungometraggio – ha detto il regista Paolo Bolano per focalizzare meglio e raccontare una periferia meridionale abbandona da Dio, che si è fermato a Eboli, e da questa classe politica. Però questa periferia, dove vivono i terroni, secondo molti racchiude in sé in parte la storia dell’umanità. Questa è la Magna Grecia. Nessuno deve dimenticare. Qui è nato il teatro e il bello che poi valicando i monti della regione ha raggiunto il mondo intero allora conosciuto. È nata la filosofia, la medicina, la scultura ecc. Qui illo tempore tutto il popolo andava a teatro. Era in grado di votare e fare vincere ora questa, ora quella tragedia».

«Oggi – dice ancora Paolo Bolano – tutti dimenticano. Però, ancora giovani e anziani caparbi: gli “ultimi della Magna Grecia“ resistono all’abbandono e chiedono di esistere per far valere la loro storia. Gli enti locali , la città metropolitana di Reggio è assente totalmente da questo festival della cultura calabrese. La città metropolitana non è interessata a divulgare la storia della Magna Grecia. Questo festival di Cataforio, invece, mette in risalto suoni antichi e strumenti musicali di cui si erano perse le tracce. Qui si balla ancora il Kordax, come i nostri avi lo ballavano tremila anni fa. La danza dionisiaca, quella che quasi sempre chiude le commedie di Aristofane. Con questo film ho voluto onorare questi valorosi “terroni” che non vogliono dimenticare e far cadere nell’oblìo la nostra gloriosa storia». (ams)

Idea Magna Grecia: una Città della Cultura dalla Calabria al Mediterraneo

di PAOLO BOLANO

Si parla sempre meno di Mezzogiorno, eppure è un grosso problema irrisolto, palla al piede, per tutti i governi di destra e di sinistra sin dall’Unità d’Italia. Oggi anche la stampa italiana trascura il Mezzogiorno. Bisogna superare i ritardi in fretta per fermare l’emigrazione giovanile che ha svuotato interi paesi del Sud. Guardare all’Europa, ma allungare l’altro occhio all’Africa. Dove c’è una parte di futuro del Mezzogiorno.

In questo millennio bisogna sanare le ferite Nord-Sud e uscire dal sottosviluppo. Con l’Unità d’Italia abbiamo assistito a una fuga di massa. Un rabbioso addio alla terra che costringeva milioni di contadini poveri a baciare la mano del barone per avere un pezzo di terra e sfamare la famiglia. I ribelli, però, quelli che odiavano il barone, partirono in cerca di fortuna. L’esodo dal Mezzogiorno continua ancora, giovani laureati e diplomati portano il loro sapere oltreoceano e non solo. Bisogna fermare questo esodo!

Un grande meridionalista come Giustino Fortunato, nobile, liberale, proprietario terriero, deputato, illo tempore, cercò di sensibilizzare il Parlamento nato dopo l’Unità d’Italia per dare risposte concrete alla “questione meridionale” e ai tanti ritardi che assillavano – e tutt’ora assillano – il Sud. Chiedeva in Parlamento provvedimenti urgenti per uscire dal sottosviluppo: «…Valli da bonificare, pendii da rimboscare, vie da aprire, attività industriali da avviare…».

A dire il vero, si fece poco o nulla e il problema è ancora lì, irrisolto. Oggi, cosa fare dunque? In questo terzo millennio alla questione meridionale si è aggiunta quella mediterranea. Il nostro futuro è l’Africa. Un continente ricco, pieno di materie prime. Dobbiamo collaborare con questi popoli nell’interesse di tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo per produrre ricchezza e posti di lavoro. Bisogna investire nell’eolico, nel solare, in agricoltura, turismo e cultura.

È giusto il detto che con una fava si possono catturare due piccioni. Infatti, sviluppando queste terre possiamo, da un lato, dare occupazione ai nostri giovani laureati e, dall’altro, offrire lavoro ai tanti disperati immigrati che rischiano la vita ogni giorno per attraversare il Mediterraneo.

Non bisogna, intanto, dimenticare che il Mezzogiorno è la Magna Grecia. Qui, tremila anni fa, queste nostre terre furono invase dai coloni greci in cerca di terreni fertili. Con loro portarono la cultura: la filosofia, la medicina, il teatro, la scultura, la pittura, la musica.

Anche la Magna Grecia divenne una terra di grande cultura nel Mediterraneo. Infatti, anche qui è nato il teatro e il bello che poi, valicando i nostri monti, raggiunse il mondo intero allora conosciuto. Oggi bisogna confrontarsi con tutti i paesi che si affacciano nel Mediterraneo. È fondamentale per stabilire la centralità della cultura mediterranea quale punto di partenza per un nuovo sviluppo di questo sud del mondo.

A questo punto, vorremmo indicare ai nostri governanti, spesso stanchi e incapaci, una prima via per un percorso culturale di crescita e di sviluppo di tutto il Mediterraneo. Un mare di pace, dunque, e di lavoro. Per iniziare si potrebbe costruire una grande Città della Cultura in Calabria: “CinecittàCalabria”. Una Città del cinema, della tv, del teatro, della musica, con la presenza e la partecipazione di tutti i Paesi del Mediterraneo.

“CinecittàCalabria” dovrebbe produrre cinema, televisione, teatro e musica per tutto il Mediterraneo e parte dell’Africa. Una scuola di cinema, di televisione, di teatro e di musica, con il compito di preparare le figure artistiche e professionali che serviranno poi a produrre film, telefilm, sceneggiati, serie televisive, documentari, opere teatrali e musicali e comunicazione.

Questo investimento produrrebbe non meno di diecimila posti di lavoro. È una piccola cosa, ma sarebbe una buona partenza per un Mezzogiorno dimenticato che guarda avanti, guarda all’Africa per scrivere il futuro. Va, dunque, creato un gruppo di lavoro che sostenga quest’idea: enti locali, imprenditori, uomini di cultura e giovani intellettuali: Il dibattito è appena aperto: si attendono idee e suggerimenti.

Nella foto: Il giornalista e regista Paolo Bolano

POLISTENA – Una fondazione a ricordo del sen. Girolamo Tripodi

21 ottobre – Una fondazione a ricordo del sen. Girolamo Tripodi: così oggi pomeriggio Polistena ricorda il “suo” indimenticabile sindaco, con un convegno alle 16.30 che vedrà le testimonianze di giornalisti, amici e compagni di lotta. “Mommo” Tripodi ha lasciato un segno indelebile non solo a Polistena e nella Piana, ma in tutta la Calabria per il suo impegno costante a favore della popolazione meridionale. È stato un grande politico, con una visione realistica del Mezzogiorno, dei suoi malanni e delle cure necessarie. Ha saputo interpretare con grande senso civico l’impegno politico sia a livello locale che nell’aula del Senato, conquistandosi il rispetto e la stima anche degli avversari politici. La Calabria non deve e non può dimenticarlo e la nascita della fondazione rappresenta il primo passo verso iniziative che facciano conoscere ai giovani e a quanti non l’hanno mai incontrato, il senso della sua lotta politica sempre a difesa dei più deboli, dei contadini e delle popolazioni dimenticate dallo Stato centrale. La Calabria gli è debitrice e la sua figura dovrebbe essere presa a modello dalle nuove generazioni che aspirano a fare politica.
Quello di oggi, perciò, non sarà un convegno meramente celebrativo, tra mestizia e ricordi, ma un punto di partenza per ricostruire e rilanciare l’avvenire politico della regione. Modera l’incontro Carlo Parisi, segretario generale aggiunto della Federazione Nazionale della Stampa (FNSI) e intervengono il giornalista e regista Paolo Bolano, già caporedattore Tg2 Rai, il giornalista e scrittore Marcello Villari, già inviato del TG5, Francesco Cosentino, già sindaco di Vibo Valentia, l’ing. Alberto Ziparo, docente dell’Università di Firenze, il sen. Luigi Marino. Porteranno la loro testimonianza Marcello Borgese, don Pino Demasi, Giovanni Mileto, Patrizia Napoli, Silvana Nasso, Antonio Rodiò e Giuseppe Sorace. Le conclusioni sono affidate a Carla Nespolo, presidente nazionale ANPI. Saranno anche proiettati stralci dell’intervista a Girolamo Tripodi realizzata nel 2005 da Maurizio Marzolla. Introduce con i saluti il sindaco di Polistena, Michelangelo Tripodi, figlio del compianto senatore.  (rrc)

DELIANUOVA – Oggi “La storia” di Otello Profazio

12 ottobre – Oggi pomeriggio a Delianuova alla libreria Librarsi in Aspromonte alle 17.30 Otello Profazio conversa sul suo nuovo libro “La storia” col giornalista-regista Paolo Bolano. L’incontro è organizzato dalla Casa Editrice Nuove Edizioni Barbaro. Il libro-disco è pubblicato da SquiLibri e ha come sottotitolo “Ballata consolatoria del popolo rosso e altre storie”.
Il “mastru cantaturi” parla del suo libro con Calabria.Live: «È la mia storia – dice Profazio – ma è anche la storia d’Italia e la storia del Sud. Incentrato sulla ballata consolatoria del popolo rosso è un libro-disco che raccoglie brani inediti e racconti originali che ovviamente hanno a che fare col Sud. È il meno monografico dei miei disco-libri perché tratta diversi argomenti, i più svariati. Tante avventure e disavventure che mi riguardano e riguardano la storia del Sud, scritte e cantate».


È una narrazione imprevedibile e originale in chiave apolitica e slegata dall’ideologia, dove però lo sberleffo si sposa continuamente con l’ironia. Da 62 anni Profazio, sin dall’esordio, ci ha abituati alle sue gustose invettive, cantore di illusioni e disillusioni, fra tradizione e modernità. Premio Tenco 2016 e finalista quest’anno alla Targa Tenco, Profazio non finisce di stupire con le sue “profaziate” e questo libro-disco conferma la vitalità di un interprete autentico della Calabria e delle sue storie, delle sue genti, dei suoi sogni, delle sue frustrazioni.
«C’è un elemento innovativo nel disco: al posto degli intervalli muti tra un brano e l’altro ci sono con la mia voce le battute della gente che ho raccolto nel mio peregrinare tra Calabria e Mezzogiorno. Le più belle? Quelle sulla sanità siciliana e calabrese: qual è il miglior ospedale di Palermo? L’Alitalia! Una signora molto anziana mi ha detto testualmente: “inutili che jati a Milano, Parigi, NuYorke, il medico è sempre San Rocco”. Ecco, questo libro raccoglie anche queste – chiamiamole così – testimonianze autentiche di quello che pensa la gente. Raccogliere gli umori delle persone mi suggerisce ballate e scritti che possono così diventare patrimonio delle cultura popolare. I miei libri-dischi precedenti erano un po’ più personali, raccontavano con l’ironia di chi è disperato e non lo sa come si vive, anzi come si campa. “Qui si campa d’aria”, un mio best seller, in fondo è la storia della rassegnata sconfitta del popolo meridionale, che, nonostante tutto, non si ferma e non arretra. La speranza è anche nella possibilità di far sapere, di condividere uno stato di disagio. Per questo “La storia” del libro è la mia storia, filtrata dalle altre storie di Meridione, spesso dimenticato, sicuramente trascurato, decisamente amato. Il Sud ha tante storie ancora da raccontare. E io pure». (rs)