SULLA RAI UNA CALABRIA CHE NON ESISTE
LA FICTION ‘LA SPOSA’ INSULTA I CALABRESI

di SANTO STRATIPassi per le belle spiagge della Puglia contrabbandate per le incantevoli coste calabresi, passi per un dialetto che con calabrese c’azzecca poco, ma il mercato delle “vacche” no, non è tollerabile. La fiction Rai La sposa con la regia di Giacomo Campiotti e la sceneggiatura di Valia Santella (Nastro d’argento 2019 e premio David di Donatello nel 2020) ha fatto invelenire i calabresi e scatenare un’ondata di sdegno come non capitava da tempo. La vicenda è molto semplice. La Rai propone in tre puntate (doppie) la storia di una giovane calabrese (splendidamente interpretata da Serena Rossi) che sposa per procura un settentrionale vicentino per garantire sostegno finanziario alla propria famiglia, in disgrazia dopo la morte del padre.

Ora, la storia in sé potrebbe anche essere carina e avvincente per una trasposizione televisiva (ricorda vagamente un racconto del collettivo Lou Palanca del 2015, che non viene minimamente citato) ma appare evidente che la storyteller si sia fatta prendere la mano attingendo non si sa da quali fonti circa un mercato di vergini (peggio della schiavitù) offerte ad aspiranti possidenti matrimoniabili del Nord. È una vergognosa invenzione che, oltretutto, non trova neanche una collocazione temporale giustificabile: che in Calabria (come in tutt’Italia) ci fossero i famosi “sensali” di nozze che combinavano matrimoni misti nord-sud è cosa risaputa, si davano da fare fino a tutti gli anni Sessanta, ma la storia televisiva dice che siamo nel 1967 (quando già c’erano i germogli della emancipazione femminile che da lì a poco sarebbe esplosa) e traccia un’immagine della povera e disperata Calabria che nemmeno il buon Muccino, tra coppole e asinelli, avrebbe potuto immaginare. 

Il disprezzo verso i meridionali è fin troppo evidente ma risulta gratuito e sgarbatamente odioso (Calabria, vuoi sempre sghei!)  e questo non è tollerabile in una televisione che è Servizio pubblico. Si offre un’immagine contorta e distorta di inciviltà come non è mai esistita: si propone un mercato di vergini al miglior offerente che nemmeno negli emirati arabi d’inizio secolo o negli States di miss Rossella e Mamie della guerra americana di Via col vento, tra razzismo, schiavitù e ribellione. No, hanno ragione i calabresi a indignarsi, soprattutto pensando alle lotte contadine, al sacrificio di Giuditta Levato e di tantissime altre anonime donne che hanno pagato con la vita il rifiuto della sottomissione e della violenza di genere.

È un falso storico e in una fiction, in un film, in un romanzo, si può raccontare di tutto, senza tener conto della realtà, ma un conto è l’invenzione creativa, un altro il viscido filo di razzismo che viene trasmesso dalla tv di Stato e sbattuto in faccia alle cattive coscienze dei sostenitori dell’autonomia differenziata (del Nord ai danni del Mezzogiorno).

Le costiere che appaiono in video non sono della Calabria (gli esterni al mare sono stati girati a Vieste, nel Gargano, per evidenti opportunità di produzione – Film Commission Apulia è stata più brava della nostra?), ma neanche la storia, i volti, i personaggi sono della Calabria. 

Un Paese come l’Italia che conta circa 4 milioni di calabresi fuori dalla regione sparsi per la penisola (alcuni illustri, famosi e meritoriamente apprezzati in tutti i campi) non può accettare un’immagine così retriva della storia del Sud, della Calabria, che offende non solo tutti i calabresi, ma anche gli italiani. 

Non è una “storia di Calabria” quella de La sposa che per tale è stata contrabbandata e grazie al cielo non è stata finanziata dalla Calabria Film Commission, ma ha trovao grande pubblico televisivo nella prima serata di RaiUno.  

Una brutta pagina di televisione che coltiva il seme dell’odio razzistico (Nord contro Sud – non s’affitta ai meridionali) sulla quale riteniamo opportuno proporre e riportare i commenti di due scrittori “autenticamente” calabresi: Santo Gioffrè e Giusy Staropoli Calafati. Due riflessioni che, personalmente, condividiamo in pieno e che, siamo convinti, troveranno il giusto apprezzamento. Ma qualcuno, alla fine, risponderà mai di tanta infamia a buon mercato? (s)

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LO SDEGNO DELLO SCRITTORE DI SEMINARA

di SANTO GIOFFRÈ – Mancava, solo, l’anello al naso. Poi, mel reale immaginario dell’Italia da bere, la Calabria torna terra del Grand tour… Micuzzu… Micuzzu ,vota i crapi, ca cattai na capretta  Calabrisi in Puglia e a facimu cumbojjari du muntuni Veneto, in Piamonte… 

Certo che solo la fantasia e la testa malata, infetta da 40 anni di qualunquismo razzista e clerical- reazionario, con evidenti e subitanee complicità Calabresi,  poteva partorire una ipotesi pseudo filmica in cui, negli anni ‘60, le ragazze calabresi venivano fatte sfilare nelle piazze dei paesi, in un mercato delle vacche, come facevano, nel ‘700, gli schiavisti anglo-olandesi- americani, e sottoposte ad aste in base allo stato di verginità, alla dentiera e alla prestanza fisica per usarle come troie da traino nelle terre del nord. 

Qualsiasi proseguo avrà, questa fiction è di una violenza xenofoba…(prendi i sghei, Calabria…) mai fin’ora apparsa in una fiction su una Rete di Stato. Falsa dal punto di vista storico (negli anni 60 non vi furono, mai, fenomeni  di vendite evidenti e pubbliche di donne… anzi in quel periodo, in Calabria, iniziarono lotte politiche feroci per l’emancipazione, il riscatto culturale e sociale e contro il potere politico dominante… e se drammi sociali e familiari vi furono, questi vanno raccontati sotto il profilo storico, antropologico e sociale…). 

La letteratura calabrese, in quel periodo, mostrava, Resistenza, se pur minima, anche se incapace di farsi avanguardia d’impulsi  d’emancipazione …Cialtroni, miserabili e venduti alla vulgata razzista del nord. Ma ve lo meritate… I pacchi i pasta, anche questo sono, visto che accettate di tutto pur di aver qualcuno da chiamare padre!  (s.g)

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NON È LA CALABRIA, È UNA QUESTIONE DI IDENTITÀ

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Permalosi e orgogliosi. I calabresi siamo così. Suscettibili quando ci toccano la storia e ci reinventano i luoghi. Alterano tutto ciò che attorno ad essi si compie. E che completa la nostra esistenza. Dà acqua alle nostre radici. Fortemente emotivi quando ci scombinano la narrazione, ci strapazzano l’ideologia, ci adattano ai tempi, e ci modificano i decorsi. E non è campanilismo questo risentimento che si palesa sui volti di un popolo intero, è questione di identità.

La Calabria è una parte del Sud, troppo intima, da rendicontare il tempo di una briscola o un tressette. Troppe, infinite le sue declinazioni. Impossibili di essere colte nella totalità.  E interpretarla si sbaglia il concetto, a imitarla si erra per presunzione. E nessuno riesce mai, e per precise ragioni di appartenenza, a fidelizzare con lei completamente. La sua lingua è un ossimoro. Il suo è un idioma potente, impossibile da rendere mediatico. Ha un accento che non esiste.

La Calabria è una gentile colomba. Così ritrae le spose d’Aspromonte, Corrado Alvaro. Anche quelle maritate per procura. Con una sola foto oltre l’oceano. Preservate dal male e dall’affascino.

Nella prima puntata de La sposa, la Calabria torna sul grande schermo ammantata di arretratezza e inciviltà. Riproponendo una questione meridionale praticamente irrisolta.  Ma La sposa non è la Calabria.

La donna calabrese non è una regalia. Non sfila nelle piazze dei paesi, come accade nel film, al mercato delle vacche, per essere messa all’incanto a seconda della sua verginità. Sulla base delle sue possibili prestazioni. Né ieri né mai. La donna calabrese è fimmina! È forza, coraggio, dignità, lavoro, ostinazione e senso, altissimo, dell’onore. 

La sposa in Calabria è valore, anche per procura. È rispetto, è considerazione. La storia cerca verità, non compiacimento. E allora non si esagera, neppure nei fil. È questione di identità.  

La Calabria non è un bicchiere sempre mezzo vuoto, con cui il Nord cerca di placarsi l’arsura quando cazzo gli pare. La mia terra, è un calice di vino rosso pieno che anche il cinema deve imparare a rispettare. Onorando la sua storia, in nome di donne come Giuditta Levato, con tutto il dolore e la resistenza, le lotte e non la ciotìa. Donne come Caterina Pisani Tufarelli, prima donna sindaco d’Italia. Tra le “ragazze del ‘46”, quando già la Calabria aveva avviato la sua emancipazione.

Se non fosse per la capacità del regista, d’aver attributo alla protagonista Maria, interpretata magistralmente da Serena Rossi, la forza inequivocabile che la Calabria ha, che a quanto pare sarà proprio lei a salvare il Veneto, avrei ammonito con fermezza e rigore questa storia. Strumentalizzare una terra come la Calabria, come a volerle ogni volta piegare il capo per la benedizione, è un delitto che non si può perdonare. La Calabria è una terra speciale, e come tutte le cose speciali, va prima provata, assaporata. E solo poi, eventualmente, raccontata nei libri o in televisione.  (gsc)

 

Leonzio Pilato, da Seminara al mondo i miti immortali

di SANTO GIOFFRÈ – Il 1° dicembre 1365, nella  baia di Venezia, muore Leonzio Pilato, il più grande studioso, intellettuale e letterato, mitografo meridionale  del Medioevo.  Nato a Seminara, verso il 1313.  Leonzio Pilato è il padre dell’Umanesimo occidentale. Mai, amor mi fu tanto caro!

Sigero, ambasciatore di Bisanzio a Venezia, comunica a Francesco Petrarca: “Leonzio Pilato, dopo aver tradotto la Fisica di Aristotele, decise di lasciare Costantinopoli.  Mentre si trovava vicino all’albero di trinchetto della nave, in vista del porto di Venezia, un fulmine lo uccideva. Fu allora, nel momento in cui la vita stava per abbandonarlo, che Leonzio raccolse le sue ultime forze e lanciò per aria i suoi preziosi codici per donarli agli Dei, perchè li custodissero e al vento tempestoso perchè li spargesse per il mondo. Io lo abbracciai, forte, ma Leonzio, ormai, apparteneva al mondo dei suoi amati Dei e, quando tentai di strigere la sua mano, udii il sospiro del vento sussurrare Irene, Irene…”

Fino a 40 anni fa, di Leonzio Pilato nulla si sapeva. Soffice piuma confusa, dal vento, tra le polveri di scarto. Francesco Petrarca, dicendo di Lui e del suo pessimo carattere di arcigno  greco meridionale, lo condannò alla damnatio memoriae, pur avendo visto, attraverso Lui, la luce della sapienza del mondo classico.

Allevato da Barlaam, secondo  Scuola e disciplina bizantina che regolava l’addestramento dei bimbi allo studio e alla traduzione dei codici antichi, si presume che Leonzio Pilato all’età di 7 anni, fosse stato addestrato da Barlaam a tradurre i codici classici dal greco in latino, come in uso nelle Scuole dentro i Monasteri Ortodossi. La prima notizia certa, su Leonzio adulto, ci viene riferita da Boccaccio quando apprende il significato del Mito di Proteo dalle parole di Paolo da Perugia, rettore della più fornita Biblioteca in Europa; quella  Napoletana di Roberto d’Angiò. Spiegazione che Paolo da Perugia aveva avuto da Leonzio Pilato, che a lui si era presentato come Auditor (allievo) del grande Barlaam. Ricordiamo, a chi mi legge, che Paolo da Perugia scrisse una grande opera sugli genealogia degli Dei le Collectiones.Ma pare, che, in effetti, gran parte della stessa opera fu scritta o dettata  da Barlaam. 

Come Leonzio Pilato scrisse gran parte dela Genealogia degli Dei Gentili che Boccaccio s’intestò. Dopo 10 anni che Leonzio era rimasto a Creta per perfezionarsi nella lingua greca, lo ritroviamo a Padova, il 5 dicembre 1358, straccione, senzatetto e mentre cercava l’elemosina in Piazza della Ragione, per mantenersi ai corsi di laurea presso lo Studium Padovano. Qui incontrò, perchè a Lui indirizzato, Francesco Petrarca, che era un Dio in terra e uno degli uomini più ricchi, egoisti, superbi e potenti di quel tempo. Petrarca, sapendo di questo straccione calabrese, (sporco, ostico, puzzolente, con i capelli in disordine, ma la più grande mente esistente nella conoscenza delle favole greche, come lo descrive, dettagliatamente, Giovanni Boccaccio nelle Genealogie,  libro XV) che recitava l’Iliade, in latino, dando consigli ad un avvocato per affrontare cause difficili, andò a trovarlo e gli propose di fare una cosa, mai tentata al mondo: la traduzione, dal greco in latino, dell’Iliade e dell’Odissea. Leonzio, pur riluttante, perche aveva in odio gli uomini col piglio padronale, accettò per fame e  con modesta mercede. Ma, poco durò il suo tempo col Petrarca! 

Per contrasti circa la sua tecnica antica di affrontare la Translatio, verbum de verbo, Katà podà, mentre Petrarca pretendeva la traduzione a senso,  arrivato alla traduzione del verso 3401 del V libro dell’Iliade, Leonzio, dopo l’ennesimo richiamo del Petrarca “fac citius, fac citius – fai presto, fai presto”, mandò, letteralmente affanculo, il Poeta Laureato. 

L’abbandonò, buttandolo nello sconforto totale perché, il Cantore di Laura, capì che, perdendo Leonzio, gli sarebbe venuta meno l’unica persona, in tutt’Europa, tra i traduttori, persino Bizantini di altissima cultura, capace di  maneggiare e tradurre i Poemi Immortali. 

Petrarca aveva e soffriva la pecca di non conoscere il greco e, da grande Intellettuale qual era, oltre ad essere sospettato  di finanziare  ladri e trafficanti di manoscritti, sapeva l’importanza, per lui, dell’entrare in possesso, prima di tutti gli altri al mondo, del fiume di notizie contenute nell’Iliade e nell’OdisseŒ. 

Fu Giovanni Boccaccio il quale, implorato da Petrarca, intercettò Leonzio Pilato sulla strada verso Avignone. Lo portò con sè a Firenze, facendolo mettere a stipendio dalla Repubblica Fiorentina come fondatore e insegnante presso la prima cattedra di Greco in Italia. 

Leonzio Pilato, tra il 1358 e il 1360, tradusse tutta l’Iliade e l’Odissea e l’Ecuba di Euripide. A Pisa, tradusse il Digesto, parte greca delle Pandette. 

Nel 1363, dopo un’ulteriore scontro con  Francesco Prtrarca, a Venezia, s’imbarcò per Costantinopoli dove, per campare, dava lezioni di greco ai giovani rampolli veneziani e tradusse la Fisica di Aristotele. 

Da un frammento ritrovato, risulta che Leonzio era un laureato. Cioè, a Padova, Leonzio Pilato raggiunse la massima onorificenza di studi, la Laurea. In Italia, allora, i laureati erano sì e no cinque.

Il libro “Terra Rossa” di Santo Gioffrè il Premio Letterario Nazionale “Tulliola”

di REDAZIONE ROMANAEnnesimo, prestigiosissimo riconoscimento al medico-scrittore Calabrese Santo Gioffrè. Venerdì scorso in Senato, presso la storica “Sala Zuccari” di Palazzo Giustiniani, nell’ambito della XXVII Edizione del Premio Tulliola-Renato Filippelli, ha ricevuto la targa al merito come Primo Vincitore Nazionale assoluto della sezione Per la Legalità e contro tutte le Mafie.

Nella motivazione letta a Palazzo Madama si legge testualmente: «La Terra Rossa, in questo libro c’è tanto Sud. Terra rossa di sangue e arsa di sole, viva dell’onore e delle sue contraddizioni; madre e matrigna, sostrato di civiltà ancestrale, primitiva quanto i bisogni, istintiva quanto la violenza e la vendetta. Il romanzo aggruma storia, mito e tradizione, casta di padroni/nobili di ogni ricchezza e pretesa e classe degli ultimi, segnati da ogni povertà ed emarginazione – talvolta “muli”, razza bastarda senza diritti e senza nome. L’autore, aduso a brillante prosa giornalistica e narrativa con uno stile efficace e personale, rammemora la grande letteratura neorealista, in uno spaccato di cultura meridionale, che aspira a trovare nella libertà ogni legittimazione e affrancamento».

La Giuria, presieduta dal grande poeta calabrese Dante Maffia, candidato al Premio Nobel per la letteratura, ha voluto aggiungere alla motivazione ufficiale del Premio un altro concetto fondamentale: «Allo scrittore Santo Gioffrè, per l’impegno profuso contro ogni forma di malaffare e in difesa della salute pubblica».

Ricordiamo che Santo Gioffrè è ormai conosciuto in Italia e all’Estero, oltre per i suoi romanzi, alcuni di questi divenuti film di grande impatto mediatico e successo di pubblico, anche per aver svolto il ruolo di Commissario Straordinario del’Asp di Reggio Cal, nel 2015, e in soli 5 mesi, per aver scoperto e denunciato, per la prima volta e con grande coraggio, le decennali truffe e rapine, per milioni di euro, consumate in quell’Asp ai danni del cittadino.

Il medico scrittore Santo Gioffrè ha preso quindi la parola per sottolineare la sua grande soddisfazione per il premio ottenuto, «ma inaspettato», e soprattutto per essere stato premiato nello stesso luogo dove il 27 dicembre 1947, il Presidente della Repubblica, Enrico de Nicola e il Presidente del Comitato, Umberto Terracini, firmarono la Costituzione. Ma anche – ha sottolineato in pubblico il medico scrittore – per aver avuto il piacere di essere premiato assieme al magistrato Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro, insignito lui con medaglia d’oro concessa dal Presidente della Camera Roberto Fico, per il Suo altissimo impegno contro la ‘Ndrangheta”. (rrm)

Ho visto. La grande truffa nella sanità calabrese
di Santo Gioffrè

di FILIPPO VELTRI – Un libro di nemmeno 70 pagine ma dentro c’e’ tutto, cioè l’inferno visto da vicino, un viaggio al termine davvero della notte piu’ buia. Santo Gioffre’ ci ha consegnato sul finire dell’anno appena chiuso, nel suo ‘Ho Visto – La grande truffa nella sanità calabrese (Castelvecchi), un manuale per le attuali e future generazioni, che andrebbe distribuito non solo nelle librerie e nelle edicole dove adesso lo trovate ma gratuitamente  nelle  scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, nelle chiese, alla Regione, ai Comuni, alle Prefetture. Dovunque.

Mi auguro che il neocommissario Guido Longo lo abbia già letto. Perché serve per capire il motivo per cui la sanità calabrese è in questa situazione e perché è difficile e complicato ora metterci mano.

Gioffrè ci fa toccare da vicino – da uno che ha visto cose e uomini e poi inopinatamente è stato revocato dall’Anac dopo nemmeno sei mesi per un articolo della Legge Severino – come sia una sciocchezza quello che si sente e si dice e si scrive e si blatera in questi lunghi mesi di polemiche varie sulla sanità calabrese: lì è un inferno in cui stanno assieme quelli che dovrebbero controllare e sono per questo lautamente pagati e invece non lo fanno, titolari di aziende e strutture private, banche, commercialisti, faccendieri, imbroglioni vari. Tutti assieme appassionatamente per creare una voragine inimmaginabile.

Gioffrè – medico, scrittore, militante politico senza maschere – narra da par suo, come solo un grande scrittore di romanzi storici sa fare, la sua esperienza di commissario all’ASP di Reggio Calabria, una incredibile storia di ruberie consumata sotto gli occhi di tutti da anni, con fatture pagate due volte, tre volte, perché non c’era alcuna contabilità. Anzi una c’era: era quella orale per cui non si veniva mai a capo di niente e non se ne viene anche oggi a capirci qualcosa.

E poi ancora: pignoramenti eseguiti in più fori sulla base dello stesso titolo, la sistematica assenza del Governo nei procedimenti esecutivi di estensione. Con nomi e cognomi, date e luoghi.

In questo libro si spiega tutto e tutto diventa più semplice per capire lo stato dell’arte nel quale viviamo: cioè la condanna della Calabria all’eterno piano di rientro, l’emigrazione sanitaria, i tagli dei posti letto, la distruzione della sanità pubblica a tutto vantaggio di quella privata, come si è visto e si vede oggi con la tragedia del Covid. (fv)

Ho visto. La grande truffa della sanità calabrese
di Santo Gioffrè
Castelvecchi Editore, ISBN -13 : 9788832903201

LA SFIDA DI GIOFFRÈ AL MALAFFARE SANITÀ
SCOMODE VERITÀ DEL MEDICO-SCRITTORE

di PINO NANO – Le tante scomode verità del medico-scrittore Santo Gioffrè: una testimonianza in prima persona, che equivale a una grande sfida al malaffare che ha pervaso la sanità calabrese. Arriva in libreria il nuovo libro di Gioffrè, ma non è un romanzo storico, come quelli ai quali ci ha piacevolmente abituato: è il racconto amaro di una sconfitta, quella dello Stato, che forse si poteva evitare. Una coraggiosa, pesantissima, denuncia che farà scalpore. Susciterà amarezza e indignazione tra le persone perbene, tra i tantissimi calabresi onesti che hanno diritto e voglia di essere informati su uno scandalo infinito su cui la giustizia dovrà mettere la parola fine. Non caso s’intitola Ho visto. La grande truffa della sanità calabrese.

Il saggio esce grazie alla Castelvecchi Editore che ha fortemente creduto nel progetto del medico scrittore di Seminara, decidendo di farlo arrivare non solo nei luoghi più sperduti del Paese, ma anche all’estero dove spesso la Calabria che viene raccontata dai media è meno crudele di quella che Santo Gioffrè descrive invece in questo suo racconto, dai toni anche drammatici e fortemente sofferti.

Questo suo nuovo libro è in realtà il diario di bordo di una esperienza di governo e di gestione ai vertici della sanità calabrese, «dove può capitarti di imbatterti in un mafioso senza rendertene conto», tanto simile spesso egli è agli uomini di Stato e ai rappresentanti istituzionali di questa moderna Repubblica del caos.

Un pugno nello stomaco, una confessione a cielo aperto, una sfida al Paese, coraggiosissima e plateale, un dossier analitico e documentatissimo sul malaffare della sanità calabrese davvero senza precedenti, ma anche un racconto diretto immediato senza perifrasi o mediazioni di comodo che ti entra nel cuore e nel corpo con una violenza brutale e inimmaginabile. E di fronte al quale, ogni qualvolta vedi in televisione l’immagine stereotipata dell’arresto di un uomo di ‘ndrangheta, il più delle volte di un boss, ripreso in qualche capanno o vestito da contadino, ti viene solo da sorridere, perché oggi i veri boss della ‘ndrangheta sono forse molto di più quelli che Santo Gioffrè descrive nei minimi dettagli lungo il percorso che affronta in “Ho visto”, e che vestono blazer scuri e scarpe firmate da 2 mila euro al paio.

La domanda a cui nessuno forse potrà, o saprà mai dare una risposta credibile, e che noi ci facciamo da giorni è questa: ma dove avrà mai trovato Santo Gioffrè il coraggio di tanta lucidità nella scrittura e nella forza delle accuse che muove al mondo istituzionale calabrese, e non solo calabrese?

Abbiamo allora provato a conoscerlo meglio questo medico scrittore. Anche perché la sua vita di intellettuale è costellata di altre opere di grande pregio letterario.

Nel 1999 pubblica il primo romanzo storico Gli Spinelli e le Nobili Famiglie di Seminara, nel periodo del terremoto del 1783. Seguiranno Leonzio Pilato, La terra rossa, Il Gran Capitán e il mistero della Madonna nera. Ultimo romanzo prima di Ho visto, Gioffrè scrive L’opera degli ulivi, che segna di fatto il suo grande esordio per la Castelvecchi di Roma.

La copertina del libro "Ho visto" di Santo Gioffrè

Uno scrittore dunque di straordinario coinvolgimento emotivo, che usa un racconto per nulla forbito ma lineare, semplicissimo, e lo stratagemma del romanzo per raccontare gioie dolori ed emozioni della sua terra natale, che è la Piana di Gioia Tauro, «infestata dalla violenza e dal pregiudizio storico che tutto ciò che si muove è solo ndrangheta», lui figlio di un paese come Seminara dove la faida di tanti anni fa ha profondamente segnato la vita di ogni ragazzo di allora, quando durante un funerale arrivarono dei killer e spararono contro il corteo, e i ragazzi videro la bara del defunto rotolare per le scale del sagrato della Chiesa, abbandonata da chi la portava in spalla.

Scene di una violenza inaudita, ma che Santo Gioffrè nei suoi romanzi ha cristallizzato in ricordi e immagini di una suggestione senza pari, dove l’Aspromonte – per lui che ne è figlio più autentico di questa montagna – è meno cupo e meno minaccioso di quanto invece da lontano non si possa immaginare.

Fin qui la vita del romanziere, Santo Gioffrè. Ma c’è anche un rovescio della medaglia che è invece quello di un medico che tra Seminara Palmi e Gioia Tauro fa anche tantissima attività politica, impegno che lo vede eletto più volte consigliere al Comune di Seminara, e dal 1994, per due volte consecutive Consigliere provinciale nel collegio Seminara – Delianuova, ma anche assessore alla cultura della provincia di Reggio Calabria.

Vecchio idealista, uomo esteriormente rude, protagonista indiscusso della sinistra storica in Calabria, Santo Gioffrè – che per mestiere fa il medico ginecologo a Palmi ma che è soprattutto conosciuto in Italia come scrittore e romanziere della grande scuola meridionale – nel 2015 viene nominato dalla giunta regionale in carica Commissario Straordinario dell’ASP di Reggio Calabria, e qui incominciano i suoi «guai terreni».

Subito dopo il suo insediamento, incomincia a mettere mano alle poche carte che trova sul suo tavolo di gestore unico della sanità nella provincia più “discussa” d’Italia, e scopre – quasi per caso – che da quel giorno in poi la sua vita avrà a che fare soprattutto con un deficit di bilancio unico in Italia e con un disastro finanziario impossibile da risanare.

Ma l’uomo ha il carattere forte e la tempra giusta per credere di potercela fare da solo, a rimettere ordine in questo caos di totale confusione. Per giorni e notti lavora sulle cifre che ha davanti, ma intuisce immediatamente che molte cose non vanno. E man mano che va avanti nella conoscenza dei dati contabili dell’Azienda Sanitaria si rende conto che ha di fronte un quadro a dir poco scandaloso e allarmante.

Convoca allora i suoi funzionari più diretti, legge tutti i rapporti redatti dai suoi predecessori, cerca insomma di capire perché l’Asp di Reggio Cal fin dal 2013 è senza bilancio consolidato in quanto, quell’anno, fu bocciato e mai più redatto.  Molte delle spese sostenute dalla sanità reggina sono state fatte infatti sulla “parola”.

Cosa significa? Che non ci sono carte contabili. Non ci sono ricevute di pagamenti effettuati. Non ci sono riscontri finanziari. Non ci sono registri contabili affidabili, ma solo «parole affidate al vento e alla memoria di qualcuno». Molte cose sono state acquistate e saldate sulla base di accordi o promesse verbali, «sulla parola», magari con una semplice stretta di mano. Roba da non crederci. Bastava una stretta di mano, e l’affare si chiudeva in quel modo. Ma così andavano le cose, nella più importante azienda sanitaria calabrese.

Verba volant, scripta manent. Santo Gioffrè la chiama “Contabilità orale”, nel senso di contabilità affidata alla memoria storica di qualcuno, di cui però non ci sarà mai traccia vivente. Parliamo di contabilità di milioni di euro mai regolarizzati, e mai trascritti su carte documenti o anche semplici memorandum. Per anni tutto è avvenuto “sulla parola”. Una stretta di mano, uno sguardo ammiccante, un accordo da chiudere, e soprattutto la certezza poi che qualcuno avrebbe alla fine pagato il conto.

E il primo “conto” che Santo Gioffrè, nella sua veste di neocommissario della sanità reggina deve saldare è una “piccola” fattura di 6 milioni di euro ad una struttura privata convenzionata di Reggio Cal.

Avete letto bene. 6 milioni di euro, mica bruscolini.

Dopo 20 giorni dall’insediamento, Santo Gioffrè riceve la visita di un signore, già curatore legale di quella struttura. Nel suo libro Gioffrè fa nomi e cognomi precisi. Il neo-commissario lo riceve ma viene raggelato dal suo racconto.

Questi riferisce che prima del suo insediamento, l’Asp aveva pubblicato una delibera, con tutti i pareri di rito favorevoli, in cui veniva riconosciuto ad una Casa di Cura privata convenzionata un debito da pagare di 6 milioni di euro.

“Dottore, noi avevamo già incassato, nel 2009, i sei milioni che ci dovevate. Poi, nel 2014, io stesso ho curato, a nome del Consiglio d’Amministrazione, la vendita ad altri della Casa di Cura. Ora, scopriamo che si stanno pagando le stesse fatture che, allora, ci furono pagate…”.

Fine della favola?

Niente affatto. Santo Gioffrè chiede ulteriori verifiche e scopre per bocca dei suoi amministrativi che quel saldo di 6 milioni di euro in realtà, per come riferito, era probabilmente avvenuto “sulla parola”. Nel senso che il debito era stato regolarmente saldato dalla Banca tesoriere dell’Azienda Sanitaria, ma nessuna ricevuta specifica, fattura per fattura pagata, era stata trasmessa all’Ufficio Economico-finanziario dell’Asp affinché la partita debitoria, da quel momento in poi, risultasse estinta.

Da qui, poi, la seconda richiesta di saldo, evidentemente vogliamo pensare per via di fatture precedenti già saldate ma assolutamente inesistenti.

Che fare?

Gioffrè, ricevuti i documenti che accertano il pagamento avvenuto, scrive allora di proprio pugno la delibera di annullamento della precedente delibera, e blocca il saldo di 6 milioni di euro disposto per la nuova società.

Il Medico-Scrittore, proseguendo nel suo lavoro di ricerca, scopre ulteriori fatture pagate due volte, soprattutto a multinazionali del farmaco e intuisce il sistema che ha trasformato l’Asp di Reggio Calabria in bancomat. È facile immaginare, a questo punto, cosa accadde nelle settimane successive.

Santo Gioffrè viene cacciato dal suo incarico.

Lo mandano a casa nel giro di qualche giorno, e lo fanno senza pietà, quasi fosse un appestato. Naturalmente, lo mandano via con una “scusa istituzionale” assolutamente “impeccabile”, e fra l’altro anche giuridicamente incontestabile.

L’Anac, l’Autorità Anticorruzione guidata allora da Raffaele Cantone scopre che la sua nomina di Commissario dell’ASP di Reggio Calabria è incompatibile perché Gioffrè, nel 2013, era stato candidato, sconfitto, alla carica di Sindaco di Seminara, un paesino di 1500 mila anime.

Bene, oggi – grazie a questo libro di grande coraggio ed efficacia mediatica vi assicuro – questa storia della “Contabilità orale” farà ormai il giro del mondo.

Mi permetto solo di darvi un consiglio. Davvero avete voglia di capire come, in storie come queste, di grandi affari milionari, si materializza la Ndrangheta?

Bene! Nelle prime quattro pagine di “Ho visto” troverete il racconto dettagliato, inquietante, drammatico e clamoroso di un incontro tra il medico-scrittore e un signore elegante e dall’atteggiamento sobrio che è un affresco attualissimo del rapporto tra la ‘ndrangheta e le Istituzioni di questo paese, e di fronte al quale lo scrittore confessa: «Quando tutto iniziò ebbi subito la sensazione di trovarmi di fronte all’amore e alla morte… Sentii il gelo di quando muore qualcuno… Quell’uomo aveva lavato e asciugato il mio coraggio. Mi sentivo nudo e avevo freddo, il cuore mi sembrava diventato vegetale, non aveva più un battito. In quei momenti è difficile rimanere lucidi. Rimasi muto. Lo accompagnai con lo sguardo, fin quando non si perse tra la folla».

Santo Gioffrè, dunque, non solo “Premio Letterario Nazionale Cronin 2020” in una terra dove se «alzi per un momento la testa, e lo fai fuori dal coro, rischi di beccare un cecchino pronto a farti fuori».

Oggi Santo Gioffrè è diventato, suo malgrado, icona della legalità in tutto il mondo, ma soprattutto testimonial di grande coraggio individuale, perché da oggi in poi – quando si parlerà della sanità calabrese e della “Contabilità orale” dei bilanci milionari delle Asl calabresi – si parlerà per forza di cose di lui, della sua cocciutaggine, e del suo estremo coraggio.

L’intervista che giorno fa gli ha dedicato BBC News, francamente gli rende merito di tutto quello che lui ha fatto in tutti questi anni al servizio della sua terra.

Ma chissà se la penserà allo stesso modo il ministro Roberto Speranza?

Sappiamo solo che in passato i due erano anche grandi amici, lo erano soprattutto un tempo, quando insieme facevamo politica nello stesso vecchio partito comunista. Ma poi, forse, andando Roberto Speranza al Governo come ministro della Salute – con tutti gli impegni istituzionali del suo dicastero – avrà certamente perso per strada pezzi importanti dei suoi ricordi passati, e quindi forse anche una parte importante dei suoi amici più cari.

«Ma ho imparato a mie spese – sorride il vecchio medico di Seminara – che la politica, da sempre per la verità, riserva amarezze di questo genere. Forse anche peggiori di queste. Importante è non serbare mai rancore per nessuno». (pn)

La Bcc, la Calabria, Santo Gioffrè e la sua denuncia

Un lungo reportage Tv della Bbc News, firmato da Mark Lowen racconta lo sfascio della sanità in Calabria e propone al suo pubblico internazionale le dichiarazioni coraggiosissime del medico scrittore Santo Gioffrè sulla “Contabilità orale” e sulle fatture milionarie pagate anche tre volte dalle Asl calabresi a strutture private.

Dice il medico scrittore Santo Gioffrè alle telecamere di Bbc News: «Non potevamo pagare i creditori e c’erano conti falsi. Mentre la mafia si è arricchita, ora non abbiamo ospedali, né sistema sanitario, siamo in emergenza».

Per l’autore del reportage Mark Lowen, «In questo angolo d’Italia sfregiato, il virus ha messo a nudo il suo fragile cuore».

Intanto, per milioni di telespettatori del Regno Unito, ma sono altrettanti negli Usa e nel resto dell’Europa, il reportage della Bbc News riporta alla ribalta l’immagina degradata di una Calabria che sembra davvero una delle terre “ultime” del mondo, dove Covid e Mafia hanno praticamente divorato tutto ciò che sembrava esistere e stare in salute. E in una intervista esclusiva che Bbc News presenta con grande enfasi, il medico scrittore di Seminara, suo paese di origine, racconta le mille peripezie subite nel corso del suo incarico come Commissario dell’Asl di Reggio Calabria dove quando è arrivato lui esisteva soltanto una “contabilità orale”, nulla di scritto, nulla di  legalmente serio, e dove una mattina stava per rimborsare ai titolari di una struttura privata una fattura di 6 milioni di euro, non dovuta a nessuno, perché già pagata.

Lui, allora, informa la magistratura, informa lo Stato, chiama a raccolta il mondo del giornalismo, e la sola risposta concreta che riceve a caldo è la sua immediata defenestrazione dall’incarico perché l’Anac, guidata allora dal presidente Raffaele Cantone – scopre che anni prima lui era stato consigliere comunale di minoranza del suo paesino della piana di Gioia Tauro, e quindi come tale il suo incarico di commissario della sanità a Reggio era incompatibile. Lo mandano dunque a casa, ma sbagliando i conti.

Infatti, chi immaginava che il medico scrittore avrebbe accettato in silenzio questa vicenda si rende conto col tempo che forse sarebbe stato meglio lasciarlo al suo posto. Oggi il dr. Santo Gioffrè è diventato, suo malgrado, icona della legalità in tutto il mondo ma, soprattutto, testimonial di grande coraggio individuale, perché da oggi in poi quando si parlerà della sanità calabrese e della “contabilità orale” dei bilanci milionari delle Asl calabresi si parlerà per forza di cose di lui, della sua cocciutaggine, e del suo estremo coraggio.

L’intervista della Bbc News oggi gli rende merito di tutto quello che ha fatto in questi anni al servizio della sua terra. La penserà allo stesso modo il ministro Roberto Speranza? Sappiamo solo che i due erano anche grandi amici, un tempo, quando insieme facevamo politica nello stesso partito di sinistra: Ma poi, forse, andando al Governo il giovane ministro Speranza – con tutti gli impegni istituzionali del suo dicastero – avrà certamente perso per strada pezzi importanti dei suoi ricordi passati, e quindi forse anche una parte importante dei suoi amici più cari.

Ma la politica da sempre riserve amarezze di questo genere. Qui, di seguito, il link utile per rileggere l’inchiesta della Bbc News e la traduzione integrale dall’inglese del pezzo scritto da Mark Lowen.

https://www.bbc.com/news/world-europe-55098415

 

La Calabria italiana ha due pandemie: Covid e la mafia

Di Mark Lowen

Bbc News, Calabria, Italia

«Fino a mezz’ora fa, 12 dei nostri 18 letti di terapia intensiva Covid erano occupati», dice Demetrio Labate, allacciandosi gli indumenti protettivi. «Ma ora siamo scesi a 11. Abbiamo appena perso un altro paziente – aveva 82 anni».

Il medico in terapia intensiva ci regala il nostro quarto strato di guanti chirurgici, controlla che la nostra tuta non lasci esposta parte del nostro corpo e con ciò lo seguiamo nel reparto coronavirus del Grande Ospedale Metropolitano, il più grande ospedale della Calabria.

Questa regione dell’estremità meridionale dell’Italia è stata rapidamente dichiarata “zona rossa” all’inizio di novembre, quando il virus ne ha provocato la distruzione.

«La seconda ondata ci ha colpito molto più duramente della prima», dice, guidandoci tra i letti dei pazienti in respirazione assistita. «Ci manca il personale – e quelli limitati che abbiamo stanno facendo diversi turni extra».

Una delle pazienti di sesso femminile è cosciente, in un casco di ventilazione. Gestisce un breve gesto della mano: un piccolo gesto per sollevare gli animi dei medici esausti.

«Stiamo combattendo come leoni per non chinarci», dice Iole Fantozzi, direttrice dell’ospedale. «Questa ondata era prevedibile perché ci siamo sentiti liberi durante l’estate, quando i casi erano molto bassi e le persone entravano e uscivano dalla Calabria».

Se i numeri continuano a salire, sarà un disastro per tutta l’Italia, non solo per noi

L’Italia è stato il primo Paese in Occidente a essere schiacciato dalla pandemia e ne è stata per qualche tempo l’epicentro globale.

Con l’ottavo maggior numero di casi al mondo, questo mese è diventato il secondo in Europa a superare i 50.000 decessi.

A luglio, quando le infezioni giornaliere sono scese a poco più di 100, si è diffuso un falso senso di sicurezza mentre l’Italia spalancava le porte ai turisti e le restrizioni venivano annullate. Ora ne sta pagando il prezzo, combattendo una seconda ondata letale – e ancora una volta le sue cifre di morte sono tra le più alte d’Europa.

Ma a differenza di marzo, quando la pandemia si è concentrata sulla ricca regione settentrionale della Lombardia, la seconda ondata sta colpendo anche il sud impoverito.

La Calabria è l’Italia e una delle regioni più povere dell’Europa occidentale. E mentre il suo tasso di infezione e il numero di cure intensive sono inferiori a quelli del nord Italia, il suo fragile sistema sanitario sta cedendo, quindi è stato inserito nella categoria di rischio più elevato.

Perché il Sud soffre

La Calabria è stata lasciata indietro da decenni di cattiva gestione politica e saccheggi da parte della sua mafia, la ‘Ndrangheta, che si è infiltrata nel sistema sanitario.

Le bande criminali hanno sequestrato risorse e accumulato ingenti debiti, portando alla chiusura di 18 dei suoi ospedali pubblici e a tagli selvaggi a letti e personale.

Solo pochi giorni fa, un importante politico locale è stato arrestato, accusato di riciclaggio di denaro attraverso farmacie controllate dalla ‘Ndrangheta in cambio del sostegno della mafia.

La corruzione ha esacerbato i fallimenti politici seriali: due commissari sanitari per la regione sono stati licenziati nell’ultimo mese. Uno è stato licenziato dopo che ha definito inutili le maschere per il viso e ha detto che l’unico modo per prendere il virus era baciare una persona infetta con la lingua per 15 minuti.

Altri due candidati nominati dal Governo hanno rifiutato il lavoro.

«La Calabria si è trovata senza gli ospedali adeguati per soddisfare anche i requisiti minimi del coronavirus – così l’intero sistema è andato in crisi», dice Santo Gioffrè, un ginecologo che, come capo di un’autorità sanitaria locale, ha denunciato le frodi cinque anni fa – ma dice è stato messo a tacere dalle autorità.

Non potevamo pagare i creditori e c’erano conti falsi. Man mano che la mafia si è arricchita, ora non abbiamo ospedali, né sistema sanitario, siamo in emergenza

Quell’emergenza sta paralizzando l’economia della Calabria, la designazione della “zona rossa” chiude le imprese per la seconda volta quest’anno.

Mafia e Covid una doppia pandemia

Al ristorante L’A Gourmet di Filippo Cogliandro le sedie sono impilate su tavoli vuoti sotto lampadari di vetro e la cucina è silenziosa. «Un ristorante è come un’orchestra», mi dice, descrivendo i rumori dei cuochi al lavoro e il tintinnio dei piatti. «Ed è molto difficile vederlo muto», aggiunge, con le lacrime agli occhi.

Per ora, il mio cuore non può vedere la luce in questa oscurità. Ma ci ribelleremo e sconfiggeremo entrambi

Per il pluripremiato chef la situazione ha echi di 12 anni fa, quando si rifiutava di pagare i soldi dell’estorsione della ‘Ndrangheta e le minacce della mafia tenevano lontani i clienti. Ma allora ha ricostruito la sua strada e dice che può farlo di nuovo.

«La ‘Ndrangheta e il Covid sono entrambe pandemie«, dice, il sole pomeridiano che brilla attraverso le finestre dell’elegante palazzo centenario che ospita il suo ristorante. «Distruggeremo il virus con un vaccino, ma la lotta alla mafia richiederà più tempo».

L’Italia sta cominciando ad appiattire nuovamente la curva e il valore “R” – il tasso di riproduzione del virus – è sceso sotto 1 in diverse regioni, compresa la Calabria, che ora è stata spostata da zona rossa ad arancione di conseguenza, consentendo maggiore movimento a livello locale.

Ma in questo angolo d’Italia sfregiato, il virus ha messo a nudo il suo fragile cuore. Mark Lowen, BBC News, Calabria, Italia(rrm)

In copertina, Santo Gioffrè

«Tramortita dall’emergenza»: così il Domani sulla Calabria

Due terzi di pagina sul quotidiano Domani, a firma di Enrico Fierro per raccontare come «Tramortita dall’emergenza, la classe politica calabrese di dimena tra impotenza e rabbia». Il nemico – sottolinea Fierro «non è il virus, ma i commissari, gli stranieri venuti da fuori a colonizzare la Calabria».

Fierro cita il medico-scrittore Santo Gioffré che è stato anche commissario dell’Asp di Reggio: «Ora i calabresi protestano e su molte cose hanno ragione, ma devono chiedersi chi ha sfasciato la sanità, chi ha sprecato, chi ha rubato, e fatto ingrassare la mafia» e riporta il pensiero di Massimo Scura il commissario della sanità, in contrasto con il presidente Mario Oliverio, scalzato dal generale Saverio Cotticelli: «esiste un’altra ‘ndrangheta più subdola, che si è insinuata nel tessuto della sanità pubblica paralizzandone i centri nevralgici».

Il giornalista Fierro chiarisce subito, dalle prime righe, il suo pensiero: «Commissari che si sono suicidati in diretta tv. Commissari che arrivano. Ma non sanno se resteranno. Commissari invocati invocati come salvatori di una patria che non riesce a salvarsi da sola. È la Calabria, dove l’emergenza continua».  (rrm)

L'inchiesta del quotidiano Domani sulla sanità in Calabria

Al medico-scrittore Santo Gioffrè il premio Cronin di narrativa

Lo scrittore Santo Gioffrè è tra i vincitori del prestigioso Premio Cronin di Savona, riservato ai Medici Scrittori, categoria professionale che ha dato alla letteratura mondiale capolavori immortali.

Santo Gioffrè, medico, è un apprezzato romanziere, nonché autore di saggi che hanno profondamente segnato la storia della letteratura calabrese di questi ultimi anni.

Ha vinto nella sezione “Narrativa” col racconto breve: Vivo! Ero di nuovo vivo.

Nato a Seminara, svolge la sua attività professionale a Palmi ed è, ormai, considerato uno dei più noti scrittori italiani di romanzi storici. Il suo ultimo libro L’opera deli ulivi del 2018 (Castelvecchi editore) ha registrato larghi consensi a livello nazionale e internazionale.

È suo il romanzo Artemisia Sanchez dal quale Rai Uno ha tratto una fiction in 4 puntate, con musiche di Lucio Dalla, che ha riscosso un successo enorme di pubblico in Italia e nel mondo, nel dicembre 2008.

Lo scrittore Santo Gioffrè, soddisfatto ma anche emozionato, ha commentato la sua vittoria, spiegando come svolge il suo lavoro autoriale: «Io scrivo quando mi assale l’estro creativo. Forse è Apollo che mi tortura. Sto anni senza scrivere. Poi, di colpo (e può succedermi in qualsiasi momento del giorno o della notte) una frenesia mi assale. Devo scrivere, raccontare… Così sono nati tutti i miei romanzi. Ho inviato il mio racconto breve, che è l’incipit del mio nuovo romanzo a cui lavoro da tre anni, spinto da colleghi medici scrittori».

Vivo! è un racconto introspettivo in cui il protagonista, sopravvissuto ad un arresto cardiaco nel corso di una coronografia, narra quegli istanti di morte attraverso un viaggio fantastico tra luoghi misteriosi e figure inquietanti. Tornato in vita, il protagonista s’immergerà in un flashback necessario in cui ripercorre la sua vita: la Siria, i suoi maestri spirituali, uccisi dall’Isis. Un grande amore… Ma questo, lo leggeremo nel prossimo romanzo.

Ha scritto di lui in un post il prof. Michele Feo il più grande petrarchista vicente: “pur essendo medico ama vivere nel passato dei suoi personaggi storici; pur essendo ateo ha i suoi migliori amici in patriarchi e sacerdoti di religioni pacifiche; ha speso soldi personali per restauri di chiese bizantine; ha visto suoi romanzi diventare fortunate fiction televisive; …un meridionale che ogni tanto mi manda pacchi e pacchetti di perfidi dolci calabresi nella speranza di uccidere di dolce morte l’amico diabetico; che ha scritto libri belli su uomini e donne calpestati della sua terra, su ribelli sfortunati, sul vento che stordisce gli uomini e sugli ulivi possenti e miti davanti ai quali si inchinano dolorosamente nella fatica lavoratori per i quali non c’è pietà; che tutti i giorni battaglia contro il malcostume del suo mondo”.

[Courtesy Prima Pagina News]