REGGIO DA SALVARE, MANCA LA VISIONE
UN PROMEMORIA PER IL FUTURO SINDACO

di PAOLO BOLANO – Umani unitevi: “mala tempora currunt sed peiora parantur”. Scusate, uso questa espressione latina perché mi pare che riassuma tutta la preoccupazione del tempo: “corrono brutti tempi ma se ne preparano di peggiori”.

Voglio chiarire che questo vale per la città Metropolitana di Reggio Calabria e per il mondo intero. C’è un disordine globale che compromette le democrazie mondiali. Si parla pochissimo  delle 52 guerre presenti nel mondo. Si parla poco delle “grandi ricchezze” responsabili delle miserie umane. E poi, ancora, nessuna democrazia mondiale è mai riuscita a produrre e distribuire equamente la ricchezza.

Questi sono seri problemi da affrontare. Bisogna provare a farlo. Possiamo aggiungere che nel mondo il potere economico stravince, però, quando il popolo si muove unito perde. Ergo . Tutto questo per dirvi che è giunto il momento in cui gli umani devono reagire. Certo oggi sono spaventati, non sono pronti ancora a respingere i nemici della democrazia che sono le “grandi ricchezze”.

Sono circa diecimila i super ricchi nel mondo e governano sette miliardi di cittadini. In Italia sono poche migliaia e governano su sessanta milioni di umani. Ma come si fa a sopportare ancora questo in una società democratica dove il popolo vota ed è libero di votare? La risposta è semplice: il popolo in questo momento dorme sonni tranquilli. Quando reagirà? Non vi ricordate quando eravamo tutti servi dei baroni, zitti e muti si lavorava venti ore al giorno per portare i frutti del lavoro al castello. Poi le cose cambiarono. Sono serviti secoli, oggi però la storia corre più velocemente. Chi vivrà, vedrà.

Certo, adesso siamo servi delle “grandi ricchezze”, al bar ci lamentiamo contro tizio e contro caio, contro qualche poveraccio disoccupato che fa politica per avere lo stipendio tutti i mesi. Non è questo il nostro principale nemico. È il nuovo potere economico che dobbiamo combattere. Però, ancora non siamo pronti tutti assieme a reagire contro questo potere. E cosi facendo il nostro destino lo stanno decidendo gli altri e noi  “cazzabubboli” lo accettiamo senza battere ciglio. Da sempre il denaro detta legge, chi ha il denaro oggi possiede  i mezzi di comunicazione che tutti i giorni martellano i cittadini per dimostrare che tutto va bene madame la marchesa, che tutti possono diventare ricchi come Musk, basta volerlo.

Bugiardi! E poi, questi mezzi di comunicazione targati” grandi ricchezze” si sforzano tutti i giorno a sostenere che “quelli di sinistra” sono brutti, sporchi e cattivi. Loro sono i buoni. “Lor signori” continuano a fare il loro sporco gioco sulle spalle degli umani. Cosi facevano sempre i baroni in altri tempi, cosi continuano a fare i “baroni di oggi” a tutte le latitudini.

Ma parliamo di Reggio Calabria, tanto questo è il nostro vero obiettivo. Tra un anno si vota. Bisogna cambiare musica e musicanti. Bisogna far rinascere una città morta, ultima in tutte le classifiche nazionali. I giovani continuano a emigrare, non c’è lavoro. È la musica di sempre che non cambia mai. Manca tutto per dire che la città è europea: le periferie sono abbandonate, si possono confrontare con alcune periferie africane, se poi vogliamo parlare di asili nido vediamo che Reggio Emilia, una città con gli stessi abitanti di Reggio Calabria ha 65 asili, La nostra città 3, dico tre. Vi pare Europa questa? Eppure ancora assistiamo a fenomeni assurdi per i tempi che viviamo.

C’è gente che ancora va in giro con le “bandierine” per promuovere il partito di tizio o di caio. Si sforza a dire: il mio candidato è il migliore, il mio partito è unico: votatelo. È lo stesso film visto e rivisto cento volte. Cosi facendo siamo arrivati in fondo al barile. Bisogna risalire la china. Come? Prima di mettere avanti le “bandierine” bisogna scrivere un vero programma, poi trovare una figura autorevole in grado di realizzarlo. Basta con i venditori di fumo, quelli che in questo momento hanno “potere” che gli deriva dal fatto che sono collegati al governo attuale e di passaggio aggiungo io. Finito questo periodo a Roma conteranno come il due di coppe quando la briscola e a denari.

Vogliamo gente capace in grado di traghettare la città verso l’Europa. Basta con i “carrialande” di turno. Bisogna parlare di fogne che in molte periferie non esistono, di periferie abbandonate, di trasporti, di acqua che non arriva nelle case, di strade, di spazzatura, di marciapiedi che non esistono, di teatri, biblioteche, centri culturali ecc. Bisogna interrogare questi signori chiedendo loro dove erano fino a oggi, perché non hanno fatto nulla per la città. Come è possibile che tutto a un tratto, si ergono a paladini della città.  Insomma, bisogna sognare e fare di Reggio una città del terzo millennio. Basta dire: “il mio candidato è migliore del tuo”, la mia “bandiera” sventola meglio se poi le cose restano come prima. Per decenni hanno governato centro destra e centro sinistra, i risultati si sono visti. Siamo ultimi in tutte le statistiche.

È giunta l’ora di cambiare registro. I problemi della città sono enormi, i cittadini tutti devono scendere in campo. Prendere le redini della città e portarla fuori dalla tempesta. Tutti assieme con un unico programma. Quando sostengo tutti assieme voglio indicare tutto quello che è rimasto della “Prima Repubblica”: partiti politici, sindacati, aggiungerei i cattolici, gli intellettuali, il popolo tutto, anche quello che oggi si è chiuso in casa e non vota perché non ha fiducia di nessuno. Bisogna convincere questi signori che è giunta l’ora di intervenire. Certo, serve un grande progetto per la città per farla diventare normale, come tutte le altre del Nord. Ecco perché dico che non serve una sola “bandierina” o un “cazzabubbolo”  di passaggio.

Serve la maggioranza del popolo per affrontare i difficili problemi e avere una città europea. Dopo, dico dopo, si tornerà a confrontarsi con i nuovi partiti, sarà un’altra sfida. Comunque, per me la cosa principale da sostenere oggi è quella di convincere “gli asserragliati” in casa che è giunta l’ora di uscire per fare grande la città.

Bisogna battersi e cancellare il vecchiume politico, quello che ancora usa metodi clientelari che noi reggini conosciamo bene e che in questi anni ha portato la città all’abbandono. Ripeto fino alla noia, per fare questo bisogna mettersi tutti assieme: impiegati, operai, nullatenenti, intellettuali, artigiani, commercianti, imprenditori, partiti sindacati ecc. La sveglia è già suonata. Usciamo tutti all’aperto e contiamoci, dobbiamo essere tutti. Non dobbiamo più dividerci con le bandierine, chi lo fa è in malafede. Oggi l’unione fa la forza. E la forza serve per contrastare anche la potenze delle “grandi ricchezze” che con i loro mezzi di comunicazione hanno avvelenato l’aria che respiriamo anche da noi in periferia. Oggi non possiamo più continuare a votare per incapaci e venditori di fumo. Basta! Basta! Svegliamoci.

Le “grandi ricchezze” con i loro “guardiani” vanno tenuti a debita distanza. Fino a oggi hanno fatto solo danni a Reggio, alla Calabria, al Mezzogiorno. Bisogna lavorare per risolvere i problemi della città abbandonata da anni dai politicanti. Ci sono molti problemi sul tappeto: lavoro, sanità, trasporti, servizi ecc. Anche noi calabresi comunque dobbiamo alzare lo sguardo e fermare il “nuovo autoritarismo” figlio secondo me delle “grandi ricchezze” che colpisce a livello mondiale. Serve una “chiamata alle armi” generale. Se il popolo non capirà in tempo sarà travolto e da dominatore tornerà a essere dominato.

Quindi a Reggio per le prossime elezioni comunali consiglierei a tutti di lavorare per un candidato unitario, il popolo e quel poco di politica rimasta devono decidere chi dovrà essere il sindaco di domani. Il mondo di domani dovrà vedere gli umani uniti a combattere le ingiustizie, le angherie e i soprusi, per un mondo pieno di giustizia sociale, dignità umana e uguaglianza. Dobbiamo stringerci assieme per fermare il “nuovo autoritarismo” già visibile. Ci sono anche i nomi: Trump e Musk impegnati a piegare il mondo degli umani al loro volere, ai loro progetti. Bisogna fermare questi nuovi potenti della terra.

L’autoritarismo di cui parliamo si compone di due elementi: uno è politico rappresentato da Trump e l’altro è tecnologico rappresentato da Musk. Attenzione! Questo potere non ha nulla di democratico. Anzi vuole abbattere la politica e la democrazia per i loro progetti autoritari. La  democrazia è un peso sostengono, bisogna cancellarla. E proprio qui che gli umani devono intervenire per fermare questi due potenti della terra, folli. Sostengono che la terra ormai è finita e bisogna prepararsi per il trasferimento su Marte. Oggi è una follia!

Ecco perché è importante che il popolo esca dal sonno profondo dove è precipitato in questi anni, non c’è più tempo da perdere, i nemici della democrazia sono agguerriti. Abbiamo capito bene che il neoliberismo si è sposato con la tecnologia. Un matrimonio di interesse per concentrare il potere in poche mani e continuare a governare il mondo degli umani in terra e nello spazio. Non serve il mago per “indovinare la ventura”.

Sappiamo bene che la prima mossa dei potenti intanto sarà respingere tutte le richieste degli umani che vogliono migliorare la loro condizione di vita. Poi, continuerà lo scippo delle materie prime nei paesi in via di sviluppo. Intanto la fame raggiungerà cifre record. Io sostengo che nei Paesi in via di sviluppo bisogna intervenire con investimenti per creare lavoro e benessere e non spingere più quelle popolazioni in cerca di lavoro verso l’Occidente oggi avvelenato da questi nuovi ricchi. Il popolo deve stare in guardia.

Le “grandi ricchezze” non dovranno più rifugiarsi nei paradisi fiscali per non pagare le tasse. Proprio le tasse dei ricchi servono oggi per migliorare il mondo. Loro fuggono. Avete capito quindi di che “nuovo autoritarismo” stiamo parlando? Di quello dei ricchissimi che sono in campo per moltiplicare ancora le loro fortune e per fermare il progresso. Dall’altra però c’è il popolo saggio che sostiene che uno Stato moderno fondato sul diritto e la Costituzione non può più permettersi tanta disparità tra gli umani, tanta povertà. La lotta come vedete sarà dura. Noi nei secoli abbiamo sempre assistito al primato della politica sull’economia. Oggi “lor signori” vogliono cambiare tutto, passare al primato dell’economia sulla politica. Una vera rivoluzione che già sta colpendo a morte l’umano. Questa nuova democrazia “illiberale” prende forza dal “potere tecnologico”.

È pronto il popolo a rispondere a questo progetto infernale? La politica ormai è destinata a lasciare campo libero alla finanza. Quella finanza che si è irrobustita con la globalizzazione. I guadagni realizzati sfruttando il terzo mondo venivano collocati nelle finanziarie e si moltiplicavano a dismisura. Nessun dollaro veniva investito per creare sviluppo e lavoro. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. La politica che doveva controllare in quegli anni era “distratta”, o, interessata anch’essa a chiudere gli occhi, forse qualche briciola cadeva nelle loro tasche. Comunque stiamo assistendo a un mondo che scivola verso governi autocratici, tecnocratici. Questo potere non si fonda più sul consenso popolare. Il popolo dorme ancora sonni tranquilli invece di scendere in piazza e fermare questa immane tragedia. Se continuerà cosi l’umano tornerà a essere plebe  come è stato per duemila anni.

Lavorare e stare zitti, senza diritti. Volete questo? Non mi pare. Allora serve un progetto popolare, con la partecipazione di tutti gli umani. Serve una “Alleanza democratica” per fermare i nuovi padroni del mondo. Dobbiamo bloccare il disegno di “lor signori” che colpisce a morte la democrazia. Democrazia nata in Grecia e nella Magna Grecia, praticamente nelle nostre contrade. Ecco perché bisogna reagire, scendere in piazza, uniti: popolo, senza partito, partiti politici, uomini di buona volontà, lavoratori, piccole imprese, operai, ceto medio, sindacati, associazioni, ecc. Assieme contro i nuovi padroni del mondo. Bisogna tornare e parlare la lingua della verità specialmente ai “non votanti” che sono più del 50 per cento degli elettori nel nostro paese. Parlare in nome del “Patriottismo istituzionale”.

Combattere il disegno strategico delle “grandi ricchezze” perché se andasse a segno colpirebbe a morte la nostra democrazia. L’umano fino a oggi si è sempre liberato di qualcosa che non va, la storia lo insegna. Liberarsi per creare il nuovo, una nuova società con al centro l’uomo e non il capitale. All’umano unito gli riesce sempre questo. Quando si divide perde. Per noi reggini quindi il compito è quello di svegliarci organizzarci e combattere i disegni infernali delle “grandi ricchezze”. Poi, dobbiamo liberarci presto di questa amministrazione comunale che ha fatto poco o niente in dieci anni di governo. In primis ha abbandonato le periferie della città e dei paesi che comprendono la città metropolitana. La nuova parola d’ordine è: rinascere. Vogliamo rinascere, raggiungere l’Europa, specchiarci nel Mediterraneo. Attenzione! Non vogliamo cadere dalla padella alla brace. Vogliamo costruire il nostro futuro guardando l’Africa che ci sta di fronte, con tutte le sue ricchezze del sottosuolo. Chiudo dicendo che il Mezzogiorno ha avuto a che fare con l’Islam, con molti paesi africani. Ricordate? In Calabria abbiamo avuto prima dell’anno Mille anche gli Emirati di: Tropea, Amantea e S. Severina. Qualcosa è rimasto nel nostro dna.

Forti di questo oggi possiamo avere un ruolo in Africa secondo me. Naturalmente conviene averlo come Europa. Secondo molti esperti di cose africane potremmo investire in agricoltura e in infrastrutture. Solo cosi potremmo contrastare l’egemonia della Cina che costruisce porti e investe nelle telecomunicazioni e sta invadendo l’Africa. Vedete, il progetto è serio e servono molti soldi che solo l’Europa può avere.

La nostra presenza in Africa può assicurare molte opportunità nel settore minerario e delle energie rinnovabili con nuovi mercati per le nostre imprese. Ergo. L’Europa trae vantaggi dalla politica di espansione in Africa dove ci sono risorse come il Cobalto, il Litio e le terre rare. Vi pare poco. Avanzo una mia proposta. Avanti, anche le regioni meridionali assieme possono provare a inserirsi in questi progetti per una svolta totale del Mezzogiorno.

Oggi per  affrontare le sfide di Trump e di Musk bisogna mettersi in cammino per ritrovare la fierezza e la dignità della nostra storia millenaria. Noi siamo democratici occidentali, siamo i padri della democrazia, vogliamo restare tali. Questo è il nostro sogno. Questo è il nostro nuovo progetto da costruire dal basso. Almeno proviamoci. (pab)

Fotografia da Facebook/Linkedin

SIBARI-CROTONE: COSÌ IN CALABRIA L’ALTA
VELOCITÀ È DIVENTATA “ALTRA” VELOCITÀ

di DOMENICO MAZZA – Gli annunciati ritardi relativi all’espletamento dei lavori di upgrading tecnologico ed elettrificazione del tronco ferroviario jonico, hanno generato una serie di mugugni nelle varie fazioni politiche e nel mondo della società civile. Certamente, il problema di posticipare la messa in funzione della linea ferrata da gennaio a giugno esiste e non rappresenta una questione di flebile entità.

Tuttavia, concentrarsi su ciò che riguarda la sola circostanza della mobilità ferroviaria, perdendo di vista la visione d’insieme, non gioca a favore del contesto jonico e non giova a creare i presupposti per uscire dal limbo dell’inconsistenza e dell’impalpabilità politica in cui l’ambito versa da diversi lustri.

Sia chiaro, il fatto che si parli e si consideri il contesto compreso tra Sibari e Crotone come un unico ambito pervaso da una serie di problematiche comuni è sicuramente un fatto positivo e comprova l’esistenza di un contesto territoriale caratterizzato dalle medesime difficoltà.

Spiace, tuttavia, constatare quanto strumentali siano la modalità utilizzate dalla politica per approcciarsi alle questioni che affliggono la Sibaritide e il Crotonese. Da un lato si riconosce l’omogeneità territoriale su una vicenda collaterale come quella della mobilità su ferro. Dall’altro ci si nasconde dal prendere posizioni chiare su un inquadramento politico-amministrativo di un’area a interesse comune, caratterizzata dalle medesime problematiche e associata dalle inespresse potenzialità.

Lavorare alacremente, quindi, alla creazione di un ambito vasto tra la Sibaritide e il Crotonese, con le città di Corigliano-Rossano e Crotone a guida di un nuovo contenitore amministrativo, dovrebbe rappresentare il minimo comune denominatore politico per uscire dal pantano della inconsistenza territoriale e aprirsi all’innovazione e allo sviluppo.

Ma sulla tematica di una ridefinizione degli ambiti provinciali calabresi, emergono le reali problematiche delle nostrane Classi Dirigenti: a Crotone la politica, ormai ben oltre il ciglio del baratro, è ostaggio del centralismo catanzarese, mentre nella Sibaritide il servilismo a Cosenza, ingiustificate manie di grandezza e gratuita spocchia verso il contesto Crotonese inibiscono a trovare soluzioni strategiche, prospettive di crescita e visioni d’insieme.

Proroga sui tempi di consegna della ferrovia jonica: le lacrime di coccodrillo di una classe politica spenta e senza visione

La dialettica politica, parte fondamentale del gioco democratico, si limita a fornire rabberciate linee d’indirizzo solo quando non è possibile farne a meno. Fa comodo, d’altronde, a un Establishment spento e senza visione strumentalizzare i ritardi sui tempi di consegna del tronco Sibari-Crotone, latitando però su tematiche più dirimenti che abbracciano tutta la narrazione del Crotonese e della Sibaritide come contesto unico, omogeneo e pervaso dalle medesime problematiche.

Ed è così che, relativamente il posticipo sui tempi di consegna dell’opera, le opposizioni all’attuale Governo nazionale, anche per un chiaro gioco delle parti, si scagliano a suon di note stampa contro l’avversa fazione politica. Tuttavia, non saprei se per malafede o per ignoranza, si dimentica che i lavori sulla jonica sono iniziati nel lontano 2019 con consegna prevista a fine ’22. Da allora si sono susseguiti ben tre Governi in Italia e altrettanti in Regione, eppure le tempistiche di consegna dell’opera si sono dilatate di oltre 2 anni. Di questo passo e con la flemmatica lentezza con cui si stanno eseguendo i lavori d’elettrificazione, probabilmente, la trazione elettrica sarà completata quando ormai il concetto di binario elettrificato sarà superato dal tempo e dai fatti. Ma tant’è.

Così come è paradossale che esponenti politici facciano a gara per riconoscere il danno inferto a tutto l’Arco Jonico del nord-est, salvo poi nascondersi quando tematiche di visione e prospettiva, accomunanti le omogeneità territoriali della Sibaritide e del Crotonese, dovrebbero tradursi in una rinnovata azione amministrativa. Un’operazione istituzionale, la richiamata, che creerebbe consapevolezza, generando un rinnovato potere politico per un territorio schiaffeggiato dai diktat posti dal centralismo storico.

Calabria: dove l’Alta Velocità si trasformata in “Altra Velocità”

Ancor più vergognosa la sterile strumentalizzazione che buona parte delle Classi Dirigenti fa sulla questione della futuribile linea AV in Calabria. Ormai, il dibattito sulla questione è sempre più simile a un teatrino che a una chiara dialettica politica sul tema. Si era partiti con la volontà di realizzare una nuova linea valliva per consentire a tutti i contesti geografici della Regione (Area tirrenica, Area jonica, Area interna) di poter fruire del servizio. Le prime avvisaglie di una progettualità farlocca si erano registrate già alla fine del ’23, quando l’ipotesi Praia-Tarsia (già meno funzionale della Lagonegro-Tarsia) con un colpo di spugna e senza uno studio di progetto era stata sostituita dalla Praia-Paola.

Quasi come se una linea AV potesse essere ricondotta a un semplice schizzo di matita su una mappa. Evidentemente, qualche menestrello prestato alla politica, con una conoscenza della geografia regionale pari a quella del giardino della propria abitazione, avrà pensato che un passaggio del tracciato lungo la tirrenica sarebbe stata un’impresa percorribile. Pertanto, l’idea di “Alta Velocità” in Calabria si sta trasformando sempre più in “Altra Velocità”, dove a procedere veloci saranno solo altri contesti, con buona pace per tutto l’Arco Jonico.

Le avverse condizioni climatiche degli ultimi giorni, credo, abbiano chiarito anche ai più possibilisti che immaginare una linea con caratteristiche AV da Praia verso Paola sarebbe mera utopia. Ma, anche in questo caso, la Politica jonica continua imperterrita nel gioco delle parti. Si accusa il Governo centrale di escludere il nord-est calabrese dalla futura mappatura della mobilità, salvo nascondersi quando si tratta di pensare ad un nuovo contenitore politico-amministrativo volto a inquadrare la Sibaritide e il Crotonese come ambito unico. Un territorio vasto che, rinfrancato da una rinnovata forza territoriale e demografica, sarebbe molto più semplice da rappresentare e da difendere

Inquadrare un nuovo paradigma politico in cui tradurre le polemiche in azioni concrete

Serve un’azione corale e una riflessione seria sull’opportunità di un’autonomia politico-amministrativa per tutto il contesto che da Capo Rizzuto lambisce la Lucania. L’idea di una nuova Provincia, rispondente ai canoni degli ambiti vasti e coordinata in maniera policentrica, potrebbe essere la scelta di successo per declinare un nuovo paradigma sul territorio in questione. Tuttavia, le trappole centraliste, in cui la Politica crotonese e quella sibarita sguazzano, paralizzano qualunque tentativo di pianificazione strategica e visione d’insieme. Il dibattito, ormai, si concentra su argomenti di bassa levatura, mentre per meri opportunismi politici si scansano questioni che potrebbero cambiare realmente la narrazione del territorio.

Bisogna cambiare registro!

Se realmente si crede nello sviluppo dell’Arco Jonico è necessario avviare una battaglia di dignità per ottenere infrastrutture moderne, autonomia politica e amministrativa. Ma, soprattutto, bisognerà che l’Establishment jonico si bagni d’umiltà e inizi a studiare il territorio oltre il semplicistico perimetro comunale e provinciale. Senza azioni forti e volte allo scardinamento dello status quo, si continuerà a vivere nel precariato e nell’immobilismo politico. In attesa, forse, di un avvenire e di una crescita territoriale che non arriveranno mai.

SVIMEZ: LA FUGA DEI CERVELLI VERA PIAGA
FORMAZIONE E LAVORO PER LA CRESCITA

Una politica industriale «attiva» passa anche per la formazione. Nel contesto della nuova globalizzazione, segnata da una maggiore intensità dei conflitti economici e commerciali, la riconfigurazione delle global supply chain fornisce nuove opportunità di sviluppo al Mezzogiorno. Si tratta di opportunità che possono essere colte solo se le politiche saranno in grado di valorizzare le sue competenze – spesso inutilizzate e in fuga verso altre aree – e di avviare una riconfigurazione del tessuto produttivo, in particolare di quelle aree di specializzazione già presenti in settori strategici nel raggiungimento dei target dell’autonomia europea.

Se la doppia transizione – energetica e digitale – e le riconfigurazioni produttive globali implicano la nascita di nuove filiere strategiche, il cambiamento strutturale investe anche in settori di specializzazione tradizionale, che rappresentano la struttura portante dell’economia italiana e meridionale. Risulta dunque indispensabile sviluppare una nuova politica industriale e accompagnare la transizione a partire dal tessuto produttivo esistente. In questo contesto, serviranno competenze avanzate da formare e la politica industriale deve farsene carico.

Quello formativo deve necessariamente rientrare tra gli obiettivi della politica industriale, specialmente se consideriamo che il fenomeno delle migrazioni intellettuali ha assunto proporzioni preoccupanti. La perdita di capitale umano qualificato è questione italiana, come testimonia il dato di 138 mila laureati che nell’ultimo decennio ha lasciato il Paese, che diviene vera emergenza nel Sud, dove all’emigrazione estera si somma quella interna verso le regioni del Centro-Nord.. Dal 2002 al 2022, circa 500mila laureati, di ogni età, si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord, con un saldo negativo che supera i 320mila laureati nell’area (-250mila i giovani laureati). Negli stessi anni, la quota di emigrati meridionali con elevate competenze (in possesso di laurea o titolo di studio superiore) è quasi quadruplicata, passando da circa il 10 al 35%.

Uno degli elementi di novità delle nuove migrazioni, oltre alle elevate competenze, riguarda la crescente quota della componente femminile. I dati sulle emigrazioni verso l’estero delle laureate italiane evidenziano un ancor più rilevante disallineamento tra le competenze acquisite dalle ragazze e la domanda di lavoro espressa su base nazionale. Complessivamente, nel periodo 2002-2022, hanno lasciato il Paese 82 mila laureate, 58 mila dal Centro-Nord e 24 mila dal Mezzogiorno, per una perdita di quasi 50 mila “talenti” femminili, al netto dei flussi in entrata di giovani laureate con cittadinanza italiana provenienti dall’estero.

Le migrazioni intellettuali da Sud a Nord sono alimentate anche dalle scelte di mobilità studentesca che spesso anticipano la scelta migratoria. Nell’ultimo quindicennio, la capacità degli atenei del Mezzogiorno di immatricolare studenti residenti nell’area è diminuita. Due studenti meridionali su dieci (20mila all’anno) si iscrivono a una triennale al Centro-Nord, quasi quattro su dieci (18mila all’anno) a una magistrale in un ateneo settentrionale. Per alcune regioni meridionali il tasso di uscita degli studenti magistrali è nettamente superiore: in Basilicata l’83% lascia la regione, il 74% in Molise, più del 50% in Abruzzo, Calabria e Puglia.

Tra il 2010 e il 2023, il sensibile aumento del numero di laureati meridionali si è realizzato esclusivamente grazie ai titoli conseguiti presso atenei del Centro-Nord (+40mila), mentre è addirittura diminuito il numero di laureati presso gli atenei meridionali. Un’evidenza che segnala da un lato la diminuita capacità degli atenei meridionali di trattenere studenti, dall’altro il continuo drenaggio di capitale umano che favorisce il Centro-Nord.

tuali ha assunto proporzioni preoccupanti e interessa soprattutto il Mezzogiorno. Dal 2002 al 2022, circa 500mila laureati, di ogni età, si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord, con un saldo negativo che supera i 320mila laureati nell’area (-250mila i giovani laureati). Negli stessi anni, la quota di emigrati meridionali con elevate competenze (in possesso di laurea o titolo di studio superiore) è quasi quadruplicata, passando da circa il 10 al 35%.

I dati sulle emigrazioni verso l’estero delle laureate italiane confermano un disallineamento tra le competenze acquisite dalla componente femminile e la domanda di lavoro espressa su base nazionale. Complessivamente, nel periodo 2002-2022, hanno lasciato il Paese 82 mila laureate, 58 mila dal Centro-Nord e 24 mila dal Mezzogiorno, per una perdita di quasi 50 mila “talenti” femminili, al netto dei flussi in entrata di giovani laureate con cittadinanza italiana provenienti dall’estero.

Le migrazioni intellettuali da Sud a Nord sono alimentate anche dalla mobilità studentesca. Nell’ultimo quindicennio la capacità degli atenei del Mezzogiorno di immatricolare studenti residenti nell’area è diminuita. Due studenti meridionali su dieci (20mila all’anno) si iscrivono a una triennale al Centro-Nord, quasi quattro su dieci (18mila all’anno) a una magistrale in un ateneo settentrionale. Per alcune regioni meridionali il tasso di uscita degli studenti magistrali è nettamente superiore: in Basilicata l’83% lascia la regione, il 74% in Molise, più del 50% in Abruzzo, Calabria e Puglia.

Tra il 2010 e il 2023, il sensibile aumento del numero di laureati meridionali si è realizzato esclusivamente grazie ai titoli conseguiti presso atenei del Centro-Nord (+40mila), mentre è addirittura diminuito il numero di laureati presso gli atenei meridionali. Un’evidenza che segnala da un lato la diminuita capacità degli atenei meridionali di trattenere studenti, dall’altro il continuo drenaggio di capitale umano che favorisce il Centro-Nord.

Rimane il nodo cruciale delle risorse ordinarie destinate all’Università che, in termini reali, sono diminuite dagli inizi degli anni Duemila. Nel 2024, con un taglio dell’Ffo di circa il 5%, si è interrotta la fase espansiva del finanziamento iniziata nel 2019 e protrattasi fino al post-pandemia. Una tendenza che penalizzerà prevalentemente gli atenei periferici e soprattutto quelli del Mezzogiorno, già in sofferenza per il calo demografico e per i meccanismi di funzionamento del Fondo.

Il Sud vanta una dotazione di competenze e conoscenze troppo spesso inutilizzate e in fuga verso altre aree. Si tratta di un potenziale fattore di attrazione degli investimenti che solo un disegno di politica industriale prospettico può tradurre in effettivo vantaggio localizzativo per nuove iniziative in ambiti produttivi che generano domanda di lavoro qualificato e meglio retribuito.

In questo quadro, rimane il nodo cruciale delle risorse ordinarie destinate all’Università che, in termini reali, sono diminuite dagli inizi degli anni Duemila. Nel 2024, con un taglio dell’Ffo di circa il 5%, si è interrotta la fase espansiva del finanziamento iniziata nel 2019 e protrattasi fino al post-pandemia. Una tendenza che penalizzerà prevalentemente gli atenei periferici e soprattutto quelli del Mezzogiorno, già in sofferenza per il calo demografico e per i meccanismi di funzionamento del Fondo.

Il Sud vanta dunque una dotazione di competenze e conoscenze troppo spesso inutilizzate e in fuga verso altre aree. Si tratta di un potenziale fattore di attrazione degli investimenti che solo un disegno di politica industriale prospettico può tradurre in effettivo vantaggio localizzativo per nuove iniziative in ambiti produttivi che generano domanda di lavoro qualificato e meglio retribuito.

La sfida della crescita del sistema produttivo si gioca oggi sull’innovazione e sulla capacità di sviluppare e valorizzare le competenze avanzate delle persone. Implementare politiche in grado di accompagnare le transizioni digitali ed ecologiche vuol dire anche integrare il sistema di istruzione terziaria professionalizzante a quello della politica industriale.

Il Paese ha intrapreso negli ultimi anni un percorso di rafforzamento dei percorsi alternativi ai tradizionali curricula accademici e maggiormente orientati a rispondere alla crescente domanda delle imprese di profili con elevata specializzazione tecnica (Its Academy e Lauree professionalizzanti). Il sistema Its si sta configurando in misura crescente come un valido strumento ma, nonostante la sua costante crescita in termini di iscrizioni e capacità di occupare i suoi diplomati, permangono alcune criticità.

Con l’attuale trend di crescita della domanda di competenze tecniche, ancora prevalentemente concentrata al Nord del Paese, il rafforzamento degli Its può contribuire ad arginare i deflussi già consistenti di capitale umano dalle regioni meridionali.

A fronte dei circa 7mila diplomati del sistema Its, nel 2022 le imprese esprimevano una domanda di profili professionali coerenti pari a circa 47mila unità. Un evidente disallineamento tra domanda e offerta indicativa di un gap che divide l’Italia da molti dei paesi tecnologicamente più avanzati. In Italia, la quota di immatricolati a percorsi di istruzione terziaria professionalizzante sul totale degli iscritti al ciclo di istruzione terziaria si fermava nel 2021 all’1,1%, a fronte di un valore medio tra i paesi che hanno istituito la formazione terziaria di ciclo breve del 7,8% e quote superiori al 20% in paesi come la Francia, Spagna e Germania.

I tassi di occupazione dei percorsi Its si attestano all’88% al Centro-Nord e all’82% al Mezzogiorno. Il tasso di abbandono dei percorsi Its al Centro-Nord è il 20%, mentre al Mezzogiorno è il 40% circa. Incidono su queste performance le differenti strutture dei sistemi produttivi locali e i differenti modelli di partecipazione alla governance degli Its a livello locale.

Il potenziamento degli Its potrebbe incrementare la presenza di imprese nel Mezzogiorno stimolando anche la domanda di lavoro qualificato che riguarda i laureati dei percorsi accademici. Una maggiore presenza di imprese al Mezzogiorno non solo ridurrebbe il costante deflusso di capitale umano di laureati da Sud a Nord, ma migliorerebbe anche i tassi di immatricolazioni dell’area in virtù delle migliori aspettative occupazionali. (Courtesy Svimez)

LOCRIDE, LA CHIESA ACCANTO AI SINDACI
PERCORSO DI COMUNITÀ DA FARE INSIEME

di MONS. FRANCESCO OLIVA – Carissimi, sento di dovervi ringraziare ancora una volta per l’incontro di saluto e di augurio in occasione del Santo Natale, ma ancor più per il lavoro che quotidianamente svolgete a favore di questa meravigliosa terra. In un contesto sociale delicato e difficile, con non pochi condizionamenti.

Ponendovi in prima linea nel lottare e ricercare le risorse necessarie per la vita e la cura delle nostre comunità.
Condivido le vostre sofferenze e l’impegno a conservare nei territori gli ultimi presidi di formazione (scuole e asili), di vita sociale (sportelli postali, bancari) e di altri servizi essenziali. Provando spesso un senso di frustrazione, quando agli sforzi compiuti non seguono i risultati sperati e quando la stessa comunità non coglie il valore dei vostri tanti sforzi compiuti. Spesso avvertendo un senso di solitudine.

Spendersi per la propria comunità e lavorare con passione è di per sé stesso un percorso che ripaga il vostro impegno. Senza lasciarsi coinvolgere nelle logiche partitiche e dei gruppi di potere che intendono ridurre tutto alla logica del proprio interesse e profitto. La vostra gioia sia sempre nel fare tutto per il bene comune, difendendo le comunità dall’arroganza di chi mette sempre al primo posto gli interessi personali. Camminate con lo sguardo attento sempre e solo ai bisogni della gente.

Apprezzo l’attenzione che prestate nella valorizzazione e custodia dei centri storici. Un patrimonio di arte, storia e cultura che va gelosamente custodito. Nonostante lo spopolamento. Sono le radici della nostra storia ed ogni edificio, castello, torre, piazzetta, vicolo, fontana, Chiesa racconta un vissuto che ci appartiene. Su di essi è bene investire risorse con eventi culturali, di folklore e di tradizioni.

Troppo spesso vi trovate a difendere il territorio comunale da attività che ne compromettono l’integrità. Penso all’abbandono dei rifiuti, al degrado degli spazi pubblici, all’inquinamento ambientale, agli incendi estivi, all’abusivismo edilizio ecc. La gente apprezza la buona amministrazione. Lo dimostrano la buona risposta nella raccolta differenziata dei rifiuti, tante spontanee iniziative di volontariato, la partecipazione alla vita sociale e civile di tante associazioni. Mi conforta anche – nel rispetto delle reciproche competenze – la collaborazione nei progetti di solidarietà della Caritas diocesana e della Caritas parrocchiali.

La Locride è una bella comunità con una sua identità e le sue tipicità, le sue problematiche e ferite, le sue prospettive di sviluppo e di crescita: esse vanno sempre considerate ed affrontate nella loro specificità. Non può mancare una visione d’insieme e una prospettiva di più ampio respiro, che esige il lavorare in rete. Conosco il vostro cammino e la storia dell’associazione dei Comuni della Locride e del Comitato dei Sindaci. Senza entrare nel merito delle problematiche emerse nel tempo, ho sempre pensato trattarsi di un’organizzazione rispondente alla legittima istanza di fare rete attorno a progetti comuni. Al di là di ogni interesse particolare o di logica localistica.

Sono preoccupato per le tensioni che si sono creati negli ultimi giorni e per il rischio di un generale sfaldamento, con conseguente perdita dei valori che l’avevano ispirata. È vero: ci possono essere fasi di stanchezza, la difficoltà del lavorare insieme. È sempre latente la tentazione di pensare che da soli si possa arrivare prima alla soluzione dei problemi. Ma isolandosi non si va lontano. Lavorando in rete si fa più fatica, ma crescono e si arricchiscono le possibilità di relazioni tra le persone, tra le comunità e gli stessi amministratori.

I problemi sono tanti e gravi: non ci si può dividere. Tra questi mi permetto di segnalare il fenomeno criminale che si alimenta col narcotraffico, l’usura, l’incremento esponenziale delle sale gioco. Le inchieste della Magistratura e delle Forze dell’ordine dimostrano la recrudescenza del fenomeno criminale. Occorre tanto impegno e collaborazione. Ognuno deve fare la propria parte. Sui problemi non ci si può permettere il lusso di dividersi. La responsabilità amministrativa impone coesione e coraggio, il sapere osare oltre le proprie visioni. Lavorare insieme è un bisogno dettato dall’amore per il proprio popolo.

In dialogo con alcuni di Voi pare imprescindibile un Patto per la Locride, ove si colgano e si affrontino insieme i problemi comuni più gravi. I problemi del vicino sono anche i miei problemi. Insieme si lotta per superarli. Insieme ci si sostiene. Insieme si cammina. Al di là degli schieramenti partitici. I problemi comuni sono tanti e non si possono affrontare in una prospettiva municipale. Una scelta sbagliata fa male a tutti. Sarebbe imprudente pensare di risolvere i problemi della “propria” comunità senza considerarli nel contesto più ampio. A tal fine non deve mancare il coraggio della verifica ed eventualmente la disponibilità per gli opportuni correttivi.

Il rinnovamento ed il cambiamento per il bene comune, facendo anche un passo indietro, non è resa, ma saggezza costruttiva e positiva.

Una cosa è certa: i problemi che interessano il nostro territorio, quello della viabilità (SS 106 in primis, collegamenti con i territori più interni e collinari, strada statale 682 Jonio-Tirreno), della rete ferroviaria, dello spopolamento dei centri storici, dell’amministrazione della sanità territoriale, della disoccupazione o dell’emigrazione giovanile, possono essere affrontati solo in una visione d’insieme. In una prospettiva che pone questa terra in una comunità più grande, per la quale molti dei suoi figli hanno versato il loro sangue, pagando di persona un’unità nazionale nella quale hanno fermamente creduto.

La Locride non può essere marginalizzata, terra di periferia penalizzata da uno sviluppo a più velocità. Molto dipende da quanti l’abitiamo, dall’amore che abbiamo per essa. E soprattutto dalla lungimiranza dei suoi amministratori che per amore verso la propria comunità devono mostrare tanto coraggio nel mettere da parte le proprie visioni ed eventuali progetti di fronte alle esigenze del bene più grande dell’intero territorio.

La Locride o cammina insieme o non va da nessuna parte! Occorre superare divergenze e divisioni, guardare con uno sguardo nuovo la realtà sociale e politica, che non è più quella di qualche decennio fa. “L’età del piombo” sembra essere passata. Ma non possiamo godere di una Locride che va spopolandosi, desertificandosi sempre più. I cambiamenti climatici si riflettono anche sulla nostra area. Se i giovani vanno via, se tante eccellenze locali emigrano, una ragione dev’esserci. Sono questi i problemi che c’interpellano, che interpellano giorno dopo giorno chi è chiamato ad amministrare.

Chiudo questa mia lettera, che spero non sia considerata invadente, con il richiamo di papa Francesco nell’enciclica “Laudato sì”: “Siamo tutti connessi!”.

Essere consapevoli di questa verità elementare sta alla base di ogni sana politica. Con la stessa consapevolezza sono con voi, soffro con voi, ma soprattutto cammino con voi. (fo)

[Mons. Francesco Oliva è vescovo della Diocesi di Locri-Gerace]

BISOGNA SPENDERE DAVVERO LE RISORSE
DISPONIBILI PER INFRASTRUTTURE AL SUD

di ERCOLE INCALZA – Pochi quotidiani hanno riportato una serie di notizie che, a mio avviso, aprono una nuova fase nei rapporti tra organo centrale ed organo locale, tra Stato e Regioni. La prima notizia è sfuggita anche agli schieramenti che oggi caratterizzano la attuale opposizione al Governo, mi riferisco in particolare alla assenza, nel Disegno di Legge di Stabilità 2025, di risorse in conto capitale per l’avvio di opere infrastrutturali ed il ricorso ad un articolo, in particolare l’articolo 120, sempre del Disegno di Legge, che riporto di seguito, in cui si precisa:

Nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un fondo da ripartire a favore delle Amministrazioni centrali dello Stato, per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, con una dotazione complessiva di 24.000 milioni di euro, di cui 3.500 milioni di euro per l’anno 2027, 2.000 milioni di euro per l’anno 2028, 1.000 milioni di euro per l’anno 2029 e 2.500 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2030 al 2036.

Il fondo di cui al comma 1 è destinato a interventi, anche già finanziati parzialmente, che presentino un cronoprogramma procedurale compatibile con il rispetto dei saldi di finanza pubblica, nei limiti delle risorse previste per ciascuna amministrazione dal suddetto allegato. I predetti decreti sono comunicati alle Commissioni parlamentari competenti e alla Corte dei conti. I decreti prevedono le modalità di monitoraggio sui sistemi informativi del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato degli interventi e il relativo Cup, nonché la disciplina della revoca in caso di mancato rispetto del cronoprogramma.

In questo articolo, ripeto, si assegna una dotazione complessiva di 24.000 milioni di euro, disponibile però a partire dal 2027 di cui 3.500 milioni di euro per l’anno 2027. Una norma che tra l’altro contrasta con il Decreto Legislativo 93/2016, sempre in vigore, che all’articolo 2, comma 2, precisa: Le amministrazioni centrali dello Stato possono assumere impegni nei limiti dell’intera somma indicata dalle leggi di cui al comma 1. I relativi pagamenti devono, comunque, essere contenuti nei limiti delle autorizzazioni annuali di bilancio.

Quindi questa forzatura non notata neppure, come detto prima, dalla forze di opposizione denuncia chiaramente la limitata disponibilità di risorse e la corretta azione del Ministro Giorgetti di non gravare ulteriormente sul debito pubblico.

Ma proprio questa emergenza che, insisto, forse ancora non capita, ha portato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a modificare, in modo sostanziale, il rapporto con le singole Regioni, in modo particolare con le Regioni del Mezzogiorno che utilizzano, per una quota dell’80%, le risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione. Risorse che hanno visto, proprio in queste ultime settimane, la sottoscrizione, tra la Presidente del Consiglio e i Presidenti delle Regioni, degli atti con cui verranno assegnate le relative risorse.

L’Accordo siglato con la Campania porta a compimento il percorso di assegnazione delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021-2027 pari a 6,5 miliardi di euro, quello con la Puglia porta ad un ammontare di 4,6 miliardi di euro, ecc.

In realtà sono le uniche risorse vere che garantiranno trasferimenti da parte dello Stato verso le varie realtà territoriali e questa ormai obbligata presa di coscienza ci porta purtroppo a constatare lo stato di avanzamento della spesa, proprio da parte delle varie Regioni, di tale Fondo.

Ebbene la Ragioneria Generale dello Stato, nel bollettino bimestrale sul monitoraggio delle politiche di coesione, ha comunicato la percentuale di pagamenti sul valore dei programmi: la percentuale è pari al 2,8% cioè 2,1 miliardi di euro su un totale di 75 miliardi.

Ricordo che il Programma è partito nel 2021, cioè quasi quattro anni fa e restano solo tre anni alla fine dell’arco temporale garantito dal Fondo. Cioè non abbiamo per niente letto attentamente la triste esperienza dell’utilizzo dei Fondi di Sviluppo e Coesione del periodo 2014 – 2020. Ancora oggi dopo la scadenza di tale Fondo nel 2022 (il Fondo scadeva nel 2020 ma prevedeva una proroga fino al 2020) siamo riusciti a spendere appena 33 miliardi di euro su 84,4 miliardi di euro.

Ebbene, la ormai misurabile carenza di risorse e la contestuale incapacità della spesa da parte delle Regioni ha portato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a dare vita ad una sorta di organismo di vigilanza. Fino ad oggi ai vari Presidenti delle Regioni bastava rispettare il pareggio di bilancio, dall’anno prossimo nella gestione della loro spesa dovranno rispondere ad una Commissione nata con un duplice obiettivo; Evitare gli sprechi, monitorare costantemente le politiche finanziarie delle Regioni per evitare che una loro cattiva gestione, una loro incapacità della spesa incrini la soglia dell’1,3 % di crescita della spesa primaria, soglia concordata dal Ministro Giorgetti con la Unione Europea ed inserita nel Piano Strutturale di Bilancio.

Concludo precisando che la ormai presa d’atto di una assenza di risorse senza dubbio ha portato il Governo ad invocare una norma che contrasta con provvedimenti già assunti in passato e, al tempo stesso, anche priva di adeguata concretezza, tuttavia questa apprezzabile coscienza ha portato, contestualmente, ad una lettura responsabile delle uniche risorse disponibili, cioè quelle del Fondo di Sviluppo e Coesione, e alla esigenza di imporre un codice comportamentale nuovo nei rapporti tra Stato e Regioni legato proprio alla capacità della spesa.

Bisogna dare atto alla Regione Campania ed alla Regione Calabria, già prima delle sottoscrizioni degli accordi tra Stato e Regioni sull’utilizzo di tali fondi, di avere, in modo organico e capillare, attivato le procedure necessarie per consentire un concreto e misurabile utilizzo delle risorse stesse.

Insisto: l’utilizzo delle risorse del Pnrr, anche con una possibile proroga, non assicurano una rilevante copertura delle esigenze avanzate dalle Regioni e quindi l’unico vero riferimento finanziario rimane il Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027, un Fondo che ci dà un respiro finanziario certo nel prossimo biennio di 29,3 miliardi di euro; evitiamo di ripetere la triste esperienza vissuta nell’utilizzo del Fondo 2014 – 2020. (ei)

LA SESTA PROVINCIA OPPURE AREA VASTA?
PER L’ARCO JONICO L’IDEA MAGNA GRAECIA

di DOMENICO MAZZA Il dibattito sulla istituzione della sesta Provincia calabrese, in un ambiente regionale già dilaniato da un’emorragia demografica inarrestabile, la dice lunga sulla qualità delle idee messe in campo dalle locali Classi Dirigenti. Una Regione, la Calabria, in cui l’attuale numero degli Enti di secondo livello appare quasi al limite del grottesco. Con una popolazione complessiva pari a meno della metà rispetto la sola Area Metropolitana partenopea, il numero di 5 Province risulta fuori luogo e totalmente inappropriato considerata l’esigua composizione demografica del tessuto regionale. Si preferisce, quindi, sponsorizzare ulteriori inutili parcellizzazioni territoriali, piuttosto che pensare a soluzioni efficaci e volte alla creazione di ambiti ottimali. 

Amministratori e notabili, appaiono chiusi su posizioni antistoriche e irrispettose dei principi geografici della omogeneità territoriale nella creazione degli ambiti vasti. Si circoscrive un pensiero di decentramento amministrativo a un’area piccola e scarsamente rappresentativa dal punto di vista demografico, dimenticando che ogni eventuale azione di autonomia istituzionale andrebbe inquadrata nel contesto della Regione tutta, ancor prima che della Provincia di Cosenza.

Ed è così che, disconoscendo probabilmente il passare del tempo, le Classi Dirigenti dello Jonio si abbarbicano su idee tramontate da un quarto di secolo ed eclissate dalla storia. Proposte, oltretutto, talmente impalpabili al punto che gli stessi ideatori annaspano nella identificazione di quale realtà urbana debba essere il Capoluogo della eventuale Provincia della Sibaritide o della Sibaritide-Pollino. 

Sibaritide e Sibaritide-Pollino: circoscritte proposte di una Classe politica spenta e povera di idee

Una cosa è certa: la dilagante miopia politica riesce a indicare, a distanza di oltre due decenni, quanto già ampiamente cassato dagli eventi.

Da un lato si guarda l’attuale foro di Castrovillari (Sibaritide-Pollino) quale alveo naturale per costituire una nuova Provincia. Lo stesso contesto territoriale, frutto di mistificazioni e magheggi, artatamente imbastito con la complicità di alti Funzionari di Stato. Vieppiù, già ampiamente bocciato dai fatti e che ha generato una serie di disservizi alle Popolazioni della bassa Sibaritide e della Sila Graeca come a buona parte dell’Avvocatura dell’ex foro di Rossano. Non è un mistero, infatti, che molti Giuristi abbiano appeso la toga al chiodo, optando di seguire percorsi diversi da quello forense.

D’altro canto, si propaganda una proposta ibernata più di 20 anni fa (Sibaritide) e dalla quale ci si guarda bene dal definire quale Città dovrebbe assurgere allo status di Capoluogo. D’altronde, talmente precaria e priva di un equilibrio concettuale, ancor prima che normativo, è la rabberciata proposta che promuovere una Città piuttosto che un’altra potrebbe significare far crollare come le tessere di un domino un’idea dai piedi d’argilla.

Omogeneità territoriale: il faro prospettico per una narrazione inclusiva e ottimale degli Enti intermedi

Rivoluzionario, al contrario, il concetto di partire da un’analisi complessiva del territorio calabrese, per delineare coerentemente il perimetro ottimale in cui inquadrare gli ambiti vasti e dalle omogenee peculiarità. In questo contesto nasce e si consolida l’idea Magna Graecia, non già nel semplicistico tentativo di creare ulteriori piccoli Enti inutili. Organismi decentrati, i richiamati, che, quand’anche venissero concessi, favorirebbero la parcellizzazione territoriale fine a sé stessa, ma senza quella autonomia politica necessaria a consentire lo slancio evolutivo per quei contesti geografici marginalizzati da deviate politiche centraliste. Ciò a cui l’Arco Jonico sibarita e crotoniate dovrebbe aspirare, invero, è la creazione di un ambiente geo-politico autonomo e indipendente nelle scelte. Inutile, se non dannoso, un rabberciato decentramento amministrativo circoscritto alla sola piccola Sibaritide che non determinerebbe alcun cambiamento nelle attuali linee guida della politica calabrese. Le stesse geometrie, cristallizzate sulla storica spartizione del potere politico regionale suddiviso a tre teste: quelle dei Capoluoghi storici. 

Parlare di omogeneità tra ambiti come la Sibaritide e il Crotonese è la cosa più naturale che ci sia. Agricoltura, marinerie, rigenerazione dei siti industriali, comune politica infrastrutturale, policentrismo amministrativo sono solo alcuni degli argomenti che già ampiamente giustificherebbero una visione politica comune. Al contrario, parlare di affinità tra contesti vallivi e aree di costa sarebbe come pensare di mettere insieme acqua e olio sperando in una loro miscelazione. Le economie che caratterizzano i contesti della val di Crati sono diverse se non opposte a quelle peculiarità tipiche dello Jonio. 

Qualcuno ricorda che la problematica relativa alla velocizzazione del binario jonico insieme all’ammodernamento della statale 106 sia stata una delle priorità del contesto vallivo della Calabria? Qualche luminare della politica ha memoria riguardo l’interesse delle Popolazioni dell’Esaro, del Pollino, della valle del Crati a opporsi alla realizzazione di abominevoli e violenti parchi eolici al largo delle coste joniche? 

Ecco, taluni archetipi per i quali bisognerebbe favorire la nascita di ambienti politici congeneri tra aree come quelle rivierasche e pedemontane afferenti all’alto e medio Jonio calabrese. Semplicemente, perché affrontare le affini problematiche con la forza dei numeri, potrebbe favorire azioni volte a sviluppare politiche risolutive ed efficaci. 

Abrogare atteggiamenti di chiusura mentale per aprirsi alla coesione territoriale tra aree a interesse comune 

In tutta l’area della Sibaritide è oltremodo sterile e pregiudizievole erigere barriere contro quei territori con i quali si condividono le medesime problematiche e le inespresse potenzialità. Atteggiamenti di chiusura mentale verso il contesto Crotonese non dimostrano lungimiranza politica. Semmai amplificano lo scollamento dalla realtà che buona parte  delle Classi Dirigenti della Sibaritide, a oggi, hanno ampiamente mostrato di detenere. Non si spiega altrimenti l’approccio microcefalico rivelato dall’Establishment sibarita verso i contesti posti oltre Cariati. Probabilmente, comportamenti storici di prona riverenza politica a Cosenza e dintorni hanno offuscano il pensiero, impedendone la lucidità. 

Quando l’embrionale idea di decentramento territoriale non si traduce in un processo di autonomia politica ancor prima che amministrativa, l’eventuale operazione si riduce alla creazione dell’ennesimo carrozzone politico. Utile, forse, a un’improvvisata Élite politica per raccogliere effimeri consensi elettorali, ma con la consapevolezza di non modificare in alcun modo i deviati equilibri che vogliono l’Arco Jonico essere l’ultimo territorio di una Regione già ultima in Italia. λ

(Comitato Magna Graecia)

IL DRAMMA DELLA SANITÀ E IL SILENZIO DI
OCCHIUTO IN UNA TERRA CHE GRIDA AIUTO

di GIANFRANCO TROTTA –Un nuovo anno si apre per la Calabria con l’incancrenirsi di piaghe su cui da tempo come Cgil abbiamo sollevato l’attenzione ottenendo risposte spesso scarne da parte della Regione.

Ci tocca purtroppo dovere notare che a parte la presenza al Capodanno di Reggio, il presidente Occhiuto non ha ritenuto di doversi muovere o di intervenire sui fatti altamente drammatici di San Giovanni in Fiore e non solo.

Nonostante le tragedie che da anni siamo costretti a vivere a causa della mancanza di medici a bordo delle ambulanze (ultima la morte a San Giovanni in Fiore di un 48enne), nonostante i tributi di sangue versati dai cittadini calabresi per le inadempienze del sistema sanitario, la carenza di personale, per liste d’attesa con tempi fuori da qualunque ragionevole e utile possibilità di intervento sia in ambito emergenziale che di prevenzione, nonostante tutto ciò si permette che l’Asp di Cosenza segni il passo con quattro posti letto a pagamento, mentre all’appello ne mancano nell’area circa 300.

La recente relazione annuale del garante regionale della Salute non ha fatto sconti e ha raccontato le percentuali drammatiche di carenze e falle che pesano come macigni sui cittadini e su un personale sanitario drammaticamente sotto numero. Eppure l’Asp di Vibo aveva anche paventato l’ipotesi di non rinnovare i contratti del personale infermieristico. Ci troviamo, insomma, di fronte ad un’angosciante epopea in cui si ha la sensazione che si scambino vicoli ciechi per vie d’uscita.

Bisogna, poi, puntare l’attenzione poi sulla mancata realizzazione della nuova linea ferroviaria ad Alta Velocità Salerno-Reggio Calabria, un progetto che sembra essersi eclissato dai programmi del governo e delle Ferrovie dello Stato.

Un investimento di oltre nove miliardi di euro, già finanziato, non può essere dimenticato – afferma Trotta – anche perché esiste uno studio di fattibilità elaborato di recente dalla stessa RFI e costato all’incirca 30 milioni di euro. La mancanza di chiarezza e la continua revisione dei programmi da parte del Governo non possono diventare un alibi per negare a una regione la possibilità di crescere.

Inoltre, la chimera dell’Alta Velocità si affianca ad un’autostrada con continui lavori e chiusure, difficoltà infrastrutturali e un territorio estremamente fragile dal punto di vista idrogeologico che non può contare su un adeguato sistema di manutenzione.

Due immagini rendono drammaticamente l’idea dell’immeritato grado di isolamento a cui la Calabria si sta convertendo. Da un lato l’alluvione nel Lametino dello scorso ottobre, frutto di una mancata manutenzione del territorio che già nel 2018 aveva mietuto tre vittime e il prolungarsi dei problemi di viabilità della località coinvolte. Dall’altro l’impennata dei prezzi delle tariffe aeree per la Calabria nel periodo natalizio che hanno costretto migliaia di lavoratori e studenti fuori sede a non potere rientrare nella loro terra. Tutto questo nel silenzio del presidente Occhiuto.

Ecco perché è necessaria una grande mobilitazione regionale, in continuità con le manifestazioni già avvenute nei territori, in cui rivendicheremo il diritto alla salute e alla cura all’interno di una sanità pubblica realmente accessibile e universale e quello di vivere nella propria terra senza abdicare al diritto a curarsi, alla prevenzione, all’assistenza. Presenteremo le nostre proposte e rivendicazioni perché non ci interessa costruire muri ma guardare al futuro! (gf)

[Gianfranco Trotta è segretario generale Cgil Calabria]

ALTA VELOCITÀ, LE RISORSE NON MANCANO
È NECESSARIA CHIAREZZA SUL TRACCIATO

di NINO MALLAMACILa Calabria, per la collocazione geografica e la peculiare morfologia del suo territorio, è più un’isola che una penisola, caratterizzata perciò da una marginalità che solo vie di comunicazione moderne e veloci possono abbattere. Iritardi nella progettazione sono non di rado causa di slittamenti dei finanziamenti e quindi della realizzazione delle opere.

Francesco Russo, professore ordinario di ingegneria dei trasporti presso l’Università Mediterranea, da noi interpellato, allarga il discorso alla politica – di qualsiasi schieramento, precisa – che dimostra scarso interesse alla pianificazione e quindi alla progettazione. Secondo lui, inoltre, si dovrebbe rivedere tutto il piano per l’alta velocità e le linee ferroviarie calabresi in generale.Mancano i progetti. La soluzione potrebbe venire dalla Regione, che dovrebbe supportare la loro redazione. Dirò una cosa che può apparire strana: l’unica cosa che non manca in Italia sono i fondi, principalmente per investimenti e infrastrutture, perché arrivano dall’Europa e dallo Stato.

– Quindi, nonostante il ponte sullo Stretto dreni molte risorse ci sarebbero i fondi per fare altro?

«Ne sono convinto, quello che manca sono i progetti».

– Come si risolve questo problema? Dovrebbe entrare in campo la Regione?

«La Regione deve prendere in mano la partita, così come è stato fatto, ad esempio, nel 2017, quando bisognava realizzare le banchine lato est nel porto diGioia Tauro, i cui lavori sono stati completati quest’estate. La questione da affrontare è quella della progettazione. Se non si hanno i progetti completi non si fa niente».

– Ma perché non ci sono i progetti?Supponiamo che per un progetto per l’alta velocità occorrano 1, 2 o 3 anni; per reperire le risorse altri 3; per realizzare l’opera ulteriori 10. In sostanza, l’opera programmata sarà pronta, se tutto va bene, in 15 anni. Oggi la politica, senza distinzione di schieramenti, è fatta purtroppo di informazioni fast food, di cose da portare all’incasso subito in termini di pubblicità, immagine. Uninfrastruttura che richiede 15 anni non porta lustro a nessuno. Su questa impostazione la società civile, i giornali, i cittadini si devono impegnare per fare presente che è cruciale, ad esempio, fare un’alta velocità che vada fino a Metaponto e poi a Sibari, perché è l’unico modo per salvare la Calabria. Giornali, Università, scuole, circoli culturali dovrebbero pretendere un‘azione politica con una lettura strategica: oltre al fast food dell’oggi va guardata la prospettiva, il futuro».

– Torniamo all’alta velocità in Calabria. Un problema è quello del tracciato.

«L’attuale proposta di tracciato presenta un problema enorme che io definisco “di doppio curvone”. La linea da Salerno punta verso est fino a Romagnano e poi torna a Praia a Mare. Il tragitto deve invece essere dritto, da Battipaglia a Praia a Mare».

Perché è stata operata questa scelta?

«La Battipaglia – Romagnano è sulla linea Battipaglia Cosenza, ed è giusto, così com’è giusto che venga realizzata la Potenza – Metaponto perché la Basilicata ela Puglia lato jonico devono essere collegate. Ma, come ho più volte detto, la Battipaglia Romagnano Potenza Metaponto non basta: va collegata anche la piana di Sibari. così la linea jonica dell’alta velocità sarebbe Battipaglia – Romagnano Potenza – Metaponto Sibari. La tirrenica, invece, andrebbe da Battipaglia direttamente a Praia a Mare, per poi proseguire per Lamezia, Vibo e Reggio, non virare verso Romagnano per poi tornare sulla costa tirrenica».

– Si allunga anche il percorso invece di accorciarlo!

«Pensiamo semplicemente al teorema di Pitagora: ci sono i 2 cateti, uno Battipaglia Romagnano e l’altro Romagnano Praia.L’ipotenusa è sempre più corta, quindi va realizzato il percorso dritto Battipaglia – Praia a Mare, non tutto il gran giro cui hanno pensato. Tutto ha un senso se alpercorso tirrenico si affianca l’alta velocità fino a Sibari. A questo punto avremmo Sibari testata alta velocità ionica, Reggio con Villa testata alta velocità tirrenica.Ora è stato ripreso un progetto che avevamo (giunta Oliverio, con Russo assessore ai trasporti, n.d.r.) posto in campo nel 2017 per l’elettrificazione della ferrovia jonica. Con l’elettrificazione della jonica e l’alta velocità fino a Sibari si può partire con frecciargento da Crotone…».

–… e una volta a Sibari si passo dall’altra parte, sulla tirrenica, e si arriva a Roma.

Esatto: Sibari Metaponto Potenza Salerno Napoli Roma, in 3 ore. Inoltre, per il 2030 è previsto il completamento della nuova galleria Santomarco (Paola Cosenza)che sbuca 3 km a nord dell’Università di Arcavacata. Siccome da Cosenza a Sibari la linea ferroviaria è nuovissima si collega rapidamente Paola con Sibari. Da Cosenza si può andare a Sibari oppure a Paola, quindi Cosenza si trova al centro di tutta la partita. Andando giù, si sta sistemando la Catanzaro Lido Lamezia. Quindi avremmo un sistema che per i prossimi 100 anni porterebbe in Calabria sviluppo lavoro occupazione.

– Importantissimo questo collegamento, perché per la nostra regione uno dei problemi di sempre è stato quello dell’attraversamento da una costa all’altra, dal Tirreno allo Jonio e viceversa.

«Però se, in questo momento, si passa da Lamezia a Catanzaro Lido, ci si trova il nulla. Se invece si avesse tutta la linea jonica elettrificata, si arriverebbe a Crotone rapidamente e, se fosse accettata l’idea di fare arrivare l’Av fino a Sibari, in 3 ore a Roma».

– Quale sarebbe l’impatto dell’Av sull’economia?

«L‘Italia del nord ha un sistema poderoso di alta velocità. Lì ha prodotto un incremento differenziale di Pil dell’1 %. La Calabria negli ultimi 10 anni ha viaggiato in media con un incremento annuo dello 0,6/0,7 di PIL. Significa quindi più del raddoppio del Pil della Calabria, il che cambierebbe la storia della regione, il modo di percepirla in Europa e nel mondo. Penso ai piccoli artigiani e commercianti, ai professionisti, ai piccoli industriali, a tutta l’economia importante e di qualità che abbiamo. Si rende conto che significa arrivare in Calabria, arrivare a Sibari da Roma in meno di 3 ore?».

– Significa proprio abbattere la marginalità della Calabria.

«Penso a Sibari perché è una delle aree produttive più importanti della Calabria per l’agricoltura, l’industria, il meccanico leggero. Non a caso Baker Hughes ha pensato a Corigliano. C’è tutto un territorio di piccole imprese meccaniche e metalmeccaniche di grandissima qualità. A parte la storia, la cultura, l’archeologia. Quella zona può esplodere e diventare locomotiva per tutta la Calabria. Per questo, come ho sempre difeso la linea Av tirrenica, allo stesso modo dico facciamo la linea ionica…».

– Perché sarebbe fondamentale per collegare tutta quella zona con le aree produttive del Paese.

«Dobbiamo tutelare gli interessi di tutta la Calabria: della piana di Lamezia, della Locride, costruendo modelli di accessibilità per garantire un futuro non legato all’assistenza. Il futuro lo cambiamo con l’inserimento nei grandi sistemi economici nazionali. Se da Sibari a Roma ci si impiega meno di 3 ore si cambia la storia della Calabria. Allo stato insomma il collegamento non esiste proprio. L‘unica cosa poco più decente che abbiamo è il treno (una scelta della giunta Oliverio) che parte da Sibari e va a Bolzano. Ma sempre via Cosenza e Paola.Se invece si fa arrivare l’A.V. a Sibari, in meno di 3 ore si arriva a Roma. Così facendo, inoltre, con i due tratti che, partendo da Metaponto, vanno a Sibari e a Taranto, si integrano i porti di Corigliano e Taranto».

– Lei ci ha detto che il padre di tutti i problemi è la carenza nella progettazione. Ma noi abbiamo anche fior di università che sfornano professionalità che poi vanno a operare altrove. Daremmo quindi anche un’occasione di lavoro gratificante e di qualità a questi calabresi.

«La Calabria ha la possibilità di fare tutto quello che vuole, ha qualità formidabili. Pensi che ci sono ragazzi calabresi professori ordinari di Trasporti nelle più importanti università fuori regione. A Roma Tor Vergata, per esempio, sono tutti ragazzi calabresi che hanno vinto i concorsi più difficili».

Insomma, ancora una volta, grazie in questo caso al professore Russo, abbiamo l’opportunità di saggiare le potenzialità di questa nostra regione. Quando giungerà il tempo in cui la Calabria sarà capace di tradurle in realtà? Una domanda che fluttua nell’aria e rimane senza risposta. (nm)

LEGGE DI BILANCIO 2025, C’È UN GRANDE
ASSSENTE: NON SI PARLA DI MEZZOGIORNO

di ERCOLE INCALZA – Leggendo il Disegno di Legge di Stabilità 2025 nasce spontaneo un interrogativo: e il Mezzogiorno? Cioè quali siano o quali possano essere le risorse che il Governo intenda assegnare, sotto varie forme (in conto esercizio e in conto capitale) alla infrastrutturazione del Sud?

Io, in modo forse ripetitivo, ricordo sempre che la legge 27 febbraio 2017, n. 18, dispone che la quota delle risorse ordinarie delle spese in conto capitale a favore delle otto regioni del Mezzogiorno non sia inferiore al 34% del totale nazionale. Quest’ultimo valore non è casuale, in quanto è analogo al peso che la popolazione del Meridione ha sull’intero aggregato nazionale. Inoltre nella legge Finanziaria del 2005, era stato precisato che le Amministrazioni centrali si dovevano conformare all’obiettivo di destinare al Mezzogiorno almeno il 30% della spesa ordinaria in conto capitale.

Ma dal 2018 al 2022, se andiamo a leggere le dichiarazioni di Ministri del Mezzogiorno come Barbara Lezzi o Giuseppe Provenzano o Mara Carfagna e di Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti come Danilo Toninelli o Paola De Micheli o Enrico Giovannini, scopriamo che era davvero scandaloso assegnare solo il 34%; una percentuale ridicola che non avrebbe mai incrinato il gap tra Sud e resto del Paese; almeno bisognava assegnare il 50% e il Ministro Giovannini dichiarò, addirittura, la soglia del 60%.

Appare evidente che allo stato attuale le risorse assegnate per interventi infrastrutturali rilevanti, sì per le cosiddette “opere strategiche”, nel Mezzogiorno dal 2015 ad oggi non superano, come preciserò dopo, il 6,5% del valore globale degli interventi infrastrutturali del Paese.

Ritengo opportuno precisare che in tale analisi non ho ritenuto opportuno inserire le risorse destinate al Ponte sullo Stretto di Messina perché non ho, in tale indagine, inserito gli interventi relativi al nuovo valico Torino – Lione, al Terzo Valico dei Giovi ed al Brennero; infatti ho sempre ritenuto questi quattro interventi come scelte mirate a realizzare i quattro anelli mancanti in grado di integrare il nostro impianto trasportistico con l’intero impianto comunitario.

Per questo motivo le opere infrastrutturali ubicate nel Mezzogiorno per le quali ci sono apposite risorse e sono in corso iniziative progettuali e realizzative sono: Un primo lotto dell’asse ferroviario ad alta velocità – alta capacità Salerno – Reggio Calabria per un importo di circa 2,2 miliardi di euro; Il collegamento ad alta velocità – alta capacità Napoli – Bari per un importo di circa 5,8 miliardi di euro; Alcuni lotti funzionali degli assi ad alta velocità – alta capacità Palermo – Messina e Messina – Catania per un valore globale di circa 3,8 miliardi di euro; Alcuni lotti (uno in costruzione altri in fase di appalto) della Strada Statale 106 Jonica che collega Taranto con Reggio Calabria per un valore globale di 4,3 miliardi di euro; Alcuni lotti dell’asse viario Palermo – Agrigento – Caltanissetta per un valore globale di circa 700 milioni di euro; Asse ferroviario ad alta velocità Taranto – Potenza – Battipaglia per un valore di circa 500 milioni di euro; Reti metropolitane e ferroviarie urbane di Napoli, Palermo e Catania per un valore globale di circa 900 milioni di euro.

Il valore globale di queste assegnazioni si attesta su un valore di 18,2 miliardi di euro e tutte sono opere previste nel Programma delle Infrastrutture Strategiche della Legge Obiettivo, opere che fino al 2022, escluso l’asse ad alta velocità Napoli – Bari, erano praticamente rimaste bloccate per scelta dei Governi Renzi, Gentiloni, Conte 1 e 2 e Draghi. Il valore del Programma della Legge Obiettivo era pari a circa 277 miliardi di euro (valore questo che non tiene conto, come detto prima, del valore dei valichi e del Ponte sullo Stretto) per cui i 18,3 miliardi di euro rappresentano appena il 6,5%.

Ma questa mia denuncia è davvero ridicola perché basata sulla logica delle risorse assegnate al Sud, una logica che, purtroppo, dopo molto tempo, ho capito che è solo un atto mediatico utile per testimoniare la esistenza di una volontà che si è trasformata in atti concreti solo con la Legge Obiettivo, dopo, invece, è rimasta solo una dichiarazione di buone intenzioni.

Pochi mesi fa ho fatto presente, in alcune mie note, che forse l’attuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) possono essere invece una prima misurabile occasione per uscire da questo equivoco e, soprattutto, un simile approccio ci farebbe scoprire che sarebbe necessario disporre per azioni infrastrutturali e servizi al Sud pari ad un valore di circa 14 miliardi di euro all’anno per un arco temporale di almeno dieci anni.

In realtà, quindi, la misura di un vero cambiamento dell’azione del  Governo nei confronti del Mezzogiorno non dovremmo più misurarla solo con queste percentuali inutili sul valore globale degli investimenti ma dovremmo convincerci, una volta per tutte, che l’unico modo per tentare di abbattere il gap del Sud nei confronti del Centro Nord, l’unico modo per evitare che il reddito pro capite medio si attesti sempre su un valore di 21 mila euro contro i 40 mila del Nord, l’unico modo per riconoscere al Mezzogiorno il suo ruolo chiave nel contesto nazionale e comunitario, l’unico modo per non rimanere, all’interno della Unione Europea, insieme alla Germania dell’Est la realtà economica incapace di crescere, l’unico modo è solo legato ad una azione organica nella omogenizzazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni.

Una azione che deve essere caratterizzata da iniziative non solo infrastrutturali ma anche in interventi capillari sulla miriade di servizi offerti: da quelli sul trasporto pubblico locale a quelli relativi alla offerta dei servizi sanitari e scolastici, ecc.

Ed allora, non avendo trovato risorse in conto capitale nel Disegno di Legge di Stabilità 2025 ho cercato quante risorse fossero state previste per l’attuazione dei Lep e non ho trovato alcuna risorsa e questa dimenticanza mi ha davvero preoccupato.

Addirittura ho pensato che il Governo speri, il prossimo 12 novembre, in una bocciatura, da parte della Consulta, della Legge n.86 del 26 giugno 2024 relativa all’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione. Sì è l’unico modo per evitare che una norma aggravi ulteriormente le sorti del Sud soprattutto perché, non disponendo il Governo di risorse, provocherebbe solo un rischioso conflitto non solo tra le Regioni del Sud e quelle del resto del Paese ma, addirittura, tra le stesse Regioni del Mezzogiorno. Mi spiace ma questo è uno dei primi passi falsi dell’attuale Governo. (ei)

OCCHIUTO, SANITÀ IRRISOLTA IN REGIONE
OPPOSIZIONE FIACCA E NUOVI GATTOPARDI

di SANTO GIOFFRÈ  – Al punto nefasto in cui è stata buttata la Calabria, dove il tragicomico è il tratto dominante dell’andazzo, è da pidocchiosi tacere. Partiamo da Occhiuto e dalla sua maggioranza che da 6 anni governa la Calabria. L’ultimo trionfo attraverso cui il Governatore è giunto in quel posto, più che merito suo, è stato per l’inconsistenza di chi diceva di essere, sempre, altro diviso in tre: un coacervo di niente, allegrotti partenopei in weekend nel blu mare calabro, dispersi nel deserto. Una passeggiata per Occhiuto che, da subito, individua nella sanità il facile strumento del buon e redditizio governo del consenso. Chiede e ottiene poteri assoluti, in quel campo, da Draghi, il peggiore governante di tutti perché cinico e bancario. Solo che Occhiuto, quando va a mescere dentro il ritenuto ricco carniere della Sanità calabra, non solo perde il cucchiaio ma ci rimette, pure, il braccio. In Calabria, l’assistenza sanitaria, come servizio da fornire alla gran parte dei Calabresi, non esiste più (Rapporto Gimbe, The Lancet, tele Meloni…).

Nella fornitura dei servizi ai cittadini, però! In altri compartimenti dello stesso settore, il grasso cola ancora. Eccome se cola! Tanto che viene istituita l’Azienda Zero, per regimentare e governate questo grasso, mentre l’osso rimane alle Asp e, contemporaneamente, per accompagnare al meglio le azioni del governo, l’idea e la messa in orbita di un apparato mediatico di diffusione della notizia tale da far apparire i tramonti come radiose Aurore, così care a Eos dalle mani colorate. Tenendo conto che non ci sono più medici, in Calabria, e che non ce ne saranno mai più, a causa dei disastri causati dal Piano di Rientro, mai voluto risolvere, unico caso in Italia, perché risolverlo avrebbe comportato la fine dei ventennali, tranquilli saccheggi di danaro pubblico, stimo io, di ben 3 miliari dal 2000 fin ora, da parte di un protetto sistema criminale che delle dinamiche di quel Piano ne gestisce e controlla le fasi ed ne esercita il dominio assoluto, qualche conto incomincia a non tornare.

D’altronde, fin dal 2009, il Governo, con complicità in loco, ci tratta non come persone, ma alla stregua di numeri. Occhiuto, allora, inizia una serie di manovre di contenimento. La prima, intuendo l’imminente collasso del sistema, che lo esporrebbe a gravi rischi, visto il ruolo preteso e ottenuto, fa arrivare ben 343 medici dalla Repubblica Comunista di Cuba, validissimi Professionisti, lui anti-comunista da sempre, da usare come tampone nelle postazioni più sensibili: PS, emergenza/urgenza a tempo determinato e, cioè, fino alla fine del suo mandato, calmierando, così e momentaneamente, le cose. La seconda cosa, dicevo, è l’Azienda Zero; la terza, la messa in opera di una poderosa campagna, da parte delle Asp, di transazioni, principalmente con BFF, con finalità di pagare i debiti della sanità, senza, però, fare una ricostruzione rigorosa della storia delle fatture, col rischio che il debito, attraverso titoli di riconoscimento del credito, conservati in casseforti o in tasche sicure, possa ripresentarsi negli anni che verranno.

In questa operazione, è stato aiutato dal Governo con una strana legge di contabilità unica in Europa. Dire che su queste cose c’è un’inchiesta della Procura di Milano, in atto, non m’interessa proprio, perché io parlo di politica. Forse, visto il suo prestigio, al suo governo, invece delle favole, avrebbe potuto suggerire, conoscendo lo stato dell’arte e dell’abisso in cui sono precipitati i parametri vitali della Regione, di fare 2+2. Dopo aver dato ben 15 miliardi per un’opera devastante e inutile, il Ponte sullo Stretto, di ritornarci altrettanti miliardi, a noi sottratti tra ruberie e trasferimenti di risorse al Nord per curarci, al fine di poter reperire medici, invogliandoli a venire in Calabria. Parlo, per capirci, delle materie non LEP, quelle che il Nord userà per abbuffarsi di servizi e oltre, con i nostri soldi e che Occhiuto, da vice-presidente di FI, gli ha concesso, mentre ai calabri vendeva la storiella dell’essere il tosto, feroce oppositore di ciò che lui stesso ha concesso al Nord, votando, con cognizione e volontà, la legge sull’Autonomia Differenziata.

Ma non solo… Ad ogni disastro sanitario che accade in Calabria, la potente macchina mediatica, con abilità che va riconosciuta, racconta altro: di aeroporti pieni (e ferrovie abbandonate), di strade favolose, di spettacoli strepitosi di fine anno, di fiere roboanti dove l’agricoltura calabrese, si e no, compete, quasi con i ranchero texani per, poi, ritrovarla in pieno medioevo, di rigassificatori e bombe ecologiche a iosa, di finanziamenti per ogni dove, soprattutto ai consoni, di una Film Commission che tutto fa, meno che promuovere la filmografia paesaggistica calabra, come da statuto.

Solo che, però, la narrazione, di colpo, si è rotta: la gente incomincia a morire per mancanza di medici, posti letto, divisioni ospedaliere, autoambulanze, strade. Certo, bisogna pur dire che gran parte delle responsabilità sono dell’altra parte, la cosiddetta opposizione consiliare, partitica, sociale, che tace sempre, oltre qualche folkloristico, raro sussurro e grida e che ha sempre accompagnato l’agire di Occhiuto, dentro un silenzio ecclesiale.

Addirittura, arrivando a proporre leggi da lui, o dalla sua maggioranza, suggerite. Certo, qualcuno, come l’ottimo Antonio Lo Schiavo, ha cercato, in solitudine, di non essere inutile, portando avanti battaglie che tutti dovevano ed avevano l’obbligo di fare. Ora, all’avvicinarsi del formaggio, rivedo movimenti delle solite facce e faccendieri, piccoli Gattopardi, che pensano che non importa, tanto, perdere è bello. L’importante è che ci siano sempre loro ad auto-garantirsi per continuare a tradire il proprio mandato. Io, a costo di rimanere solo, con mizzicu, non starò zitto e sapete cosa vuol dire il mio non silenzio, per la miseria. (sg)