;
Calabria.Live quotidiano martedì 25 novembre 2025

Stop alla violenza sulle donne: serve una rivoluzione culturale

di ANNA COMI – Il 25 novembre, come ben sappiamo è la giornata contro la violenza maschile sulle donne e già questa denominazione è un invito alla riflessione. Se parliamo di violenza maschile e non semplicemente di violenza, è perché le parole contano: non sono mai neutre, dicono chi agisce e chi subisce, e ci obbligano a guardare in faccia la realtà.

Che la violenza sulle donne sia soprattutto una questione maschile ce lo ricorda l’indagine dell’Istat  pubblicata qualche giorno fa. L’indagine,  denominata “Sicurezza delle donne”, è uno strumento di rilevazione che, attraverso interviste rivolte a un campione rappresentativo di donne, permette di conoscere l’ammontare delle vittime della violenza maschile, includendo anche le esperienze subite e mai denunciate alle autorità (“sommerso della violenza”).

Secondo il report sono circa 6 milioni e 400mila (il 31,9%) le donne italiane dai 16 ai 75 anni di età che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita (a partire dai 16 anni di età). Il 18,8 ha subìto violenze fisiche e il 23,4% violenze sessuali; tra queste ultime, a subire stupri o tentati stupri sono il 5,7% delle donne.

La violenza contro le donne quindi non è – e non è mai stata – un “problema femminile”.

È una questione maschile, di potere, di linguaggi, di modelli educativi, di cultura profonda che attraversa le relazioni e il modo in cui la nostra società continua a rappresentare il ruolo di uomini e donne.

Proprio per questo, il cambiamento non può essere delegato esclusivamente alle donne, né può essere raccontato come un percorso individuale. È un cambiamento che riguarda soprattutto gli uomini di tutte le età: il loro modo di guardare alle relazioni, la capacità di riconoscere la violenza nelle sue forme più sottili, la responsabilità di costruire modelli diversi da quelli ereditati.

In questo senso tornano alla mente le parole pronunciate dal ministro Carlo Nordio: “La parità non è nel DNA dei maschi.”

Una frase che, oltre a essere scientificamente infondata, è politicamente pericolosa: come se la disuguaglianza fosse una caratteristica naturale e non il prodotto di secoli di cultura patriarcale.

Per noi è una lettura fuorviante, quasi una resa: la parità non appartiene al DNA, appartiene all’educazione, alle scelte collettive, alla responsabilità sociale.

Attribuire alla biologia ciò che nasce dalla cultura significa togliere agli uomini – e alla società – la possibilità e il dovere di cambiare.

La parità di genere continua ad essere una costruzione quotidiana, difficilissima, che richiede consapevolezza e responsabilità soprattutto da parte degli uomini.

La nostra storia italiana ce lo ricorda con forza.

Franca Viola, nel 1965, rifiutò il matrimonio riparatore dopo essere stata vittima di uno stupro. Quel rifiuto fu un gesto rivoluzionario, uno degli atti fondativi dell’Italia moderna. Ma pochi ricordano che Franca non fu lasciata sola: al suo fianco c’era suo padre, che si oppose alla famiglia del violentatore, alle pressioni sociali, scegliendo la dignità della figlia.

In un’Italia in cui lo stupro era considerato un delitto “contro la morale” e non contro la persona, la scelta di Franca Viola aprì la strada all’abolizione del matrimonio riparatore e – anni dopo – a una nuova consapevolezza sociale.

Quella vicenda ci dice una cosa fondamentale: per cambiare la cultura servono uomini che abbiano il coraggio di schierarsi.

Uomini che si assumano il peso del proprio ruolo nella trasformazione sociale.

Uomini che sappiano intervenire nelle relazioni, nei linguaggi, nei silenzi.

Uomini che riconoscano i privilegi che la cultura assegna loro e scelgano di usarli per smontare la violenza, non per perpetuarla.

Ogni 25 novembre ci ricordiamo che non basta indignarsi dopo un femminicidio.

Serve un lavoro quotidiano: nelle scuole, nelle famiglie, nelle istituzioni, nei luoghi di lavoro, nelle comunità.

Serve una rivoluzione culturale che sappia includere gli uomini come parte attiva, responsabile e consapevole.

Crediamo sia fondamentale educare all’affettività: per questo sosteniamo l’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva nelle scuole, come strumento di consapevolezza, rispetto e prevenzione della violenza di genere.

Come Quote Rosa, crediamo che questa rivoluzione sia possibile e che debba cominciare da un cambiamento dello sguardo, delle parole e dei modelli che lasciamo alle future generazioni. (ac)

(Presidente Associazione

culturale Quote rosa)