INDAGINI, IL LOGORAMENTO DI OCCHIUTO
IL PRESIDENTE ASPETTA L’ARCHIVIAZIONE

di SANTO STRATI – L’immagine del Presidente Occhiuto, rilanciata su Instagram, sorridente e rilassato, dopo l’interrogatorio richiesto e ottenuto dalla Procura sulle accuse di corruzione, non basta a nascondere i tanti affanni del Governatore. Travolto da una burrasca giudiziaria che – ci auguriamo e gli auguriamo – si risolverà in una bolla di sapone, Occhiuto in poche settimane ha perso tanti punti in reputazione (e sicuramente in serenità) a cui si affianca un lento e inarrestabile logoramento, che – decisamente – non merita.

Provate a chiedere in Calabria (ma anche negli ambienti che contano a Roma) un’opinione su Occhiuto Presidente e la risposta sarà pressoché unanime: uno dei migliori presidenti in 55 anni di regioni, “però…”. Ecco l’insidia del sospetto che si manifesta nella sua diabolica interezza in quel maledetto “però…”. Ovvero anche tra i suoi più sfegatati fans qualche turbamento emerge, pur nella netta convinzione dell’assoluta estraneità del Governatore in questo ulteriore pasticciaccio giudiziario che non solo turberebbe la tranquillità anche a un rinoceronte, ma ha provocato una spaventosa crisi di immagine per tutta la Calabria.

Premesso che ribadiamo la nostra personale stima a Occhiuto, più volte espressa su queste pagine, non possiamo non sottolineare alcuni “mostruosi” errori di comunicazione che, al contrario delle aspettative, si sono rivelati un boomerang negativo per il Governatore. Ma c’è qualcuno che consiglia mediaticamente il Presidente Occhiuto o fa – sbagliando – tutto da solo?

L’avviso di garanzia – sia ben chiaro – non è nessuna conferma di colpevolezza o, addirittura, una presumibile scontata condanna, bensì una comunicazione che la Giustizia sta indagando su di te. C’è una grande differenza tra indagato e accusato (in quest’ultimo caso lo si diventa in caso di rinvio a giudizio), ma ormai è invalsa l’abitudine, dai tempi di Tangentopoli (1992) di trasformare mediaticamente in “condanna” qualsiasi apertura di indagine. La mossa di Occhiuto di annunciare sui social l’apertura di un’indagine (per corruzione) sul suo conto non è servita ad attenuare la bomba mediatica che sarebbe comunque esplosa. Anzi, le due successive mosse, l’apparizione televisiva da Porro e una francamente deleteria conferenza stampa in Regione, hanno accentuato la pratica del sospetto. Si è rivelata una excusatio non petita che, come dicevano i latini, spesso diventa una accusatio manifesta. In buona sostanza, pare evidente che la difesa via social e attraverso i media non ha fatto che ampliare la portata dell’indagine accusatoria.

Certo, data la delicatezza del tema e la gravità delle accuse, sarebbe stato utile una maggiore previdenza mediatica da parte della Procura catanzarese: un’indagine sottotraccia, in attesa di riscontri obiettivi e prove inconfutabili, ma siamo abituati in Italia alla fuga di notizie e ai processi mediatici anticipati che portano a confondere e allarmare l’opinione pubblica. Quindi, Occhiuto ha pensato di anticipare i giornali a cui qualche gola profonda avrebbe rivelato l’apertura delle indagini, ma doveva fermarsi lì. Il processo mediatico (via tv e social, sostenuto poi da una certa stampa sempre meno credibile e autorevole) crea due opposte fazioni di innocentisti e colpevolisti, prim’ancora che siano formalizzate (e documentate) le accuse, con un risultato certo: l’indagato – in quanto tale – “qualcosa di certo ha fatto…”, immagina il popolino e nessuna sentenza (che purtroppo arriverà dopo anni di gogna mediatica e di vite e carriere politiche spesso distrutte) rimetterà le cose a posto. La “macchia”, ovvero il sospetto, resterà indelebile. In questo modo si rovina non solo la vita ma anche la reputazione del politico di turno.

E non mancano i sospetti della solita macchinazione politica volta a distruggere l’avversario (o l’”amico”) politico. La lentezza della giustizia nel nostro Paese non fa che accelerare il processo di un logoramento, spesso inarrestabile, che porta all’inevitabile disfatta del malcapitato di turno. Basta guardare indietro negli anni (l’ultimo clamore viene dalla sentenza su Rimborsopoli, con le assoluzioni “perché il fatto non sussiste” arrivate dopo anni di infamanti e infondate accuse) per osservare quante volte la Giustizia ha troncato promettenti o già avviate carriere politiche, per poi scoprire – molti anni dopo – l’insussistenza del benché minimo indizio, di una prova inoppugnabile del reato.

Con il sistema giudiziario italiano si è arrivati all’assurdità che è l’imputato che deve dimostrare la propria innocenza, quando invece dovrebbe essere la pubblica accusa a dimostrare la presunta colpevolezza (poi tocca ai giudici in giudizio stabilire la concretezza delle prove): in questo modo, soprattutto, nel mondo politico, tutti gli amministratori pubblici sono in costante “libertà vigilata” e sanno che dovranno dimostrare, in caso di accuse, la propria innocenza, anche e soprattutto in assenza di riscontri precisi di aver commesso illeciti.

Basta scorrere i precedenti delle assoluzioni  in Calabria, dopo anni di ludibrio politico: il presidente Mario Oliverio (a cui è stato addirittura impedito di andare alla Cittadella a esercitare le sue funzioni, in quanto costretto alla dimora obbligata nella sua casa a San Giovanni in Fiore) poi assolto senza alcuna scusa, o l’ex senatore Marco Siclari (“il fatto non sussiste”), assolto da infamanti e strampalate accuse, “bruciato” politicamente (era il più giovane senatore d’Italia) dopo l’ovvia gogna mediatica che non ammette errori giudiziari, e tanti altri ancora, vilipesi, feriti nell’orgoglio, distrutti fisicamente e politicamente da una giustizia “non giusta” perché troppo lenta a condannare o assolvere. Chiamiamole cantonate giudiziarie (anche i magistrati sbagliano, ci mancherebbe), ma non sono più tollerabili, ormai, i i tempi di ripristino della verità cui costringe un’inchiesta giudiziaria.

Occhiuto all’uscita dell’interrogatorio (da lui richiesto e concesso dalla procura) ha detto di confidare in una celere archiviazione: «mi sento sollevato perché penso di aver chiarito ogni cosa». Ma non ignora, il Presidente, che il logoramento a cui ogni giorno è sottoposto – con continui – pur se surreali – collegamenti alla sua persona in indagini che continuamente si allargano e distillano, goccia dopo goccia, ipotesi di reato a 360 gradi in Cittadella e dintorni, finirà per distruggerlo politicamente. La sua rielezione, data per scontata fino a pochi mesi fa, ha subìto non un semplice scricchiolio, ma un vero e proprio terremoto. Il timore è che un eventuale rinvio a giudizio (pur in assenza di elementi concreti) darà il colpo finale a un faticosissimo impegno (sapete quante ore lavora il Governatore?) che avrebbe diritto di vedere risultati e non accuse prive di fondamento.