IL CASO DELLE OPERE INFRASTRUTTURALI
AL SUD È SEMPRE UNA BATTAGLIA PERSA

di MASSIMO MASTRUZZOQuando si tratta di grandi opere infrastrutturali nel Sud Italia, improvvisamente la macchina burocratica e politica sembra diventare iper attenta, quasi ossessiva, nel cercare il proverbiale pelo nell’uovo. Norme, vincoli, ricorsi, opposizioni: tutto si complica. Al contrario, nel Nord del Paese, si costruisce prima e si discute – eventualmente – dopo.

È questo il paradosso che emerge con chiarezza anche in merito al ponte sullo Stretto di Messina. Il segretario confederale della Cgil, Pino Gesmundo, ha espresso forte contrarietà agli emendamenti 1.46 e 3.038, presentati in Parlamento, definendoli un attacco alla trasparenza, alla legalità e alla partecipazione democratica. Si teme, legittimamente, un’accelerazione forzata nella realizzazione dell’opera. Tuttavia, colpisce la differenza di tono rispetto a interventi analoghi nel resto d’Italia, dove simili procedure sono già state adottate – e senza clamore – per eventi come le Olimpiadi Milano–Cortina 2026 o il Giubileo 2025, con la creazione di società speciali come stazioni appaltanti.

Perché tanto clamore proprio adesso? Perché ci si “sveglia” con il ponte? E dove sono finite le lezioni del cosiddetto “modello Genova”, osannato per l’efficienza nella ricostruzione del ponte Morandi?

Il Mezzogiorno italiano da decenni attende opere strategiche che altrove sembrano addirittura in eccesso. A Genova si realizzano la Gronda autostradale, il Terzo Valico ferroviario, la Diga foranea. In Veneto si investe sulla Pedemontana. Nel Sud, invece, si litiga ancora sul raddoppio della linea ferroviaria fra Termoli e Lesina, bloccato da oltre vent’anni per presunte incompatibilità ambientali legate alla nidificazione del fratino, un piccolo uccello. Un caso emblematico di paralisi che diventa freno allo sviluppo.

Eppure, gli investimenti in infrastrutture hanno un impatto economico diretto e documentato. Creano occupazione nel breve periodo, stimolano l’indotto e, nel lungo termine, rafforzano la competitività del Paese intero. Gli economisti parlano di “effetto moltiplicatore”: ogni euro speso in infrastrutture genera una crescita del PIL superiore al valore iniziale dell’investimento. E questo effetto è ancora più forte nei territori che partono da una situazione di carenza.

Lo spiegano bene anche Alberto Quadrio Curzio e Marco Fortis nel loro libro L’economia reale del Mezzogiorno: un’Italia che punta sullo sviluppo industriale e infrastrutturale del Sud diventerebbe più competitiva persino di Francia e Germania. Portare il Sud ai livelli delle regioni più avanzate del Nord sarebbe, in questa prospettiva, la vera “operazione Paese”, con benefici diffusi per l’intera nazione.

Dimostrare che un’autostrada o una ferrovia è più utile lì dove mancano – e non dove già abbondano – non dovrebbe essere un’impresa difficile. Lo stesso articolo 3 della nostra Costituzione, che sancisce l’uguaglianza dei cittadini, dovrebbe guidare le scelte politiche e progettuali.

E invece, in Italia, ogni infrastruttura al Sud sembra dover superare un processo a ostacoli. Non per mancanza di fondi, non per carenza di progetti, ma per una sistematica mancanza di volontà. (mm)

[Massimo Mastruzzo, direttivo nazionale Met – Movimento Equità Territoriale]

 

PONTE E OPERE COMPLEMENTARI: SISTEMA
INTEGRATO PER LO SVILUPPO DEL SUD

di MASSIMO MASTRUZZOTra le critiche più ricorrenti al progetto del Ponte sullo Stretto di Messina c’è quella secondo cui ci sarebbero “altre opere più urgenti o utili” da realizzare prima.

Ma questa argomentazione, pur legittima nel merito, rischia di semplificare e distorcere la realtà: il Ponte non è un’opera isolata, ma il fulcro di un sistema infrastrutturale molto più ampio e strategico, fatto di strade, ferrovie, interconnessioni e interventi di riqualificazione territoriale. Un insieme organico di opere complementari già programmate, molte delle quali già finanziate e in corso di realizzazione, che diventano davvero funzionali e sostenibili proprio grazie alla presenza del Ponte.

Le opere complementari: ferrovia e intermodalità

Il Ponte non porterà solo auto da una sponda all’altra dello Stretto: collegherà due sistemi ferroviari oggi disallineati, restituendo continuità alla dorsale Palermo-Catania-Messina-Villa San Giovanni-Salerno. In particolare:

Il potenziamento dell’asse ferroviario Palermo–Catania–Messina, con investimenti superiori agli 11 miliardi di euro, finanziati in parte dal PNRR e dal programma TEN-T dell’Unione Europea. Tra i cantieri più rilevanti: il raddoppio della tratta Fiumefreddo-Giampilieri (oltre 2 miliardi), e la tratta Bicocca-Catenanuova (circa 600 milioni).

Il nodo intermodale di Messina e Villa San Giovanni, pensato per connettere passeggeri e merci in modo fluido, diminuendo drasticamente i tempi di attraversamento e i costi logistici.

Senza il Ponte, molte di queste tratte perderebbero parte della loro funzionalità sistemica e rischierebbero di rimanere infrastrutture isolate.

La viabilità stradale: integrazione e fluidità

Anche per la viabilità su gomma è previsto un ampio piano di opere complementari:

L’adeguamento dell’Autostrada A2 “del Mediterraneo” sul versante calabrese, per gestire in modo efficiente i nuovi flussi veicolari.

La Tangenziale Nord di Messina, indispensabile per liberare la città dal traffico urbano e raccordare il ponte alla rete autostradale.

L’ammodernamento delle Strade Statali 113 e 114, con rampe e viabilità secondaria che garantiranno accessibilità capillare al territorio.

Nessun conflitto tra il Ponte e le “opere utili”

È importante chiarire un punto: le risorse destinate al Ponte e alle sue opere complementari provengono da fonti specifiche, tra cui fondi europei (TEN-T), PNRR e stanziamenti pluriennali del Mit. Non sono alternative agli investimenti su sanità o istruzione. Non esiste, dunque, un “conflitto di priorita” fra la realizzazione del Ponte e la costruzione di scuole o ospedali. Anzi, molte delle opere complementari sono state sbloccate proprio perché rese più urgenti e strategiche dal progetto del Ponte.

Un’opera sistemica per superare l’isolamento infrastrutturale

Il Sud Italia soffre da decenni un deficit infrastrutturale che penalizza mobilità, investimenti e competitività. Il Ponte, insieme alle opere complementari, non è solo una risposta ingegneristica, ma un cambio di paradigma: integrazione reale tra Sicilia e continente, accessibilità, continuità logistica, attrazione di capitali e imprese. In una parola: sviluppo.

Un’opera da valutare non isolatamente, ma come parte di una visione più ampia, moderna e responsabile. (mm)

 

[Massimo Mastruzzo, direttivo nazionale MET – Movimento Equità Territoriale]

LA MANCATA INFRASTRUTTURAZIONE AL
SUD PER SUPERARE IL DIVARIO NEL PAESE

di ERCOLE INCALZA – Il Ceo di The European House Ambrosetti Valerio De Molli al Forum di Sorrento ha dichiarato: «Il quadro del Sud che scaturisce dalla nostra analisi è quello di un’area che già oggi ha tutti gli elementi per smentire l’immagine stereotipata di peso per il Paese ma che necessita di un ulteriore salto di qualità. Non può esistere un Sud fatto solo di turismo deve esserci un Sud fatto di investimenti produttivi ed infrastrutture».

Sempre dal Forum di Sorrento emergono dati che supportano questa denuncia di De Molli come, solo a titolo di esempio, quello relativo al transito di gas: oltre il 74% è entrato in Italia attraverso il gasdotto di Mazara del Vallo, Gela e Melendugno. Il Sud si piazza al terzo posto nella classifica dei territori più attrattivi tra i 20 Paesi mediterranei presi in esame. Sempre il Sud ha registrato nel 2022 e nel 2023 un aumento del Pil rispettivamente del 5,9% e dell’1,5%; una crescita dello 0,9% superiore alla media del Centro Nord.

Ed ancora, sempre  dal rapporto presentato nel Forum di Sorrento, emerge che il Mezzogiorno si configura ormai come un polo attrattivo per capitali sia pubblici e privati; infatti il valore aggiunto prodotto dai granfi gruppi multinazionali esteri nell’area è cresciuto del 27% tra il 2021 ed il 2022 di gran lunga di più della media italiana (+13%); in proposito è sufficiente un dato: dal 2021 sono stati identificati investimenti nuovi o incrementali con orizzonte 2030 per oltre 320 miliardi di euro e più di un milione di occupati. Né possiamo sottovalutare il dato legato alla istituzione della Zona Economica Speciale Unica che tra gennaio 2024 e maggio 2025 ha rilasciato 620 autorizzazioni ed ha attivato direttamente 8,5 miliardi di euro di investimenti.

Ebbene, leggendo questi dati nasce spontaneo un interrogativo: “Come mai le otto Regioni del Mezzogiorno continuano a rimanere all’interno dell’Obiettivo Uno della Unione Europea (cioè tutte  hanno un Pil pro capite inferiore al 75% della media europea) e se effettuiamo una analisi più mirata scopriamo che il valore medio del Pil pro capite non supera la soglia di 18.000 – 21.000 euro quando nelle altre Regioni del Paese tale soglia raggiunge e, addirittura, supera (vedi alcune province lombarde) il valore di 40.000 euro.”

A questo interrogativo penso sia possibile rispondere ricordando quanto sia stato determinante ed al tempo stesso sottovalutato il “fattore tempo” nella attuazione concreta delle scelte definite dalla Legge 443 del 2001 (Legge Obiettivo); una Legge, ripeto, varata nel 2001 e portata avanti in modo davvero encomiabile fino al 2014 e poi, dal 2015 fino al 2023, rimasta praticamente ferma.

In fondo questa stasi infrastrutturale, voluta in modo chiaro dai Governi Conte 1, Conte 2 ed anche Draghi, trovava una precisa motivazione nel trasferimento delle risorse in conto capitale, destinate alle infrastrutture, alla copertura dei programmi relativi al “Reddito di Cittadinanza”, al “Quota 100 per l’accesso al sistema pensionistico”, al “Super bonus nel comparto edilizio”. E questa scelta ha praticamente prodotto un risultato leggibile in modo inequivocabile nel ritardo nell’attuazione, solo a titolo di esempio di questi interventi: Il Ponte sullo Stretto di Messina è ancora nella fase istruttoria; L’asse ferroviario ad alta velocità Salerno – Reggio Calabria, pur sostenuto da risorse del Pnrr e cantierato solo per una tratta di 2,2 miliardi di euro (l’asse completo costa 29 miliardi di euro); Gli assi ferroviari ad alta velocità Palermo – Catania e Catania – Palermo, pur sostenuti da risorse del Pnrr, sono oggi, dopo dieci anni, nella fase di avvio e soggetti al rischio di una rivisitazione della copertura da parte del Pnrr; L’asse ferroviario ad alta velocità Taranto – Potenza – Battipaglia ancora fermo alla fase progettuale e anche esso soggetto al rischio di una esclusione dalle risorse del Pnrr; L’asse viario Taranto – Reggio Calabria (Strada Statale 106 Jonica) vede in corso di realizzazione solo un tatto di 38 Km (l’intero asse è lungo 491 Km); Il blocco negli “Schemi idrici nel Mezzogiorno”; in modo particolare un blocco soprattutto nella realizzazione di un numero rilevante di dighe; Gli interventi di rilancio e di riassetto produttivo del Centro siderurgico di Taranto si sono rivelati dal Governo Conte 1 in poi, cioè dal 2018, un tragico fallimento strategico.

Mi fermo qui perché penso sia inutile ricordare e, al tempo stesso, misurare quanto abbia pesato per il Mezzogiorno la sottovalutazione del “fattore tempo” nella infrastrutturazione del territorio; in proposito ricordo che l’Istituto di ricerca “Divulga” della Coldiretti un anno fa fece presente che la mancata infrastrutturazione del Paese aveva provocato, nel solo 2022, un danno all’intero sistema logistico, sempre del Paese, di circa 96 miliardi di euro e di tale valore la carenza infrastrutturale del Sud incideva per oltre il 50% con un danno, per il solo comparto agro alimentare,  di oltre 9 miliardi di euro.

Cosa davvero preoccupante la vivremo proprio nei prossimi giorni in cui, proprio per la sottovalutazione del “fattore tempo”, saremo costretti a rinunciare a risorse del Pnrr proprio per opere ferroviarie del Sud come quelle ubicate in Puglia, in Calabria e Sicilia e prima elencate.

Questa triste presa di coscienza ci fa capire quanto sarebbe stata determinante l’attuazione concreta delle opere della Legge Obiettivo per ridimensionare il grave gap che ancora caratterizza il Sud nei confronti del resto del Paese e quanto gravi siano le responsabilità di quei Governi e di quegli schieramenti che hanno sottovalutato la visone strategica della Legge Obiettivo. (ei)

UNA METROPOLITANA LEGGERA CAPACE DI
UNIRE I TERRITORI CON COSENZA E UNICAL

di FRANCO BARTUCCI – «Una metropolitana leggera in grado di unire davvero i paesi del litorale tirrenico, e di unire il Tirreno Cosentino all’università di Arcavacata e al capoluogo Cosentino, implementando anche il trasporto per e dall’aeroporto di Lamezia Terme. Un progetto ormai improrogabile e mai concretizzatosi negli anni».  A rilanciare l’idea di un mezzo di trasporto veloce di massa, anche in chiave turistica è stato il sindaco del comune di San Lucido, Cosimo De Tommaso

«Può esser gratuita per i fruitori perché utilizzerà le linee e l’impiantistica già presente sul territorio costiero e nell’attraversamento verso Cosenza e l’Università. Serve – ha proseguito il primo cittadino – ad unire i territori, evitando in realtà di isolare delle zone, anche dell’entroterra nepetino e della Riviera dei Cedri, che hanno difficoltà ad usufruire del diritto alla mobilità.  Finora, alcuni fattori e delle diversità di veduta hanno rallentato l’iter, ma l’opera è perfettamente realizzabile, risulta sostenibile dal punto di vista ambientale, e può definitivamente rilanciare la costa tirrenica, il capoluogo bruzio e la Calabria tutta».

De Tommaso ha poi proseguito: «Questa idea, gode già del sostegno di molti sindaci del territorio, è aperta a quanti vorranno sostenerla in un tavolo istituzionale con la Regione Calabria e la Provincia di Cosenza in prima battuta, ed è priva di colori politici e di primogeniture».

«La realizzazione di una metropolitana leggera – ha sottolineato il sindaco di San Lucido – consentirebbe anche a tantissimi abitanti della provincia di Cosenza di recarsi nelle località del Tirreno Cosentino con facilità e per tutto l’anno, incrementando le presenze nei nostri comuni, e darebbe la possibilità a lavoratori, studenti, e cittadini di recarsi a Cosenza, Università della Calabria, nell’hinterland, con facilità».

«Inoltre – grazie a questa opera – si devono realizzare collegamenti, anche con bus e navette, verso l’aeroporto di Lamezia Terme. Anche l’aspetto legato alla sicurezza è nevralgico. Le arterie stradali non sono più adatte e sicure per un’alta percorribilità, soprattutto nei mesi estivi. Una metropolitana leggera serve a decongestionare il traffico e se attiva anche di notte, specialmente in estate, si eviterebbero molti incidenti stradali, e sarebbe un mezzo utilizzato dai giovani per spostarsi in sicurezza.  Dalla SS.18, alla Statale 107, fino ai collegamenti ferroviari, è evidente che persistono delle carenze strutturali e logistiche che incidono negativamente, è innegabile. Non dobbiamo puntare il dito alimentando inutili polemiche nè possiamo aspettare la manna dal cielo».

De Tommaso ha concluso dicendo: «Serve un’idea radicale sia nel settore dei trasporti che in quello turistico, che sia fattibile e che non resti nel cassetto dei sogni. Auspico il coinvolgimento dei sindaci e degli amministratori di tutto il litorale al fine di realizzare quest’opera di elevata capacità molto simile alla classica metropolitana, di cui conserva le caratteristiche di totale separazione o assenza di interferenza con altri sistemi di trasporto».

Una proposta intelligente e fattibile che si sposa perfettamente con l’idea progettuale della “Grande Cosenza”, legata alla nascita dell’Università della Calabria, ch’ebbe nel suo primo Rettore Beniamino Andreatta il suo “testimonial” primario insieme al prof. Paolo Sylos Labini, presidente del Comitato Ordinatore della Facoltà di Scienze Economiche e Sociali, che guardavano con interesse a degli insediamenti universitari proprio nell’area di San Lucido.

La metropolitana leggera del Tirreno proposta dal Sindaco di San Lucido ha radici nella nascita dell’Unical

Nel 1971 con la scelta di insediare la nascente Università della Calabria a Nord di Cosenza, sui territori dei comuni di Rende e Montalto Uffugo, nella relazione tecnica allegata alla delibera adottata dal Comitato Tecnico Amministrativo (giugno/luglio 1971), venivano fatte delle raccomandazioni speciali, tra le quali la realizzazione della galleria Santomarco per consentire un collegamento veloce ferroviario Cosenza/Paola/Sibari con un hub di smistamento in contrada Settimo di Montalto Uffugo, utile per una metropolitana veloce di collegamento con Castrovillari.

Cosicché veniva fuori l’idea di un collegamento veloce sulla base di un triangolo rappresentato dalla trasversale Sibari/UniCal/Paola con l’asse Cosenza/Università/Castrovillari da formare un triangolo immaginario visibile con prospettive di interessi comuni di ricerca e sviluppo del territorio, il tutto nell’ottica di creare la “Grande Cosenza” con tutte le sue potenzialità dei beni presenti materiali ed immateriali nel contesto territoriale.

Nei padri fondatori dell’UniCal nell’impostare, sulla base della legge istitutiva, lo statuto, dopo aver scelto come luogo d’insediamento l’area a Nord di Cosenza sui territori di Rende e Montalto Uffugo, legandola a Sud alla Statale 107 Crotone/Cosenza/Paola e a Nord all’asse ferroviario Sibari/Cosenza(UniCal)/Paola, costeggiata dall’autostrada Salerno/Reggio Calabria, nasceva l’esigenza, prevedendo nello statuto l’istituzione della commissione di collegamento con gli enti esterni, di consentire, attraverso la nascita di quest’organo, la promozione e la stipula di contratti di convenzioni tra l’Università ed enti pubblici e privati.

Era il prof. Paolo Sylos Labini, presidente del Comitato Ordinatore della Facoltà di Scienze Economiche e Sociali a spiegare ancora meglio le sue funzioni della commissione, la quale doveva assumere un ruolo essenziale per consentire la progressiva integrazione organica fra l’Università e la comunità calabrese.

In effetti, la nuova Università della Calabria non è stata concepita come un campus, ossia come una comunità sostanzialmente isolata e autosufficiente., né dal punto di vista urbanistico né dal punto di vista umano e culturale; la nuova università deve invece collegarsi e integrarsi in tutti i modi con l’ambiente e la vita circostante e deve costituire un centro di propulsione da tutti i punti di vista.

Nasce con il presidente Paolo Sylos Labini il progetto di realizzare sul mare ed in particolare nell’area del comune di San Lucido l’idea di costruire vicino al mare un complesso residenziale universitario.

«Noi vogliamo fare dell’Università della Calabria un’istituzione – scrisse in una lettera inviata al Presidente della Provincia di Cosenza, Francesco De Munno, originario di Montalto Uffugo, componente del Comitato Tecnico Amministrativo dell’UniCal – dove la gente deve andare con piacere, non semplicemente perché c’è, nella legge, l’obbligo della residenza; ed anche una quota delle residenze sul mare, insieme cin tutto il resto, può contribuire a questo fine».

Nel 1972 Andreatta in persona volle avere l’esperienza, per conoscere il territorio, di salire in trenino e sperimentare il tragitto: Paola/San Lucido/Falconara/San Fili/Rende/Quattromiglia/Cosenza, arrivando a deliberare di conseguenza quanto dalla comunità universitaria e dal territorio gli venivano sottoposte.

Infatti a metà novembre 1973 il sindaco di Cosenza, Fausto Lio, porta a conoscenza del Consiglio comunale che il Comitato Tecnico Amministrativo, presieduto dal Rettore Beniamino Andreatta, prima della sua scadenza, aveva approvato una delibera con l’impegno di insediare delle residenze universitarie nel centro storico di Cosenza, per favorire l’integrazione con la città e per valorizzare con opere di restauro gli importanti valori storico- ambientale presenti. Contestualmente lo stesso organo approvò che delle attrezzature universitarie venissero localizzate sulla costa tirrenica ed in particolare nel centro di San Lucido, collegato alle attrezzature universitarie per la didattica e per la ricerca mediante un sistema di trasporto rapido ed efficiente (superstrada Cosenza/Paola e nuova ferrovia).

«Il centro universitario costiero sarà dotato di attrezzature residenziali, sportive, culturali e di alcune particolari attrezzature di ricerca (ad esempio un centro ittiologico), e rappresenterà un polo di notevole interesse per l’intero sistema dell’attrezzatura costiera della Calabria. In periodo estivo, potrà essere utilizzato per congressi, per manifestazioni, per studenti stranieri, per corsi di specializzazione».

Con l’abbandono del Rettore Andreatta e della conclusione del mandato del Presidente, prof. Paolo Sylos Labini, non si è verificato che gli organi accademici ed istituzionali del posto abbiano accolto il suggerimento o cercato di applicare la delibera adottata per un complesso di nuove situazioni apparse sul cammino di sviluppo dell’Ateneo, come la vicenda del terrorismo, che ha distratto molto e penalizzato lo sviluppo dell’UniCal secondo le indicazioni derivanti dalla legge istitutiva del 1968.

Nel frattempo in tutti questi anni l’Università della Calabria ha riservato verso la fascia tirrenica una certa attenzione, utilizzato due alberghi noti di Cetraro e delle Terme Luigiane per svolgervi numerosi convegni, seminari, workshop, corsi e scuole di specializzazione sia a carattere nazionale che internazionali.

Lode, quindi, alla proposta del sindaco di San Lucido, Cosimo De Tommaso, per avere lanciato la proposta di realizzare una metropolitana leggera sulla fascia tirrenica tra PraiaMare/Amantea con estensione verso Cosenza e l’UniCal, non trascurando i dovuti collegamenti per l’aeroporto di Lamezia Terme. 

Dopo oltre cinquant’anni è la volta buona per dare una risposta concreta alla realizzazione del sogno della “Grande Cosenza” di Beniamino Andreatta, che in termini pratici significherebbe portare a completamento il progetto dell’UniCal, con uno stato occupazionale maggiore soprattutto per la categoria giovani? (fb)

PNRR, IL PARADOSSO DELLA CALABRIA:
LA REGIONE INDIETRO E I COMUNI AVANTI

di PABLO PETRASSO – Il Mezzogiorno va al rilento e la Calabria è in fondo alla classifica. Il percorso del Pnrr è accidentato, almeno alle latitudini meridionali e Svimez lo mette nero su bianco nel capitolo della ricerca sui fondi europei che riguarda le opere gestite dalle Regioni. Al Sud le amministrazioni regionali hanno avviato lavori per 1,9 miliardi di euro, il 50% del del valore complessivo degli investimenti Pnrr di loro competenza. Al Nord i cantieri viaggiano a ritmo più sostenuto: il valore dei progetti avviati è di 3,5 miliardi, quasi il 76% delle risorse. Questo «ampio gap nasconde però sensibili differenziali tra amministrazioni regionali in entrambe le macroaree». E qui arriva la citazione in negativo: i cantieri faticano a partire in Basilicata (avviato solo il 21,8% dei progetti), Calabria (23,5%) e, soprattutto, Sardegna dove la percentuale delle risorse in fase di esecuzione dei lavori è ferma al 12,1%.

Più celere, invece, l’avvio della fase esecutiva dei lavori nelle regioni centro-settentrionali, con Emilia-Romagna, Valle d’Aosta e Veneto in testa.
È un quadro, quello descritto da Svimez, caratterizzato da risposte molto diverse da Regione a Regione, specchio di «apprezzabili differenziali di capacità amministrativa, anche interni a Nord e Sud del Paese». Le Regioni – e la Calabria in particolare – sono pachidermi frenati dalla burocrazia, molto più lente dei Comuni.

È una questione generalizzata. Le amministrazioni comunali meridionali vanno comunque a velocità ridotte rispetto alle “colleghe” del Nord. A fine dicembre 2024, i Comuni meridionali hanno avviato lavori per 5,6 miliardi, il 64% del valore complessivo degli investimenti a loro titolarità; per i Comuni del Centro-Nord il dato è di 9,7 miliardi, l’82,3% delle risorse Pnrr.
La differenza di capacità amministrativa, per dirla con Svimez, diventa (anche) terreno di scontro politico. È il sindaco metropolitano di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, a mettere nel mirino la Regione. Falcomatà parla di «una situazione allarmante che dimostra l’enorme divario tra l’incapacità organizzativa della Cittadella, in netta e strutturale difficoltà, e l’operatività dei Municipi che si dimostrano all’altezza delle sfide del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza».

 

I Comuni meridionali, come detto, sono stati finora più lenti rispetto a quelli del Nord, ma il primo cittadino di Reggio sottolinea che «risultano molto più efficienti della Regione Calabria sulla spesa dei fondi e sulla realizzazione delle opere Pnrr. Gli Enti locali – entra nel dettaglio – in Calabria dimostrano una capacità di spesa quasi tripla rispetto alla Regione, con un divario di molto superiore alla media nazionale. Una fotografia che non ci rallegra affatto e che costituisce invece un chiarissimo segnale della netta e strutturale difficoltà organizzativa da parte della Cittadella nell’avanzamento dei cantieri del Pnrr, a fronte di una operatività molto più sviluppata da parte di sindaci e amministratori calabresi che dimostrano di saper spendere meglio le risorse ottenute».

Qualche dato: in Calabria «a un anno e mezzo dalla scadenza del programma, i Comuni sono arrivati al 66% dei cantieri avviati. Un dato confortante che evidenzia il proficuo lavoro svolto da sindaci e amministratori locali su tutto il territorio regionale. Dall’altra parte c’è da porsi un pesantissimo interrogativo sul dato del 23% riferito alla Regione Calabria, tra le ultimissime in Italia quanto a capacità di spesa dei fondi Pnrr, peraltro in riferimento a settori strategici come quello sanitario dove la Calabria fa registrare pesantissimi ritardi perfino rispetto alle altre regioni meridionali».
L’allarme di Falcomatà, da più parti visto come uno dei papabili avversari di Occhiuto alle prossime Regionali punta il dito sulle inefficienze della gestione centralizzata: per il sindaco «si era intuito da un po’» che qualcosa fosse andato storto, «ma che la Regione, sulle stesse linee di finanziamento, si fosse fermata addirittura ad un terzo rispetto ai Comuni, è un fatto oggettivamente allarmante, sul quale sarebbe opportuno che qualcuno fornisse delle spiegazioni ai calabresi».
«A pagarne le spese – conclude il sindaco – sono come sempre i cittadini, che si vedono privati delle importanti opportunità offerte dal Pnrr, a causa dell’inefficienza di un indirizzo politico regionale evidentemente confuso e poco incisivo, attento più alle operazioni di maquillage politico che ad un reale sviluppo del territorio». (pp)
[Courtesy LaCNews24]

CROTONE – La mostra delle opere di Gaele Covelli

30 dicembre 2018 – Prosegue fino al 18 gennaio a Crotone, alla Casa della Cultura, la mostra delle opere del pittore crotonese Gaele Covelli, a cura di Melissa Acquesta.

Il pittore Gaele Covelli

Nella collezione, di proprietà del Comune di Crotone, esposti anche i documenti – foto, diari, carteggio – che appartengono al Fondo Covelli, dell’Archivio Storico di Comunale. (rkr)

A Diamante in mostra le opere degli artisti Aligia e Salemme

11 luglio – Da visitare, a Diamante, presso la Torretta del semaforo, la mostra espositiva delle opere di Angelo Aligia e Franco Salemme, inaugurata la scorsa domenica.
Le proposte espositive sono sostenute dall’Assessorato alla Cultura, e potranno essere visitate fino al 9 settembre.

L’opera di Aligia è il site specific “Mare Nostrum”, che gioca sugli elementi della terra, dell’acqua e delle presenze, mentre Salemme ha esposto una selezione di opere a parete appartenenti al ciclo “Visioni Mediterranee”. (rcs)