Il prof. Antonio Uricchio (Unical): L’intelligence dei satelliti è la nuova frontiera

di FRANCO BARTUCCI – Il diritto spaziale è fondamentale per prevenire rischi e conflitti. Ne ha parlato il prof. Antonio Uricchio al Master dell’Università della Calabria su l’Intelligence sostenendo che «l’Intelligence dei satelliti è la nuova frontiera».

Continuano all’Università della Calabria i lavori del Master su l’Intelligence, che ha come referente promotore e coordinatore il prof. Mario Caligiuri. Ultimo in ordine di tempo è stato il prof. Antonio Uricchio, presidente dell’Anvur del Ministero Università e Ricerca, nonchè rettore dell’Università “Aldo Moro” di Bari dal 2013 al 2019, che ha tenuto una conversazione via webinar su: Controlli ambientali e finanziari tra diritto, intelligence e satelliti.

«L’uomo per molti secoli – ha esordito – ha subìto l’ambiente mentre oggi lo sta trasformando in modo sempre più rapido. Parallelamente, l’intelligence ha considerato per molto tempo solo gli aspetti militari legati alla guerra, mentre oggi rappresenta una strategia del futuro. Riuscire a definire la capacità di bio-intelligence, di geo-intelligence, di spatial intelligence significa ottenere informazioni  dalla natura, dalla terra e dallo spazio che possono aiutare a gestire l’umanità nel presente e nel futuro».

«L’intelligence – ha ribadito – è l’attività di assunzione delle informazioni attraverso la raccolta, la catalogazione e l’analisi per offrire al decisore politico strumenti adeguati in modo da adottare la strategia più appropriata a fronteggiare tempestivamente  le diverse emergenze  che via via possono presentarsi. Tra queste, i disastri climatici, l’innalzamento del livello dei mari, i rischi ambientali, lo smaltimento dei rifiuti, anche spaziali. Infatti è crescente la problematica degli “space debris”».

Come osserva Kessler,  consulente della Nasa, «la quantità di detriti aumenterà nei prossimi anni e le loro collisioni provocheranno molta altra spazzatura spaziale, fino al momento in cui la Terra sarà coperta da una densa coltre di detriti che potrebbe non consentire di svolgere ulteriori attività spaziali per molte generazioni future».

«Tale fenomeno – ha proseguito – potrà essere contenuto solo con una corretta strategia della mitigazione che significa lanciare in orbita solo gli strumenti necessari, definendo le metodologie di recupero dei rifiuti spaziali anche  attraverso un rientro controllato ed una regolazione condivisa».

Uricchio ha continuato dicendo che «la tradizionale natura dell’intelligence è rappresentata dalla Humint, vale a dire dalla utilizzazione dei sensi (vista, tatto, udito), a cui si è aggiunta l’intelligence documentale e solo negli ultimi anni  la cyber intelligence.  Del tutto nuovi sono invece  i settori dell’intelligence spaziale e della geo-intelligence  in cui i dati rinvenienti dalla osservazione della terra dal nostro pianeta e dallo spazio atmosferico ed extra-atmosferico offrono risposte utile a  prevenire consapevolmente i rischi del futuro. In particolare, va prestata molta attenzione all’impatto che possono avere sulla superficie terrestre rifiuti e  materiali spaziali, come le meteoriti, le comete e anche i satelliti».

«Le agenzie spaziali nazionali ed europee devono dialogare con le istituzioni  che operano nel comparto dell’intelligence  al fine di  acquisire, offrire ed elaborare  informazioni ambientali e satellitari  nell’ottica di una evidenza scientifica, fermo restando le competenze politiche nell’assumere decisioni consapevoli e condivise». 

«Lo spazio – ha chiarito Uricchio – presenta rischi ma offre altresì straordinarie opportunità . La Blue Economy dello spazio ne è un esempio:  secondo le stime della Morgan Stanley e della Merril Lynch, entro il 2040 l’economia dello spazio comporterà un aumento della ricchezza tra gli 1 ed i 2 miliardi di dollari».

Il Presidente dell’Anvur ha poi sottolineato che «lo spazio è fragile ed i rischi sono tanti, dettati soprattutto da una carente regolazione. Per essere più precisi non è vero che le norme giuridiche non esistano ma sono datate e soprattutto non tengono conto dell’evoluzione tecnologica e scientifica. Sono, infatti, ancora in vigore le norme risalenti agli anni ’60 come  il  Trattato sullo spazio del 1967  che all’articolo 1  enuncia la libertà di esplorazione e ricerca dello spazio, senza prevedere condizioni e limiti».

«È di tutta evidenza come la libertà di esplorazione debba essere assicurata  insieme alla promozione della cooperazione internazionale, della pace  e della  equa condivisione dei benefici.  Occorre pertanto declinare la regolamentazione, impedendo che la forbice della disuguaglianza si dilati sempre più  e sempre  più velocemente. Inoltre è necessario provvedere ad un censimento e dunque ad un’immatricolazione degli oggetti spaziali, ossia di “qualsiasi dispositivo artificiale o congegno costruito per essere collocato nello spazio o sui corpi celesti al fine di svolgere una funzione o un’attività spaziale” dando concreta applicazione alla Convenzione sull’immatricolazione degli oggetti lanciati nello spazio extra-atmosferico risalente al 1975 ma viene eluso dagli stati canaglia e dalle organizzazioni criminali che si servono dei satelliti non censiti per commettere attività illecite».

Il prof. Antonio Uricchio ha concluso soffermandosi sull’importanza delle norme per regolamentare adeguatamente lo spazio ribadendo che sono fondamentali per prevenire e comporre eventuali conflitti spaziali, definendo il senso del limite. (fb)

Addio a Roberto Visentin, già docente dell’Unical nei suoi primi venti anni di vita

di FRANCO BARTUCCI –  Il Dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, nel cinquantesimo anniversario della sua nascita, ha perduto in quanto scomparso a Roma il prof. Roberto Visentin, docente di fisica per gli studenti iscritti al corso di laurea d’ingegneria nei primi venti anni di vita dello stesso Ateneo.

Il prof. Roberto Visentin da fisico faceva parte del dipartimento di Fisica, ma era componente del corpo accademico della Facoltà di Ingegneria. Era orgoglioso di insegnare Fisica agli studenti del corso di laurea in ingegneria, che per il suo carattere, la personalità, il suo modo di fare nell’insegnamento era molto amato ed apprezzato.

Il suo nome fa parte della storia dell’Università della Calabria per essersi impegnato negli studi e nelle attività di ricerca sull’energia solare, ottenendo dal Consiglio di amministrazione un finanziamento utilizzato per impiantare presso l’edificio polifunzionale un laboratorio sull’energia solare con l’installazione di un modulo solare in grado di captare l’energia e che oggi ne rappresenta un simbolo e una memoria monumentale da tutelare.

Un impegno scientifico che in anni di crisi energetica come accadde in quegli anni settanta attirò l’attenzione di una Società come la Fiat, che con il direttore del centro ricerche Fiat di Torino, Ugo Luciano Businaro, il 17 luglio 1977, accompagnato dal Rettore Cesare Roda, sbarcò ad Arcavacata per un sopralluogo all’impianto solare e conoscerne i risultati  con la finalità di definire un accordo scientifico di collaborazione.

Per il prof. Visentin era necessario prendere atto, senza rinvii «che con l’esaurirsi di fonti energetiche come il petrolio – diceva compiaciuto e in modo entusiasta e fiducioso con chi si intratteneva a parlare con lui – si va verso una civiltà energetica dove la diversificazione e razionale utilizzazione delle fonti alternative è una scelta obbligata, dettata da ragioni di ordine economico-sociale e scientifico».

Con Rettore il prof. Pietro Bucci nell’anno accademico 1978/79 venne chiamato, in rappresentanza dei professori ordinari, a far parte del Consiglio di amministrazione dell’Università. Carica che gli fu riconfermata anche, attraverso una competizione elettorale, per il biennio accademico 1983/1985.

Tra le cose importanti legate al nome del prof. Roberto Visentin in questo momento ci piace ricordare il dono che il Rettore Pietro Bucci fece il 6 ottobre 1984 a sua Santità Giovanni Paolo II in  occasione della visita pastorale a Cosenza. Fu dato in dono a San Giovanni Paolo II un plastico raffigurante un complesso residenziale con impianti di energia solare progettato dall’arch. Maurizio Bonifati con il coordinamento del prof. Roberto Visentin.

Un progetto utile per le missioni che la Chiesa ha nei Paesi del terzo mondo. Ha fatto parte come presidente della commissione di laurea che il 20 marzo 1985 conferì la Laurea in Fisica al primo studente cinese, Xu Fang, arrivato all’Università della Calabria nel mese di dicembre 1979 insieme ad altri 15 studenti a seguito di un’apposita convenzione, firmata dal Rettore Pietro Bucci, con la Repubblica Popolare Cinese.

Il suo nome lo si trova pure il 1° marzo 1990  sempre all’Università della Calabria nel corso di un incontro in cui ci sono rappresentanti dell’Enel, Enea, Ansaldo, Efim, Eni, Italsolar, della Wacker di Monaco di Baviera e della Cassa di Risparmio Calabria e Lucania, nel corso del quale presenta un progetto mirato alla realizzazione, nell’area del porto di Gioia Tauro, di un elettro-generatore solare ad effetto  fotovoltaico in grado di fornire il 20% dei consumi elettrici civili della Calabria.

Per un ventennio, dal primo anno accademico 1972/73 e fino al 1991, anno di trasferimento in altra sede universitaria italiana, ha dato un grosso contributo, sia a livello didattico, scientifico ed amministrativo per lo sviluppo dell’UniCal, amandola come la stessa Calabria, trovando a Torremezzo, frazione del Comune di Falconara Albanese, una sede abitativa dove ha trascorso gli ultimi anni della sua vita.

Grande emozione ha trasmesso l’attuale direttore del Dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, prof. Riccardo Barberi, che lo ha pure avuto come docente  durante il suo percorso di studio, nel dare la notizia della scomparsa del prof. Roberto Visentin alla comunità universitaria. Una comunità che ha visto nell’arco di un anno la scomparsa di tre importanti docenti storici del dipartimento di Fisica, come Carlo Bellecci, Renzo Alzetta ed ora Roberto Visentin.

«Anche il prof. Roberto Visentin – ha dichiarato – non è più tra di noi. Il dipartimento di Fisica lo ricorda tra i primi ad accettare la scommessa dell’Università della Calabria. Tra i primi ad operare nel campo delle energie alternative, come l’energia solare, quando questi ambiti di ricerca erano ancora una visione quasi utopica. Tra i primi a coniugare con rigore tecnica e scienza nel campo della fisica applicata. Da studente di allora lo ricordo personalmente come uno tra i docenti “leggendari”, rigoroso e fantasioso insieme, estroverso e leader naturale. Un docente che distribuiva nuove visioni del mondo». (fb)

Dal Dipartimento di Chimica dell’Unical una nuova tecnologia per la lavorazione della ginestra

di FRANCO BARTUCCIDallo studio e dalla ricerca sulla ginestra esce dall’Università della Calabria ed in particolare dal Dipartimento di Chimica, una nuova idea progettuale che arricchisce la conoscenza ed un lavoro che parte da lontano, nel senso di un tempo ultra trentennale, del quale se ne farà a parte una scheda storica che ne ricostruisce il percorso finora attuato.

In questi giorni è stato depositato un brevetto di un impianto che consente di ricavare da fonti naturali, come la ginestra, un tipo di materia prima di qualità senza creare impatto sull’ambiente. Con questo brevetto sarà più semplice realizzare tessuti e materiali ecocompatibili, in sostanza estrarre fibre in modo sostenibile.

Il  brevetto predisposto dai ricercatori del Dipartimento di Chimica e Tecnologie chimiche dell’Università della Calabria, sotto la guida del prof. Giuseppe Chidichimo, mira alla realizzazione di un impianto che consente di estrarre in modo ecocompatibile fibre naturali destinate all’industria della moda, dell’arredamento o ad altre filiere produttive.

Rendere più sostenibili alcuni comparti industriali passa anche dalla disponibilità di fibre e materie prime green. E non sono le fonti spesso a mancare: il problema in molti casi è il processo d’estrazione. Lungo e non sostenibile, sul piano ambientale e su quello economico.

La nuova tecnologia sviluppata dai ricercatori dell’Università della Calabria definita: “Processo e Impianto per la Estrazione di Fibre Cellulosiche da Piante Liberiane” promette invece di essere efficiente e con impatto ambientale pressoché nullo: basso costo impiantistico, processo totalmente green ed ecocompatibile, maggiore qualità della fibra prodotta, facilità di automatizzazione. Il nuovo brevetto industriale è stato sviluppato e applicato dai ricercatori dell’Università della Calabria nell’ambito del progetto FORESTCOMP (PON-MUR), coordinato dal professore Giuseppe Chidichimo, al quale recentemente lo stesso Ateneo gli ha attribuito il titolo di “Docente Emerito”.

L’obiettivo è quello di realizzare materiali compositi innovativi ed eco-compatibili, in collaborazione con il Centro Ricerche Fiat e altre importanti aziende nazionali.

Il nuovo impianto ha tutte le caratteristiche necessarie per consentire lo sviluppo della filiera produttiva di fibre della ginestra, pianta spontanea che attecchisce facilmente su ogni terreno e che è molto diffusa in Calabria. Il gruppo di ricerca del professor Chidichimo è impegnato da anni in questo lavoro e i risultati raggiunti sono molto promettenti. La nuova tecnologia offre infatti numerosi vantaggi: non fa uso di reagenti chimici  o biologici, ma soltanto di piccole quantità d’acqua riciclabili dopo semplice filtrazione; non produce scarti di lavorazione speciali o pericolosi, ma soltanto pochi fanghi privi di inquinanti ed effetti odorigeni smaltibili all’interno della stessa filiera come concimi o additivi dei terreni; la qualità della  fibra risulta migliore rispetto a quella prodotta con tecniche di macerazione chimica o enzimatica, in quanto vengono eliminati i processi di lisi delle catene cellulosiche, e inoltre si evita la formazione di sostanze collanti difficili da allontanare dalle fibre estratte.

Il processo di produzione rimane rapido, in quanto la rapidità di sfibratura è regolata soltanto dalla velocità di estrazione della fibra, una volta che la logistica degli impianti sia stata opportunamente pianificata. Sono in corso contatti per realizzare, con la collaborazione della Regione Calabria e di diverse aziende locali e grandi aziende nazionali, lo start up di una filiera industriale legata alla produzione e impiego della fibra della ginestra non soltanto nel settore del tessile, ma anche in altri settori produttivi che richiedono l’impiego di fibre naturali. 

L’avvio di questa filiera coinvolge la cooperazione di diversi ambiti quali: produttori agricoli per la coltivazione e raccolta del vegetale; industrie meccaniche per lo sviluppo di un primo impianto industriale di sfibratura; industrie della filatura, per la produzione dei filati; industrie tessili per la produzione di tessuti per l’abbigliamento e di tessuti tecnici; università e Centri di Ricerca per il miglioramento ulteriore dei processi di produzione, di colorazione della fibra; aziende artigiane calabresi interessati allo sviluppo della filiera; industrie del settore dell’arredamento per la produzione di pannellature per i mobili e l’edilizia; industrie della moda.

Fin qui la novità ultima di questo importante lavoro che ha radici lontane per merito dell’impegno profuso dal prof. Giuseppe Chidichimo e di alcuni suoi collaboratori nell’ambito del dipartimento di chimica, che lo hanno seguito con interesse e passione convinti di creare per la Calabria una prospettiva di crescita e sviluppo attraverso l’insediamento e valorizzazione di piccole e medie industrie locali  attorno all’area del campus universitario, secondo il progetto originario della stessa Università della Calabria,  disegnato in primo luogo dal Rettore, prof. Beniamino Andreatta, ben coadiuvato dai Presidenti dei Comitati Ordinatori delle Facoltà, che avevano ben presente il collegamento dell’Ateneo con il territorio di appartenenza mediante la produzione della ricerca pura finalizzata  a quella applicata, di cui il brevetto sopra illustrato ne è un segno visibile di quella prospettiva disegnata dai padri fondatori dell’Università della Calabria. Entreremo meglio in questa storia attraverso una scheda apposita integrativa che presentiamo a margine del servizio che costruiremo insieme al prof. Giuseppe Chidichimo, ideatore e  mentore oggi di questa idea progettuale. (fb)

Addio a Renzo Alzetta, tra i pionieri del Dipartimento di Fisica dell’Unical

di FRANCO BARTUCCIEra una figura molto riservata nell’esercizio della sua funzione professionale e sociale all’interno dell’Università della Calabria e con altrettanta riservatezza ha lasciato un mese fa questo mondo. Stiamo parlando del prof. Renzo Alzetta, originario di Trieste, docente di fisica teorica presso il dipartimento di fisica fin dagli albori della sua costituzione, a partire dal primo anno accademico 1972/1973, arrivando pure  in momenti difficili ad assumerne la responsabilità della direzione.

«Con Renzo Alzetta – ha scritto l’attuale direttore del Dipartimento di Fisica, prof. Riccardo Barberi – ci lascia uno dei pionieri del Dipartimento di Fisica e del nostro Ateneo, arrivato in Calabria agli inizi della grande avventura, che ha prodotto in 50 anni gli incredibili risultati sotto gli occhi di tutti. A questi risultati Renzo ha dato un grande contributo, formando fino al 2005, con le sue lezioni, diverse generazioni di fisici, molti dei quali sono oggi in servizio non solo nell’Università della Calabria, ma anche diffusi nel mondo internazionale della ricerca».

Persona di grande cultura a 360 gradi, cosa che gli permetteva di interagire in maniera efficace con tutti gli studiosi di varia formazione giunti in Calabria all’inizio delle attività dell’Università, uomo di grande generosità, che lo ha sempre spinto a mettersi a disposizione dei nuovi arrivati per favorirne l’inserimento nella comunità accademica calabrese. I più anziani ricordano ancora gli stivaloni con i quali si spostava nel campus quando, appena costruito il polifunzionale, bisognava affrontare il fango dei campi per raggiungere le aule.

In una situazione di crisi del dipartimento di Fisica ha dato, in spirito di servizio, la sua disponibilità a fare il direttore del dipartimento. Per tutto questo e molto altro i membri del dipartimento di Fisica lo ringraziano e ne ricordano la memoria”.

A tale ricordo si è pure accodato il prof. Piero Gagliardo, più volte direttore del Dipartimento di Ecologia, legato da una profonda amicizia e collaborazione in un’azione di volontariato educativo e formativo nel fare Scuola di Comunità. 

“«Quante occasioni – dice il prof. Gagliardo nel suo ricordo – passate insieme a raccontarci la vita, a parlare dei figli, delle mogli, dell’Unical, del tuo deciso attaccamento alla fede cristiana. Sì, perché negli ultimi anni ci trovavamo, insieme ad altri amici, a fare Scuola di Comunità, a leggere ed a commentare i testi di Don Giussani e di Don Carron. Come sono importanti per me e per te, anche ora, che sei vivo altrove, dove tutto diventa chiaro e il significato di una vita intera assumerà forma e concretezza in modo così leggero più di quanto la mia mente riesca ad immaginare ora».

«Sento la commozione del non esserti più vicino, ma da qualche mese ti eri dovuto trasferire altrove per le cure necessarie. Di te non mi dimentico, non dimentico il tuo sorriso quando ci si salutava, o il tuo sguardo quando cominciavi a porre sul tavolo una questione da discutere».

«Il mio cuore e il mio spirito non ti smarriscono nel nulla. È solo la mia memoria fisica che si perde con il passare degli anni. E quindi, in qualche modo continuiamo ad essere, tu di là, io ancora un po’ di qua. Certo, non ti serviranno più, ma il tuo cappellaccio e gli stivaloni, come dice Riccardo, portali ancora con te, insieme al sorriso dei tuoi allievi e dei tuoi amici».

La scomparsa del prof. Renzo Alzetta ha pure spinto il prof. Giancarlo Susinno, già Preside della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali, a lasciare una sua testimonianza di grande stima ed affetto.

«Era molto tempo – ha scritto il prof. Susinno – che ci eravamo persi di vista e non avevamo notizie l’uno dell’altro, ma costante è rimasta in me la stima per la sua figura di uomo e di scienziato. Ammiravo il suo impegno di fisico teorico e consideravo formative e stimolanti le discussioni sulle sue originali idee teoriche, da lui condivise e costruite in collaborazione con grandi colleghi teorici. Amava e sapeva far amare la fisica ai suoi studenti, da tutti seguito ed apprezzato. Tanto ha dato alla nostra Università ed in particolare al dipartimento di Fisica, essendo stato tra i primi suoi realizzatori. È stato un grande amico, di quelli che, se anche non frequenti tutti i giorni, non dimentichi neanche per un giorno».

In morte di Renzo Alzetta, filosofo della Natura, così ha intitolato il suo ricordo personale, di un’amicizia lunga, durata oltre cinquant’anni, il prof. Franco Piperno, suo collega presso il dipartimento di Fisica  dell’Università della Calabria. È un ricordo testimonianza che si riporta integralmente a seguire in quanto non è altro che uno spaccato della vita e della storia della nostra Università nei suoi primi anni di partenza facendoci vivere anche un periodo molto brutto legato all’accusa di presenze terroristiche al suo interno ch’ebbero nel blitz degli uomini del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nella nottata del 28 giugno 1979, i momenti più brutti e pesanti per effetto di una immagine positiva dell’Ateneo che andava a sbiadire in campo nazionale, creando non pochi problemi all’equilibrio sociale e culturale interno.

Un ricordo e una fotografia dell’Ateneo di Arcavacata e non solo che può interessare i primi novemila studenti passati dal campus universitario negli anni settanta e i primi degli anni ottanta, dando loro consapevolezza e memoria dei loro studi e rapporti sociali vissuti in quegli anni nelle strutture residenziali e dell’edificio polifunzionale con le sue prime baracche provvisorie. Basta leggere il testo ed ogni cosa acquisisce memoria ed immagine visiva. 

«Un mese fa, era metà di novembre, giorno più giorno meno, un po’ prima dell’alba – così esordisce il prof. Franco Piperno nel suo ricordo dell’amico e collega Renzo Alzetti – la campana ha suonato per il più caro tra i nostri fratelli fisici: un suono breve e discreto, e Renzo moriva, sereno nel sonno. Per la verità, il Nostro era un fisico nel significato inattuale, premoderno del termine, cioè un filosofo della natura. In una epoca nella quale le università, come i centri di ricerca, sono affollati da specialisti di scienze peregrine; dove la divisione del lavoro ha rotto definitivamente l’unità e l’autonomia della conoscenza, finendo con l’assumere, fuori tempo massimo, la forma della fabbrica fordista. Infatti, la tecno-scienza assegna alla scienza un ruolo servile, un mero mezzo per moltiplicare a dismisura i dispositivi tecnici secondo le scelte del complesso militare-industriale, che abbisogna  non di lavoro cognitivo ma  di Fach-Idiot, idioti specializzati che sanno tutto su  niente».

«In una epoca così fatta, da rasentare l’incubo, inciampare in un vero fisico, in Renzo Alzetta, è un evento certo possibile ma improbabile. Io l’ho conosciuto nella seconda metà degli anni ’60 del secolo appena trascorso, alla Scuola Internazionale di Fisica di Trieste, diretta allora dal fisico pachistano Salem, Nobel per la fisica. Renzo teneva,in quella  melanconica città di confine, un corso di fisica delle alte energie; ed io ero stato spedito lì da Frascati, in quanto borsista CNEN, per completare il perfezionamento – come usava dirsi – nella fisica della fusione nucleare».

«Ci riconoscemmo subito, quasi fossimo amici ancor prima d’incontrarci; così, terminati gli impegni triestini, andammo entrambi ad insegnare fisica generale al Politecnico di Milano. Erano gli anni del movimento dei giovani operai e studenti; e noi due ne facevamo parte; cercando di preservare quanto di culturalmente creativo si era depositato in quelle lotte e di arginarne gli aspetti settari e puramente ideologici».

Tuttavia Renzo non si trovava a suo agio al Politecnico, mal sopportava la mentalità ingegneristica che scoraggiava la critica dei saperi. Ecco allora che, dopo  un triennio di insegnamento a Milano, venne  a sapere dell’ apertura di una nuova università pubblica in Calabria, l’Unical, con sede ad Arcavacata, un rione di Rende dove da secoli si svolgeva una antica fiera equina.

«Il comitato organizzatore dell’Unical era presieduto dal prof. Beniamino Andreatta; e questa circostanza sembrava garantire di per sé che non si trattava di un ennesimo insediamento accademico ma piuttosto di esperimento non banale di innovazione tanto delle strutture didattiche quanto di quelle di ricerca. Così, Renzo decise di abbandonare Milano e trasferirsi a Cosenza».

«La scelta di andare a vivere e lavorare nel Mezzogiorno, comportava l’affievolimento della nostra amicizia non più alimentata dalla presenza; inoltre, ogni volta che mi capitava di pensare a Renzo, avvertivo un certo disagio, modesto ma inequivocabile, come davanti un evento sgradevole e imprevedibile – e questo con ragione perché io calabrese ero letteralmente fuggito dal Sud, da quella aura inerte dove sembrava che non potesse accadere più nulla; avevo studiato a Pisa e poi a  Roma, e trovato una occupazione definitiva nel Settentrione – mentre Renzo aveva percorso quel cammino all’inverso».

«Poi, quando il Nostro era ormai da oltre tre anni all’Unical, in occasione del Capodanno del 1975, mi capitò di far visita ai parenti, a Catanzaro, mia città natale; e in quella occasione decisi di rivedere  Renzo che abitava nel campus universitario Unical di Rende, vicino Cosenza, a poche decine di chilometri da Catanzaro. Non ero mai stato a Rende e per la verità neanche a Cosenza. Renzo mi condusse nella città vecchia o, per meglio dire, antica».

«Una ragnatela di vicoli stretti per costringere gli eventuali invasori, prima barbari poi saraceni, a muoversi in fila indiana pochi per volta; i cerchi ancora visibili nelle midolla dei secolari ulivi abbattuti; gli edifici diroccati, le mura sbrecciate; qualche rospo uscito dalle fogne. Dopo questo atto di registrazione del luogo e sottomissione ad esso, il mio amico mi condusse  nel campus universitario, dove avevano sede le attività didattiche e i dipartimenti – questi ultimi introdotti per la prima volta nell’ordinamento accademico italiano – ospitati per lo più in baracche di legno e in prefabbricati.
Il tutto si estendeva per un intervallo temporale di oltre duemila anni».

«Renzo sembrava muoversi in un paesaggio a lui familiare: calabrese per scelta, aveva trasformato la sorte in destino. Per parte mia, rimasi  affascinato dalla vitalità di quelle rovine che pure sembravano custodire nel proprio seno una sorta di magia,quasi una  promessa di “vita nova” . È comunque, fin da subito più modestamente mi permettevano di rappacificarmi con il “Genius Loci” della mia adolescenza. Così nel gennaio di quello stesso anno chiesi e ottenni il trasferimento dal Politecnico di Milano all’Unical di Arcavacata; ricongiungendomi in questo modo al mio amico.
Renzo continuava ad Arcavacata le sue ricerche in fisica delle alte energie; e collaborava in questo campo con il prof. Preparata e il suo gruppo, tutti noti a livello internazionale per quel loro  proporre paradigmi, dirò così audaci, ai problemi irrisolti della fisica quantistica».

Il Nostro per altro non aveva mai ridimensionato il suo interesse rivolto a quel campo d’indagine, di grande portata per il senso comune, al quale dava il nome di “epistemologia” – mentre io mi ostinavo, e ancor mi ostino, a chiamare ” filosofia della natura”. Così Renzo e io, del Dipartimento di fisica, negli anni tra il ’75 e il ’79, organizzammo insieme a Mario Alcaro, del Dipartimento di filosofia, una ventina di seminari su alcune parole-chiave, parole  che strutturano, per lo più inconsapevolmente, la mentalità contemporanea».

In particolare, per il Convegno Internazionale sulla Funzione Sociale delle Scienze della Natura – convegno che si tenne all’Unical nel settembre del 1977(anno mirabile quanti altri mai)– al quale presero parte tra gli altri Sohn-Rethel, Levi-Leblond, Alquati, Fabbri, Cini; per quel convegno, il Nostro mise su un dibattito dal titolo: “Evoluzione della specie, morte dell’individuo e secondo principio della termodinamica».

Per inciso, i materiali di quel dibattito, vale a dire la relazione di Renzo, gli interventi e le domande dei partecipanti nonché le conclusioni; tutto questo, considerato a mo’ di prova penalmente rilevante, venne sequestrato qualche mese dopo dalla polizia politica (in occasione del blitz degli uomini del generale Dalla Chiesa nel campus universitario), grazie alle leggi liberticide varate in quegli anni dai governi dell’arco costituzionale.

Quella documentazione non venne mai più restituita né all’Università, né agli organizzatori, né agli intervenuti; e io, per ricostruire quell’evento, mi sono avvalso dei miei appunti, così come delle conversazioni frequenti su quegli argomenti con Renzo.

La discussione, in quel l’autunno del ’77, si era aperta sull’interrogazione: perché noi invecchiamo per poi morire? Di primo acchito la risposta sembra ovvia: tutto attorno a noi si deteriora:l’auto accusa l’età, i muri di casa presentano evidenti fratture, le strade si riempiono di buche e così via.

Ogni cosa è soggetta ad una sorta di ultima degradazione dell’ordine imposta dalla Termodinamica – degradazione che il senso comune constata facilmente, a livello macroscopico, senza ricorrere all’aiuto costosa degli specialisti – i cosiddetti scienziati –che usano un linguaggio cifrato e si servono di  costose apparecchiature. Questa degradazione si risolve in un aumento spontaneo del disordine; e giammai in una diminuzione spontanea di esso.

Non c’è quindi nessuna ragione per ritenere che l’individuo possa essere esentato dalla morte. E tuttavia la specie umana ne è preservata. La nostra specie, infatti, si alimenta dell’ordine generato dalla fotosintesi ed evolve verso stati di maggiore ordine.

Ma perché allora l’individuo non può usufruire di questo bengodi miracoloso nel quale è immersa la specie? L’individuo, salvo incidenti ambientali fatali, tutto sommato piuttosto rari, ha una collocazione fortunata in natura: si nutre dell’ordine fabbricato gratuitamente dai vegetali.

Attraverso la fotosintesi, la pianta forma la molecola di glucosio; questa viene mangiata dal vitello che usa l’ordine del glucosio per formare una molecola  proteica. L’animale uomo mangia la carne del vitello; e usa l’ordine impresso alla proteina per formare una altra molecola proteica tutta sua. Lo scarto viene espulso dal nostro corpo in uno stato di  disordine.

La domanda pertinente è: perché non è possibile consumare tutto l’ordine ambientale necessario per mantenere l’ordine del nostro corpo, cioè  per prolungare la nostra vita indefinitamente? Infatti, non v’è prescrizione alcuna nel secondo principio della termodinamica che richieda la morte dell’individuo. Detto in altri termini, nella morte dell’individuo v’è la sopravvivenza della specie. La morte infatti è vitale per l’evoluzione della specie – talmente vitale che possiamo affermare ogni morte essere l’occasione per una inedita forma di vita.

Una volta che l’individuo si è riprodotto un certo numero di volte, producendo una progenie che può essere a lui o a lei superiore, una volta che questo è accaduto la specie trarrà un maggior vantaggio dalla procreazione di questa progenie superiore piuttosto che dall’ulteriore procreazione del parente inferiore – sicché il parente deve morire.
Val la pena sottolineare che qui è messa al lavoro il ” principio dell’evoluzione” e non il “secondo principio della termodinamica”.

I processi adattavi-evolutivi hanno determinato una durata temporalmente finita della vita, allo stesso modo di come hanno assicurato l’evoluzione dell’occhio, o del fegato o dei testicoli, insomma di tutti gli elementi del nostro corpo che concorrono all’adattamento della specie.

Vi sarà pure una ragione se, lungo milioni e milioni di anni, la pressione evolutiva onnipossente non ha trovato un rimedio alla morte dell’individuo – infatti, la salvezza dell’individuo sarebbe stata fatale per la specie.

Questa, a grandi linee, la relazione di Renzo al seminario sulla morte  tenuto nel settembre del ’77 al Dipartimento di Fisica dell’Università della Calabria, in occasione del Convegno Internazionale sulla funzione sociale della scienza della natura.

«La morte – ha concluso il prof. Franco Piperno –  non ha ghermito Renzo, si è annunciata da lontano – e come scrive il poeta, l’ha preso da amica, come l’estrema delle sue abitudini».

Il prof. Franco Piperno nel ricordare il prof. Renzo Alzetta, fatto straordinario, ha portato alla luce con il suo racconto una vicenda, come il sequestro del libro Evoluzione della specie, morte dell’individuo e secondo principio della termodinamica, spesso oggetto di citazioni in occasione di grandi eventi culturali e storici, da parte dei Rettori Pietro Bucci e Giuseppe Frega, promossi dalla stessa università ,senza entrare nei contenuti, che in questo momento, invece, sono stati portati a conoscenza della collettività.

Ciò ci colpisce in quanto l’intero servizio giornalistico di informazione e comunicazione scritto per ricordare la figura del prof. Renzo Alzetta ci fa acquisire una certa consapevolezza che sfocia nella dimensione profondamente umana dei rapporti tra esseri umani, che contestualmente finisce per dare alla stessa Università il senso umano di una convivenza sociale e civile molto alta da tutelare e promuovere nel tempo.

Sentimenti e valori tutti da condividere con i figli: Sara, Matteo e Francesco, che certamente condivideranno ed apprezzeranno questo ricordo scritto con il cuore in omaggio del loro genitore. (fb)

All’Unical inaugurato il Master sull’Intelligence con un convegno su Enrico Mattei

di FRANCO BARTUCCI – «Enrico Mattei e l’intelligence. Energia e interesse nazionale nella guerra fredda». Con questo convegno è stata inaugurata l’undicesima edizione del Master in Intelligence dell’Università della Calabria, promosso nel 2007 su iniziativa del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga.

Il convegno ha offerto nuovi stimoli di ricerca, con la presentazione di documenti e interpretazioni, anche differenti,  attraverso le fonti dell’intelligence. 

Enrico Mattei conosceva bene la funzione dell’intelligence, l’importanza della guerra dell’informazione, la necessità della business intelligence, l’urgenza di perseguire l’interesse nazionale per un Paese che aveva perso la guerra. Una figura di tale rilievo era osservata dai Servizi di informazione non solo esteri ma anche italiani. Questi e altri spunti sono emersi nel convegno.

Dopo i saluti del senatore  accademico Luciano Romito, in rappresentanza del rettore Nicola Leone, c’è stato l’intervento del Presidente del COPASIR Adolfo Urso che ha sottolineato l’importanza del ruolo dell’intelligence poiché rappresenta una struttura fondamentale per la difesa delle istituzioni. 

Il direttore del Master, Mario Caligiuri, ha tenuto la relazione di base. Nel ripercorrere la figura di Mattei, ha evidenziato l’idea di intelligence e la visione di interesse nazionale del Presidente dell’Eni. Ha dato lettura di una lettera inedita di Aldo Moro del settembre 1962, un mese prima dell’episodio di Bascapè, in cui il segretario della Dc chiedeva al presidente dell’Eni di fare un passo indietro, evidenziando alcuni passaggi: «il peso del sacrificio che il partito ti chiede», ponendo «in primissima linea il tuo disappunto, anzi il tuo evidente e comprensibile dispiacere», ma «la tua rinuncia contribuisce a consolidare una situazione assai fragile e spegne una polemica astiosa che ti avrebbe ancor di più amareggiato, e con te le tue idee e le tue importanti iniziative», concludendo: «Aggiungi dunque anche questa alle tue benemerenze, alla tua silenziosa fedeltà, al tuo servizio prezioso nell’interesse del Paese”. 

Il convegno è poi proseguito con l’intervento di Giovanni Buccianti, dell’Università di Siena, che ha ripercorso le principali tappe dell’ attività di Enrico Mattei, evidenziando i suoi scontri con i potentati affaristici angloamericani in conseguenza dei numerosi accordi con vari Paesi produttori di petrolio, quali Egitto, Iran, Marocco, e soprattutto con URSS e Algeria. Di particolare interesse la vasta documentazione reperita da Buccianti nei vari Archivi e le testimonianze che è riuscito ad ottenere da molte personalità protagoniste della vicenda di Mattei, quali Pirani, Ruffolo, Accorinti e soprattutto Claude Cheysson, Ministro di De Gaulle, ed Eugenio Cefis, che dopo la morte di Mattei, secondo il professore, «smantellò gran parte dei suoi progetti». 

Il magistrato Vincenzo Calia ha spiegato le ragioni della certezza dell’uccisione di Mattei, che emergono dagli atti del processo che ha condotto a Pavia. Nella difficoltà di individuarli, ha accertato che probabilmente i mandanti non sono italiani, ma che c’è stata certamente la collaborazione degli italiani, probabilmente personalità nell’ambito dell’ENI e dei servizi segreti con responsabilità molto elevate. Ha poi ricordato la vicenda del meccanico Marino Loretti che era stato ritenuto responsabile di una grave distrazione nel caso di un fallito attentato all’aereo di Mattei nel 1961 e che per questo era stato trasferito in Marocco nei primi mesi del 1962.

Ha ricordato che Loretti morì in un incidente aereo insieme al figlio dopo avere inviato una lettera alla Procura di Palermo in cui chiedeva di essere sentito per le vicende dell’omicidio Mattei.

Secondo Alessandro Aresu, consigliere scientifico di Limes, il rapporto tra Enrico Mattei e l’intelligence può essere declinato in tre principali ambiti, che mostrano la sua forza innovativa: «Il primo è quello di Mattei combattente della Resistenza, e delle sue capacità clandestine e di organizzazione. Il secondo punto riguarda le attività di intelligence esterna dell’Eni sulle principali partite mediterranee, dove l’Algeria ha un ruolo di primo piano. Il terzo punto è il più importante, ed è rappresentato dalla capacità di analisi strategica dell’Eni e della grande organizzazione industriale come strumento geopolitico: un continuo aggiornamento formativo, di ricerca, di analisi di cambiamenti dell’intero mercato dell’energia, tanto da creare una classe dirigente diffusa, in grado di presidiare con lo Stato e più dello Stato tutte le geografie rilevanti dell’interesse nazionale. Questa esplorazione continua è l’eredità unica e distintiva dell’impronta di Mattei».

Luca Micheletta, dell’Università “La Sapienza” di Roma, ha approfondito il rapporto tra Giulio Andreotti ed Enrico Mattei. Per il professore «Andreotti ebbe sempre un’opinione in chiaro-scuro di Mattei: ne esaltò le sue capacità organizzative, l’intuizione che l’Italia avesse una politica energetica indipendente e la lungimiranza della sua visione internazionale; ma guardò sempre con diffidenza al tentativo di Mattei di condizionare il sistema politico italiano attraverso il suo finanziamento, e con dubbi sulla convenienza economica di alcune iniziative dell’Eni, anche in campo internazionale».

Il professore ha poi evidenziato che «Andreotti era ministro della Difesa al momento della tragica scomparsa di Mattei e, in tale veste, nominò la commissione di inchiesta sulle cause dell’incidente, che concluse escludendo l’ipotesi dell’attentato. Le indagini degli anni Novanta, che hanno invece ribaltato questa tesi, giungendo alla conclusione dell’omicidio di Mattei, hanno riportato l’attenzione sulla serietà e trasparenza dei lavori della commissione d’inchiesta e dei suoi membri. Andreotti, tuttavia, anche dopo la conclusione delle nuove indagini, non parlò mai di un attentato a Mattei, né di un assassinio, pur avendo partecipato a vari eventi commemorativi del presidente dell’Eni». 

Nella sua relazione il ricercatore e saggista Giacomo Pacini ha evidenziato la differente visione che i Servizi Segreti Italiani avevano di Enrico Mattei. Ostile il Sifar, diverso l’atteggiamento dell’Ufficio Affari Riservati. Tra le altre cose è emerso che il Sifar non riteneva autentiche le minacce che l’Oas aveva rivolto a Mattei e, in particolare, sosteneva che Mattei si era addirittura fatto pervenire di proposito una finta lettera minatoria a fini di propaganda.

Dai documenti dell’Ufficio Affari Riservati, invece, emerge che le minacce dell’Organisation Armée Secrète (Oas) erano vere e, anzi, i militanti dell’Oas stavano progettando un attentato contro il presidente dell’Eni Enrico Mattei, nemico giurato dell’organizzazione ultranazionalista francese a causa del supporto che stava fornendo agli indipendentisti algerini. In questi documenti, molti dei quali inediti, si parla anche esplicitamente di un attentato contro l’aereo di Mattei che sarebbe stato progettato a inizio 1962. Addirittura in un appunto del marzo 1962 si legge che l’Oas ipotizzava di colpire l’aereo di Mattei a Gela. Un documento che impressiona perché, come è noto, nel suo ultimo viaggio Mattei atterrò proprio a Gela».

Paolo Gheda, dell’Università della Valle d’Aosta, ha affrontato il rapporto tra Enrico Mattei e Milano, la città dove si è affermato come imprenditore ed ha costruito il proprio profilo di manager di Stato. La fitta rete di contatti e amicizie cittadine che ne accompagnarono l’ascesa, coltivate in particolare durante la Resistenza e i primi anni del dopoguerra, rimanda a rilevanti mondi culturali intrecciati tra di loro, che orbitavano in prevalenza intorno alle amicizie cristiane milanesi. Dal suo impegno di regia amministrativa nei partigiani “bianchi” – in cui sarebbero da verificare pure eventuali rapporti con l’intelligence alleata, in particolare statunitense – gli derivò l’opportunità di sviluppare il proprio progetto energetico tra l’Agip e l’ENI, così come si svilupparono i suoi legami con la DC ambrosiana e nazionale. E a Milano continuò fino alla fine a incrociarsi con la dirigenza locale, politica e imprenditoriale, nel suo impegno di promotore dello sviluppo a livello civile e pure ecclesiale.

Elio Frescani, dell’Università di Salerno, ha approfondito il tema Media, intelligence ed Eni, rilevando che «Enrico Mattei era consapevole di essere sotto il controllo quotidiano dei servizi segreti italiani, ma soprattutto stranieri. Parallelamente alle sue attività, attua una strategia di difesa sua e dell’azienda che consisteva nell’utilizzo di tutti i media disponibili: stampa quotidiana e periodica, interviste radiofoniche e televisive, film documentari per il circuito cinematografico e una rivista aziendale “Il gatto selvatico”, affidandone la direzione al poeta Attilio Bertolucci, che, tra gli altri, chiama a collaborare Mino Maccari, Enzo Siciliano, Raffaele La Capria, Giorgio Caproni, Alfonso Gatto, Carlo Cassola, Mario Soldati. Si tratta di alcuni degli intellettuali più importanti del tempo che si aggiungevano agli altri che collaboravano direttamente con Mattei, tra i quali Sabino Cassese, Giorgio Ruffolo e Paolo Sylos Labini».

Il saggista Giovanni Fasanella, nel suo intervento, ha affrontato il tema dell’ostilità britannica nei confronti di Enrico Mattei e della sua politica energetica italiana. Ostilità che emerge in modo inequivocabile dall’esame dell’enorme documentazione scoperta insieme a Mario Cereghino negli archivi di Stato inglesi di Kew Gardens, Londra. Nei report un tempo top secret e ora a disposizione degli studiosi, i vari governi britannici, la loro diplomazia e le società petrolifere dell’UK descrivono il presidente dell’Eni come un «nemico mortale degli interessi di Londra nel mondo».

Da quelle carte, emerge un crescendo di irritazione che sfocia in una guerra senza quartiere man mano che l’Eni conquista posizioni di influenza nel Mediterraneo, in Nord Africa, nei paesi emergenti e nel Medio Oriente, mentre il prestigio del vecchio impero coloniale, in quelle aree ricchissime di materie prime e di risorse petrolifere, declina. Uno dei tanti documenti citati da Fasanella è particolarmente impressionante. È datato 1962, pochi mesi prima della morte del presidente dell’Eni nell’incidente” aereo di Bascapé. Il ministero dell’Energia inglese afferma infatti: «Abbiamo fatto di tutto per fermarlo, ma non ci siamo riusciti: forse è arrivato il momento di passare la pratica alla nostra intelligence». 

Il convegno è stato concluso da Nico Perrone, dell’Università “Aldo Moro” di Bari e collaboratore di Mattei, che ha iniziato il suo intervento evidenziando che «l’Italia sconfitta è il solo oggetto dell’azione dei servizi dei vincitori. La rinascita è avvenuta con le ricerche petrolifere di Mattei, il quale ottenne da De Gasperi libertà d’azione nonostante le proteste americane».

Perrone prosegue sostenendo che “anche l’ENI di Mattei aveva una propria intelligence, fatta di personale proveniente dai servizi dello Stato. Mattei diventa così oggetto dell’attenzione di servizi stranieri, specialmente americani. Mattei morì a causa di un attentato, come ha dimostrato la sentenza di Vincenzo Calia dalla quale emergono le prove della presenza di tracce di esplosivo nei resti del disastro dell’aereo. Amintore Fanfani aveva parlato di “abbattimento dell’aereo di Mattei”. Perrone ha concluso sottolineando, dal suo punto di vista, «la coincidenza della morte di Mattei con la crisi dei missili a Cuba, con il rischio di una guerra nucleare fra USA e URSS».

Nel concludere il convegno, che è stato seguito da Radio Radicale, Mario Caligiuri ha annunciato che, nell’ambito del progetto di ricerca sull’approfondimento storico dell’intelligence italiana, promosso dall’Università della Calabria, verrà presto pubblicato da Rubbettino il volume “Enrico Mattei e l’intelligence”. Il testo riprenderà i contenuti delle relazioni del convegno e verrà presentato a Roma alla Camera dei Deputati il 27 ottobre 2022 in occasione del sessantesimo anniversario della morte del Presidente dell’Eni. (fb)

 

RENDE (CS) – Fino al 6 dicembre “Vax Days” per il personale dell’Unical

Da oggi fino a lunedì 6 dicembre, in contrada Dattoli, è in programma uno speciale Vax Days dedicato al personale dell’Università della Calabria, organizzato dall’Asp di Cosenza di concerto con il Distretto Sanitario Valle Crati e la collaborazione del Rettore dell’Unical di Rende, Nicola Leone.

Il personale dell’Ateneo, dunque, si potrà sottoporre alla vaccinazione della terza dose.

«Si ringrazia – si legge in una nota – la Protezione Civile Regionale per il supporto all’iniziativa, voluta dal Direttore del Distretto, Ottorino Zuccarelli e dal responsabile del Centro Vaccinale Dario Augeri, e coordinata da Valentina Battendieri, responsabile Piattaforma Vaccinazione AntiCovid-19 dell’Asp di Cosenza».

 

Al prof. Giancarlo Fortino dell’Unical due riconoscimenti internazionali

di FRANCO BARTUCCI –  Il primo riconoscimento è arrivato  da circa dieci giorni e riguarda la collocazione nella prestigiosa lista degli Highly CitedResearchers 2021,  che viene stilata ogni anno da Clarivate Web of Science. È l’unico presente per il suo settore tra le università italiane; mentre il secondo riconoscimento è arrivato l’altro ieri con la  nomina di Fellow della IEEE, Istituto leader dell’ingegneria dell’informazione.

Il professor Giancarlo Fortino, ordinario di Sistemi di elaborazione delle informazioni, presso il Dipartimento di Ingegneria Informatica, modellistica, elettronica e sistemistica dell’Università della Calabria, è stato per il secondo anno consecutivo collocato tra i ricercatori più citati al mondo. Come noto la prestigiosa lista degli Highly CitedResearchers 2021, stilata ogni anno da ClarivateWeb  of Science, mette a fuoco una posizione di prestigio essendo l’unico presente per il suo settore tra le università italiane.

Per il docente si tratta di una riconferma: Fortino era entrato nella classifica, per l’area Computer Science, lo scorso anno per la prima volta. Delegato del Rettore dell’Università della Calabria alle relazioni internazionali, tra gli esperti internazionali di riferimento nel campo di ricerca deiwearable computing systems, basati su reti di sensori indossabili e sulle tecnologie intelligenti dell’Internet of Things, Fortino continua ad essere l’unico professore di informatica di una università italiana tra i soli 110 ricercatori dell’area computer science presenti in lista, provenienti dagli atenei e centri di ricerca più prestigiosi del mondo.

La lista per il 2021 ha  identificato complessivamente 6.602  ricercatori  in 21 aree differenti che hanno dimostrato un’influenza significativa nel proprio campo attraverso la pubblicazione di molteplici articoli altamente citati nel corso dell’ultimo decennio. I loro nomi sono selezionati dalle pubblicazioni che si posizionano nelle top 1% sulla base delle citazioni per area scientifica e anno di pubblicazione con riferimento al database bibliometrico di Web of Science.

Su questo importante riconoscimento, conferito al prof. Fortino, è intervenuto il prof. Stefano Curcio in qualità di direttore del Dimes, dichiarando: «Il professor Giancarlo Fortino, componente di questo Dipartimento da sempre merita le congratulazioni da parte mia e dell’intera comunità universitaria per l’eccezionale riconoscimento di “Highly CitedResearcher in Computer Science”, che è di lustro non solo per il  Dipartimento di appartenenza, ma per l’intero ateneo. Il riconoscimento ottenuto dal collega Fortino è assegnato dalla più importante organizzazione internazionale di valutazione bibliometrica della ricerca, la Clarivate/Web of Science, che rappresenta il principale riferimento bibliometrico di tutte le Università e dei centri di ricerca internazionali».

«Vorrei inoltre sottolineare – ha concluso il direttore Curcio – che il prof. Fortino, oltre alla sua intensa attività di ricerca scientifico-tecnologica che gli ha consentito di ricevere questo ambito premio, supporta il Dipartimento di Ingegneria informatica, modellistica, elettronica e sistemistica con grande dedizione e ottenendo brillanti risultati non solo come docente, ma anche nella sua qualità di coordinatore del corso di Dottorato di ricerca ICT e di direttore del master di II livello INTER-IoT».

Il prof. David Pendlebury, Senior Citation Analyst, presso l’Institute for ScientificInformation, ci spiega che la lista «celebra quei ricercatori eccezionali che stanno avendo un enorme impatto sulla comunità di ricerca misurato sulla base del tasso al quale il loro lavoro è citato dagli altri».

La lista degli Highly CitedResearchers in Computer Science è guidata dalla Cina con il 34%,gli Stati Uniti con il 12%, l’Australia con l’11%, il Regno Unito con 7%, seguono altri paesi 18 paesi con piccole percentuali. 

Il professor Giancarlo Fortino è uno degli esperti internazionali di riferimento nel campo di ricerca dei wearable computing systems basati su reti di sensori indossabili e sulle tecnologie intelligenti dell’Internet of Things. Ha ricoperto nella sua carriera posizioni di ricercatore presso l’ICSI dell’Università di Berkeley in California (1997-99), di professore “visiting” presso la Queensland University of Technology (2009), di distinguished professor (dal 2012 ad oggi) presso diverse ed importanti università cinesi (Huazhong University of Science and Technology, Wuhan University of Technology, HuazhongAgricultural University, Shanghai Maritime University) e presso l’istituto SIAT della Accademia Cinese delle Scienze.

Ha pubblicato oltre 550 lavori in riviste, di cui circa250 lavori in riviste top del settore dell’ingegneria informatica, conferenze e libri internazionali. Nel 2010 ha fondato lo spin-off dell’Unical, Sensyscal S.r.l., che opera proprio nell’ambito dei sistemi di sensori indossabili e dei sistemi dell’Internet of Things.

Il prof. Fortino è inoltre molto attivo nell’ambito del IEEE (Institute of Electrical and ElectronicsEngineers), la più importante organizzazione internazionale nell’area dell’ingegneria dell’informazione, ricoprendo importanti cariche quali membro eletto per due mandati (2018-2020 e 2021-2023) nel consiglio direttivo della storica società SMC – Systems, man and cybernetics, presidente (dal 2016) del chapter italiano della società SMC, editore fondatore della Book Series IEEE Press su “Human-Machine Systems”, nonché editore associato di riviste scientifiche dell’IEEE di livello top ed organizzatore di importanti conferenze sponsorizzate da IEEE.

Il secondo riconoscimento per il professor Fortino riguarda la  nomina di Fellow della IEEE, Istituto leader dell’ingegneria dell’informazione. Infatti è stato nominato IEEE Fellow dal Consiglio direttivo dell’organizzazione IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers), tra le più importanti a livello internazionale, nell’ambito dell’Ingegneria dell’Informazione.

Ogni anno, a seguito di una procedura di valutazione rigorosa, il comitato degli IEEE Fellow raccomanda un gruppo scelto di membri per la nomina a Fellow. Meno dello 0,1% dei membri votanti dell’IEEE sono selezionati annualmente per avere questo riconoscimento.

Il “grado” di IEEE Fellow, che sarà effettivo dall’1 gennaio 2022, è stato assegnato a Fortino con la seguente motivazione: “Per i suoi contributi di ricerca e sviluppo scientifico-tecnologico a supporto dell’ingegnerizzazione dei sistemi di calcolo indossabile abilitati dall’Internet delle Cose”.

Tra gli “endorser” che hanno presentato la candidatura del docente alla fellowship, proprio il rettore dell’Università della Calabria, Nicola Leone, che dopo aver avuto ufficialità della notizia, si è congratulato personalmente.

«Il professor Fortino è il primo docente dell’Università della Calabria ad ottenere tale riconoscimento – ha dichiarato il Rettore – ed il primo professore di una università calabrese, insieme ad un docente della “Mediterranea” di Reggio che lo ha ottenuto contestualmente. Tali nomine non sono solo soddisfazioni professionali per i singoli, ma danno lustro a tutto l’ateneo».

Dal 1934 a tutt’oggi sono stati insigniti di questo riconoscimento 6.933 membri, prevalentemente ricercatori di università, enti di ricerca e aziende, che hanno fornito contributi eccezionali di ricerca scientifica e tecnologica. In Italia, gli IEEE Fellow sono in tutto 190. Quelli provenienti da università del sud e isole sono 27, mentre per l’area computer sono 35 a livello nazionale.

Per il prof. Giancarlo Fortino, questi due riconoscimenti di fresca nomina rappresentano, come ci ha dichiarato: “Due traguardi significativi e prestigiosi. Il primo è una conferma importante ottenuta grazie ad un incremento dei miei lavori altamente citati nell’ultimo anno. Importante, sia per la mia visibilità come ricercatore internazionale di riferimento nell’area computer science, che per la mia Unical, la quale se ne avvantaggerà, sia per scalare posizioni in alcune classifiche quali la ARWU di Shanghai (tra i ranking internazionali di riferimento per la comunità di ricerca), sia, più in generale, per ottenere una maggiore visibilità internazionale, essendo la classifica di Clarivate visionata da centinaia di migliaia di ricercatori”.

«Il secondo è per me ancora più importante – ha puntualizzato il prof. Giancarlo Fortino – perché è un riconoscimento sia per i miei contributi di ricerca nel campo della ingegnerizzazione dei sistemi di calcolo indossabile e dell’Internet delle Cose, di cui vado particolarmente orgoglioso. Risultati che sono stati raggiunti grazie ad una intensa attività di ricerca prodotta con il mio gruppo Unical e mediante le mie molteplici collaborazioni internazionali. Senza trascurare infine le mie continue attività organizzative ed editoriali sviluppatesi a partire dal 2010 prevalentemente nell’ambito della società SMC (Systems, Man and Cybernetics) della IEEE, la quale ha pienamente supportato la mia applicazione a Fellow, risultando così l’unico membro della mia società ad essere stato nominato Fellow  per l’ anno 2022». (fb)

All’Unical il convegno su “Turismo esperienziale in Calabria. Un sistema possibile?”

Si intitola Turismo esperienziale in Calabria. Un sistema possibile? il convegno in programma domani, lunedì 29 novembre e martedì 30 all’Università della Calabriae che vedrà la partecipazione di esperti docenti, ricercatori e operatori del settore turistico.

Il Convegno, con il patrocinio del Ministero della Cultura, ricade negli eventi programmati dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria ed è organizzato in presenza limitata.

L’organizzazione del Convegno segue il successo del Ciclo di webinar Narrazioni sul turismo esperienziale in Calabria tenutosi dal 26 aprile 2021 al 24 maggio 2021 in modalità remota e promosso dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università della Calabria. Il ciclo di webinar è stato organizzato dalla dottoressa Lucia Groe, le cui attività di ricerca ricadevano nei 35 assegni di ricerca regionali Pac Calabria 2014-2020, sotto la supervisione del suo referente scientifico: il Prof. Walter Greco del Dipartimento Dispes  dell’Università della Calabria.

L’evento nasce con l’intento di affrontare il turismo in termini di visione sistemica e lo fa a partire dall’affermazione del turismo esperienziale.

Il turismo esperienziale trasforma l’idea della vacanza: non è più vacanza da trascorrere, ma da vivere. Un tipo di turismo alternativo, contraddistinto dalle emozioni, che porta a rileggere i territori. I territori del turismo esperienziale sono i nuovi spazi turistici che molto spesso sono considerati marginali rispetto all’attrattiva delle grandi destinazioni. Sono i borghi, le aree interne (verdi e rurali) in cui l’autenticità, la forza di una tradizione identitaria sono esperiti.

«Il turismo esperienziale – ha dichiarato il prof. Fausto Faggioli, importante relatore del convegno – è una forma di turismo che si focalizza sul fornire ad una persona un’esperienza quanto più possibile immersiva all’interno di un territorio, cercando di creare una relazione profonda tra il turista e la storia, la popolazione e la cultura della meta scelta. Il questa forma di turismo la destinazione passa in secondo piano rispetto all’esperienza vissuta dall’individuo che ottiene la massima priorità ed è una grande opportunità per mantenere sul territorio le proprie risorse».

Il Convegno è strutturato in due giornate e potrà contare su una ricca presenza di relatori di prestigio, calabresi e non. Le due giornate sono state organizzate in base ad una doppia finalità: da un lato permetterà ad Accademici, Operatori turistici e Politica di vivacizzare il dibattito sul turismo esperienziale e di formulare percorsi di networking e organizzazione territoriale integrata; dall’altro permetterà di concludere le attività di ricerca del ciclo di webinar denominato “Narrazioni sul turismo esperienziale in Calabria”.

Nello specifico, nella prima giornata verranno discussi e analizzati gli elementi che pongono il turismo esperienziale come un trend importante per un’offerta turistica di successo.

Nella seconda giornata, l’apporto dei risultati del ciclo dei webinar emersi durante i cinque incontri  e di quelli che emergeranno dalla tavola rotonda promuoveranno un confronto su: definizione del fenomeno in Calabria, promozione della co-progettazione, stimolazione della diffusione di competenze, creazione di rete e relazioni organizzative e individuazione di strategie che possono favorire interventi di policy. (rcs)

L’appello del Rettore dell’Unical Nicola Leone per vaccinarsi e aderire alla terza dose

di FRANCO BARTUCCIConfortato dal via libera dell’Aifa e del Ministero della Salute, il Rettore Nicola Leone ha lanciato un appello all’intera comunità universitaria, essendo passati oltre cinque mesi dalla somministrazione della seconda dose del vaccino, di aderire alla campagna della terza dose.

«Docenti e personale universitario hanno completato il ciclo primario di vaccinazione in ateneo nel mese di giugno e possono quindi – dice il Rettore nel suo appello – ora aderire alla somministrazione della terza dose. Possono farlo sin da subito gli over 40, mentre chi rientra nella fascia anagrafica 18-39 anni potrà prenotare e ricevere la terza dose dal primo dicembre, secondo quanto annunciato dal ministro della Salute, Roberto Speranza».

Il rettore Nicola Leone ha ricevuto il richiamo  appena entrata in vigore la circolare ministeriale che ha consentito di ridurre i tempi di somministrazione, presso l’hub vaccinale di Dattoli, a Rende.

«Invito con forza tutti i membri della comunità universitaria, vaccinabili con terza dose, ad aderire. Fare il richiamo – sottolinea il rettore Nicola Leone – è importante per tutelare se stessi e gli altri: rafforza e prolunga la risposta immunitaria dell’organismo e contribuisce a frenare la circolazione del virus, che mantiene al momento livelli ancora preoccupanti. Siamo alle soglie dell’inverno, stagione in cui, lo abbiamo visto, il virus si trasmette con maggiore facilità, perché trascorriamo molto tempo all’interno. Vaccinandoci ora, potremo trascorrere un Natale più sereno con i nostri cari».

Per facilitare la somministrazione della terza dose al personale universitario, l’Unical – grazie alla collaborazione dell’Asp di Cosenza, del direttore del distretto sanitario Valle Crati, Ottorino Zuccarelli, e del responsabile Igiene pubblica, Dario Augieri – sta valutando la possibilità di organizzare una giornata di vaccinazione, riservata all’ateneo, presso l’hub di contrada Dattoli (via Vespasiano Gonzaga, Rende).

È allo studio anche la possibilità di prevedere successivamente turni di somministrazione della terza dose dedicati agli studenti.

«L’efficacia della protezione – dice sempre il Rettore Leone – offerta dal vaccino è ormai confermata dai dati. Dati, però, che vanno letti bene, evitando di cadere in interpretazioni fuorvianti. Il confronto, infatti, tra gli effetti del Covid tra vaccinati e “no vax” non può avvenire sui numeri assoluti, ma deve tener conto del fatto che la popolazione dei vaccinati è ben maggiore di quella dei non vaccinati. Prendiamo un campione di 100 persone di cui 85 vaccinate e 15 non vaccinate. Se vi fosse un egual numero di 10 decessi tra vaccinati e “no vax” nel campione, il tasso di morte sarebbe del 67% (10 su 15) per i “no vax” e di appena il 12% (10 su 85) tra i vaccinati».

Considerando la percentuale di popolazione che si è vaccinata, i dati sui decessi negli over 80 nel mese di ottobre (fonte Iss, bollettino di sorveglianza integrata del 17 novembre 2021) mostrano che, in termini di probabilità statistica, il rischio di morte da Covid per chi non è vaccinato è enormemente più alto rispetto a chi ha ricevuto il vaccino. Ma non si tratta di un rischio doppio o triplo, che sarebbe già enorme: il rischio di morire per un “no vax” è 6 volte maggiore rispetto a chi è vaccinato, addirittura 9 volte maggiore di chi è vaccinato da meno di sei mesi.

Con la somministrazione della dose di richiamo viene inoltre rilasciato un nuovo Green Pass. Entro 48 ore dalla vaccinazione si riceverà un nuovo Authcode, che permetterà di generare la certificazione.

Il nuovo Green Pass andrà poi caricato sulla piattaforma Smart Campus dell’Università della Calabria. (fb)

All’Università della Calabria i primi laureati restauratori di beni culturali

Giorgia SalatinoSalvatore Minervino sono i primi restauratori di beni culturali laureatasi all’Università della Calabria.

Alla prima seduta, svoltasi nell’Aula Magna del Centro Congresso “Beniamino Andreatta”, presente il Rettore Nicola Leone, sottolineando che «le attività del corso di laurea rappresentano un’ottima occasione per salvaguardare e valorizzare i nostri beni culturali, favorendone la conoscenza da parte dei cittadini».

«Inoltre, questo è corso trasversale, che non coinvolge solo il dipartimento di afferenza, ma si arricchisce di tanti altri insegnamenti offerti dalla nostra università come quelli di informatica, architettura, storia dell’arte, archeologia, chimica e fisica».

La Salatino, tra l’altro, ha eseguito il restauro del dipinto murale Una Deesis con Cristo pantocratore della chiesa dell’Annunziata presso il castello di Santo Niceto, nel comune di Motta San Giovanni (Rc) sotto la guida della restauratrice Anna Arcudi, mentre Minervino si è occupato del restauro del monumento funebre di Francesco Scarlato nel Comune di Fuscaldo (Cs), sotto la guida della restauratrice Marianna Musella.

Per conseguire l’abilitazione e acquisire le competenze necessarie allo svolgimento della professione, gli studenti durante il percorso universitario hanno svolto un’intensa attività laboratoriale eseguendo, sotto la guida di esperti regolarmente iscritti all’elenco professionale del ministero della Cultura, numerosi restauri.

Tra questi, i lavori delle tarsie marmoree dell’altare della Madonna del Pilerio presso il Duomo di Cosenza, il restauro degli affreschi della chiesa di Belmonte Calabro, il restauro dei mosaici della Villa di Casignana (RC), alcune statue della gipsoteca della Casa della cultura di Palmi e, infine, il restauro dei mosaici della Praedia di Giulia Felice a Pompei. (rcs)