di SANTO STRATI – Il partito degli astensionisti, con buona probabilità, sarà, purtroppo, ancora una volta il vincitore morale (?) delle prossime elezioni regionali. I calabresi sono avviliti, delusi, incazzati e preferiscono disertare le urne.
È frutto, certamente, anche di una campagna elettorale avvelenata e feroce, dove i due sfidanti principali (il “disturbatore” Toscano col suo probabile zerovirgola non fa testo) si affrontano (non si confrontano) a suon di insulti e botta e risposta che non servono a nulla.
Se ci è concesso, questa è una campagna da zero in condotta. Anziché andare a testa alta mostrando i muscoli (il programma) sembra di assistere a una sfida tipo Ok Corral, ovvero un “duello” non una competizione elettorale, con elementari scaramucce verbali che non riscaldano o accendono gli elettori, anzi, semmai, li convincono di essere di fronte al nulla vestito di niente.
Poteva essere una campagna con molto fair play dove ogni candidato presidente, ignorando debolezze o superiorità dell’altro, giocasse il ruolo non da imbonitore di piazze, ma da politico con una visione di futuro da presentare ed esporre agli elettori. Non passa, invece, giorno, che gli attacchi frontali continuano ad arrivare ai media, ma soprattutto trovano terreno fertile nel social, dove – evidentemente – la nuova classe politica immagina di poter parlare direttamente al proprio elettorato – senza intermediazione giornalistica. Il risultato è una sorta di litigio da scuola elementare, dove alla maestra (gli elettori) si fanno notare i dispetti del compagno di classe, l’uno contro l’altro. In una diatriba che, onestamente, non appassiona proprio nessuno.
Manca il fair play, i candidati trattano l’avversario non come tale, ma come un nemico da abbattere con le parole: chi più ne ha più ne metta, indipendentemente dalla solidità delle argomentazioni.
E, poi, risulta evidente che entrambi i contendenti hanno sbagliato strategia, seguendo improbabili consiglieri che, ahimé, sembrano proprio digiuni di politica.
Il Presidente uscente ha puntato su uno slogan che gli è rimbalzato contro: «abbiamo fatto più noi in 4 anni che gli altri governi regionali in 40». Bella frase a effetto, peccato che per quasi vent’anni il governo regionale sia stato gestito dal centrodestra: hanno dunque fatto male non solo gli avversari, ma anche gli alleati? Bastava pensarci un attimo: a sconfessare il lavoro (buono o cattivo che sia stato) dei compagni di partito non aiuta certo ad accalorare gli elettori, semmai disegna una figura di “uomo solo al comando” che quasi sempre porta disastri. Occhiuto ha puntato, va comunque detto, su lavoro e sviluppo, ma la sua visione di futuro non viene comunicata in modo giusto. La giusta aspirazione di arrivare primo non dovrebbe scadere nella tracotanza o, peggio, nell’arroganza: gli elettori vogliono concretezza, certezze sul futuro, non insulti all’avversario.
Stessa cosa si può dire per Pasquale Tridico che, sulla scia della tradizione pentastellata, insiste a mettere in evidenza difetti e debolezze dell’avversario, tracimando spesso nella noia. Tridico aveva un’opportunità di parlare ai calabresi di futuro, guardando a sanità, sviluppo e crescita del territorio. È partito in quarta con le nobili intenzioni dell’inclusione sociale, offrendo (non si sa con quali risorse finanziarie) 500 euro di “reddito di dignità”. Un modo furbino di sperare di raccogliere i voti dei “disperati” e degli orfani del reddito di cittadinanza, ma ha provocato reazioni contrarie in buona parte del popolo della sinistra. Già, perché i calabresi sono stufi di assistenzialismo e sussidi (che in diversi casi aiutano, per la verità, una famiglia fragile a sopravvivere), ma vogliono sentir parlare di crescita, di sviluppo, di occupazione.
In questo caso i 100 punti del programma di Tridico sono una bella esposizione di buone intenzioni, ma mancano del presupposto essenziale, ovvero, come si può cambiare una regione che ha vissuto per anni di lavoro nero, parassitismo e progetti avviati e finiti nel nulla?
Non si tratta di avere la bacchetta magica e di essere il Mandrake della situazione: i calabresi non vanno incantati o ipnotizzati a parole, servono fatti e serve concretezza.
Il confronto serio e leale tra due avversari, dove auspicabilmente ci sarebbe stato posto anche a un po’ di ironia, avrebbe sicuramente ammorbidito i toni e stimolato il dibattito tra i tanti che non hanno alcuna voglia di recarsi alle urne. Ma non si è visto e mancano giusto due settimane al voto: pensate che si possa cambiare in corsa? Abbiamo seri dubbi.
Avevamo pronosticato, con grande amarezza, che sarebbe stata una campagna elettorale aspra, ma non pensavamo di dover vedere ogni giorno i rintuzzi dell’una e dell’altra parte su cavolate immense, prive di qualsiasi valore. Un lapsus verbale (le “tre” province di Tridico diventa il pretesto per irridere l’avversario), e lo stesso vale per le “scivolate” di Occhiuto. Vogliamo smetterla con queste sbertucciate, che non fanno nemmeno sorridere, e cominciare il confronto delle idee su come trasformare il territorio, su come rilanciare le aree interne sempre più inaridite da un inarrestabile spopolamento, e discutere di sanità chiamando a proprio sostegno chi vive (e soffre) di sanità: medici, specialisti, ricercatori, infermieri? Vogliamo pensare a una task force trasversale che possa indicare il percorso più idoneo a uscire dalla crisi della sanità calabrese? Certo, prima di tutto andrebbe azzerato il debito (lo abbiamo già scritto altre volte, azzerato non cancellato) al fine di poter utilizzare tutte le risorse disponibili: gran parte dei fondi viene utilizzata per pagare il debito, quindi mancano i soldi per aggiornare macchinari, pagare nuovi medici e infermieri, etc. A questo proposito, entrambi gli aspiranti governatori dovrebbero tenere in massima considerazione il documento proposto da Comunità competente (il cui portavoce Rubens Curia sarebbe un ottimo assessore alla Sanità) per “rivoluzionare” il sistema sanitario calabrese.
I delusi e gli avviliti della politica vorrebbero sentire proposte e idee risolutive, non chiacchiere da cortile e forse la percentuali degli astenuti potrebbe diminuire sensibilmente. Ma, attenzione, l’astensionismo non è fatto solo di chi è stufo della politica, di questa politica, ma – stimiamo – per un quarto è rappresentato da chi non viene (attenzione: viene) a votare, perché studia o lavora fuori regione e non può permettersi i costi del viaggio elettorale. A spanne saranno 200/250mila voti che mancano al conteggio e che vengono fatti rientrare tra gli “astenuti”.
Il Collettivo Valarioti anni fa si era fatto promotore di un’iniziativa per il voto a distanza (sfociata anche in una proposta di legge), ma è finito tutto nel dimenticatoio. Sarebbe ora di pensarci seriamente: il voto a distanza (ormai con ampi margini di affidabilità e sicurezza grazie alla tecnologia) potrebbe anche cambiare gli scenari delle elezioni: a chi fa paura? (s)







