LA CALABRIA E IL NODO AREE MONTANE
TRA IL DECLINO E LE RIFORME NECESSARIE

di FRANCESCO AIELLO – In un contesto politico dominato dalle crisi internazionali e dalle discussioni sul ruolo dell’UE nel nuovo ordine mondiale, in Calabria torna d’attualità un tema strutturale: il riordino degli enti locali.

L’occasione è data da una recente proposta di legge regionale presentata dal Partito Democratico finalizzata a promuovere le unioni e le fusioni tra i comuni montani calabresi. L’iniziativa punta a contrastare una delle principali debolezze dell’assetto istituzionale calabrese: la frammentazione amministrativa e le difficoltà croniche nella gestione dei servizi pubblici nei territori più marginali. Più in generale, il tema delle fusioni dei comuni riaffiora periodicamente tra gli interessi sia degli osservatori sia di autorevoli rappresentanti istituzionali.

Lo ha fatto pochi mesi fa il Presidente della Giunta Regionale Roberto Occhiuto (“In Calabria ci sono troppi Sindaci, serve una riforma sui Comuni con pochi abitanti”) e lo ha ripreso in questa settimana il prefetto di Catanzaro, Castrese De Rosa. Con i suoi 404 comuni, l’assetto istituzionale regionale risulta altamente frammentato, con una forte asimmetria tra la Regione – dotata di elevate capacità di gestione e programmazione – e un tessuto comunale caratterizzato da una prevalenza di piccoli enti con limitate capacità amministrative.

L’abolizione delle comunità montane e l’indebolimento dell’azione delle province hanno lasciato un vuoto istituzionale che rende la governance del territorio particolarmente debole e disomogenea. In questo contesto, la proposta del PD assume rilievo non solo per gli strumenti normativi che intende introdurre, ma anche per la capacità di riportare al centro del dibattito un nodo strutturale troppo a lungo trascurato.

La proposta del PD introduce strumenti normativi e incentivi per favorire l’aggregazione volontaria dei comuni montani, riconoscendo la necessità di un modello amministrativo più efficiente e sostenibile per le aree svantaggiate. La montuosità della Calabria è un fattore chiave per comprendere le sfide che attraversano la governance territoriale. Con una quota significativa di territorio classificata come area interna e una larga parte dei comuni definiti montani, la regione si confronta con criticità strutturali persistenti: bassa densità abitativa, carenza di servizi essenziali, scarsa accessibilità e fragilità finanziaria degli enti locali.

In molti di questi comuni si osservano un costante calo demografico, l’invecchiamento della popolazione e crescenti difficoltà nella gestione ordinaria. In questo contesto, la proposta di legge del PD si pone l’obiettivo di incentivare i comuni montani a superare la frammentazione attraverso forme associative più strutturate, come unioni e fusioni, per rafforzare la capacità amministrativa e migliorare la qualità dei servizi ai cittadini.

Uno degli aspetti innovativi della proposta riguarda la regolamentazione del quorum nei referendum per la fusione dei comuni montani, un nodo da tempo discusso nel dibattito sulle aggregazioni amministrative. Il testo del PD stabilisce che una fusione possa considerarsi approvata solo nel caso in cui il voto favorevole prevalga in ciascuno dei comuni coinvolti, superando così il rischio che una maggioranza complessiva sul totale dei votanti imponga la fusione a singole comunità non favorevoli (art. 12).

Nelle intenzioni dei promotori, questa impostazione mira a garantire che ciascuna realtà locale sia pienamente convinta dell’opportunità di unirsi ad altri comuni, rendendo il processo di aggregazione il risultato di una scelta condivisa, non imposta dall’alto. Tuttavia, questo criterio di unanimità potrebbe rendere più difficile il raggiungimento del consenso, poiché anche un solo comune contrario sarebbe sufficiente a bloccare, o rallentare, il processo.

Il modello proposto dal PD si distingue anche per la previsione di incentivi economici specifici a favore dei comuni montani che scelgono di collaborare nell’offerta di servizi o di aggregarsi. La proposta prevede l’accesso a contributi straordinari regionali per dieci anni (art. 14), oltre ad agevolazioni nei bandi regionali per i comuni che gestiscono funzioni in forma associata (art. 6). Sono previsti anche comitati tecnici per lo studio di fattibilità (art. 11) e attività di accompagnamento e supporto da parte della Regione (art. 9).

A queste misure si affianca la Conferenza delle Unioni montane (art. 8), con compiti di monitoraggio e impulso. In un’ottica di rafforzamento della proposta, sarebbe auspicabile l’istituzione di un Osservatorio permanente sulle fusioni e unioni dei comuni, dotato di funzioni tecniche e valutative, così come l’adozione di un Piano Strategico decennale per il riordino istituzionale, utile a individuare in modo sistematico le aree dove avviare processi di aggregazione sostenibile.

In estrema sintesi, dall’esame del testo emerge chiaramente che il principio ispiratore della proposta è quello di concepire i processi di unione e fusione non come una perdita di autonomia da parte dei singoli comuni, ma come strategie condivise e partecipate per garantire continuità amministrativa e rafforzamento della capacità di intervento locale. In questa prospettiva, l’iniziativa del PD rappresenta un contributo rilevante al dibattito sulla riorganizzazione istituzionale della Calabria, affrontando un nodo cruciale per la modernizzazione della governance regionale e la resilienza dei territori più fragili.

Concentrandosi sulle aree montane, il testo si inserisce in una più ampia visione politica del PD calabrese, che da tempo pone al centro dell’agenda regionale e nazionale i temi della marginalità e del riequilibrio tra aree del territorio. Tuttavia, è lecito chiedersi se esistano valide ragioni per ampliare la riflessione sulle fusioni oltre la dicotomia montagna-pianura. In questa direzione, un contributo arriva da un recente studio di alcuni ricercatori italiani (Cerqua et al, 2025) che per il periodo 2001-22 hanno costruito un indice della qualità amministrativa nei comuni italiani (1) Facendo riferimento al 2022, emerge che l’andamento di questo indice dipende, sia in Italia sia in Calabria, molto più dalla dimensione demografica che dalla collocazione altimetrica

. I punteggi medi mostrano, infatti, che i comuni di montagna non presentano livelli significativamente inferiori di qualità amministrativa rispetto a quelli di pianura o collina: in Calabria la differenza di punteggio medio è solo di 0.66 a sfavore dei comuni di montagna. Al contrario, le differenze più marcate emergono tra comuni piccoli e grandi (+5.7), con i primi che manifestano maggiori difficoltà in termini di efficienza burocratica, qualità della classe politica e performance economico-finanziaria.

In questa prospettiva, l’approccio della proposta di legge – focalizzato esclusivamente sui comuni montani – rischia di trascurare un elemento centrale del problema: non è la geografia a determinare le fragilità istituzionali, bensì la scala amministrativa. Una riforma coerente e strutturale dovrebbe, quindi, prendere in considerazione tutti i piccoli comuni, indipendentemente dalla loro altitudine, per garantire un reale rafforzamento della governance locale.

A fronte di queste evidenze, resta da comprendere quale sarà la risposta del Consiglio Regionale e se vi sarà la volontà politica di estendere la riflessione a una riforma più ampia e strutturale, che non si limiti alle sole aree montane, ma coinvolga tutti i piccoli comuni calabresi. La Calabria è davanti a un bivio: restare immobile, lasciando i piccoli comuni al declino, oppure avviare un vero processo riformatore per garantire servizi, rappresentanza e futuro alle comunità locali.

(1) Il Municipal Administration Quality Index (MAQI) è un indice sintetico che misura la qualità delle amministrazioni comunali italiane lungo tre dimensioni fondamentali: la capacità della burocrazia, la qualità della classe politica locale e le performance economico-finanziarie dell’ente. Il primo pilastro considera elementi come il livello medio di istruzione dei dipendenti comunali, il numero di funzionari per abitante, l’assenteismo e il turnover.

Il secondo pilastro si concentra sul profilo degli amministratori locali, valutando il grado di istruzione, l’equilibrio di genere e la composizione socio-professionale. Infine, il terzo pilastro riguarda la gestione del bilancio comunale, attraverso indicatori come la rigidità e la capacità di spesa, l’efficienza nella riscossione delle entrate e la quota di investimenti sul totale del bilancio. Insieme, questi tre pilastri restituiscono una fotografia articolata della qualità istituzionale dei comuni italiani, utile per confronti territoriali e analisi nel tempo. (fa)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud]

IN CALABRIA L’83,6% NON È MAI ANDATO A
TEATRO: IL DESOLANTE DATO REGIONALE

di GUIDO LEONE – Oggi si celebra per la 63esima volta, anche in Italia, la “Giornata mondiale del Teatro”. La finalità della “Giornata” è quella di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza dell’espressione teatrale e promuovere lo sviluppo delle arti performative in tutti i Paesi del mondo.

L’occasione ci consegna la possibilità di rivisitare il rapporto tra teatro e comunità calabrese ma anche, tra teatro e scuola nella nostra comunità e, contemporaneamente, di fare una riflessione sullo stato dell’arte anche del Teatro comunale “F. Cilea” di Reggio Calabria.

Lo spettacolo colto, prosa, danza, lirica, insomma lo spettacolo frutto di fatica, di ricerca, di studio è quello che deve essere sostenuto perché in Italia non ha vita facile, ancor più come vedremo in Calabria. È un problema che riguarda la formazione del pubblico fin da giovane, bisogna educare i bambini al teatro fin da piccoli perché questa forma di espressione artistica aumenta le capacità linguistiche e quindi la crescita culturale, che è il vero investimento da fare.

Bisogna puntare alla formazione del pubblico facendo arrivare questo tipo di spettacoli “colti”, di valori e di linguaggi, a un maggior numero di persone. Anche se va sottolineato che negli ultimi tempi, grazie ad Associazioni e imprenditori privati, i teatri calabresi, e non ultimo il Cilea di Reggio Calabria, hanno potuto godere di spettacoli e rassegne di buon livello. 

La scuola non è fatta solo dai bambini, vi sono anche le famiglie. Anche loro devono familiarizzare con il teatro. Verso quest’ultimo esistono nel pubblico delle resistenze determinate anche da barriere di costo. Se riusciamo a rompere queste barriere la gente si accorgerà che lo spettacolo teatrale è molto più bello di quello televisivo, lo spettacolo dal vivo dà emozioni che quello della televisione non dà. Il teatro è un luogo magico. 

Ma va doverosamente sottolineato come il mondo della scuola calabrese, sia pure con modalità spesso molto diverse, è sempre andato alla ricerca di occasioni per incontrare il teatro. È questo un fenomeno di straordinaria ricchezza e rilevanza, del quale occorre evidenziare alcuni aspetti importanti.

Sono numerose le scuole di ogni ordine e grado calabresi che hanno sviluppato, negli ultimi anni, un rapporto costante, seppure spesso non organico, con i linguaggi non verbali e con il teatro in particolare.

Gli spettacoli realizzati da ragazzi, spettacoli di professionisti ai quali gli allievi assistono, laboratori sperimentali di teatro, persino atipici insegnanti che si improvvisano attori e registi sono esperienze presenti spesso stabilmente in molti istituti.

Tutto ciò ci fa affermare con sicurezza che il pubblico infantile e giovanile rappresenta un’area di utenza strategica e che le attività espressive e artistiche hanno dato prova di offrire un contributo significativo per l’arricchimento dell’offerta formativa, senza considerare, altresì, la valenza educativa dell’approccio al linguaggio teatrale.

Tuttavia gli ultimi dati forniti dall’Annuario statistico 2024 realizzato dall’Istat raccontano chiaramente di un’Italia pigra dal punto di vista culturale.

Nel 2023 il 19,8 per cento delle persone di 6 anni e più ha dichiarato di essere andato al teatro almeno una volta negli ultimi 12 mesi, in aumento di quasi 8 punti percentuali rispetto al 2022, ritornando su valori prossimi a quelli pre-pandemici (nel 2019 erano il 20,3 per cento).

L’incremento di partecipazione a spettacoli teatrali, come nel 2022, ha interessato maggiormente i giovanissimi, che avevano risentito maggiormente del calo dovuto alla pandemia e per i quali una maggiore partecipazione a questo tipo di intrattenimenti si associa alla frequenza scolastica.

L’abitudine di andare a teatro almeno una volta all’anno è relativamente più diffusa al Centro-Nord (il 21,0 per cento rispetto al 17,4 per cento del Mezzogiorno. Al Sud e Isole, in tutte le regioni, tranne la Campania (20,8 per cento), si registrano valori al di sotto della media nazionale. Più diffusa la partecipazione agli spettacoli teatrali nei comuni centro delle aree metropolitane (il 29,5 per cento delle persone di 6 anni e più), a fronte di quote più residuali nei piccoli comuni (12,4 per cento nei comuni fino a 2 mila abitanti).

In Calabria, comunque, la percentuale di coloro che dichiarano di non aver mai fruito di uno spettacolo teatrale è dell’83,6%. Chi si è recato, almeno una volta a teatro nella nostra regione nel 2023, rientra in una percentuale dell’14,1%, penultima regione in Italia, di cui 8,3 da 1 a 3 volte e il 4,3% 7 volte e più.

Ora, come la scuola non può e non deve ignorare la presenza e l’attività sul territorio di quei gruppi o compagnie professionali o non, che si occupano di teatro, così è impensabile che gli 11 teatri della nostra regione continuino a proporsi, in termini riduttivi, come finora accade rispetto alle loro potenzialità, mentre dovrebbero funzionare a pieno regime.

Creare il pubblico di domani è una esigenza imprescindibile, per esempio, per una istituzione come il “Cilea” di Reggio Calabria  che, attraverso una auspicabile Fondazione, (di cui ogni tanto si parla ma senza giungere ad alcun risultato) promossa da managerialità pubblica e del privato, intraprenda una politica di interventi di divulgazione, sviluppando una pedagogia teatrale e musicale e investendo sulla formazione dei ragazzi e dei giovani, complice una fitta rete di relazioni da realizzare con il mondo della scuola.

Insomma, il “Cilea” va certamente inteso come valore ma anche come risorsa, ma lo sia in funzione del servizio che può rendere al cittadino, recuperando sia la vicinanza al pubblico, sia la capacità di cogliere e di rielaborare il presente e la quotidianità.

Il teatro deve riuscire a creare un sistema, che grazie al lavoro sul territorio ed al coinvolgimento del maggior numero di persone, ritorni a rendere proprie le esigenze della committenza, ovverosia del pubblico.

Allo stesso modo, è sempre più urgente che la funzione di termini di valore o di servizio del teatro non possa essere più misurata in termini di biglietti, ma in termini di diritto e possibilità di usufruirne. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico USR Calabria]

SVIMEZ: NO A RIARMO CON FONDI COESIONE
BISOGNA RIDURRE I DIVARI TERRITORIALI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – «Serve una chiamata alle “armi” per ridurre i divari territoriali e sociali». È l’appello lanciato dalla Svimez, dicendo “no” all’utilizzo delle risorse di coesione per finanziare il Piano Rearm Eu.

Il piano, infatti, propone un utilizzo delle risorse della coesione inconciliabile con i suoi obiettivi di inclusione economica, sociale e territoriale. «La coesione – scrive la Svimez – rappresenta un pilastro costitutivo dell’Unione europea che non può essere indebolito di fronte ad ogni emergenza. Tuttavia, il basso tasso di spesa del ciclo 2021-2027 e il debole consenso politico intorno a questa politica potrebbe determinare, come avvenuto in passato, e nonostante le dichiarazioni di principio, una forte pressione della Commissione e delle stesse istituzioni nazionali per un loro utilizzo per investimenti nella difesa».

«Non basta, dunque – viene evidenziato – opporsi a tale proposta ma occorre prendere atto dell’urgenza di una profonda riforma che faccia i conti con i suoi «fallimenti» ma che sia in grado di valorizzarne il potenziale in termini di costruzione di un’Europa più inclusiva e competitiva».

La proposta è stata inviata lo scorso 4 marzo dalla presidente della Commissione Europea ai leader degli Stati membri, accompagnata da un Libro Bianco sul futuro delle Difesa Europea/Preparati al 2030 pubblicato il 20 marzo.  Tra le modalità di finanziamento del Piano è anche prevista la possibilità di riallocare i fondi e le risorse disponibili nel bilancio pluriennale 2021-2027, attualmente destinati ad altri scopi.

«La difesa comune rappresenta un tema cruciale e prioritario per l’Europa. Ma le risorse ad essa destinate – scrive la Svimez – sono ben lontane e difficilmente conciliabili con gli obiettivi di riduzione dei divari territoriali e sociali, a cui sono destinate le risorse per la coesione. Nonostante le istituzioni europee continuino a sottolineare il carattere strategico della coesione, essa viene costantemente utilizzata come fonte di finanziamento di ogni nuova iniziativa emergenziale».

Per l’Associazione, «a pagare il prezzo di una eccessiva flessibilità potrebbe essere uno dei principi cardine della politica di coesione: l’addizionalità delle sue risorse rispetto a quelle ordinarie».

«Tale principio stabilisce che i fondi europei non devono sostituire la spesa pubblica dei Paesi membri destinata ai medesimi obiettivi – ha ricordato la Svimez – ma aggiungersi a essa per potenziare ulteriormente gli investimenti. L’addizionalità delle risorse europee è già stata sacrificata in passato, quando in carenza di risorse aggiuntive, si è ricorso ai fondi della coesione per fronteggiare le situazioni di emergenza. Le modifiche legate alle varie emergenze che hanno minato non poco la “qualità” della spesa finale della Programmazione 2014-2020, molto più orientata verso le agevolazioni alle imprese piuttosto che alla riduzione dei divari infrastrutturali. Alla fine del ciclo, rispetto alla programmazione iniziale, si registra una notevole riduzione della percentuale di risorse (e di investimenti) destinate alla doppia transizione verde e digitale (- 33 %) e alle infrastrutture sociali (-24%).

«È proprio con questa consapevolezza che, nel dibattito europeo – si legge – è stato dato rilievo alla necessità di “non nuocere” alla coesione, attraverso un approccio coerente tra tutte le politiche dell’UE per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale. Si tratta di un punto ribadito anche nelle Conclusioni del Consiglio europeo del 30 novembre 2023, che raccomandano come il principio del “non nuocere” alla coesione debba essere tenuto in considerazione in tutte le politiche e iniziative dell’Unione. La proposta di Rearm EU mette, però, chiaramente in luce come tale principio rischi di essere nuovamente minato non appena appaiono nuove nubi emergenziali per l’Europa».

Al momento, la proposta si limita a enucleare gli incentivi all’utilizzo delle risorse della coesione: Eliminazione degli attuali divieti che impediscono l’utilizzo delle risorse per la coesione a supporto delle grandi imprese operanti nel settore della difesa. Si tratta di una deroga di estremo rilievo, dal momento che la possibilità di concedere agevolazioni alle grandi imprese attraverso i fondi per la coesione è sempre stata impedita dai regolamenti europei.

Inclusione all’interno delle tecnologie strategiche per l’Europa (Step) di tutta la gamma di tecnologie rilevanti per la difesa.

L’iniziativa Step è stata individuata come uno dei principali architravi per incentivare il reindirizzo delle risorse per la coesione verso interventi per la difesa comune inglobando all’interno delle Step tutta la gamma di tecnologie rilevanti per la difesa. Questi interventi potrebbero riguardare non solo le agevolazioni agli investimenti operabili con il Fesr ma anche le spese di apprendimento permanente, di istruzione e formazione finanziabili attraverso il Fondo sociale europeo plus (Fse+). Al riguardo, il Libro Bianco rimarca in diversi passaggi la necessità di promuovere skills and expertise nel settore della difesa.

Maggiori benefici finanziari, in termini di più elevati tassi di prefinanziamento e cofinanziamento, per le risorse riprogrammate a favore della difesa.

«A tal proposito – scrive ancora la Svimez – è plausibile che la Commissione proponga l’applicazione di meccanismi analoghi a quelli già previsti dall’iniziativa STEP: un prefinanziamento aggiuntivo del 30% e l’applicazione del tasso di cofinanziamento con risorse europee del 100% sugli investimenti dirottati a favore della difesa. La proposta costituirebbe un appetibile incentivo finanziario, dal momento che il maggior prefinanziamento comporta una riduzione del fabbisogno delle Amministrazioni pubbliche, mentre il cofinanziamento al 100% consente di liberare le risorse nazionali attualmente impegnate sui fondi europei. In quest’ultimo caso, occorrerebbe tener cura del loro riutilizzo verso interventi coerenti con le priorità dei Programmi da cui provengono».

Per l’Associazione «le proposte di Rearm Europe non affrontano la questione dell’allocazione territoriale delle risorse della coesione riprogrammabili per la difesa, limitandosi unicamente a prevedere un’affermazione generale su come una più forte e resiliente industria europea della difesa possa promuovere lo sviluppo regionale. Le risorse dei fondi per la coesione sono difatti territorialmente distribuite secondo precisi criteri allocativi fondati sugli svantaggi regionali».

«Si tratta – viene spiegato – del principio fondante della coesione: tutte le precedenti iniziative di riprogrammazione emergenziale hanno sempre mantenuto l’originaria distribuzione territoriale delle risorse. Il mantenimento dell’originale chiave di riparto per risorse riprogrammate per la difesa andrebbe, invece, chiarita il prima possibile, dal momento che nel settore della difesa i criteri di allocazione di mezzi e investimenti tendono a seguire logiche ben diverse rispetto alla situazione socioeconomica dei territori. Una preoccupazione aggravata dalla considerazione che, come a differenza dell’iniziativa di Repower Eu, nella proposta di Rrearm Europe non è prevista una percentuale massima delle risorse della coesione riprogrammabili a favore della difesa.

La riprogrammazione delle risorse per la coesione a favore della difesa avviene esclusivamente su base volontaria, ma dovrà essere effettuata in concomitanza con la revisione di medio periodo dei Programmi 2021-2027.

«Si ricorda – si legge nel documento della Svimez – che la revisione di medio termine prevede che il 50% del contributo europeo per gli anni 2026 e 2027 (circa 50 miliardi) relativo ai Programmi di ciascuno Stato membro possa essere definitivamente assegnato solo dopo l’adozione, in seguito al riesame intermedio, di una apposita decisione da parte della Commissione europea. Ciò pone la Commissione in una oggettiva posizione di forza ai fini delle modifiche ai Programmi necessarie per ottenerne l’approvazione definitiva e l’assegnazione delle ultime tranche di risorse. Non è pertanto da escludere che, in situazioni di oggettiva assenza di efficacia e/o di difficoltà attuativa dei Programmi, la Commissione possa essere in grado di esercitare azioni persuasive per un loro utilizzo che comprenda gli investimenti per la difesa. Soprattutto per l’Italia considerato che al 31 dicembre 2024 la percentuale di spesa della programmazione 2021-2027 è di appena il 4%, e l’importo impegnato pari al 25%».

Le incognite sulla revisione di medio periodo e di una riprogrammazione potenzialmente incoerente con gli obiettivi di inclusione e addizionalità sollevano nuovi dubbi sulla tenuta del principio del “non nuocere” alla coesione.

Secondo la Svimez, «questa tendenza può essere invertita solo attraverso una profonda revisione dell’impostazione generale e delle modalità di organizzazione e funzionamento della politica di coesione. Una revisione che consenta di superare gli oramai evidenti limiti dell’attuale impostazione, e che rimetta tale politica al centro del modello di sviluppo sociale ed economico del continente europeo, riorientandola verso obiettivi di riduzione dei divari regionali, la cui strategicità possa essere immediatamente compresa, condivisa e verificata da cittadini e territori».

«Un focus deciso su obiettivi di riduzione dei “divari di cittadinanza” omogenei in tutti i territori appare un passaggio cruciale – viene sottolineato – affinché le politiche di coesione possano trovare fattivamente sostegno e supporto “dal basso. Obiettivi chiari e verificabili in tema di diritto all’istruzione, all’assistenza, alla mobilità e alla salute renderebbero sicuramente meno attaccabili e più stabili le risorse ad essi destinate. In questo quadro, un approccio orientato ai risultati richiederebbe una maggiore responsabilità europea nella definizione degli obiettivi che deve accompagnarsi ad un coinvolgimento diretto delle amministrazioni locali, a partire dai Comuni, nella realizzazione dei target, non disperdendo lo sforzo progettuale e attuativo determinato dall’esperienza del Pnrr».

La definizione di obiettivi chiari, misurabili e verificabili, assieme al focus sui servizi “di prossimità” legati alla cittadinanza risulterebbe idonea a destare un’attenzione e un interesse maggiore da parte delle comunità locali nei confronti dei fondi europei e, conseguentemente, un monitoraggio civico sul raggiungimento dei risultati. Tutto ciò porrebbe le basi per un sostanziale miglioramento della percezione e della valutazione delle politiche di coesione da parte dei cittadini, avvicinandoli a comprenderne l’utilità e il valore.

«Questo passaggio, apparentemente non strategico – spiega la Svimez – rappresenta in realtà uno snodo essenziale per creare una constituency, oggi assente per le politiche di coesione, che le sostenga e difenda in sede europea. Una constituency che si attiverebbe solo laddove il trasferimento delle risorse della coesione verso altre finalità dovesse mettere a rischio l’attuazione di misure atte a raggiungere obiettivi essenziali per le comunità locali».

«La riduzione dei divari di cittadinanza – viene sottolineato – dovrebbe essere inoltre accompagnata dal ruolo centrale da assegnare alle politiche di coesione per favorire la localizzazione degli investimenti (pubblici e privati) nelle regioni meno sviluppate, al fine di consolidare e potenziare tutti settori strategici della nuova politica industriale europea delineata dal Piano Draghi, non solo al settore della difesa. Se l’attuale dibattito tecnico e politico sulla politica industriale europea risulta carente per quanto concerne la dimensione territoriale, la centralità della politica industriale all’interno della politica di coesione è l’unica strategia per restituire un’adeguata rilevanza alle specificità e potenzialità regionali».

«Si tratterebbe di passare dall’attuale approccio, che vede la destinazione di agevolazioni alle imprese come la più semplice modalità per risolvere problemi e lentezze di attuazione dei Programmi, e che da sempre induce a riprogrammazioni a favore di generici sussidi orizzontali “a pioggia” – conclude la Svimez – ad una impostazione strategica coerente con gli indirizzi di politica industriale europea per l’individuazione di settori industriali di traino, e le modalità con cui sostenerli». (am)

ADOZIONI, IN CALABRIA LA RETE WELFARE
È PARI A ZERO: POTENZIARE I CONSULTORI

di ANNA COMI – A proposito di adozioni, a settembre scorso, da queste colonne, avevamo fatto appello alle istituzioni regionali per chiedere loro di farsi promotori di unazione forte nei confronti del Governo, affinché single e coppie di fatto tutte, potessero avere lopportunità di accogliere un bambino.

Come sempre, la politica è sorda alle istanze dei cittadini e così capita che donne poco arrendevoli si rivolgano direttamente ai Tribunali per veder riconosciuti diritti che la politica stessa nega.

È accaduto di recente, giusto per fare qualche esempio, con  il cognome delle donne: è stata la pronuncia della Corte costituzionale del 27 aprile 2022, che ha dichiarato illegittime le norme impedenti alla madre di attribuire il proprio cognome al figlio.

Ed è sempre stata una donna, una magistrata, che si è rivolta al Tribunale contro il divieto di adozione  imposto perché single. La Consulta le ha dato ragione. La sentenza cita le adozioni internazionali perché risponde  al quesito posto, ma è evidente che anche nei casi di adozione nazionale si potrà fare riferimento a quanto pronunciato dalla Corte Costituzionale.

Un punto importante della sentenza è l’aver riconosciuto che la società è cambiata e che esistono diversi modelli familiari. Pertanto, sollecita il Parlamento a valutare un aggiornamento della normativa, per adeguarla alla realtà sociale attuale e ai principi costituzionali.

Questa sentenza, molto importante,  potrebbe stravolgere il trend negativo che si registra sulle adozioni.

Negli ultimi anni, l’adozione in Italia e nella nostra Regione,  ha affrontato sfide significative, evidenziate da una diminuzione delle domande e delle adozioni concluse, sia a livello nazionale che internazionale. Le disponibilità all’adozione nazionale segna una riduzione del 35%. Ancora più marcato è il calo nelle adozioni internazionali dove le  adozioni effettive sono scese dell’88%.

Questo trend negativo è attribuibile alla percezione che si ha sulle procedure adottive molto spesso complesse e onerose, sia in termini di tempo che di risorse economiche, scoraggiando molte coppie dall’intraprendere questo percorso che invece va rafforzato e sostenuto.

In Calabria, il Servizio Regionale per le Adozioni Internazionali è l’organismo pubblico incaricato di promuovere e supportare le adozioni internazionali. Questo servizio fornisce informazione, formazione, accompagnamento e sostegno alle coppie che intendono intraprendere un percorso di adozione internazionale.

Lesistenza e la funzionalità dellente regionale per le adozioni è di fondamentale importanza per chi vorrebbe adottare un bambino seguendo il percorso delladozione internazionale e per questo deve essere potenziato e il suo finanziamento reso strutturale. È importante, quindi, stabilizzare una volta per tutte il servizio dell’Ente regionale che, attualmente, procede con una programmazione proiettata in avanti soltanto di due anni.

Inoltre, non ci stancheremo mai di ribadire il ruolo fondamentale che ricoprono i  consultori familiari nell’iter da seguire per iniziare il percorso dell’adozione.

C’è da specificare che le coppie, e da oggi anche i single, che vogliono adottare devono essere in possesso di una idoneità derivante da una serie di relazioni attitudinali e quindi, dopo aver presentato domanda presso il Tribunale per i Minorenni, si devono rivolgere ai servizi sociali del territorio di appartenenza.

Ed è già qui che sorgono le prime difficoltà: in Calabria la rete welfare legata agli Enti locali è pari a zero, aggravata dai continui tagli alle risorse. Unico supporto potrebbero essere proprio i consultori ma, come evidenziato da un report presentato proprio dal Coordinamento Pari Opportunità della Uil Calabria, a causa di poco personale, tendono a limitare le attività provenienti sia da enti locali che da tribunali per i minorenni cercando di attenersi strettamente alle loro competenze specifiche.

La conseguenza è un serio rallentamento di una procedura già difficile di suo e che porta sconforto e frustrazione.

Pertanto, per favorire le adozioni, il primo passo da compiere è migliorare il sistema quindi rendere più operativi i Consultori attraverso lassunzione di assistenti sociali e psicologi, figure professionali carenti ovunque nella nostra regione.

La carenza di personale specializzato e la limitata diffusione territoriale riducono le opportunità di informazione, preparazione e accompagnamento per le famiglie interessate all’adozione. Di conseguenza, le coppie e i single, possono sentirsi disorientate e poco sostenute, contribuendo al calo delle adozioni registrato negli ultimi anni.

Per invertire questa tendenza, è fondamentale rafforzare il ruolo dei consultori familiari, garantendo una presenza capillare sul territorio e dotandoli delle risorse necessarie per offrire un supporto completo alle coppie  e ai single aspiranti all’adozione.

Inoltre, è essenziale snellire e rendere più accessibili le procedure adottive, al fine di incentivare le famiglie, anche quelle monogenitoriali, a intraprendere questo importante percorso di accoglienza. (ac)

[Anna Comi è coordinatrice Cpo Uil Calabria]

LO SPOPOLAMENTO DELL’AREA GRECANICA
IL GRIDO DI DOLORE ARRIVA DA ROGHUDI

di SILVIO CACCIATORE  – Il territorio dell’Area Grecanica sta vivendo un progressivo e costante calo demografico. In 13 anni, dal 2011 al 2024, la popolazione residente è scesa da 49 mila a circa 43.500 abitanti, con una riduzione del 10,9%. Una vera e propria emorragia che colpisce in modo trasversale tutti i comuni della zona, aggravata da mancanza di lavoro, servizi essenziali carenti e infrastrutture inadeguate.

Analizzando i dati nel dettaglio, emerge che il calo demografico riguarda tutti i 16 comuni dell’Area Grecanica, con variazioni che vanno da una perdita contenuta fino a situazioni più critiche. Roccaforte del Greco è tra i centri più colpiti, con una diminuzione della popolazione del 41,8% dal 2011 al 2024, passando da 518 abitanti a soli 301. San Lorenzo ha perso 558 residenti, riducendosi da 2.829 abitanti a 2.271, mentre Melito di Porto Salvo, il centro più popoloso dell’area, è sceso di oltre 1.100 abitanti, stabilizzandosi oggi intorno ai 10.091 residenti.

A pesare su questo calo è un insieme di fattori strutturali e sociali che hanno reso sempre più difficile per le famiglie e i giovani restare in questi territori. La difficoltà di accesso ai servizi sanitari, la scarsità di opportunità lavorative e una rete viaria inadeguata hanno spinto molti a emigrare in cerca di condizioni migliori.

Problemi atavici

Durante il telegiornale di LaC News 24, il sindaco di Roghudi Pierpaolo Zavettieri, nonché presidente dell’Associazione dei Comuni dell’Area Grecanica, ha evidenziato in diretta le gravi difficoltà che affliggono il territorio.

«Si tratta di problemi storici – ha sottolineato – che riguardano trasporti, sanità, lavoro. Pensiamo alla statale 106, un’arteria fondamentale per lo sviluppo economico e sociale della zona, che ancora oggi versa in condizioni inaccettabili».

Il primo cittadino ha inoltre ribadito che l’assenza di collegamenti adeguati rende ancora più difficile lo sviluppo economico e la permanenza della popolazione nei comuni dell’area.

Un altro fattore determinante nel progressivo spopolamento è la crisi occupazionale. Secondo i dati, tra il 2015 e il 2018, si sono persi 7.000 posti di lavoro solo nel settore edilizio nella provincia di Reggio Calabria, molti dei quali ricadenti nell’Area Grecanica. La mancanza di opportunità ha spinto centinaia di giovani e famiglie a cercare fortuna altrove, contribuendo al progressivo svuotamento dei piccoli comuni. La questione del lavoro si lega inevitabilmente anche alle difficoltà per chi vorrebbe avviare un’attività economica sul territorio.

Le aree interne

Per contrastare questa tendenza, l’Area Grecanica è stata inserita nella Strategia Nazionale per le Aree Interne, un piano di intervento che punta a incentivare investimenti per il miglioramento dei servizi sanitari, infrastrutturali e scolastici.

Tuttavia, i sindaci chiedono misure più incisive e tempi di attuazione rapidi per evitare che la situazione diventi irreversibile. Tra le possibili soluzioni che si potrebbero proporre, vi sono incentivi per le imprese, sgravi fiscali per chi decide di investire nell’area e il potenziamento delle strutture scolastiche per garantire un’istruzione di qualità ai giovani senza costringerli a spostarsi nei centri più grandi. Inoltre, si potrebbe puntare ad una maggiore valorizzare del patrimonio culturale e turistico della zona, un settore che potrebbe rappresentare un’opportunità di rilancio economico se adeguatamente supportato.

Un trend preoccupante

Le proiezioni future non fanno ben sperare: se il trend di calo demografico continuerà con gli stessi ritmi, entro il 2029 l’Area Grecanica potrebbe scendere sotto la soglia dei 42.000 abitanti, e nel 2034 rischia di scendere sotto i 40.000 residenti. Questi dati delineano un quadro allarmante, che necessita di interventi urgenti.

Senza azioni strutturali e politiche di sviluppo concrete, il rischio è che nei prossimi anni la popolazione continui a diminuire, trasformando questo angolo di Calabria in un’area sempre più fragile e meno abitata. Le istituzioni lanciano un appello chiaro: bloccare il declino demografico e garantire un futuro ai territori dell’Area Grecanica è una priorità non più rimandabile. (sc)

[Courtesy LaCNews24]

PNRR, QUALCHE TIMORE PER I FONDI: NON
C’È CAPACITÀ DI SPESA PER OLTRE IL 50%

di ERCOLE INCALZA – Siamo in attesa del Piano in corso di definizione da parte del Ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr Tommaso Foti, di un Piano che riconosce formalmente il reale rischio di perdere risorse assegnate dalla Unione Europea per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dall’Italia, prevede investimenti e un coerente pacchetto di riforme, a cui sono allocate risorse per 191,5 miliardi di euro di cui 68,9 miliardi di euro a fondo perduto e 122,6 finanziati tramite prestiti e per 30,6 miliardi di euro attraverso il Fondo complementare istituito con il Decreto Legge 59 del 6 maggio 2021 a valere sullo scostamento pluriennale di bilancio. Il totale dei fondi previsti ammonta quindi a di 222,1 miliardi di euro.

Ebbene, con apposite mie note ho, in modo dettagliato, ricordato sin dal 2021, praticamente pochi mesi dopo l’approvazione dell’apposito provvedimento da parte del Governo italiano, che il massimo importo che saremmo stati in grado di spendere entro il 30 giugno 2026 non avrebbe superato la soglia dei 90 miliardi di euro.

Il mio era un convincimento facilmente difendibile perché come ho ribadito più volte l’intero impianto programmatico non conteneva: una governance unica (fino all’inizio del 2023 vi erano ben sette centri di riferimento preposti alla gestione dell’operazione); elaborati progettuali con caratteristiche tecniche a livello esecutivo e, soprattutto, supportati da misurabili processi autorizzativi; cronoprogrammi che in partenza assicurassero il completamento delle opere entro il 30 giugno 2026, per cui è stato davvero facile poter quantificare una concreta attivazione della spesa, ripeto, non superiore ai 90 miliardi.

Il volano di risorse pari a 191,5 miliardi di euro (68,9 miliardi di euro a fondo perduto e 122,6 finanziati tramite prestiti) a cui si aggiunge, come detto prima, l’importo di 30,6 miliardi attraverso il Fondo complementare e che su preciso indirizzo della Unione Europea deve rispettare le stesse logiche e le stesse scadenze del Pnrr, vede un residuo di risorse non spese pari a: 222,1 – 90 = 132,1 miliardi di euro.

Sicuramente sarò smentito e sicuramente da più parti saranno forniti dati e precisazioni sul valore reale di questa mancata spesa e le cifre varieranno tra un minimo di 115 miliardi di euro ad un massimo di 125 miliardi di euro; non voglio polemizzare su simili precisazioni perché anche la cifra minima di 115 miliardi denuncia da sola quanto sia grave e al tempo stesso rischioso non poter ormai in nessun modo dare vita ad un tentativo di concreto salvataggio di tali risorse.

Ora, almeno seguendo sue ultime precisazioni, il Ministro Foti intende, entro questo mese di febbraio presentare un nuovo Piano che annulli le opere che non sarà possibile portare a compimento entro il 30 giugno del 2026 e, al loro posto, inserire nuovi interventi.

Questa impostazione, purtroppo, creerà rilevanti problemi con gli Enti locali e con le grandi aziende come le Ferrovie dello Stato, e questo contenzioso, ingestibile dal punto di vista istituzionale e politico, renderà ancora più difficile il rispetto della scadenza imposta dall’Unione Europea.

Per l’ennesima volta cerco di prospettare una ipotesi di lavoro così articolata: si chieda subito alla Unione Europea di aprire un confronto diretto in cui il nostro Paese  ammette la impossibilità di rispettare quanto previsto in merito alla scadenza dell’intero impianto programmatico e giustifica una simile inadempienza ricordando anche che una delle cause era da ricercarsi sia nella serie di verifiche elettorali effettuate negli anni 2022 e 2023, sia all’alternarsi di tre distinti Governi; verifiche sia nazionali che locali e questa mancata continuità amministrativa ed istituzionale aveva prodotto sostanziali ritardi nei processi autorizzativi.

Si trasformino le risorse a fondo perduto, pari a circa 28 miliardi non spendibili dei 68,9 miliardi autorizzati, in prestito con un tasso di interesse da definire; si aumentino i tassi dei 52 miliardi di euro dei 122,6 autorizzati inizialmente, mentre si mantengano inalterati i tassi dei 20 miliardi dei 30,6 miliardi del Fondo complementare; si fissi come scadenza definitiva di tutta l’operazione il 30 giugno del 2028; una data questa identica alla scadenza del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027 (scadenza che contiene in partenza una proroga fino al 30 giugno del 2028).

La Unione Europea penso sia disposta a confrontarsi su una simile proposta ed in particolare si convinca che con l’adeguamento dei tassi di interesse il nostro Paese sta praticamente adottando una procedura che non penalizza in nessun modo le aspettative di altri Paesi interessati da Fondi del Programma Next Generation Eu (Ngeu), il pacchetto da 750 miliardi di euro, costituito per circa la metà da sovvenzioni, concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica.

Insisto nel difendere questa ipotesi di lavoro perché temo che ogni ipotesi alternativa si configuri come un secondo imperdonabile fallimento, un fallimento di questo Governo, un fallimento che peserebbe moltissimo nel bilancio conclusivo dell’attuale Legislatura. (ei)

 

STATALE 106, ORA SI FA SUL SERIO: I PRIMI
BANDI PARTIRANNO TRA MAGGIO E APRILE

di LUCA LATELLA – Prima uscita ufficiale per il nuovo commissario della statale 106, Francesco Caporaso, nominato dal governo una decina di giorni fa. Ed è una sortita coi fiocchi, al Ministero delle Infrastrutture dei trasporti alla presenza di Matteo Salvini, del presidente della Regione, Roberto Occhiuto e del nuovo amministratore delegato di Anas, Andrea Gemme.

Il summit è stato utile, sostanzialmente, a mettere i puntini sulle “i” rispetto alle due tratte in fase procedurale avanzata, il cosiddetto progetto bandiera Crotone-Catanzaro, e quello che era stato designato precedentemente come tale, Sibari-Rossano, rimpiazzato proprio dal segmento croto-catanzarese a causa ritardi accumulati dalla politica locale.

Al centro del colloquio – si legge in una nota del Mit – «gli importanti investimenti e i progetti per il territorio calabrese, per modernizzare la viabilità e migliorare i collegamenti, anche con il progetto del Ponte sullo Stretto, per un importo totale di circa 3 miliardi e 800 milioni».

Risorse che serviranno, appunto, a portare a termine le due tratte: circa 2,5 miliardi per la realizzazione dei 51 chilometri di “nuova” 106 a quattro corsie tra Crotone e Catanzaro già banditi ed in fase propedeutica di realizzazione e 1,3 miliardi per i 32 tra Rossano e Sibari.

Le novità di giornata: i bandi di gara

Le vere novità di “giornata”, piuttosto, riguardano i nuovi bandi di gara che interessano le due tratte, ormai imminenti. «Entro il 2 aprile» saranno pubblicate le gare – su due lotti – della Si-Ro mentre per quel che riguarda la Cz-Kr, un primo bando è già stato affidato, ne restano altri cinque in fase di pubblicazione «entro maggio».

Un’ottima notizia per la Sibaritide – già interessata dai lavori del terzo megalotto Sibari-Roseto Capo Spulico che sarà aperta al traffico l’anno prossimo – dopo i mesi di ritardo accumulati per la firma della convenzione tra Regione e Anas (propedeutica al bando di gara) a seguito della chiusura, ormai a giugno scorso, della conferenza dei servizi. Una dilatazione dei tempi – in parte – dovuto anche alla necessità di rimpinguare l’ormai fatidico fondo da tre miliardi stanziati dal governo Meloni per il rifacimento della statale 106 per i prossimi 15 anni, già abbondantemente assorbiti dalle due tratte. Risorse aggiuntive poi recuperate dal Fondo di Sviluppo e Coesione.

«In particolare, nell’ambito del progetto di sviluppo e riqualificazione della Strada Statale 106 Jonica che collega Reggio Calabria a Taranto, uno snodo strategico per il Sud Italia – spiegano quindi dal Mit – Anas procederà entro il 2 aprile alla pubblicazione del bando di gara per l’appalto integrato dei due lotti della tratta Sibari-Corigliano Rossano, mediante procedura aperta, per un importo di circa un miliardo e 300 milioni di euro».

«L’intervento rientra nel più ampio progetto di sviluppo e riqualificazione della SS 106 per un totale di 82 km – puntualizzano dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti – in variante e a carreggiate separate, che comprende anche la tratta Catanzaro Crotone per un importo totale, come detto, di circa 3,8 miliardi di euro».

Crotone-Catanzaro: il punto

«Per questa tratta, Catanzaro Crotone – è specificato ancora – un lotto risulta già appaltato (valore 346 milioni) e altri cinque lotti, per un investimento di circa due miliardi e 200 milioni di euro, saranno aggiudicati entro maggio prossimo».

Sibari-Rossano: il punto

Il tratto Sibari – Rossano «fa parte degli interventi oggetto di commissariamento governativo, affidati al commissario Caporaso. Nel dettaglio – conclude la nota del Mit – riguarda la realizzazione di una variante in nuova sede alla SS106 con un tracciato di categoria stradale B extraurbana principale, doppia carreggiata, per una estensione di circa 32 km, 9 svincoli, 28 viadotti per un totale di circa 4,5 chilometri e una galleria artificiale di circa 1,3 km, nel territorio di Corigliano Rossano».

«Grande soddisfazione del ministro Salvini – è la chiosa del ministero – per questi investimenti strategici che, dopo anni di attese, miglioreranno la viabilità della Calabria e i collegamenti con le altre regioni».
Già, ma gli altri?

Occhiuto «Col centrodestra 3,8mld in 3 anni, solo 1mld nei 30 anni precedenti»

«Sono estremamente soddisfatto dell’incontro odierno presso il Mit, nel corso del quale sono stati presentati gli ingenti investimenti relativi a importanti opere per il territorio calabrese sul piano della viabilità e del miglioramento dei collegamenti. Ringrazio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, per l’attenzione che sta dimostrando nei confronti della Calabria». È il commento di Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, a margine della riunione romana.

«Un’attenzione corrisposta anche dal governo nazionale e da quello regionale, entrambi di centrodestra, che in questi anni stanno concretamente immettendo risorse mai giunte in passato per l’ammodernamento della strada statale 106 e della viabilità locale. Ricordo che – prosegue il governatore – proprio per la Ss106, purtroppo definita la ‘strada della morte’, nei trent’anni precedenti era stato stanziato soltanto un miliardo. Negli ultimi tre anni siamo arrivati invece a 3,8 miliardi. Si tratta di un impegno inedito e straordinario, con tutte le progettazioni che camminano spedite.
Oltre al finanziamento dei cantieri quasi tutti aperti, stiamo lavorando per colmare un deficit infrastrutturale storico. Lo stiamo facendo in modo concreto, portando nel nostro territorio risorse tangibili e sono certo che presto i cittadini calabresi potranno fruire di quelle opere che attendono da troppi anni».

«Allo stesso tempo proseguiremo in maniera rapida con tutte le progettazioni dei restanti lotti della statale 106. Sappiamo che è un lavoro che durerà per diversi anni ma è anche vero che in Calabria mai nessuno prima d’ora era riuscito in così poco tempo a mettere in campo una mole così ingente di risorse per le nostre infrastrutture.
Di tutto ciò – conclude Occhiuto – voglio ringraziare anche l’amministratore delegato di Anas S.p.A, Andrea Gemme, il commissario straordinario per la “Riqualificazione della Strada Statale 106 Jonica”, Francesco Caporaso, e il dirigente regionale del Dipartimento Infrastrutture e Lavori Pubblici, Claudio Moroni, per la preziosa collaborazione». (ll)

[Courtesy LaCNews24]

NUOVI OSPEDALI, PER OCCHIUTO UNA SFIDA
NON SOLO SANITARIA, MA ANCHE POLITICA

di MASSIMO CLAUSI – Tutto si può dire al presidente Roberto Occhiuto tranne che non abbia il coraggio di assumersi le sue responsabilità.

Come definire altrimenti la scelta di farsi nominare commissario delegato «per l’attuazione degli interventi concernenti il sistema ospedaliero della Regione Calabria, da realizzare nella vigenza dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2025».

Una scelta che ha fatto molto discutere perché dà poteri amplissimi ad Occhiuto che era già commissario alla Sanità. Con questa nuova nomina, il presidente può decidere tutto quello che riguarda l’iter per la realizzazione dei vari ospedali (Sibaritide, Vibo Valentia, Gioia Tauro, Locri, Gom di Reggio Calabria, Asp di Reggio Calabria, Cosenza, Azienda ospedaliero-universitaria di Catanzaro e Asp di Crotone). I detrattori hanno parlato di un commissario che si è fatto commissariare per avere le mani più libere possibile. E non è certo un affare da poco sia dal punto di vista economico sia politico.

Sotto il primo aspetto si tratta di quasiun miliardo e mezzo di euro da gestire attraverso procedure spedite, sulla falsa riga del Ponte Morandi di Genova, eliminando lungaggini burocratiche, passando sopra anche la volontà degli enti locali (il riferimento è al contenzioso con il Comune di Cosenza sull’ubicazione del nuovo ospedale). Un piatto talmente ricco da far tremare le vene ai polsi.

Sul piano politico la posta in gioco è altrettanto alta perché, come noto, alcuni di questi ospedali sono stati finanziati nel lontano 2004 e quello più avanti nella realizzazione è quello della Sibaritide, arrivato al 35% dei lavori. Se Occhiuto dovesse riuscire ad avviare un po’ di questi ospedali e completare quello della Sibaritide porterebbe a casa un grandissimo risultato politico. In caso contrario non avrà più giustificazioni perché nessuno ha mai avuto maggiori poteri di lui nella gestione della sanità regionale. Prima con i decreti Calabria due volte reiterati, ampliando i poteri del commissario, adesso con questo nuovo incarico dopo il fallito tentativo di inserire alcuni emendamenti ad hoc per la sanità calabrese nel Milleproroghe.

Quanto tempo avrà a disposizione? Il timing non è certo perché il decreto non lo fissa. Se ne desume, quindi, che anche se Occhiuto scadrà da commissario per il Piano di rientro non così da quello investito dalla Protezione Civile per la realizzazione dei nosocomi calabresi. A meno, ovviamente, di un nuovo decreto da parte del Governo.

Ma la posta in gioco è altissima soprattutto per i calabresi che anni aspettano un’offerta sanitaria segna di questo nome. La speranza, per tutti i calabresi indipendentemente dalle magliette politiche, è che Occhiuto riesca nell’impresa.

Si perché anche

Ma la posta in gioco è altissima soprattutto per i calabresi che anni aspettano un’offerta sanitaria segna di questo nome. La speranza, per tutti i calabresi indipendentemente dalle magliette politiche, è che Occhiuto riesca nell’impresa.

Si perché anche questa nomina non è inedita nella disastrata storia della sanità calabrese. Occhiuto ha avuto un predecessore. L’ordinanza numero 3635 del 21 dicembre 2007, firmata dall’allora presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi, prevedeva infatti la nomina – su proposta del Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri – dell’assessore regionale alla Salute della Giunta Loiero, Vincenzo Spaziante come commissario “per il superamento della situazione di emergenza socio-economico-sanitaria determinatasi nella Regione Calabria”.

Era l’inizio del commissariamento in sanità della nostra regione. Spaziante veniva poi incaricato della realizzazione delle strutture ospedaliere previste dall’Accordo di programma integrativo, sottoscritto dal Ministero della Salute e dal presidente della regione Calabria in data 6 dicembre 2007, oltre che della riorganizzazione, dell’adeguamento e del potenziamento delle dotazioni tecnologiche ospedaliere esistenti.

Sapete come è andata a finire? Gli ospedali non vennero realizzati e, come racconta Carlo Guccione nel suo libro “Amara verità” nel settembre 2009, sarà l’intera Giunta regionale a denunciare Spaziante per interruzione di pubblico servizio e rifiuto di atti d’ufficio con possibili danni all’erario.

Per Occhiuto tifiamo tutti per un esito diverso. (mc)

[Courtesy LaCNews24]

JONIO, SI NUOTA NELLA PLASTICA E RIFIUTI
LE SPIAGGE SONO DIVENTATE DISCARICHE

di LUIGI STANIZZI – Siamo tutti serviti, ecco cosa ci restituisce il mare in queste giornate di scirocco: bottiglie di plastica, polistirolo, rifiuti speciali che abbiamo smaltito male. E le rive del Mar Jonio vengono così inquinate, incessantemente, con buona pace del tanto decantato sviluppo turistico, vocazione mare-monti, bandiere più o meno blu, e altre parole ormai incredibili.

Oltre all’impegno serio degli organismi preposti, senza una vera collaborazione ci ciascun cittadino l’emergenza rifiuti resterà in eterno. Se riusciremo a sopravvivere, nuoteremo fra plastica e polistirolo! Le istituzioni preposte fanno molta teoria, che difficilmente si concretizza in azioni. Occorrono civiltà, educazione, leggi restrittive, scelte planetarie ma intanto cerchiamo di prenderci cura delle nostre mitiche spiagge ridotte in pattumiere, che abbiamo sotto il naso.

Talvolta è rischioso anche denunciarne lo scempio, perché si rischia di “ledere” l’immagine di questo o quel Comune, soprattutto nel periodo estivo. Grande l’attenzione all’immagine e nessuna attenzione alla sostanza, chiudere gli occhi davanti a tanta sporcizia. Addio Magna Graecia. Noi calabresi diciamo sempre di amare visceralmente la nostra terra, non è sempre vero. La sporcizia è qui a dimostrarcelo. (ls)

[Luigi Stanizzi è presidente del Premio Mar Jonio]

FRENARE LA FUGA DEI GIOVANI CERVELLI
DA CALABRIA: SERVE TAVOLO REGIONALE

di MARIAELENA SENESE – Dobbiamo provare a guardare al domani partendo dai dati dell’oggi, consapevoli di dove eravamo ieri e di dove ci troveremo domani se non saremo capaci di mettere in piedi un dossier sui giovani per provare a cambiare questo trend negativo e fermare l’emorragia dei giovani calabresi.

Dalle nascite che calano, ai talenti che sbocciano e che scappano, dall’invecchiamento che avanza ad una società che non pensa da troppo tempo a come investire sui giovani fino ad un sistema scolastico che forse guarda troppo al passato.

La coesione sociale di un Paese si misura dalla capacità di dare un futuro alle nuove generazioni creando un clima di fiducia. Alle istituzioni compete la responsabilità di attuare politiche attive che permettono ai giovani di realizzare il loro progetto di vita, superando le difficoltà di carattere materiale e di accesso ai servizi.

I dati dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche ci raccontano di un panorama lavorativo ancora fragile, dove da una parte mancano figure professionali specializzate e dall’altra abbiamo perso, negli ultimi venti anni, 162.000 giovani in cerca di migliori opportunità lavorative.
Una situazione che ci induce a fare una riflessione approfondita e, nello stesso tempo, ad avanzare proposte utili a frenare questa fuga inarrestabile.

Per incentivare il rientro dei professionisti altamente qualificati, proponiamo la creazione di un fondo regionale, il fondo “Ritorno dei cervelli” che offra incentivi economici e fiscali; agevolazioni fiscali per i primi cinque anni, contributi per l’acquisto o l’affitto della prima casa per chi decide di ritornare nella nostra regione e, magari, un bonus di rientro, che potrebbe essere quantificato in 30 mila euro, per chi decide di tornare in Calabria e avviare o continuare la propria attività.

Inoltre, riteniamo fondamentale il sostegno alle start-up e all’imprenditoria giovanile attraverso finanziamenti agevolati e un fondo specifico per le imprese innovative nei settori strategici della regione, quali quelli dell’energia rinnovabile, del turismo sostenibile o della blue economy.

Per favorire la crescita professionale dei giovani calabresi, è essenziale un piano di potenziamento delle competenze con programmi di formazione continua in collaborazione con le nostre università e aziende, focalizzati sulle richieste del mercato del lavoro regionale, come digitalizzazione, installazione, manutenzione e riparazione per coprire la domanda di elettricisti, meccanici e magazzinieri che sono necessarie a colmare il gap fra offerta e domanda di lavoro.

Non possiamo permettere che i giovani calabresi continuino a emigrare per trovare opportunità di lavoro dignitose e per una maggiore crescita professionale.

La nostra regione ha tutte le potenzialità per crescere, ma servono interventi mirati. Solo così la Calabria potrà realmente cambiare rotta e costruire un futuro occupazionale più stabile e inclusivo. (ms)

[Mariaelena Senese è segretaria generale Uil Clabria]