STAVOLTA VOGLIAMO RACCONTARE DI NOI:
A CHE SERVE, A CHI SERVE CALABRIA.LIVE

di SANTO STRATI – A chi serve, a cosa serve questo giornale? Costretti a una “pausa tecnica” per tutto il mese di agosto per un adeguamento e aggiornamento del sistema editoriale del quotidiano digitale, cogliamo l’occasione per parlare di noi e di quello che abbiamo fatto, di quello che facciamo e di quello che contiamo di fare in futuro.

Calabria.Live serve i calabresi (non “ai“) e la puntualizzazione è necessaria perché il compito di un giornale è informare e, allo stesso tempo, formare l’opinione pubblica, in totale autonomia e nel pieno rispetto della terzietà nei confronti delle notizie.

Dal primo giorno (era il 1° gennaio 2017) abbiamo chiarito che ci sarebbero stati pochi amici e molti “nemic” poiché avremmo riferito senza alcuna indulgenza tutto ciò che riguardava il territorio (ignorando volutamente i fatti di cronaca nera) senza guardare in faccia a nessuno (amici o nemici), raccontando chi fa bene e chi fa male alla Calabria. E abbiamo avviato (seguiti – che soddisfazione! – anche da altre testate) una nuova narrazione di questa terra bellissima e sfortunata. Abbiamo parlato delle sue bellezze, delle sue risorse umane (straordinarie) e della sua gente, della pochezza di certi politici e della capacità di altri (pochi), orientati lodevolmente solo verso il bene comune. Di come trasformare le opportunità del territorio, e di come fermare lo spreco di fondi inutilizzati o, peggio, sperperati. Un candido intendimento, che però siamo riusciti a far diventare realtà (e ci sono le collezioni di questo giornale a documentarlo e raccontarlo: 10mila pagine prodotte solo nel 2024!).

Non tifiamo per nessuno (né a destra, sinistra o altro) ma solo per chi vuole bene alla Calabria e sogna il suo sviluppo pensando alle generazioni future. E quindi abbiamo riferito di ogni iniziativa, indipendentemente dall’appartenenza politica o partitica, che fosse a vantaggio dei calabresi e del loro territorio, ma abbiamo altresì documentato (anche qui senza guardare in faccia a nessuno, senza favoritismi o coperture) illogicità, provvedimenti e attività che colpivano gli interessi della Calabria.

Alcuni giornali sono schierati politicamente (più o meno palesemente) noi siamo schierati solo con la Calabria e i calabresi. Non soltanto quelli che vivono, operano, studiano e lavorano in Calabria, ma anche quelli dell’ “altra” Calabria fatta di sei milioni di persone distribuite in Italia e nel mondo. La diaspora calabrese ha portato la sua gente a lasciare il territorio, in minima parte per scelta personale, ma soprattutto per mancanza di lavoro e prospettive. E sono tantissimi, in verità, con l’orgoglio della propria appartenenza, che sognano di poter tornare e far crescere i figli in una terra che avrebbe tutte le caratteristiche per potersi definire felice.

Ma non bastano l’aria pulita, gli 800 km di costa, i parchi naturali, la ricchezza del patrimonio archeologico e l’intelligenza dei suoi abitanti: serve crescita e sviluppo, che si ottengono creando opportunità e occasioni  di lavoro.

Su questo tema – lo sanno i nostri lettori – non ci siamo mai risparmiati né ci fermeremo a stigmatizzare occasioni perdute, mancate realizzazioni, illusorie promesse e ingenerose disattenzioni verso giovani e donne di questo territorio.

Anche se ci sono segnali importanti di questa amministrazione regionale verso donne, giovani e lavoro, in realtà è stato fatto ancora troppo poco e prevale su tutto una invincibile burocrazia (a cui la compianta presidente Santelli aveva dichiarato guerra a tutto campo cominciando a smantellare i “macigni” che sopravvivono in Cittadella).

È stata e sarà una battaglia quella per donne, giovani e sviluppo che continueremo a testa alta, senza condizionamenti.

Ma non è un lavoro di poco impegno, vagliare il mare di notizie che ogni giorno invade la redazione, riscrivere tutto (non pubblichiamo comunicati in fotocopia), selezionare le immagini, titolare e passare il menabò (la sequenza delle pagine e la posizione di articoli e foto) ai grafici per produrre, tutti i giorni, per 365 giorni l’anno, il giornale che, puntualmente, arriva alle 7 del mattino sul telefonino. Un buongiorno gradito a molti, che spesso fa venire l’orticaria a qualcuno per le notizie “indigeste” (ma vere, verificate puntualmente col massimo rigore) che pubblica. Però – bisogna constatare – che pochi considerano quanto costi tale impegno. È un’attività editoriale privata, ma non è stata scelta per far soldi, bensì per amore della Calabria, però se vengono meno le risorse esterne (abbonamenti, pubblicità, comunicazione istituzionale) diventa difficile fare investimenti, assumere personale, formare nuovi giornalisti (è un sogno poter mettere su una squadra di giovani a cui insegnare il mestiere senza teorie ma solo con la pratica quotidiana) e ampliare la platea dei collaboratori. Poter finanziare inchieste difficili (perché soprattutto hanno un costo) e retribuire i collaboratori che, fino a oggi, generosamente hanno messo a disposizione i loro scritti, le foto, idee e suggerimenti.

Un quotidiano è un’opera collettiva, con un comandante e tanti marinai che ogni giorno fanno salpare la nave verso i lettori. Un quotidiano è un miracolo che si ripete ogni giorno: al mattino ci sono gli appuntamenti e le scadenze della giornata, le idee da sviluppare e su cui confrontarsi in redazione, il tema della prima pagina da scegliere e i titoli da inventare, poi improvvisamente questa massa informe di notizie e di immagini prende consistenza e diventa il giornale del giorno dopo. Tutto questo significa organizzazione, impegno e tanto lavoro. E tanti costi. Ma zero aiuti: non sussidi discutibili, ma il sostegno del giornale attraverso l’utilizzo di pagine a pagamento per comunicare l’attività istituzionale di Regione, Province, Comuni, enti territoriali, etc, per promuovere eventi e iniziative del territorio, oppure per illustrare mediante pagine pubblicitarie prodotti e attività commerciali. Con la diffusione (in corso di certificazione di primario ente europeo) di Calabria.Live (600mila contatti ogni giorno, in tutto il mondo, 150mila solo in Calabria) non sarebbe soldi mal spesi. E invece constatiamo, con amarezza, che tantissimi (aziende, enti, organizzazioni culturali, etc) a Calabria.Live mandano regolarmente info e foto chiedendo a gran voce attenzione e la pubblicazione delle notizie, solo che poi comprano pagine di pubblicità presso altre testate. La domanda è fin troppo ovvia: ma se apparire su questo giornale “è importante“, perché non è ugualmente importante utilizzare le sue pagine per la pubblicità. Che oltretutto, per le istituzioni è un obbligo di legge, ma per le aziende è un costo interamente deducibile dalle tasse. E tanti imprenditori versano ogni anno centinaia di migliaia di euro di tasse, senza investire un centesimo in promozione e pubblicità (su qualunque mezzo, non necessariamente su Calabria.Live).

Anche ipotizzando l’assenza di cultura di impresa che non fa comprendere agli imprenditori l’opportunità di promuovere l’attività togliendo soldi dalle tasse e non dagli utili dell’azienda, sorge comunque il sospetto che l’ “indifferenza” nei confronti di Calabria.Live e il suo conseguente mancato sostegno abbiano altre motivazioni. Che non stiamo a indicare, ma che ci convincono sempre di più che non bisogna mollare: la strada dell’informazione pulita, corretta e puntuale rimane vincente. Per i nostri lettori e per chi realizza Calabria.Live.

Abbiamo dato e diamo ogni giorno un’immagine diversa, positiva della Calabria, come nessuno – scusate ma non è presunzione – ha fatto mai con i media di questa regione. E dunque è giusto continuare a chiedersi “ma a che serve questo quotidiano”? Con il suo supplemento domenicale abbiamo raccontato (e continueremo a raccontare), grazie a Pino Nano e altre illustri firme) le storie di calabresi – sparsi in ogni angolo della Terra – che ce l’hanno fatta, che hanno saputo conquistare le vette del successo personale, con il cuore rivolto sempre verso la propria terra. Personaggi, uomini e donne di Calabria, che hanno dato e danno lustro alla propria terra e meritano di essere adeguatamente valorizzati e fatti conoscere, soprattutto dai giovani.

Abbiamo sempre sostenuto che la cosiddetta “calabresità” ha bisogno di essere messa in risalto perché costituisce un modello importante per le nuove generazioni, anche per chi è nato altrove, pur avendo solidissime radici calabresi. E crediamo di esserci riusciti facendo conoscere centinaia e centinaia di calabresi “illustri” in gran parte “sconosciuti” ai nostri stessi conterranei. È la risposta al razzismo strisciante, ai preconcetti che, ahimè, hanno a lungo devastato questa terra e la sua gente. Trenta-quarant’anni fa c’era chi si vergognava di indicare le proprie origini, nei curricula, o addirittura

temeva che una laurea conseguita al Sud potesse sminuire competenze e capacità. Oggi abbiamo tre Atenei che sfiorano l’eccellenza e attraggono studenti da ogni parte del mondo. È la Calabria che vince sapendo di poter contare su un capitale umano unico e invidiabilissimo. Ed è la Calabria che questo giornale ha raccontato e continua a raccontare ogni giorno. Ecco la “diversità” narrativa: basta con morti ammazzati, ‘ndrangheta e malaffare (non è, ovviamente, che non parlandone si dissolvono magicamente), ma l’Italia, il mondo aveva e ha bisogno di conoscere  l’altra faccia di una terra sulle cui sponde è nata la civiltà continentale. Dove, quando a Roma si pascolavano le pecore, si praticava il teatro, si dibatteva di etica (Pitagora) si scrivevano le prime leggi (Zaleuco) e si formava la filosofia e la cultura del mondo futuro (Gioacchino da Fiore, Campanella, Telesio).

Del resto non abbiamo trascurato di valorizzare i nostri scrittori e i nostri poeti, i nostri artisti e la grande forza culturale che la Calabria ha saputo esprimere nei secoli e continua a mostrare a tanti che sconoscono capacità e talenti del nostro patrimonio culturale. Ecco, a nostro avviso, mancava un modo di comunicare questa straordinaria varietà di contenuti (cultura, arte, patrimonio artistico  e paesaggistico, tradizioni e storia millenaria) che sono stati negli anni trascurati dai media nazionali e mondiali per riferire soltanto di una Calabria del malaffare, terra di mafia e ‘ndrangheta, di morti ammazzati e di altre orribili realtà criminali. Questo ha significato per anni la inevitabile distruzione della reputazione della regione, per tale motivo abbiamo ritenuto necessaria una narrazione diversa per far conoscere la vera Calabria, quella positiva, generosa e produttiva, quella dell’accoglienza e dell’inclusione sociale, quella che produce cultura in quantità industriale ma esporta, ahimè, cervelli. Quella che gli italiani e non solo hanno cominciato a conoscere grazie anche alle nostre pagine.

È orgoglio, non presunzione, raccontare tutto ciò e l’interesse suscitato dalle nostre pagine. È puro orgoglio poter dire di aver contribuito – anche in minima parte – a ricostruire una reputazione andata in frantumi, demolendo giorno per giorno pregiudizi e preconcetti.

Ma i nostri “suggerimenti” non hanno trovato accoglienza nelle stanze del potere: non servono gadget inutili per propagandare le ricchezze della regione, serve visione del futuro e programmi di accoglienza  e facility per un turismo che può diventare una leva formidabile di sviluppo con la creazione di nuove e larghissime possibilità di occupazione per i nostri ragazzi. Le possibilità attrattive di questa terra sono utilizzate forse appena al 5%: guardate i numeri del turismo del Trentino, della Puglia, della dirimpettaia Sicilia: in questa terra ci sono centinaia di ragioni per attrarre turismo, ma mancano strutture ricettive, mancano la logistica e le comodità degli spostamenti, manca anche una cultura d’impresa turistica che andrebbe sviluppata e formata.

Questo era, è, l’obiettivo di questa testata, ma il territorio inteso come Istituzioni e Imprese ha deluso qualsiasi aspettativa, ignorando questo strumento di comunicazione sulla cui autorevolezza e indipendenza sono gli altri a riferire, o a volte pensando di volerlo/poterlo ostacolare.

In tempi di crisi economica, fare un giornale gratuito è forse l’unica possibilità di abituare alla lettura i giovani e permettere a tutti di informarsi a costo zero, sul modello (sbagliato) della Rete. Con la differenza che nella rete imperano le fake-news alla ricerca di click-bait che portano ricchezza ai titolari di siti, ma confondono le idee e innestano modi di vedere fortemente viziati di falso. I giornali – quelli fatti da giornalisti con il culto della deontologia e del rigore informativo – è bene ricordarlo, offrono ben altro.

Ma un giornale – come prodotto industriale del pensiero – costa, come qualsiasi altra produzione e avrebbe diritto di avere non sussidi (che sarebbero un modo nascosto di captatio benevolentiae) bensì riconosciuto il ruolo di strumento di comunicazione cui affidare informazioni istituzionali o commerciali. Cosa che non è mai avvenuta in questi nove anni di vita – salvo modestissime eccezioni del Consiglio regionale e di qualche generosa azienda del territorio. Con una insopportabile – scusate lo sfogo – indifferenza verso il lavoro di chi cerca di contribuire allo sviluppo di questa terra. Un territorio che conta – e nessuno lo sa – migliaia di aziende con fatturati milionari e un’Istituzione come la Regione che ignora le realtà dell’informazione locale mentre investe in iniziative di dubbio risultato.

Una Regione che per la Cultura – a parole – investe tanto, poi nei fatti si perde in bandi improponibili e impraticabili per associazioni enti no-profit e imprenditori del settore.

È una delusione assistere a questa indifferenza “istituzionale” mentre cresce il consenso per Calabria.Live e le sue iniziative di informazione e divulgazione culturale. Non si tratta di destinare discutibili prebende a una o all’altra testata, bensì di ragionare in termini obiettivi e valutare l’impegno profuso, investendo in comunicazione istituzionale, come peraltro prescrive la legge 150. E la stessa delusione deriva dalla mancata risposta degli operatori commerciali della regione che ignorano i ritorni di immagine che una testata autorevole e indipendente è in grado di restituire, oltre ai risparmi fiscali che gli investimenti pubblicitari producono.

Manca la cultura d’impresa, in Calabria, ma manca soprattutto una grande sensibilità a captare il cambiamento e sostenerne la crescita. Quella sensibilità che, invece, centinaia di migliaia di lettori ogni giorno mostrano apprezzando il nostro impegno e la nostra indipendenza totale.

Questa pausa “tecnica” può essere, dunque, un motivo di riflessione per quanti hanno responsabilità nella pubblica amministrazione (Regione, province, Comuni) o nelle attività economiche, con una domanda: serve il quotidiano Calabria.Live? Serve una voce libera e non condizionabile che ogni giorno racconta le storie della Calabria che cresce e guarda al futuro?

I giornali si mantengono con le vendite, gli abbonamenti e la pubblicità: Calabria.Live non è in vendita (in tutti i sensi) e ha molti abbonati sostenitori che volontariamente offrono il loro contributo, ma la pubblicità  e la comunicazione istituzionale? Dove stanno? In troppi (a livello di investimento pubblicitario e di comunicazione) ignorano questa testata e a pensar male si fa peccato, ma spesso – diceva Andreotti – ci si azzecca. Ma togliere l’ossigeno vitale a un giornale non significa decretare la morte delle idee di chi lo realizza e del confronto, che trovano oggi mille modi per circolare comunque. Calabria.Live è anche sul web e sui social (è nato su Internet), ma la “fisicità” delle pagine digitali è sicuramente un modo non evanescente di stimolare il dibattito, avviare il dialogo, discutere e ragionare, senza l’opzione di far scomparire qualcosa con un semplice click. Le pagine rimangono, a presente e futura memoria, non sono post da modificare o cancellare a piacimento. Questa è la differenza con la Rete.

A Dio piacendo, ci rivediamo su queste pagine a settembre. (s)

ALTRO CHE ADDIO: LA RINASCITA DEI
BORGHI CALABRESI È DAVVERO POSSIBILE

di SILVIO CACCIATORE – In Calabria, c’è chi non ha atteso un segnale dall’alto per decidere se valesse ancora la pena restare. Mentre nei documenti ufficiali si pianifica una lenta uscita di scena per interi territori, lontano dai riflettori alcuni borghi hanno cominciato a costruire futuro con le proprie mani. Niente piani calati dall’alto, nessun colpo di bacchetta. Solo la forza di un’idea condivisa, di un’appartenenza ostinata, di un’urgenza collettiva: non scomparire. Non spegnersi in silenzio.

A Sant’Agata del Bianco, a Pentedattilo, a Bova, la parola “spopolamento” non è stata cancellata. È stata guardata in faccia, compresa, e affrontata con strumenti apparentemente fragili: l’arte, la collaborazione, la memoria, il paesaggio, l’ospitalità. E invece, proprio questi strumenti hanno mostrato di poter aprire spazi nuovi, di invertire tendenze che sembravano irreversibili. Non ovunque, non in tutto, ma abbastanza da dimostrare che una strada diversa esiste.

Se la fine era data per certa, questi tre luoghi dimostrano che non tutti sono disposti a morire in silenzio. E che, quando la politica rinuncia a vedere, la realtà a volte si mette a parlare da sola.

«Nessuno verrà a salvarci, ma nessuno si è mai salvato da solo». Domenico Stranieri, sindaco di Sant’Agata del Bianco, ha deciso di non aspettare. «L’attesa ci ha condannati. Per anni siamo rimasti fermi, paralizzati dall’illusione che prima o poi qualcuno sarebbe intervenuto. E anche quando sono arrivati i fondi per il Sud, spesso sono stati spesi male. Senza visione, senza coscienza». Sant’Agata ha scelto di partire da sé stessa, e da un’idea semplice: la bellezza come forma di resistenza. In un borgo segnato dal cemento, è nato un progetto di rigenerazione urbana ispirato all’opera e al pensiero di Saverio Strati, che in quei luoghi era nato e che aveva scritto la sua Calabria più vera. «Strati credeva che l’arte potesse spiegare meglio della politica le lacerazioni dell’uomo. E noi, partendo da questa intuizione, abbiamo trasformato il paese in una narrazione viva: porte dipinte, murales, installazioni, artisti che raccontano e che curano». Il cemento è stato coperto, la bruttezza fermata, le pareti riscritte.

Ma non era un semplice restyling, è l’estetica “della rivolta”: « Noi crediamo che non possa esserci rivoluzione sociale o politica se non passa anche per una rivoluzione estetica». Il risultato è sotto gli occhi di tutti. A Sant’Agata, dove per anni si chiudeva tutto, oggi si aprono bed and breakfast, ristoranti, pizzerie, quindi posti di lavoro. Segni di una vita che ritorna. Eppure Stranieri non ha illusioni: «Non basta un murales per salvare un paese. Serve una nuova politica nazionale, serve coraggio, serve coerenza». Intanto, nel suo piccolo, lotta. E invita i colleghi a fare altrettanto: «Coinvolgete i cittadini. Coltivate la partecipazione. Perché il miglior sindaco del mondo, se resta solo, non può cambiare nulla».

A Pentedattilo, il principio è lo stesso: non c’è salvezza dall’alto, ma ci si può salvare insieme. E il “simbolo della rinascita” non è un’idea retorica, ma un progetto concreto, che si può toccare con mano. «Chi governa deve governare per tutti, non per una parte sola – afferma Giuseppe Toscano, presidente dell’associazione Pro Pentedattilo -. E noi, da anni, lavoriamo con il Comune, con la Regione, con la Città Metropolitana. Perché il colore politico cambia, ma i paesi restano. E se si vuole farli vivere, bisogna farlo insieme». Oggi, nel borgo incastonato tra le dita di pietra, le botteghe artigiane restano aperte tutto l’anno, l’ospitalità è diffusa, più di venti case private sono state recuperate e restituite ai legittimi proprietari. Le stesse oggi ospitano viaggiatori, eventi, laboratori, momenti di cura del paesaggio.

Anche la natura è diventata parte del progetto: «Creiamo linee tagliafuoco, difendiamo le piante autoctone, proteggiamo un ecosistema fragile. E tutto questo accade mentre ci dicono che questi paesi sono destinati a morire». Pentedattilo, invece, respira. Grazie anche ai campi di lavoro estivi, decine di ragazzi e ragazze da tutta Europa arrivano per restaurare, pulire, conoscere, raccontare. «Abbiamo invertito il paradigma. Ci dicevano che era tutto perduto, e invece siamo ancora qui. E ogni giorno qualcosa rinasce». Per Toscano, l’area grecanica offre due esempi evidenti di ciò che si può fare quando si scommette davvero sulla cultura e sulla cooperazione: Pentedattilo e Bova. «Basta con la narrazione dei borghi da cartolina. Qui si lavora, si accolgono persone, si generano economie. Qui, chi cammina può fermarsi. Chi si perde può ritrovarsi. E chi crede che sia finita, può ancora ricominciare».

Ed anche Bova, appunto, il cuore identitario dell’area grecanica, è riuscita a non spegnersi. Ma non per miracolo, né per decreto. Lo chiarisce bene il vicesindaco Gianfranco Marino: «Non basta essere amministratori illuminati. Serve anche incrociare il treno giusto, nel momento giusto. E poi bisogna essere capaci di salirci sopra, senza paura». Bova ha vissuto una stagione felice, frutto di visione, contingenze favorevoli, continuità. Ma sa bene che non tutti i territori possono dirsi altrettanto fortunati. «Quando il Governo afferma che lo spopolamento è irreversibile, sta semplicemente scattando una fotografia realistica.Ma non può fermarsi lì. Non può dire che ci accompagnerà con dignità verso la fine. Le istituzioni devono pianificare il futuro, non dichiarare la morte assistita dei paesi».

Marino rifiuta i toni della retorica, anche quando riguarda la difesa dei piccoli centri: «La parola “borgo” è diventata un brand. Plastificata. Svuotata. Non serve l’estetica turistica se non si accompagna con il lavoro, con i servizi, con il radicamento». Bova, in questo senso, è una buona pratica, ma non un’isola felice. Lo spopolamento riguarda ormai anche la costa, le città, non è più solo un tema di aree interne. Per questo servirebbe una nuova visione strategica, ma soprattutto uno scatto morale, come lo chiama Marino: «Mettere in campo un cambiamento di cui sai che non vedrai i frutti. Piantare qualcosa per chi verrà dopo. Ecco cosa significa davvero governare in questi luoghi». A Bova, questo passaggio generazionale è avvenuto. Ma non sempre accade. «Noi oggi raccogliamo il testimone di chi ha seminato senza vedere. E ci auguriamo, un giorno, di lasciare lo stesso dono a chi verrà dopo di noi».

Non si tratta di favole consolatorie. Né di eccezioni miracolose da contrapporre alla desertificazione in corso. Le storie di Sant’Agata del Bianco, Pentedattilo e Bova raccontano qualcosa di più profondo: che la fine non è scritta ovunque. E che, dove si è saputo seminare visione, partecipazione e bellezza, qualcosa continua a crescere.

Non basta il racconto dei borghi che resistono. Servirebbe un Paese che li ascolta, li sostiene, li mette al centro di una politica vera. Invece, la strategia attuale è ancora figlia della rassegnazione. C’è chi sceglie di “accompagnare con dignità” lo svuotamento. E c’è chi, senza mezzi e senza clamore, continua a costruire futuro con la forza della comunità.

La differenza, alla fine, è tutta qui. Tra chi firma la resa e chi, ogni giorno, continua a scrivere a matita nuovi inizi. Anche se sa che qualcun altro – un giorno – dovrà ripassarli a penna. (sc)

[Courtesy LaCNews24]

REGGIO EMILIA CANCELLA VIALE CUTRO?
UN BRUTTO SEGNALE DI VERO DISPREZZO

di SANTO GIOFFRÈHo assistito, con grande stupore e disdicevole sgomento, alla querelle che da qualche mese sta infiammando l’estate, che per noi calabresi è già torrida, prossima al deserto antropologico in cui un certo filone di pensiero dominante vorrebbe ghettizzarci. La proposta di modificare il nome alla strada che corre, tra due rotatorie, dalla periferia fin alla città, ricchissima, di Reggio Emilia e che, dal 2009, è nomata “Viale della Città di Cutro”, nasce dopo le affermazioni dal ex Prefetto di Reggio Emilia, Antonella De Miro, strenua combattente contro le infiltrazioni della ‘Ndrangheta di Cutro nel tessuto economico-finanziario e politico di Reggio Emilia.

Noi, umilissimi osservatori, che contrastiamo, con i pochi mezzi che possediamo, la ‘Ndrangheta politica infiltrata in tutti i gangli della società calabrese, riteniamo che un eventuale provvedimento della Città di Reggio Emilia che porti alla cancellazione di quella dicitura, in quella strada, sia un pessimo segnale per la società civile e segnerà il trionfo della ‘Ndrangheta perché rafforzerà, in senso universalistico, l’opinione comune secondo la quale, per principio, ogni calabrese è un ‘Ndranghetista.

Sono i tempi che sono cambiati, degenerando in una forma di egoismo rabbioso e insofferente, che rasenta la xenofobia, verso chiunque è considerato un diverso. La meraviglia, semmai, è che ciò accada a Reggio Emilia, città-mito della nostra giovinezza per aver avuto la fortuna di essere governata, in passato, ininterrottamente dal Partito Comunista, da sempre sostenitore dei diritti fondamentali di ogni uomo e baluardo contro ogni forma di fascismo, razzismo e soprusi. La ‘Ndrangheta, in Calabria, come a Reggio Emilia, ebbe un solo, vero e implacabile nemico, che la contrastò in tutti i modi possibile: il Partito Comunista Italiano.

In Calabria, caddero, assassinati, decine di militanti del PCI e della Sinistra, perché combattevano a mani nude contro quel cancro, mentre il Potere banchettava con la ‘Ndrangheta. Lo stesso successe a Reggio Emilia. Finché esistette il PCI, la ‘Ndrangheta di Cutro non attecchì mai in quel territorio. Come, ormai,  accade in tutt’Italia, la ‘Ndrangheta, che è una “Patologia del Potere”, vive e prospera  in contiguità e connivenza con ogni potere di turno che la utilizza come meglio gli torna utile.

Se a Reggio Emilia  la ‘Ndrangheta di Cutro si è infiltrata in tutti I settori economici-finanziari, negli studi dei commercialisti,  negli appalti, nelle banche, nei servizi pubblici, instaurando stretti contatti con l’imprenditoria locale, la colpa, sicuramente, non è da imputare alla numerosa Comunità dei Cutresi di Reggio Emilia. La colpa è di chi non ha visto o non ha voluto vedere, mai, nulla. Di chi, paradossalmente, per anni e anni, non si è accorto di niente e non ha contrastato, efficacemente e fin dall’inizio, quelle infiltrazioni, probabilmente, per interesse e convenienza. Identificare tutta la Comunità dei Cutresi di Reggio Emilia con la ‘Ndrangheta, perché ciò apparirà cancellando quella dicitura da quella strada, è un grave errore politico che rasenta il disprezzo. Io parlo con cognizione di causa. Giovanissimo medico-ginecologo, mi sono formato, professionalmente, quarantacinque anni fa, in Emilia, nell’ospedale di Scandiano, sotto la scuola dell’indimenticabile dr. Passerelli, maestro e amico, grande oncologo-ginecologo. In quel tempo, ho frequentato, assiduamente, la Comunità dei Cutresi di Reggio Emilia. Persone semplici, gran parte muratori e impiegati nei lavori più umili. Persone che erano fuggiti da una grande fame e che a Reggio Emilia, fortemente richiesti, avevano trovato accoglienza e casa.Gente piena di calli nelle mani. Certo  il tempo è passato. Reggio Emilia, guidata dalla buona amministrazione del PCI e, anche, grazie ai Cutresi, è divenuta una potenza economica, con un alto modello di vita e offerta di servizi sociali alla sua Popolazione, i migliori d’Italia. Gli allentamenti dei meccanismi di controllo di legalità, dopo la fine del PCI e dei Partiti Storici della Sinistra, la comparsa di sistemi economici e finanziari distorti, come quelli vigenti in Italia, furono segnali propensi ad attirare gli appetiti, come tra l’altro succede nel resto della Nazione  e in Europa, della ‘Ndrangheta, non perché vi siano Cutresi o  Calabresi in giro per l’Italia, ma perché il capitale tossico se li porta appresso gli ‘Ndranghetisti. Accusarci di essere tutti ‘Ndranghetisti, mentre la Calabria non ha più sanità pubblica e paga 400 milioni di euro l’anno al Nord, compresa l’Emilia Romagna, per vedere curati i suoi abitanti e, nello stesso tempo, dilaniata dalla ‘Ndrangheta, è la fine di ogni spiraglio del senso insito di Unità Nazionale. Amaru cu avi bisognu dill’aiutu altrui… (sg)

[Santo Gioffrè,  medico e scrittore]

INVECCHIAMENTO E LONGEVITÀ: WELFARE
E OPPORTUNITÀ COME LEVA DI SVILUPPO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Come aiutiamo i giovani a fare famiglia” e “come trasformare l’invecchiamento della popolazione da un onere percepito a una leva positiva per il Paese, stimolando la ‘silver economy’ e creando nuove opportunità economiche e sociali a beneficio di tutte le generazioni? L’Italia, d’altronde, è un laboratorio globale per l’invecchiamento, con sfide uniche legate allo spopolamento dei territori e alla necessità di ripensare il welfare. Nel nostro Paese si fanno sempre meno figli, per una serie di fattori interconnessi tra loro; e il Mezzogiorno, da questo punto di vista, vive la più grande fragilità. È fondamentale, quindi, capire come gestire un fenomeno ormai in divenire e cambiare la narrativa ponendosi domande diverse. Le “risposte”, se così le vogliamo chiamare, le hanno suggerite gli esperti, gli economisti, gli specialisti del terzo settore, mondo sanitario, ma anche esponenti del mondo culturale e digitale che si sono confrontati al secondo Focus Sud e Futuri, organizzato dalla Fondazione Magna Grecia a Scilla. Una due giorni iniziata col dibattito “Generazioni in mutamento”, in cui si è cercato di capire come l’innovazione, in particolare la salute digitale e l’intelligenza artificiale, possano garantire una “longevità in salute”.

«La sfida della denatalità e quindi le politiche per la longevità chiedono grande innovazione e creatività, ma si fondano anche sul rinnovamento di un patto di solidarietà intergenerazionale. In questo, i territori sono ovviamente al centro, e quelli del nostro Mezzogiorno, che si contraddistinguono per una particolare forza e solidità delle reti informali, lo sono ancora di più», ha commentato, aprendo i lavori, Fiammetta Pilozzi, responsabile del Centro di Ricerca di Fondazione Magna Grecia. Come “sfruttare questa positività?” Lo spunto viene da Fabio Miraglia, imprenditore e presidente Giomi Rsa: «possiamo usare un milione di metri quadri di borghi che le persone stanno abbandonando per creare veri e propri villaggi, sul modello anglosassone».

Luoghi che possono essere incubatori di modelli di silver economy unici in grado di attrarre anziani di tutto il Paese. «Un sistema – ha aggiunto – che non sia basato solo sul volontariato e che sia in grado di creare anche occupazione, grazie anche alla rivoluzione del digitale». Il risultato sarebbe ‘esplosivo’ con conseguenze a cascata: porterebbe una riqualificazione dei territori e soprattutto il consolidarsi della domiciliazione dei servizi, in spazi abitativi personalizzati, monitorati dal digitale e sostenibili economicamente. L’idea è configurare nuovi modelli dell’abitare in cui unire le dimensioni della condivisione a quello della preservazione della privacy e della personalizzazione degli spazi, il tutto in luoghi densi di storia e di bellezza. Guardando così ai bisogni della persona che, spesso, nelle strutture RSA si perde. «“La tecnologia, inoltre, aiuterebbe ad avvicinare figli e nipoti: nuovi care giver nati con la tecnologia, e in grado di assumere il ruolo di veri e propri alfabetizzatori», ha concluso Miraglia.

Un approccio condiviso da Rocco Mammoliti, responsabile Sicurezza informatica di Poste italiane che ha raccontato come le Poste non abbiano abbandonato nessun borgo «perché crediamo sia nel mondo fisico che nel mondo digitale, che però vanno connessi». Tanto che Poste italiane ha avviato un progetto – Police – che porta dentro l’ufficio postale la garanzia di avere, oltre a quelli già inclusi, l’erogazione di tutti i servizi della Pubblica amministrazione compresi quelli legati al sistema sanitario, «creando, così, un unico punto di accentramento di prenotazione e consegna dei referti, per esempio. L’ufficio postale resta quindi vivo e integrato, sede di una rete di relazioni di cui gli anziani hanno bisogno».

In Italia, 14 milioni di persone oggi sono over 65, il 24% della popolazione totale. E il trend è in crescita. Con esso aumenteranno anche i problemi di salute correlati all’invecchiamento. Non solo, dobbiamo considerare che oggi di questi over 65, il 42% vive in coppia senza figli, il 31% è solo e un esiguo 13% vive con i figli. Più del 70% del totale quindi è rappresentato da anziani soli. Come aiutarli allora nella loro reale esigenze di salute? Una delle  soluzioni viene proposta da Pietro Rossi, cardiologo, co-founder di Policardio una startup che produce il primo device patch in grado di fare ECG e holter a casa con la qualità ospedaliera: «abbiamo pensato ad una piattaforma che monitora, analizza dati e mette in comunicazione in modo automatico l’anziano e il medico. E, nel caso di necessità, contatti il figlio o chi per lui». Un sistema totalmente automatizzato, interconnesso e attento alla parte sanitaria ma anche a quella psicologica. «Abbiamo previsto infatti la possibilità di avere consulti veloci e sempre disponibili, superando il problema che il medico non risponda al telefono con il conseguente senso di abbandono nell’anziano».

Ma la digitalizzazione può cambiare l’assistenza sanitaria e andare verso la silver economy anche nel sistema assicurativo e finanziario, «che sta ripensando prodotti e servizi centrati sempre più sulla prevenzione, con app per i vari monitoraggi, e incentivi economici per chi aderisce a stili di vita sani. Va promossa una trasformazione assicurativa che finanzi, per esempio, l’assistenza domiciliare continuativa e la gestione dei farmaci. Insieme ad una educazione finanziaria per una longevità consapevole tramite l’erogazione di corsi per over 60 su come gestire patrimoni, pensioni e tecnologie per una connessione diretta con i servizi sociali», ha detto Alberto Polverino, Direttivo cluster C.H.I.C.O.

«Non va dimenticato che qualsiasi processo di sviluppo sostenibile deve essere equo, in particolare in un’ottica di genere, e ancor di più se si parla di silver economy». Le donne sono più longeve degli uomini, ma sono anche quelle che soffrono maggiormente il rischio di trovarsi in condizione di fragilità, soprattutto sotto il profilo economico. Il monito, che arriva dalla voce autorevole e appassionata di Rossana Oliva De Conciliis, Presidente onoraria della Rete per la Parità, ha l’obiettivo di sensibilizzare politica, mondo economico e società a puntare su misure che pongano al centro il principio di garantire parità di diritti e opportunità, anche in età anziana, e anche nei processi di progettazione di politiche di sviluppo di prodotti e servizi che guardino a un pubblico “silver”.

L’intera due giorni ha preso spunto da una ricerca promossa da Fondazione Magna Grecia e curata dai sociologi Emiliana Mangone e Giuseppe Masullo, che ha mostrato come, fra le varie preoccupazioni che “bloccano” i giovani nello sviluppare la propensione alla genitorialità, vi sia il timore «di perdere occasioni, non solo professionali, ma di vita e culturali».

Il patrimonio culturale, del resto, è uno strumento potentissimo attraverso cui generare identità, ma anche apprendimento, sviluppare categorie di interpretazione della realtà, e quindi imparare anche la cittadinanza. Da qui la necessità che il nostro patrimonio culturale sia “family friendly”, fruibile da genitori e figli.

«Pensiamo ai bambini – ha detto Francesco Pisani, professore di Neuropsichiatria infantile, Dipartimento di Neuroscienze umane della Sapienza di Roma – a quanto in loro la cultura, come la visita in un museo o di un sito archeologico, stimoli la meraviglia che a sua volta spinge alla voglia di conoscere. Le neuroscienze ci dicono che in un museo il bimbo impara a guardare, a interpretare, anche a stare fermo. E la stessa cosa vale per i genitori. Dobbiamo tenere presente che anche solo una singola esperienza culturale è fondamentale per essere educati al bello».

Daniele Carnovale è Ceo e fondatore di Guides4You, stratup che nasce sul territorio calabrese: un esempio di come i temi dell’accessibilità, del “design for all”, della necessità di rendere i beni del nostro patrimonio “per tutti”, a volte sia una necessità che nasce dal mercato in modo potente.

«Avevamo pensato ad un dispositivo che servisse per ‘leggere’ le opere e le strutture museali. Spinti dalla richiesta di mercato, ad oggi abbiamo funzioni per non vedenti e ipovedenti, per bambini ancora piccoli».

Non da meno l’esperienza della “Fondazione Medicina a misura di donna” che ha creato forse lo strumento più simbolico che sia stato ideato in Italia per costruire un patto inscindibile fra i nuovi nati, le famiglie, e il patrimonio culturale: un passaporto della cultura. «L’idea ci è venuta partendo dalla consapevolezza che la cultura aiuta a vivere di più e soprattutto meglio, come dimostrano anche numerosi studi», ha detto Chiara Benedetto, presidentessa della Fondazione.

«Il passaporto è stato tradotto in diverse lingue, viene dato alle mamme che hanno appena partorito ed e dedicato al nuovo nato e alle mamme al terzo mese di gravidanza. Offre la possibilità a tutto il nucleo famigliare di vistare gratuitamente i 48 musei della rete piemontese ed è diffuso in tutti i presidi ospedalieri dell’area metropolitana di Torino». Nel 2024 sono stati scaricati dal sito 15mila passaporti e la best practice oggi è stata adottata anche a Brescia, Pavia e Val Canonica

«Affrontare oggi la denatalità – ha concluso Nino Foti, presidente della Fondazione Magna Grecia – significa ripensare l’intero sistema Paese alla luce dell’invecchiamento, delle nuove insicurezze sociali e del bisogno di dare ai giovani un futuro desiderabile. Con questa iniziativa, pertanto, vogliamo rimettere al centro le persone, i territori e le connessioni tra le generazioni. La genitorialità si sostiene con politiche abilitanti, e il calo demografico si affronta anche guardando al nostro Mezzogiorno come a una piattaforma di sperimentazione per uno sviluppo inclusivo».

«Parlare di cultura inclusiva, significa anche capire che il nostro patrimonio – ha sottolineato – è il più potente strumento di legame intergenerazionale. Ogni museo o sito storico va reso davvero fruibile per famiglie, anziani e bambini, è così che si diventa realmente attrattivi e si costruiscono fiducia nel futuro e coesione tra generazioni. La Fondazione Magna Grecia lavora perché Sud e futuro non siano più due parole in contrasto, ma una sola visione condivisa». (ams)

INDAGINI, IL LOGORAMENTO DI OCCHIUTO
IL PRESIDENTE ASPETTA L’ARCHIVIAZIONE

di SANTO STRATI – L’immagine del Presidente Occhiuto, rilanciata su Instagram, sorridente e rilassato, dopo l’interrogatorio richiesto e ottenuto dalla Procura sulle accuse di corruzione, non basta a nascondere i tanti affanni del Governatore. Travolto da una burrasca giudiziaria che – ci auguriamo e gli auguriamo – si risolverà in una bolla di sapone, Occhiuto in poche settimane ha perso tanti punti in reputazione (e sicuramente in serenità) a cui si affianca un lento e inarrestabile logoramento, che – decisamente – non merita.

Provate a chiedere in Calabria (ma anche negli ambienti che contano a Roma) un’opinione su Occhiuto Presidente e la risposta sarà pressoché unanime: uno dei migliori presidenti in 55 anni di regioni, “però…”. Ecco l’insidia del sospetto che si manifesta nella sua diabolica interezza in quel maledetto “però…”. Ovvero anche tra i suoi più sfegatati fans qualche turbamento emerge, pur nella netta convinzione dell’assoluta estraneità del Governatore in questo ulteriore pasticciaccio giudiziario che non solo turberebbe la tranquillità anche a un rinoceronte, ma ha provocato una spaventosa crisi di immagine per tutta la Calabria.

Premesso che ribadiamo la nostra personale stima a Occhiuto, più volte espressa su queste pagine, non possiamo non sottolineare alcuni “mostruosi” errori di comunicazione che, al contrario delle aspettative, si sono rivelati un boomerang negativo per il Governatore. Ma c’è qualcuno che consiglia mediaticamente il Presidente Occhiuto o fa – sbagliando – tutto da solo?

L’avviso di garanzia – sia ben chiaro – non è nessuna conferma di colpevolezza o, addirittura, una presumibile scontata condanna, bensì una comunicazione che la Giustizia sta indagando su di te. C’è una grande differenza tra indagato e accusato (in quest’ultimo caso lo si diventa in caso di rinvio a giudizio), ma ormai è invalsa l’abitudine, dai tempi di Tangentopoli (1992) di trasformare mediaticamente in “condanna” qualsiasi apertura di indagine. La mossa di Occhiuto di annunciare sui social l’apertura di un’indagine (per corruzione) sul suo conto non è servita ad attenuare la bomba mediatica che sarebbe comunque esplosa. Anzi, le due successive mosse, l’apparizione televisiva da Porro e una francamente deleteria conferenza stampa in Regione, hanno accentuato la pratica del sospetto. Si è rivelata una excusatio non petita che, come dicevano i latini, spesso diventa una accusatio manifesta. In buona sostanza, pare evidente che la difesa via social e attraverso i media non ha fatto che ampliare la portata dell’indagine accusatoria.

Certo, data la delicatezza del tema e la gravità delle accuse, sarebbe stato utile una maggiore previdenza mediatica da parte della Procura catanzarese: un’indagine sottotraccia, in attesa di riscontri obiettivi e prove inconfutabili, ma siamo abituati in Italia alla fuga di notizie e ai processi mediatici anticipati che portano a confondere e allarmare l’opinione pubblica. Quindi, Occhiuto ha pensato di anticipare i giornali a cui qualche gola profonda avrebbe rivelato l’apertura delle indagini, ma doveva fermarsi lì. Il processo mediatico (via tv e social, sostenuto poi da una certa stampa sempre meno credibile e autorevole) crea due opposte fazioni di innocentisti e colpevolisti, prim’ancora che siano formalizzate (e documentate) le accuse, con un risultato certo: l’indagato – in quanto tale – “qualcosa di certo ha fatto…”, immagina il popolino e nessuna sentenza (che purtroppo arriverà dopo anni di gogna mediatica e di vite e carriere politiche spesso distrutte) rimetterà le cose a posto. La “macchia”, ovvero il sospetto, resterà indelebile. In questo modo si rovina non solo la vita ma anche la reputazione del politico di turno.

E non mancano i sospetti della solita macchinazione politica volta a distruggere l’avversario (o l’”amico”) politico. La lentezza della giustizia nel nostro Paese non fa che accelerare il processo di un logoramento, spesso inarrestabile, che porta all’inevitabile disfatta del malcapitato di turno. Basta guardare indietro negli anni (l’ultimo clamore viene dalla sentenza su Rimborsopoli, con le assoluzioni “perché il fatto non sussiste” arrivate dopo anni di infamanti e infondate accuse) per osservare quante volte la Giustizia ha troncato promettenti o già avviate carriere politiche, per poi scoprire – molti anni dopo – l’insussistenza del benché minimo indizio, di una prova inoppugnabile del reato.

Con il sistema giudiziario italiano si è arrivati all’assurdità che è l’imputato che deve dimostrare la propria innocenza, quando invece dovrebbe essere la pubblica accusa a dimostrare la presunta colpevolezza (poi tocca ai giudici in giudizio stabilire la concretezza delle prove): in questo modo, soprattutto, nel mondo politico, tutti gli amministratori pubblici sono in costante “libertà vigilata” e sanno che dovranno dimostrare, in caso di accuse, la propria innocenza, anche e soprattutto in assenza di riscontri precisi di aver commesso illeciti.

Basta scorrere i precedenti delle assoluzioni  in Calabria, dopo anni di ludibrio politico: il presidente Mario Oliverio (a cui è stato addirittura impedito di andare alla Cittadella a esercitare le sue funzioni, in quanto costretto alla dimora obbligata nella sua casa a San Giovanni in Fiore) poi assolto senza alcuna scusa, o l’ex senatore Marco Siclari (“il fatto non sussiste”), assolto da infamanti e strampalate accuse, “bruciato” politicamente (era il più giovane senatore d’Italia) dopo l’ovvia gogna mediatica che non ammette errori giudiziari, e tanti altri ancora, vilipesi, feriti nell’orgoglio, distrutti fisicamente e politicamente da una giustizia “non giusta” perché troppo lenta a condannare o assolvere. Chiamiamole cantonate giudiziarie (anche i magistrati sbagliano, ci mancherebbe), ma non sono più tollerabili, ormai, i i tempi di ripristino della verità cui costringe un’inchiesta giudiziaria.

Occhiuto all’uscita dell’interrogatorio (da lui richiesto e concesso dalla procura) ha detto di confidare in una celere archiviazione: «mi sento sollevato perché penso di aver chiarito ogni cosa». Ma non ignora, il Presidente, che il logoramento a cui ogni giorno è sottoposto – con continui – pur se surreali – collegamenti alla sua persona in indagini che continuamente si allargano e distillano, goccia dopo goccia, ipotesi di reato a 360 gradi in Cittadella e dintorni, finirà per distruggerlo politicamente. La sua rielezione, data per scontata fino a pochi mesi fa, ha subìto non un semplice scricchiolio, ma un vero e proprio terremoto. Il timore è che un eventuale rinvio a giudizio (pur in assenza di elementi concreti) darà il colpo finale a un faticosissimo impegno (sapete quante ore lavora il Governatore?) che avrebbe diritto di vedere risultati e non accuse prive di fondamento.

ARTIGIANATO CALABRESE, UN COMPARTO
CHE RESISTE CON TENACIA A DIFFICOLTÀ

di ANTONIETTA MARIA STRATI – È un comparto che resiste con tenacia alle difficoltà, senza tuttavia trovare pieno slancio, quello dell’artigianato in Calabria. Lo dicono i numeri dell’ultimo report dell’Osservatorio MPI di Confartigianato Imprese Calabria, che analizza dinamiche occupazionali, demografiche e produttive delle micro e piccole imprese regionali.

Nei primi sei mesi dell’anno, la Calabria ha registrato un saldo positivo di +98 imprese artigiane, con 1.282 nuove iscrizioni e 1.184 cessazioni. Un dato che segna un lieve miglioramento rispetto al +67 del primo semestre 2024, ma che rimane inferiore rispetto al +125 del 2023 e lontano dal record post-pandemico di +251 registrato nel 2022. In termini relativi, il tasso di crescita si attesta allo 0,51%, posizionando la Calabria al quinto posto tra le regioni italiane per saldo artigiano in rapporto al numero di imprese esistenti.

Nonostante il segno più, il trend mostra un rallentamento rispetto alla crescita degli anni precedenti. Questo andamento suggerisce una resilienza diffusa, ma anche una crescente difficoltà nel sostenere nuove attività, specialmente in contesti locali dove il contesto economico e sociale continua a porre ostacoli strutturali.

Il settore delle costruzioni continua a trainare la crescita: +155 imprese nel semestre, beneficiando ancora, seppur in modo attenuato, dell’effetto Superbonus e degli incentivi edilizi. Seguono le attività di riparazione veicoli e installazione di impianti con +39, e il comparto del benessere (parrucchieri, estetisti) con +28. Positivi anche i dati sull’artigianato alimentare e sulle lavorazioni metalmeccaniche.

Di contro, segnano il passo i servizi alle imprese (-31), la manifattura tessile-abbigliamento (-9), le attività grafiche e di stampa (-3) e quelle connesse all’informazione e comunicazione (-3), a dimostrazione di come le difficoltà inflattive e l’instabilità dei consumi stiano frenando l’innovazione e la digitalizzazione del comparto artigiano.

Analizzando la dinamica delle iscrizioni, si osserva una flessione: da 1.303 nuove aperture nel primo semestre 2024 si scende a 1.282 nel 2025. Le cessazioni restano invece quasi invariate: 1.184 contro 1.236 dell’anno precedente. Questo significa che la crescita è dovuta più a una lieve contrazione delle chiusure che a un aumento delle nuove attività. Un segnale, questo, che lascia intravedere prudenza diffusa e difficoltà di accesso al mercato per le imprese nascenti.

Il report sottolinea il peso crescente dei costi di finanziamento e dell’inflazione sui conti delle imprese. L’accesso al credito bancario rimane critico per molte micro e piccole realtà, in particolare per quelle non strutturate. Il costo del denaro e la rigidità dell’offerta creditizia stanno limitando la possibilità di investire in tecnologia, formazione e innovazione, proprio in un momento in cui la transizione digitale e green richiederebbe maggiore slancio.

«Il dato positivo sul saldo delle imprese artigiane dimostra che il tessuto imprenditoriale calabrese è ancora vivo e determinato – afferma Salvatore Ascioti, presidente di Confartigianato Imprese Calabria – ma non possiamo accontentarci di una crescita modesta e faticosa».

«Il rallentamento degli ultimi anni – ha proseguito – impone una riflessione seria su come sostenere realmente chi fa impresa nei nostri territori. Servono strumenti di accesso al credito più agili, incentivi mirati e soprattutto una burocrazia più snella. Gli artigiani calabresi sono abituati a rimboccarsi le maniche e lavorare con passione, ma da soli non possono reggere l’urto dei rincari e delle incertezze».

«È importante – ha concluso il presidente Ascioti – definire una strategia regionale di lungo respiro che punti su formazione, digitalizzazione e filiere produttive locali. Dobbiamo scommettere sulla qualità e sulla capacità delle nostre imprese di fare sistema».

In conclusione, un’attenta disamina dei dati dell’Osservatorio Mpi ci permette di sottolineare quanto l’artigianato calabrese continui a rappresentare un presidio fondamentale di occupazione, competenze e identità economica. Ma la vitalità del settore è messa alla prova da condizioni di contesto ancora sfavorevoli: politica e istituzioni dovrebbero riconoscere il ruolo delle micro e piccole imprese, e creare le condizioni per una vera ripartenza, fondata su credito accessibile, investimenti strutturali e politiche pubbliche coerenti. (ams)

FORMAZIONE, IL PARADOSSO IN CALABRIA
TRA ECCELLENZA E FRAGILITÀ SCOLASTICA

di UMBERTO TARSITANOQuesto mese di luglio ha portato alla ribalta due eventi che hanno destato una certa curiosità. Il 9 luglio il Rapporto nazionale Invalsi 2025, presentato alla Camera dei Deputati, ha confermato ancora le persistenti difficoltà del sistema scolastico calabrese. Appena otto giorni dopo, il 17 luglio, la classifica Censis delle Università italiane ha celebrato l’eccellenza dell’Università della Calabria. Due mondi educativi  che raccontano storie di sfide e di opportunità.

Dai dati Invalsi emerge ancora una fotografia preoccupante.

I numeri non mentono: la Calabria continua a posizionarsi nelle fasce più basse delle classifiche nazionali per le competenze scolastiche di base. I dati del 2025 confermano un quadro già noto ma non per questo meno allarmante.

Nelle scuole primarie, già dalla classe seconda si notano le prime fragilità. In matematica, il punteggio medio calabrese di 188,3 è significativamente inferiore alla media nazionale di 193,0, con oltre il 40% degli alunni che si colloca nelle fasce di competenza più basse. La situazione non migliora con il proseguire del percorso scolastico: in quinta, solo il 16,5% degli studenti raggiunge i livelli più alti in italiano.

Il passaggio alla scuola secondaria di primo grado segna un ulteriore peggioramento. In matematica, un preoccupante 31,5% degli studenti si attesta al primo livello (molto debole), mentre solo il 6,2% raggiunge l’eccellenza. Negli istituti professionali della secondaria superiore, la situazione assume contorni drammatici: il 62% degli studenti non supera il primo livello in italiano, e il 70,7% rimane al livello più basso in matematica.

Questi dati non rappresentano solo fredde statistiche, ma riflettono l’impatto profondo di fattori sociali ed economici che condizionano il diritto allo studio. Il peso delle condizioni socioeconomiche si fa sentire in modo particolare, dove la scuola dovrebbe invece rappresentare il principale ascensore sociale. Le famiglie con minori risorse economiche e culturali si trovano in una posizione di svantaggio che si perpetua attraverso le generazioni, creando un circolo vizioso difficile da rompere.

L’eccellenza dell’Unical: un faro nel Sud.

Eppure, in questo contesto apparentemente sconfortante, emerge un dato sorprendente: l’Università della Calabria continua a brillare. La classificazione Censis 2025  la riconosce come il miglior Ateneo d’Italia nella categoria delle università di grandi dimensioni. Ma l’eccellenza dell’Unical non si limita al panorama nazionale. Le classifiche internazionali più prestigiose – QS World University Rankings, Times Higher Education, Shanghai Rankings – posizionano costantemente l’Unical tra le migliori università a livello globale. Trovarsi tra le prime 900 -1000 università al mondo e tra le prime 77 in Europa meridionale significa competere ad armi pari con istituzioni di Paesi economicamente più avanzati e con tradizioni accademiche da tempo consolidate.

Come si spiega questo paradosso?

Come può nascere l’eccellenza da un terreno così difficile? Diverse ipotesi aiutano a comprendere questo fenomeno complesso.

Innanzitutto, è possibile che l’Unical funzioni come un filtro naturale, attirando e formando principalmente gli studenti più motivati e dotati, quelli che riescono a superare le lacune del sistema scolastico precedente attraverso la determinazione personale e il supporto familiare. In questo senso, l’Università diventerebbe il luogo dove il talento, pur provenendo da un contesto difficile, trova finalmente le condizioni per esprimersi appieno.

Ma c’è anche un’altra spiegazione, forse più ottimistica: l’Unical potrebbe aver sviluppato strategie pedagogiche particolarmente efficaci per colmare le lacune iniziali degli studenti, trasformando le difficoltà in opportunità di crescita. L’esperienza di dover lavorare più duramente per raggiungere certi obiettivi può infatti forgiare una mentalità resiliente e determinata che si rivela vincente nel lungo periodo.

Il costante miglioramento nei ranking internazionali suggerisce inoltre un impegno sistematico dell’Ateneo nel migliorare la qualità dell’offerta formativa, della ricerca e dell’impatto sul territorio. Non si tratta quindi di un successo casuale, ma del risultato di scelte strategiche consapevoli e di investimenti mirati.

Le testimonianze dei laureati

A confermare la solidità di questa eccellenza arrivano le testimonianze dirette dei laureati Unical che hanno intrapreso carriere all’estero o in contesti lavorativi competitivi. Molti di loro riferiscono di non essersi mai sentiti penalizzati dal loro titolo di studio, anzi: la preparazione ricevuta si è rivelata all’altezza delle aspettative del mercato del lavoro internazionale.

Tuttavia, questi stessi laureati sottolineano un aspetto fondamentale: la determinazione personale resta l’elemento cruciale per il successo professionale, a prescindere dall’ateneo frequentato. Il titolo di studio, per quanto prestigioso, rappresenta solo il punto di partenza di un percorso che richiede costante impegno e capacità di adattamento.

Una strategia per lo sviluppo del sistema regionale

Il paradosso calabrese offre spunti di riflessione che vanno oltre i confini. Dimostra che l’eccellenza può emergere anche in contesti difficili, ma sottolinea anche l’importanza cruciale di non lasciare indietro nessuno nel percorso educativo.

L’esistenza di un polo di eccellenza come l’Unical rappresenta un’opportunità preziosa per l’intero sistema educativo regionale. L’università potrebbe infatti diventare il motore di un processo di miglioramento che, attraverso la formazione degli insegnanti, la ricerca pedagogica e l’innovazione didattica, si irradi anche ai livelli inferiori del sistema scolastico.

I dati Invalsi mostrano che iniziative mirate come Agenda Sud stanno già producendo risultati positivi. Le scuole beneficiarie di questi interventi hanno ottenuto risultati migliori in termini di apprendimento generale, dimostrando che la personalizzazione e gli interventi mirati sono la strada da percorrere.

Il paradosso educativo calabrese solleva interrogativi fondamentali che meritano un confronto aperto e costruttivo. Tre questioni, in particolare, potrebbero guidare un dibattito produttivo sul futuro dell’istruzione regionale:

Come replicare il successo?

Se l’Unical riesce ad attrarre gli studenti più motivati o ha sviluppato strategie pedagogiche efficaci per colmare le lacune formative, quali azioni concrete potrebbero essere intraprese per estendere questi approcci vincenti anche ai livelli inferiori del sistema scolastico calabrese?

Si può trasmettere la resilienza e la determinazione?

Considerando che molti laureati Unical riscontrano successo anche all’estero, sottolineando però l’importanza della determinazione personale, in che modo il sistema educativo calabrese potrebbe promuovere e coltivare maggiormente quella «mentalità resiliente» che sembra essere un fattore chiave per il successo?

Come attivare partnership concrete?

Se l’Unical può davvero fungere da «motore di un processo di miglioramento» per l’intero sistema educativo regionale, quali partnership specifiche e iniziative congiunte tra l’università e le scuole primarie e secondarie potrebbero essere messe in atto?

Il dibattito su questi temi non può essere solo accademico: dalle risposte che sapremo dare dipende il futuro di intere generazioni e la capacità della Calabria di trasformare definitivamente la sua storia.

La Calabria ha già dimostrato di possedere le competenze per competere ai massimi livelli. I successi dell’inglese e delle competenze digitali nelle rilevazioni Invalsi, pur con margini di miglioramento, dimostrano che con le giuste strategie il sistema scolastico può raggiungere risultati eccellenti.

Il paradosso calabrese ci insegna che l’eccellenza è possibile ovunque, ma ci ricorda anche che ogni talento perduto lungo il percorso rappresenta una sconfitta per l’intera comunità. La sfida del futuro sarà quella di estendere la logica dell’eccellenza universitaria all’intero sistema educativo, perché il successo di pochi non può compensare il fallimento di molti.

Ora la Calabria deve trovare il modo di trasformare le debolezze in punti di forza, costruendo un sistema educativo che sappia valorizzare ogni talento, indipendentemente dalle condizioni di partenza. Solo così il paradosso potrà trasformarsi in una straordinaria storia di successo collettivo. Ci riusciremo? (ut)

SIN DI CROTONE, È NECESSARIO FERMARE
“IL TURISMO DEI RIFIUTI” IN CALABRIA

di EMILIO ERRIGO

S

olo un intervento normativo da parte del Consiglio Regionale della Calabria può mettere un freno, fino a cessata necessità e urgenza, all’afflusso di rifiuti pericolosi provenienti da fuori regione, tra cui quelli diretti verso Crotone.

Qui, nel cantiere delle discariche fronte mare, ad oggi sono circa 5.000 le tonnellate di rifiuti frammisti che, attraverso oltre 294 viaggi di mezzi pesanti, sono stati rimossi, caricati, trasportati e temporaneamente stoccati in sicurezza presso i depositi D15 all’interno dell’area protetta gestita da Eni Rewind S.p.A. Tali rifiuti sono attualmente oggetto di caratterizzazione e selezione per categoria e codice, al fine di distinguerli tra pericolosi e non pericolosi.

La stessa procedura sarà adottata, si stima, per ulteriori 500.000 tonnellate di rifiuti non pericolosi, che saranno successivamente smaltiti in discariche ubicate in altre regioni italiane, al di fuori della Calabria.

Per quanto riguarda le restanti 360.000 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi ancora presenti, solo una parte – circa 45.000 tonnellate (5.000 già partite più 40.000 in programma) – saranno destinate al trasferimento all’estero, in Svezia.

Rimangono da individuare uno o più siti di destinazione in Italia o in territorio estero, per oltre 310.000 di tonnellate di rifiuti speciali pericolosi (ma senza Tenorm e Amianto).

A tal proposito, giunge notizia dell’attivazione, dell’iter operativo per la rimozione, nel più breve tempo possibile, delle oltre 160.000 tonnellate di rifiuti contenenti Tenorm e amianto (la cui rimozione richiede a monte l’autorizzazione Prefettizia) attualmente stoccate nella discarica fronte mare di Crotone.

Nel dettaglio, si stimano: 112.000 tonnellate di rifiuti contenenti TENORM e amianto; 48.000 tonnellate di rifiuti contenenti TENORM, ma privi di amianto.

Questo storico intervento rappresenta un ulteriore passo concreto verso la messa in sicurezza ambientale del sito e la tutela della salute pubblica, in linea con le recenti sollecitazioni delle istituzioni locali e regionali.

L’approvazione della legge proposta dall’on. Antonello Talerico, in questo contesto, è di fondamentale importanza poiché potrà frenare, con ovvi limiti temporanei e comunque fino alla cessata necessità, il cosiddetto “turismo” dei rifiuti in Calabria.

Nel caso specifico, disciplinerà meglio il trasporto verso la discarica e gli altri impianti, autorizzati dalla Regione Calabria, presenti a Crotone evitando di interpretare, molto estensivamente, i principi giuridici di derivazione europea, economia circolare, prossimità e autosufficienza.

Nella città pitagorica, intanto, sono previsti altri interventi di bonifica e riparazione del danno ambientale, così come previsto nel Piano degli Interventi 2024-2026 del Commissario Straordinario.

Sono attualmente in fase di avanzata procedura amministrativa i progetti di intervento riguardanti l’ampia area marittima antistante il tratto costiero compreso tra il Porto di Crotone, il Fiume Esaro e il Torrente Passovecchio.

Parallelamente, si sta procedendo per le aree pubbliche a terra comprese nel Sin; qui la bonifica avverrà attraverso la rimozione dei CIC o con la messa in sicurezza permanente, seguendo le indicazioni tecnico-scientifiche e amministrative definite dagli organi competenti.

Gli interventi si svolgono in conformità con il mandato del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM del 14 settembre 2023) e sotto il coordinamento dei principali enti istituzionali e tecnici coinvolti: MASE (Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica); ISPRA-SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente); ISS (Istituto Superiore di Sanità); ISIN (Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare); SOGESID S.p.A. – (Società pubblica di ingegneria ambientale); ARPACAL – (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria); Regione Calabria, Provincia di Crotone, Comune di Crotone.

Tali azioni rientrano in un più ampio programma di risanamento ambientale del territorio crotonese e rappresentano un passo concreto verso il recupero e la successiva valorizzazione sostenibile delle aree compromesse. (ee)

[Emilio Errigo,

commissario straordinario bonifica Sin Crotone-Cassano-Cerchiara di Calabria]

LA CALABRIA E 55 ANNI DI REGIONALISMO
TANTE LE RIFORME ANCORA DA ATTUARE

di DOMENICO CRITELLI – Nel 2025 stiamo girando la boa del 55mo anniversario di Regionalismo Calabrese.

Un passaggio ordinario, ormai, di funzionalità della legislazione differenziata e concorrente. Sarebbe stato opportuno, dopo oltre 50 anni, fare un bilancio dei miglioramenti o dei deficit, dei punti di forza e dei punti di debolezza. Di tutto ciò che si poteva fare, e si potrebbe ancora fare, per rendere i calabresi cittadini normali.

Un dato storico il 1970 allorquando si inserì, nella Costituzione, il sesto pilastro del nostro impianto Repubblicano (Corte Costituzionale, Parlamento, CSM, Regioni, Province, Comuni). Ogni anno, puntualmente, si dibatte dei Moti di Reggio successivi a quell’evento. Due narrazioni che si intrecciano e correlate fra di esse, in quanto ad implicazioni politiche e Istituzionali.

La ricostruzione che ne fa Calabria.Live, puntuale e oggettiva, aiuta il “guidatore” (il legislatore odierno) esattamente come uno “specchietto retrovisore”. Non vi si può tenere costantemente lo sguardo, perché si rischia di andarsi a schiantare.
Ma neanche ignorarlo del tutto, per evitare di essere orientati solo da revisionismo fine a se stesso o dalla riproposizione, de quo, di fatti e accadimenti ormai lontani e metabolizzati.

Una occhiata rapida, giusto per calibrare i giudizi, aiuterebbe a rendere più mirati i cambiamenti dell’impalcatura istituzionale ed amministrativa della Calabria, ma, soprattutto, geopolitica. Non è ordinario provare ad aprire un confronto su come rilanciare temi nazionali ma dalle implicazioni territoriali.

L’autonomia differenziata ed il Ponte sullo Stretto, senza perdere di vista la prospettiva di una maggiore coesione, questa volta politica, anche delle Istituzioni Europee.
Non è nemmeno pretenzioso, da parte mia, legare fatti transnazionali con prospettive di macroarea. Intanto, perché tutto si tiene insieme.

Poi, perché ne abbiamo titolo, essendo la Calabria, fra le altre, a comporre la Comm.ne InterMediterranea e ad esprimerne il Presidente, nella persona di Roberto Occhiuto.
E, in ultima istanza, perché sono temi dei quali mi appassiono e scrivo da anni. Il Mediterraneo, non un Oceano, ma con una rilevanza che lo tiene sempre al centro degli equilibri mondiali e ne fa parlare con la stessa dovizia e visione prospettica del Pacifico o dell’Atlantico.

Indubbiamente spazi acquei sterminati che, oltre a collegare continenti, sono sempre stati ritenuti baluardi anche di difesa degli Stati bagnati, per come sostiene Tim Marshal nel suo libro “Le 10 mappe che spiegano il mondo”. Lo stesso Mediterraneo con i suoi “affluenti” (Sicilia, Sardegna, Tirreno, Jonio, Adriatico etc.) potremmo assumerlo come il “nostro” oceano, dacché Mare Nostrum.

Assolutamente rilevante, anche perché in esso si svolge oltre il 25% dell’intero traffico commerciale e turistico del mondo. Senza attardarci in statistiche o citazioni, per venire rapidamente alla “provocazione ma non tanto”, bisognerebbe avere l’ambizione di superare la storica suddivisione di Calabria Citra e Calabria Ultra, dalle quali discesero, qualche millennio dopo, e fino al 1993, le tre Province di emanazione Sabauda (Catanzaro Cosenza Reggio Calabria): la “Calabria dei due Mari”.

Unica Regione italiana ad essere completamente avvolta da due mari, pur non essendo un’isola ma collegata alla terra dall’Istmo di Catanzaro. Si tratterebbe di ridare dignità, o anche di risarcire, l’intera fascia Jonica (Sibari, Corigliano Rossano, Crotone etc.) che, nei millenni successivi alla dominazione Magno Greca, hanno visto perdere sempre più rilevanza fino a ridursi in una terra di passaggio e di sempre meno residenza, fagocitata dai centralismi Regionali ed extra Regionali.

Ecco perché Autonomia e Ponte sullo Stretto potrebbero offrire la stura a rilanciare la MacroRegione Mediterranea, con zoccolo di partenza, Sicilia Calabria e Basilicata, e Capoluogo la “Città dello Stretto” unite dalla più grande opera ingegneristica del mondo, almeno in quanto a lunghezza e temerarietaà geostatica. La seconda Regione d’Italia con i suoi poco più di 7 mln di abitanti.

Una opportunità irripetibile per rilanciarci, affidandoci a noi stessi e, soprattutto, alla nostra testardaggine: quella positiva, ovviamente.
Non trascurerei neppure il fatto che le tre Regioni hanno la stessa maggioranza politica e la guida affidata a 3 Liberalpopolari che affondano, nell’autonomismo Sturziano, la cultura di Governo che li orienta. Saremmo competitivi e da primato su diverse materie quali Energia, Turismo, produzioni agricole, beni archeologici, enogastronomia mediterranea e Contee vitivinicole. E poi, artigianato e industrie eco-sostenibili.
Una sfida quotidiana ad elevare la qualità della vita, tra gli altri, dei Calabresi e di quelli Jonici, alla pari.

Sopratutto tornare ad essere attrattivi anche per tutti i nostri figli che hanno deciso di mettere subito a reddito i sacrifici di anni di studio, emigrando. L’articolazione Amministrativa fra funzioni legislative (Comm.ne Europea, Stato e Macro Regione) e di coordinamento (Province) potrebbe applicare, sul principio di densità demografica e contiguità territoriale, l’estensione e/o la contrazione di Province preesistenti ma dalle dimensioni sproporzionate, anche rispetto alla rivisitazione dell’ultima legge di Riforma, Del Rio, che pone un tetto(300 mila abitanti) oltre il quale il territorio finisce per essere sterminato e ingovernabile.

Allo stesso modo, sperequativo, Province piccole come Crotone e Vibo, o, addirittura, di pochi Comuni, 6 (sei) come nel caso della Provincia Toscana di Prato.
Le riforme nazionali, che procedono a rilento, fra scontri di casta o ideologici, come la Giustizia, il Premeriato e la stessa Autonomia fiscale, non possono non trovare applicazione che dialogando con il territorio.

In Calabria, invece, tutto si stà riaccorpando secondo la vecchia articolazione istituzionale delle 3 grandi Province preesistenti al 1993: aree nord, centro e sud.
Da ciò, le Camere di commercio, le organizzazioni di categoria, i Sindacati confederali etc.

Un “usato sicuro”, per molti, ma senza riscontro del sentimento popolare e delle ricadute politiche, infrastrutturali ed economiche.

A questo sommiamo la contestuale assenza dei partiti, ultraventennale, che non ha generato classe dirigente con capacità critica o autonoma visione del futuro, ma ambascerie periferiche, in taluni casi, vere e proprie sotto-prefetture del consenso.
Questo è, in buona parte, responsabilità della mia generazione che anziché porsi al servizio e basta, si è posta al servizio se.

Ma poi per fare cosa!? Per ritornare tutti abbracciati e, magari, anche saltellando, alla vecchia Provincia di Catanzaro? E chi lo stabilirebbe, il Consiglio Regionale o la Comm.ne parlamentare ?
Avevo proposto, già nel 2020, una consulta Regionale Interistituzionale aperta al mondo delle professioni e dell’associazionismo, per avviare, ad origine della legislatura, un confronto che avesse l’ambizione di aprire una stagione Riformista e innovatrice dell’articolazione Istituzionale amministrativa e territoriale della Calabria.

Cercando anche di evitare che questi 32 anni trascorsi dalla riforma delle autonomie locali (1993), si risolvessero alla Fantozzi (il comico): abbiamo scherzato. Se così dovesse essere, la forzatura sarebbe solo responsabilità dei tanti epigoni che calcano la scena nazionale e Regionale, senza interrogare o rendere partecipe il territorio.

Al netto delle preferenze personali – sono sempre stato per l’autonomia da Catanzaro fin dal 1979 anno di ingresso nella DC e, da qualche anno, sostengo la costituzione della Provincia della Magna Grecia – credo che il territorio vada costruito seguendo direttrici di sviluppo che riducono la perifericità dei territori e affidandosi, tra le altre infrastrutture, anche a Città policentriche o territorio.

Da ciò la fusione dei 6 Comuni rivieraschi di Crotone, Isola Capo Rizzuto,Cutro, Scandale, Rocca di Neto e Strongoli in un unico grande Comune di oltre 100 mila abitanti e ad una incidenza, e rilevanza geopolica, della più grande Città dello jonio calabrese, da Sibari a Locri, e del 3 territorio più esteso d’Italia dopo Roma e Ravenna(612 kmq).
Catanzaro, invece, è stata una Città “Centralista”.

Tutto avveniva subordinatamente agli interessi del Capoluogo. Da ciò la domanda di autonomia istituzionale, anticipata da quella politica, della mia generazione che, mi auguro, i “nuovi” sapranno difendere. Rispetto a questi temi riscontro, purtroppo, un fatalismo e una mancanza di idee, anche diverse, – chissà che non mi si convinca del contrario – che non lascia ben sperare, anzi!!

Le prossime elezioni Amministrative (2026) dovranno servire proprio per far crescere e condividere dal basso queste tematiche. Diversamente si continuerà a dibattere di Bonifica in termini reazionari e populisti senza neanche sapere di cosa si parla e quante opportunità si sono perse in attesa di Godot. Anche in questo caso, non mi fido dei nuovi e nemmeno di quelli della mia generazione che hanno attraversato gli ultimi 30 anni osservando o generando cumuli di rifiuti tossici e radioattivi ma utilizzando, nei mandati elettorali a loro discrezione per la Città, le Royalties.

E lo hanno fatto anche i cosiddetti Comuni Rivieraschi del Crotonese. Ecco perché mi fido e sostengo, solitariamente, l’azione del generale Errigo, Commissario Sin, sul quale si prova anche ad orientare il venticello della calunnia. Quest’ultimo anche da parte di chi essendo stato al Governo della Regione (Oliverio) o al Governo del Paese ( Conte I e II) ha titolo a confrontarsi ma non a porre addebiti o a suggestionare i Crotonesi.

Domenico Critelli è stato assessore Provinciale ed è componente del Comitato Magna Graecia]

LE AREE INTERNE NON DEVONO DIVENTARE
LUOGHI FANTASMA, MA UN’OPPORTUNITÀ

di CARMELO VERSACE – Lo strumento di questo “killeraggio” è il “nuovo” Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne 2021/2027, scritto e prodotto nei nascosti antri di un ministero, senza alcuna trasparenza né confronto, come ben si addice ai colpi di mano.

In questo documento di programmazione 2021-2027 lo Stato conferma l’attenzione verso le Aree Interne garantendo le necessarie risorse finanziarie tramite lo stanziamento di ulteriori 310 milioni di euro, ma nell’elenco delle tipologie degli obiettivi fissati nella prospettiva di rafforzare le condizioni, prevede l’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile.

Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività.

Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita. Così si legge nel punto numero 4 del documento e perciò, secondo il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne, molti comuni delle aree interne che si trovano lontani dai centri dove si concentrano i servizi essenziali vanno semplicemente assistiti in un percorso di declino e invecchiamento e non possono aspirare ad una inversione di tendenza.

In sostanza, il Paese nella morsa del crollo demografico prende atto della condizione dell’Italia di dentro, e della forbice sempre più marcata tra l’osso e la polpa.

È inaccettabile che il governo presenti come ineluttabile e necessaria quella che è una scelta politica precisa quanto scellerata: la riduzione di fondi per aree delle quali non si vuole riconoscere il valore e la necessità.

Quanti anni sono trascorsi da quel particolare periodo in cui la pandemia in atto pareva avere innescato un processo di nuovo interesse per la vita di comunità lontane dalle grandi aggregazioni metropolitane?
Sembrerebbero secoli e non, invece, come è stato, qualche anno.

Un altro aspetto che sfugge al governo Meloni riguarda il cambiamento climatico che negli anni porterà sempre di più ad una migrazione verticale della popolazione dalle città infuocate verso le aree collinari e montane.

Un fenomeno che, se regolamentato, potrebbe costituire un nuovo scenario di ripopolamento per le aree interne. Invece di prepararsi a questo, si chiudono tutte le possibilità.

Le aree interne del nostro Paese non devono diventare luoghi fantasma, ma un’opportunità: spazi accessibili e vivibili per tantissimi giovani. Ma perché ciò accada, servono visione, amore, risorse.

Serve un’azione comune da parte di noi amministratori locali al fine di respingere questo progetto devastante per i nostri territori.

Le aree interne costituiscono il 60% del nostro Paese e non sono vuoti da riempire o cancellare ma costituiscono comunità e territori preziosi. Serve un’azione corale che parta dal basso, il dato è allarmante per il nostro territorio, dove i Comuni della Città Metropolitana inferiore ai 5 mila abitanti interessati da questo provvedimento sono circa il 75%.

È necessario uscire dallo schema tradizionale dei partiti e chiedere conto alle forze di Governo presenti in parlamento affinché si rendano conto del danno che stanno causando al futuro, anzi al non futuro.

Questo documento non fa altro che mettere nero su bianco l’impossibilità, secondo il Governo, di una strategia utile a favorire la “restanza”, riconosce una sfiducia nelle nostre azioni, nelle nostre politiche di coesione e salvaguardia del territorio, si disinteressa delle persone, delle famiglie, dei sogni di quei giovani che intendono credere ancora nelle potenzialità di queste aree, di attività economiche che vengono abbandonate ad un tragico destino di affossamento.

In buona sostanza, tutti i nostri sacrifici, i nostri investimenti, il nostro tempo dedicato come amministratori locali per trattenere i nostri giovani o attrarne di nuovi vengono gettati al vento, scartati come spazzatura, pianificando una “dignitosa” decadenza, un welfare del tramonto che fornisca badanti e medicine, una lenta agonia anagrafica e sociale abbandonando il sogno di un’opportunità e speranza di ripresa. Nonostante gli importantissimi investimenti che con il Pnrr si stanno facendo per colmare il gap con il resto del Paese, questo è il risultato. Perché il Governo non recupera le risorse del fondo di coesione, tolti al Sud per finanziare opere strategiche sul territorio? Perché li ha destinati esclusivamente alla faraonica  realizzazione del Ponte sullo stretto? Perché si preoccupa di intervenire su aree strategiche e non si preoccupa, invece, di verificare, ad esempio, un dato importante come quello del livello sanitario in Calabria e, più in generale, di tutto il territorio nazionale, che non risponde più agli standard europei?

Questa non è la politica che ci piace, non è una politica costruttiva ma distruttiva, tale da rendere irreversibile il fenomeno dello spopolamento che per tanto tempo abbiamo combattuto investendo con  risorse e tempo. Tutto questo è inaccettabile:  anziché alimentare speranza e fiducia si insiste sulla difficoltà e sull’impossibilità di fare interventi che possono cambiare in maniera radicale le cose. Il problema non è solo di ordine strutturale, economico e demografico, ma è proprio di ordine antropologico-culturale e di creazione di una sorta di disaffezione ai luoghi da parte dei giovani che non trovano un buon motivo per restare, oltre alla mancanza di interventi che realizzino esperienze positive, in controtendenza rispetto allo spopolamento.

Non si dice ai giovani che hanno il diritto di restare, che possono impegnarsi e mobilitarsi per cambiare le cose. Non si dice ai giovani che possono avere la speranza di cambiare le cose, questa è una sorta di resa per paesi che sono moribondi ormai da circa settant’anni e che adesso stanno arrivando a una vera e propria morte. In alcune dichiarazioni sembra quasi ci si rassegni a una sorta di eutanasia dei paesi, mentre bisognerebbe dire che i borghi hanno diritto di vivere anche se hanno un solo abitante, che semmai dovrebbero essere messi in condizioni di riprendersi.

Noi amministratori ci mettiamo la faccia, le aree interne non sono territori da accompagnare con rassegnazione verso il tramonto bensì realtà vive, ricche di risorse umane, ambientali e culturali, che aspettano solo di essere valorizzate con investimenti concreti, visione strategica e politiche coraggiose. Il nostro compito è quello di rivendicare dignità, futuro e pari diritti per chi ha scelto e continua a scegliere di vivere e lavorare in questi territori.

Serve una visione lungimirante di sviluppo, bisogna investire in infrastrutture e servizi, promuovere  politiche che incentivino il ritorno dei giovani, rafforzando la cooperazione tra Comuni e valorizzando le specificità locali. È per questo che faremo fronte comune per combattere questo approccio, per annientare questa strategia di eutanasia sociale che tradisce il senso delle politiche di coesione, tradisce i nostri obiettivi, i nostri valori, la nostra storia che parte necessariamente da questi territori ora dimenticati.

Nei prossimi giorni mi farò portavoce di una mozione da portare al vaglio del Consiglio Metropolitano, provando a coinvolgere in primis l’assemblea dei sindaci metropolitani con un messaggio chiaro e deciso da destinare alla Presidente Anci Calabria, Rosaria Succurro, e al Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, i quali devono necessariamente sposare questa causa, provando ad andare oltre i “diktat” di partito, pensando agli interessi del territorio che rappresentano e delle tante popolazioni in attesa di un aiuto concreto contro questo atto scellerato. (cv)

[Carmelo Versace è vicesindaco della Metrocity RC]