IL GIOCO D’AZZARDO IN CALABRIA BRUCIA 5MLD
CURARE LA LUDOPATIA TRA I GIOVANI

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Il gioco d’azzardo è un problema in Calabria, soprattutto per i giovani. Nella nostra regione, infatti, nel 2023 sono stati “bruciati” 5 miliardi e mezzo in giochi e scommesse. È quanto denunciato dal consigliere regionale Pietro Molinaro, snocciolando i dati ufficiali del Monopolio di Stato, nel corso del convegno “Ludopatia: vinci solo quando smetti!”, promosso dal coordinamento di Fratelli d’Italia Corigliano-Rossano, che si è svolto nella sala parrocchiale San Giovanni XXIII in contrada Cardame.

Una cifra che fa impressione, considerando che la Calabria è l’ultima regione d’Europa per reddito pro capite, ma «non lo scopriamo oggi che il gioco d’azzardo è oggetto di attenzione della criminalità organizzata. Ma la nostra preoccupazione è anche un’altra: genera usura, dipendenza e impoverimento», ha detto Molinaro.

«Pensare che 5 miliardi e mezzo vengono bruciati – perché questo è il termine giusto – nel gioco d’azzardo, è una grande preoccupazione che dobbiamo avere», ha detto Molinaro, che ha puntato il dito sul ruolo dei Comuni, ricordando l’obbligo previsto dalla legge: «Lo dice l’articolo 16 della legge 9 del 2018: le amministrazioni comunali dovrebbero monitorare il rispetto delle distanze tra sale da gioco e luoghi sensibili come scuole e centri anziani. Ma questo – ha sottolineato – viene monitorato poco e male. Serve più attenzione, più controlli, più prevenzione».

Il  gioco d’azzardo patologico, infatti, non è un problema marginale. È una dipendenza che cresce silenziosamente e che lascia dietro di sé macerie sociali, familiari ed economiche. Il punto non è il gioco in sé, ma quando diventa un comportamento fuori controllo, alimentato da fragilità personali e contesti difficili. L’urgenza è costruire una risposta concreta fatta di prevenzione, informazione, ascolto. E, soprattutto, coinvolgimento dei territori.

Nel corso del convegno, introdotto da Dora Mauro, coordinatrice territoriale Fdi, il senatore di Fdi, Ernesto Rapani, ha illustrato i contenuti di una proposta di legge depositata nel dicembre 2022. Un DDL nato per colmare le lacune dell’attuale normativa, con l’obiettivo di rendere più chiaro e concreto l’intervento dello Stato: «C’è una normativa che al momento non è completa – ha spiegato Rapani – tant’è che è stato presentato un Ddl a firma di senatori di Fratelli d’Italia, che è in valutazione e che stiamo cercando di integrare con la speranza di dare un quadro normativo più chiaro».

Il focus, però, non è sulle pene. Anzi. «Non servono pene – ha detto il senatore – ma prevenzione. Perché purtroppo questa forma di ludopatia che sta dilagando è legata molto a un fattore psicologico. Per questo nel Ddl è previsto che rientri tra i Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), per garantire un sostegno concreto e capillare sul territorio».

Mauro, invece, ha posto l’accento sulla mancanza di consapevolezza del problema, soprattutto tra i giovani: «la ludopatia non riguarda solo gli adulti o gli over 65 – ha detto – ma è largamente diffusa tra i giovani, anche minorenni».

Per questo, attraverso le testimonianze di ragazzi iscritti al partito, abbiamo deciso di accendere i riflettori sul gioco d’azzardo patologico», ha spiegando Mauro, parlando del disturbo come di una minaccia che si estende ben oltre il singolo individuo: «Il problema non sono solo le slot machine presenti sul territorio».

«La vera emergenza è fermare il gioco quando diventa un disturbo comportamentale – ha ribadito –. Perché il disturbo non coinvolge solo il soggetto ludopatico, ma l’intera società: famiglia, economia, relazioni, finanze. Un mondo che ne viene inevitabilmente travolto».

Per Paolo Savoia, già dirigente medico Serd-Asp di Cosenza, specialista in malattie infettive, «la ludopatia non ha età: Riconoscere una dipendenza da gioco d’azzardo significa osservare i comportamenti: tempo eccessivo trascorso a giocare, sbalzi d’umore, difficoltà economiche improvvise, isolamento sociale, tendenza a mentire su quanto si gioca. Segnali sottili, ma spesso ricorrenti, che possono aiutare a individuare il problema in fase iniziale».

«Il primo passo – aggiunge Savoia – è parlare. Trovare  qualcuno che ascolti senza giudicare. Anche solo rompere il silenzio, spesso, è già un grande aiuto. E da lì si può costruire un percorso con figure professionali competenti». Un percorso che non deve essere lasciato al caso».

Salvatore Perfetto, esponente di Gioventù Nazionale, si è focalizzato sul problema della percezione sociale: il gioco d’azzardo è considerato molto più accettabile rispetto ad altre dipendenze. Ed è qui che si nasconde la trappola».

Perfetto ha legato la diffusione del fenomeno a condizioni di disagio: «Più è alto il disagio – povertà, disoccupazione, isolamento – più alta è la probabilità che un giovane cada nella dipendenza da gioco».

Per questo ha proposto la costruzione di una rete territoriale, con il coinvolgimento di scuole, enti locali, regioni, terzo settore ed esperti, per avviare giornate di prevenzione e informazione, oltre alla promozione di comitati giovanili per sensibilizzare i coetanei. A rafforzare questo appello è stato Fabio Carignola, giovane di Fdi, che ha evidenziato la gravità della situazione: «Il vero problema – ha sottolineato – è che il ludopatico ha difficoltà ad ammettere di avere un problema. Ecco perché il fenomeno è così difficile da contrastare».

Carignola ha poi condiviso un dato allarmante: molti ragazzi della sua età raccontano di giocate che superano i 70 euro al giorno. Un segnale che, secondo lui, impone un intervento rapido e deciso, a partire proprio dal coinvolgimento delle nuove generazioni.

Un problema ben noto alla Regione che, in tre anni, «ha messo a terra e programmato complessivamente oltre 6 milioni di euro per contrastare le dipendenze patologiche: dalla tossicodipendenza alla ludopatia, con un’attenzione particolare alla prevenzione tra i giovani. Solo nella provincia di Cosenza, oltre 8mila studenti sono e saranno coinvolti in programmi di tutela e prevenzione», ha detto Pasqualina Straface, nel ruolo di consigliere delegata dal Presidente alle politiche per le dipendenze patologiche.

«Complessivamente – ha spiegato – negli ultimi due anni, la Regione Calabria ha messo a terra 4,5 milioni di euro di fondi destinati alla prevenzione, al recupero e alla riabilitazione. Ma non è finita qui, perché il prossimo 30 aprile – annuncia la consigliera delegata alle politiche per le dipendenze patologiche – la Regione chiederà al Ministero della Salute un ulteriore finanziamento di 1,5 milioni di euro, per portare le risorse complessive a 6 milioni di euro».

«Insieme al Presidente Occhiuto – ha ricordato – stiamo coordinando tutti i programmi e gli eventi regionali per il contrasto alle dipendenze patologiche e al gioco dazzardo, mettendo in campo, in stretta collaborazione con il Dipartimento regionale salute, tutte le misure possibili utili mappare e governare  il fenomeno. Questo ci sta consentendo di mettere in atto strumenti efficaci, intercettando ed utilizzando ogni utile risorsa resa disponibile dal Ministero della Salute».

«In soli due anni, con il coinvolgimento di docenti e studenti, l’azione di contrasto alle dipendenze attuata dalla Regione ha coinvolto ben 90 istituti scolastici calabresi, tra scuole secondarie di primo grado e scuole superiori, di cui 24 nella provincia di Cosenza. Questo – ha sottolineato la Presidente della Terza Commissione – ci ha consentito di alzare nelle scuole una prima ed importante cortina difensiva contro le dipendenze».

«Inoltre, sono stati istituiti 15 servizi terapeutici gestiti da comunità specializzate, che accolgono i giocatori patologici che in collaborazione con i SerD oggi hanno intrapreso un percorso di riabilitazione e di reintegrazione sociale». (ams)

IL GEN. ERRIGO: PER IL BENE DI CROTONE
UNA SCELTA DIFFICILE MA OBBLIGATA

di EMILIO ERRIGO – Cari cittadini calabresi, mi rivolgo a voi da orgoglioso calabrese, come Commissario Straordinario di Governo per il Sin di Crotone, come uomo dello Stato, come servitore delle istituzioni pubbliche, sempre fedele ai principi fondanti del nostro ordinamento.

In un contesto in cui per tanto tempo si è atteso, discusso, rinviato, il 3 aprile 2025 scorso ho ritenuto doveroso intervenire con una ordinanza dettagliata sulla bonifica di un sito che, non certo a caso, è inquadrato come sito di Interesse nazionale.

Sapete cos’è l’interesse nazionale? È ciò che serve a proteggere e far crescere il benessere, la sicurezza, la libertà e l’identità di un Paese e dei suoi cittadini. Sono quelle cose importanti che uno Stato deve difendere o realizzare per garantire il futuro della propria comunità.

Emanare l’ordinanza n. 1/2025 è stata una scelta dettata dall’urgenza e dalla responsabilità che il mio ruolo comporta. Quando i fatti diventano chiari, le decisioni – benché richiedano un giusto tempo tecnico di analisi e ponderazione – non possono essere rimandate. Crotone attende da decenni una bonifica. I cittadini attendono risposte ed è a voi che questa ordinanza parla indirettamente. Certo, lo fa con un linguaggio doverosamente burocratico, ma con la concretezza che i tempi esigono.

Ho sempre nutrito profondo rispetto istituzionale per la buona politica e per quelle amministrazioni territoriali che si muovono quotidianamente tra problematiche sociali di ogni genere, vincoli molto complessi, risorse contenute e spesso insufficienti, nel tentativo – il più delle volte autentico e sincero – di operare per il bene comune.

Ragione per la quale, sin dall’inizio del mio mandato, mai mi sono sottratto a interventi pubblici in ogni sede possibile (Consiglio Regionale, in Consiglio Comunale, in confronti con associazioni, comitati e sindacati). Ma la dialettica politica, le divergenze di vedute, le logiche di schieramento partitico, la ricerca di equilibri possono rallentare processi vitali. E quando la salute collettiva è in gioco ogni prolungata esitazione ha un costo.

In un processo complesso, molto risalente nel tempo e particolarmente delicato come quello della bonifica del Sin di Crotone, credo sia poco utile – e potenzialmente dannoso – impostare il dibattito pubblico come uno scontro tra c.d. “poteri forti” e una “collettività vittima”.

Questa narrazione a mio avviso alimenta tensioni e, al tempo stesso, allontana i cittadini da una comprensione della realtà. Vi assicuro che non siamo di fronte a blocchi contrapposti che si fronteggiano, ma a una sfida collettiva che richiede cooperazione. I soggetti coinvolti nella bonifica devono muoversi con responsabilità precise in mezzo a quadri regolatori internazionali, europei e nazionali molto articolati, strumenti tecnici, soggetti privati e pubblici chiamati a rispondere a norme, a obblighi e scadenze.

Sarò il primo a battermi affinché la cittadinanza possa esercitare, nel rispetto della legalità, il proprio diritto a esprimere opinioni e preoccupazioni, e perché no, un civile e democratico dissenso. Ma sarò anche il primo a battersi affinché si evitino le semplificazioni. La verità, in vicende complesse come questa, non può e non deve essere ingabbiata in narrazioni ridotte e sintetizzate per slogan.

È invece fondamentale che si affermi con forza la cultura dell’approfondimento, dell’informazione, del confronto costruttivo, istituzionale, trasparente. Perché solo in questo modo i cittadini possono davvero comprendere, valutare e – se lo ritengono – criticare ma sulla base di elementi reali, e non di rappresentazioni che alimentano sfiducia.

L’ordinanza commissariale stabilisce una linea operativa fondata su fatti concreti:  oggi, l’unica discarica italiana attrezzata per ricevere rifiuti pericolosi è a Crotone; Regione, Provincia e Comune hanno deciso che i rifiuti pericolosi del Sin di Crotone devono essere smaltiti inderogabilmente fuori dalla Calabria, proprio dove è possibile farlo in sicurezza; La discarica di Crotone, tuttavia, riceve da altri luoghi della Calabria stessa e da altre regioni italiane tutti i giorni tonnellate di rifiuti pericolosi uguali a quelle del Sin di Crotone.

Cari cittadini, questi fatti non sono in linea con il diritto. E io sono stato nominato per decidere secondo i dettami del diritto. Ecco perché ho deciso nel solco della legalità, dell’equilibrio e del rispetto delle norme in vigore. Il mio compito istituzionale è quello di accelerare, promuovere e coordinare un processo di bonifica che, a Crotone, Cassano e Cerchiara, è atteso da troppo tempo.

C’è chi ha ricordato a mezzo stampa che io non ho un mandato popolare. È vero! Ma ho un mandato istituzionale chiaro. E quel mandato lo onorerò sino all’ultimo giorno con la stessa fedeltà con cui, da appartenente alla Guardia di Finanza, ho giurato sulla Costituzione della Repubblica.

Non c’è firma più sentita, più convinta, di quella che ho apposto su questa ordinanza. E se quella firma servirà ad evitare anche solo una malattia in più, o una vita spezzata, a causa degli agenti inquinanti che infestano il nostro territorio, io sentirò di aver fatto il mio dovere.

L’ordinanza prevede – tra gli strumenti straordinari – anche l’eventuale avvalimento delle Forze Armate e delle Forze di Polizia. Capisco che ai più, questa possa apparire una cosa eccessiva. Ma non si tratta di un gesto di forza. Non è, e non sarà mai, un atto punitivo. Vi invito a riflettere sul fatto che tale azione di eventuale avvalimento è piuttosto una risorsa. È uno strumento di difesa e protezione civile a supporto della collettività, quando questa chiede aiuto e lo merita.

Lo abbiamo visto nel 2008, quando l’Esercito italiano fu chiamato a rimuovere la spazzatura che soffocava le strade di Napoli. Abbiamo visto uomini in divisa e mezzi specializzati dopo ogni terremoto (in Irpinia, in Umbria, in Abruzzo). Lo abbiamo visto recentemente nei giorni drammatici dell’alluvione in Emilia-Romagna.

E chi dimentica le immagini dei camion militari che trasportavano le bare a Bergamo, durante il picco del Covid, o chi dimentica l’azione quotidiana nelle nostre strade e nelle nostre città di uomini e donne con la divisa, dimentica lo Stato che fa il proprio dovere, nel silenzio, con disciplina e umanità. Gli appartenenti alle Forze Armate e Forze di Polizia non sono mai “contro” i cittadini. Sono “con” i cittadini. Sono parte di questa comunità. Servono in certi momenti a costruire, a proteggere, a intervenire dove serve competenza, sacrificio, ordine.

In certe emergenze – e quella ambientale di Crotone lo è a pieno titolo – non si può chiedere alla normalità di risolvere ciò che solo uno strumento straordinario può affrontare.

Io sono qui per questo. Per assumermi questa responsabilità. Per affermare, senza arroganza e con la forza del diritto, che questa Calabria, la mia Calabria, merita fermezza.

Sento, oggi più che mai, che con me ci sono molti cittadini onesti. Le nuove generazioni. I volti di chi chiede giustizia, dignità, tutela. Agire non è dividere. Agire, per me, significa essere al servizio dello Stato.

Con rispetto e determinazione. (ee)

[Emilio Errigo è commissario straordinario di Governo per la bonifica del Sin di Crotone-Cassano e Cerchiara]

IN CALABRIA È INVERNO DEMOGRAFICO
NEL 2024 I NATI SONO IL 4,5% IN MENO

di CLAUDIO VENDITTI – Preoccupa il quadro delineato dall’Istat nel rapporto “Indicatori demografici Anno 2024” dal quale emerge, a livello nazionale, un calo demografico delle nascite, pari al -2,6%.

Il tasso di natalità in Calabria è stato del 6,9 mentre quello di mortalità dell’11,3 con un saldo naturale (nascite/decessi) di -4,4. I nati in Calabria nel 2024 sono stati 12.700, nel 2023 erano stati 13.282 e nel 2022 13.451.  In calo anche il numero medio di figli per donna, stimato dall’Istat per il 2024 in 1,18 a livello nazionale in Calabria 1,25 e siamo ai minimi storici.

L’età delle neomamme a livello nazionale è del 32,6 in Calabria 32,4 media delle partorienti è di 32,4 anni, Con 1,18 figli per donna nel 2024 il tasso di fecondità è ai minimi storici. Il saldo naturale, ovvero la differenza tra nascite e decessi, continua a essere fortemente negativo (-8.034).

Stiamo sprofondando nelle sabbie mobili, ed è evidente che quanto stiamo mettendo in campo, come sistema-Italia, è del tutto insufficiente per garantire un minimo equilibrio demografico. Da anni si chiede una rivoluzione che il nostro Paese non è ancora disposto ad assumere, vittima di priorità che sono sempre altre, di mancate convergenze transpartitiche, di fragilità di alleanze tra politica, amministrazione locale, lavoro associazionismo e scuola.

A tal fine mi faccio portavoce nel chiedere una Conferenza Regionale sulla famiglia. Ma anche politiche asfittiche e vincolate a patti di bilancio stringenti che invece si fanno flessibili per altre urgenze. L’anno della famiglia sembra sempre essere il prossimo in agende ormai attanagliate da crisi mondiali che oggi ci portano anche a parlare di guerra, militare o di dazi, come una possibilità di scenario ordinario. Cresce ancora anche il numero di italiani che lasciano il Belpaese.

Nel 2024 sono stati 156mila, un +36,5% con un impatto significativo per la Calabria gravata anche dal fenomeno delle migrazioni interne: -8.376. La popolazione residente in Calabria al 1° gennaio 2025 è di 1.838.568 di cui circa 106 mila di nazionalista straniera.  L’Istat ci dice che il numero medio di componenti per famiglia è sceso a 2,2, rispetto ai 2,6 di venti anni fa.

Oggi circa un terzo delle famiglie anagrafiche in Italia è costituito da una sola persona evidenziando che il tema delle solitudini cresce in modo preoccupante. Le coppie con figli rappresentano meno del 30%, mentre aumentano le famiglie monogenitoriali (10,8%) e quelle senza figli (20,2%).

Stiamo consumando il futuro in un’epoca che si fa vanto di cercare sempre la sostenibilità è il commento del presidente del Forum. Urgono politiche strutturali, generose ed universali orientate a famiglia e giovani. In tal senso, serve il coraggio, l’unità e la capacità di programmare per fare, da subito, le scelte operative conseguenti, considerando la spesa per far crescere il figlio, non come un costo individuale ma come investimento per il futuro dell’intera comunità.

Occorre cambiare cultura e supportare la famiglia come soggetto sociale che, se messo nelle condizioni, è capace di generare benessere per tutto il Paese. (cv)

[Claudio Venditti è presidente del Forum famiglie della Calabria]

SANITÀ, IN CALABRIA SPESI SOLO 40 MILIONI
DEI 320 DISPONIBILI (INCLUSI I FONDI PNRR)

di RUBENS CURIA e FRANCESCO COSTANTINO – È sempre accaduto che, situazioni impreviste, modifichino il corso della storia e i popoli si trovino davanti a un bivio.

Il mondo intero, e più ancora l’Europa, negli ultimi 5 anni hanno dovuto fare i conti con una pandemia devastante e con un conflitto bellico come non se vedeva da 80 anni.

Nel primo caso la risposta più rilevante la si è individuata nel Pnrr per il quale le risorse destinate all’Italia risultavano pari a 194,4 mln di euro ripartite in 7 missioni: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; Rivoluzione verde e transizione ecologica; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute; RepowerEU

Per finanziare ulteriori interventi il Governo italiano ha approvato un Piano Nazionale Complementare (Pnc) con risorse pari a 30,6 miliardi di euro.

In aggiunta, il Piano promuove un’ambiziosa agenda di riforme, e in particolare, le quattro principali riguardano: pubblica amministrazione; giustizia; semplificazione; competitività

Il Pnrr ha destinato alla Missione Salute  15,63 milioni di euro, pari all’8,16% dell’importo totale, per sostenere importanti riforme e investimenti a beneficio del Servizio sanitario nazionale, da realizzare entro il 2026.

Ma, complessivament,e le risorse straordinarie per l’attuazione del Pnrr e il rinnovamento della sanità pubblica italiana superano i 20 miliardi di euro.

Tra queste, le risorse messe in campo dall’Italia con il Piano nazionale per gli investimenti complementari (PNC), che destina alla salute ulteriori 2,89 milioni di euro.

Le risorse disponibili servivano: per adeguare il nostro SSN a un mutato contesto demografico ed epidemiologico; per garantire uguaglianza nel soddisfacimento dei bisogni di salute, indipendentemente dal genere e dalle condizioni socioeconomiche; per rendere la rete dell’assistenza primaria territoriale in grado di rispondere al fabbisogno di salute lasciato scoperto dalla razionalizzazione della rete ospedaliera; per rendere capillare l’offerta di salute sul territorio, in termini di prevenzione e cura, eliminando le disparità geografiche, in particolare tra Nord e Sud; per sfruttare appieno le opportunità di miglioramento dell’offerta di salute derivanti dall’impiego dell’innovazione tecnologica, dall’avanzamento della ricerca in campo medico e dalla valorizzazione del personale del SSN.

Se limitiamo lo sguardo a ciò che è accaduto in Calabria, per quanto desumibile dall’ultima relazione di  monitoraggio sulle linee d’intervento della Missione 6 pubblicata sulla piattaforma Regis (gennaio 2025), non possiamo non essere preoccupati perché a fronte di circa 320.000.000 milioni di euro complessivamente disponibili, risultano impegni assunti per poco più di 40.000.000 milioni di euro e pagamenti effettuati per circa 18.000.000 milioni, dovendosi concludere la spesa rendicontata entro l’anno 2026.

Leggiamo, in questi giorni, che per i progetti che si stima non possano essere conclusi entro il termine ultimo dell’anno 2026 sarà possibile “spondare” gli investimenti sui fondi di coesione della comunità europea per avere maggiore termine temporale per la spesa.

Tutto questo ci preoccupa per 2 ordini di motivi. Il primo perché la sanità calabrese ha, quanto mai, bisogno urgente di una assistenza primaria territoriale in grado di rispondere al fabbisogno di salute lasciato scoperto dalla razionalizzazione della rete ospedaliera, e ogni ritardo non fa che aggravare una situazione già di per sé precaria.

Il secondo perché non ci convince il principio che, ai fondi di coesione, venga sottratta una quota importante di risorse.

Lo spostamento sui fondi per la coesione significa che la dimensione quantitativa di quei fondi che dovevano essere destinati ad altre misure verrà ridimensionata e la pratica dello “spondamento” di fondi su altre fonti di finanziamento diverse da quelle originariamente previste rappresenta sempre una perdita secca.

Se la spesa programmata con i fondi del Pnrr fosse stata effettuata nei tempi stabiliti, non ci sarebbe stato bisogno di usare i fondi per la coesione.

A meno che le somme non spese in tempo utile in ambito Pnrr non diventino aggiuntive di quelle ordinarie dei fondi di coesione europei. Ma questo non è stato chiarito. (rc, fc)

[Rubens Curia e Francesco Costantino sono di Comunità Competente]

IL PORTO DI SALINE VERSO UN’APERTURA
OPERATIVA: CHE SIA LA VOLTA BUONA?

di SILVIO CACCIATORE – «Per il porto di Saline Joniche sono in corso le fasi di progettazione per una prima apertura operativa:si tratta di una striscia di circa 70 metri, necessaria a renderlo funzionale. L’intervento prevede anche il rifacimento del molo di sopraflutto e la realizzazione di un pennello-trappola per garantire – o quantomeno ridurre al minimo – il rischio di insabbiamento. Si tratta di un intervento abbastanza impegnativo da un punto di vista economico».

Il contrammiraglio Antonio Ranieri, commissario straordinario dell’Autorità di sistema portuale dello Stretto, lo ha dichiarato in occasione dell’incontro dedicato al Masterplan per l’area dello Stretto, tenutosi a Reggio lo scorso 25 marzo. La riattivazione del porto di Saline, inserita tra gli obiettivi strategici dell’ente, torna dunque al centro del dibattito con un aggiornamento che conferma quanto delineato negli ultimi mesi: si lavora alla progettazione esecutiva, passaggio tecnico propedeutico alla gara d’appalto.

Che sia davvero la volta buona? Nato negli anni Settanta nell’ambito del cosiddetto “Pacchetto Colombo”, il porto di Saline Joniche era stato pensato come snodo cruciale per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, in particolare per servire l’impianto mai entrato in produzione della Liquichimica, uno dei più grandi esempi di cimitero industriale del sud Italia. L’infrastruttura, imponente ma mai entrata davvero in funzione a causa della sua insabbiatura che l’ha reso inagibile, è rimasta per decenni un simbolo di incompiutezza, ma anche una risorsa potenziale rimasta intatta lungo la costa ionica reggina. Oggi, a cinquant’anni di distanza, torna con forza nel dibattito pubblico e istituzionale.

«Siamo nella fase di progettazione, che dovrà poi diventare esecutiva per poter procedere alla gara. L’obiettivo è una copertura operativa parziale. Prima, però, dobbiamo concludere la progettazione esecutiva e successivamente andare in gara. Sono in corso anche le approvazioni ambientali, poiché si tratta di un intervento che include dragaggi. Il dragaggio sarà seguito – per quanto possibile – dal riutilizzo delle sabbie rimosse sui litorali adiacenti. Siamo in linea con i tempi. Tuttavia, gli stessi sono lunghi a causa della complessità sia delle attività di progettazione, sia delle autorizzazioni ambientali, che richiedono una valutazione a livello nazionale».

Una visione che trova conferma nel progetto di fattibilità redatto dalla società Wavenergy, oggetto della conferenza dei servizi decisoria svoltasi nel 2023, con un investimento stimato intorno ai 10 milioni di euro. Gli interventi contemplati erano e sono funzionali al parziale ripristino dell’accessibilità del porto, con l’obiettivo di renderlo operativo inizialmente per il diporto nautico, con una previsione tra i 100 e i 150 posti.

Ecco gli interventi, ribaditi da Ranieri: dragaggio del fondale, messa in sicurezza della testata del molo di sopraflutto, realizzazione del pennello-trappola e interventi sull’impianto elettrico. Tutti elementi tecnici pensati per affrontare uno dei nodi strutturali dell’infrastruttura: l’insabbiamento del bacino portuale, che secondo uno studio dell’Università Mediterranea dipenderebbe da una gestione inefficace dei sedimenti costieri e non da errore progettuale.

Interventi che, nel loro insieme, non sono semplici opere di manutenzione, ma costituiscono la base tecnica per ridare vita a un’infrastruttura abbandonata da oltre un decennio, la cui riattivazione richiede oggi un coordinamento multilivello, con al centro anche il Ministero dell’Ambiente, impegnato nella valutazione degli effetti dei dragaggi.

A confermare la centralità strategica del sito è anche quanto accaduto negli scorsi mesi quando, a seguito del dietrofront della multinazionale Baker Hughes da un investimento previsto a Corigliano-Rossano, venne proposto Saline Joniche come sede alternativa per l’insediamento industriale. L’ipotesi non si è mai tradotta purtroppo in un passaggio operativo, ma ha acceso un faro sulla valenza infrastrutturale e logistica del porto, capace di attrarre l’interesse di attori internazionali, a patto che le condizioni tecniche lo rendano agibile.

Oggi il porto resta chiuso, ma il percorso amministrativo tracciato si conferma attivo. Le tempistiche restano condizionate dalla necessità di coordinare più livelli decisionali, soprattutto in materia ambientale. Il rilancio di Saline, mai abbandonato nei piani dell’Autorità portuale, sembra dunque mantenere il proprio orizzonte. La prospettiva di una riattivazione graduale, limitata ma concreta, è tornata ad avere voce ufficiale.

E in un territorio dove la parola “futuro” spesso resta astratta, rimuovere anche solo settanta metri di sabbia può voler dire molto: più di quanto suggerisca la misura, più di quanto abbiano saputo fare in tanti anni le promesse mancate e le occasioni perdute per l’Area Grecanica. (sc)

[Courtesy LaCNews24]

DISPERSIONE SCOLASTICA: IN CALABRIA È EMERGENZA:
È ULTIMA TRA LE REGIONI

di GUIDO LEONE – Nei giorni scorsi sono iniziate le rilevazioni Invalsi 2025 con le prove per gli studenti e le studentesse dell’ultimo anno della scuola secondaria di secondo grado che, a giugno prossimo, affronteranno l’esame di Stato del secondo ciclo d’istruzione.

Le prove si concluderanno il 31 marzo in più giornate, secondo il calendario prescelto dalle Scuole. Gli studenti calabresi delle quinte classi campione del superiore coinvolti dalle rilevazioni, che  sosterranno le prove di Italiano, Matematica e Inglese (reading e listening) al computer, saranno circa 1100, quelli delle terze classi “campione” delle scuole medie inferiori circa 350 e quelli delle classi “campione” delle seconde media superiore circa 1200.

I test Invalsi, introdotti con una legge del 2007 per valutare il livello generale del sistema scolastico italiano, sono requisiti di ammissione alla maturità e agli esami di terza media, tuttavia va sottolineato che i risultati delle prove Invalsi non influenzeranno né la  promozione né il voto finale degli studenti in corsa per il diploma.

Le Prove Invalsi, dunque, rappresentano un momento fondamentale per il sistema educativo italiano e offrono una valutazione standardizzata delle competenze acquisite dagli studenti. L’edizione 2025 è ricca di novità e sfide, interessando tutti i gradi scolastici – dalla scuola primaria alla secondaria – e rappresentando un importante indicatore del livello di preparazione degli alunni e dell’efficacia dell’offerta formativa nazionale.

Quali gli obiettivi delle prove e  il calendario  completo per ogni ordine e gradolo vediamo qui di seguito.

Le prove permettono di misurare le capacità in ambito linguistico, matematico e, per alcune classi, anche in inglese. L’obiettivo è monitorare l’apprendimento in modo trasversale, individuando punti di forza e criticità.

I risultati forniscono dati preziosi per le istituzioni, utili a individuare aree di miglioramento e a orientare interventi mirati per una didattica sempre più efficace.

Gli esiti delle prove aiuteranno insegnanti e dirigenti scolastici a rivedere metodi e strumenti di insegnamento, favorendo un processo di aggiornamento continuo e mirato.

La diffusione dei risultati, in termini di votazioni e medie di classe, contribuisce a una maggiore trasparenza del sistema scolastico, evidenziando il valore aggiunto delle pratiche educative adottate nelle scuole.

Calendario delle Prove Ivalsi 2025

Le date delle prove variano in base all’ordine e al grado scolastico. Gli alunni delle quinte elementari si cimenteranno nella prova di italiano il 7 maggio. Nella prova di matematica il 9 maggio e nella prova di inglese il 6 maggio, quest’ultima non per gli allievi delle seconde classi.

La modalità di somministrazione cambia a seconda del ciclo d’istruzione: nella Scuola primaria le prove avvengono simultaneamente nello stesso giorno per ogni materia e alla stessa ora con la tradizionale modalità carta e matita.

Gli studenti che corrispondono alle classi terze medie, sosterranno le prove dal 1 al 30 aprile. Le classi campione affronteranno le prove nei giorni 1, 2, 3 e 4 aprile 2025.

Gli studenti del secondo anno delle scuole superiori dovranno sostenere solo le prove di italiano e  matematica tra il 12 e il 30 di maggio comprendendo le classi campione  e non.

In via sperimentale, in questo anno scolastico solo nelle classi campione sono rilevate, per la prima volta, le Competenze digitali.

Tale rilevazione ha come finalità la misurazione dell’attuale livello di competenze digitali delle allieve e degli allievi.

Come sono andate le prove Invalsi nelle scuole calabresi

Le prove Invalsi continuano di anno in anno a restituire il volto di un Paese diviso in due con differenze territoriali in italiano e matematica sempre marcate. Anche gli esiti delle ultime prove 2024 hanno evidenziato che l’istruzione al Sud resta un’emergenza, con una situazione incredibile, diremmo quasi drammatica in particolare per la Calabria.

Gli ultimi dati, infatti, hanno evidenziato un peggioramento nelle competenze di base in italiano e matematica con la nostra regione particolarmente colpita. Già a partire dal ciclo primaria dove si evidenzia una considerevole differenza di opportunità di apprendimento che si riverbera anche sui gradi successivi interamente a svantaggio della Calabria e anche di alcune regioni meridionali.

La quota di chi non raggiunge il prescritto livello A1 è circa doppia rispetto al dato nazionale e più che doppia rispetto all’Italia settentrionale.

Alle superiori la musica non cambia: La Calabria ultimo posto tra le regioni italiane, i nostri allievi non raggiungono gli obiettivi previsti al termine del secondo ciclo.

Secondo il rapporto Invalsi, per quanto riguarda il rischio dispersione scolastica implicita al termine del primo ciclo d’istruzione, la Calabria rientra nel 1° gruppo delle regioni in cui oltre il 20% di studenti e studentesse (non meno di 1 studente su 5) è a rischio dispersione. Anche se si nota un miglioramento tra il 2023 e il 2024 con un -3,3 punti percentuali.

Così al termine del II ciclo dove oltre il 10% degli studenti (almeno 1 su 10) è a rischio. La Calabria è al 9,3% a fronte della media italiana che è del 6,6%. Anche qui un miglioramento rispetto all’anno scorso  del -4,7 punti percentuali.

Forte la disuguaglianza educativa in Calabria

Insomma i divari territoriali non migliorano e rimangono forti evidenze di disuguaglianza educativa al Sud e in particolare in Calabria: le scuole riescono a fatica ad attenuare l’effetto delle differenze socio-culturali del contesto familiare e le disparità esistenti tra scuole e anche tra classi.

La principale criticità della scuola in Italia riguarda ovviamente la qualità degli apprendimenti degli studenti, inferiore a quella degli altri paesi avanzati

Una possibile ricetta per migliorare gli apprendimenti nel nostro Paese? Un nuovo modello di reclutamento e di carriera degli insegnanti, una didattica rinnovata nel contesto di una scuola estesa al pomeriggio, interventi sostanziali sull’edilizia scolastica.

Riemerge, però, in tutta la sua drammaticità, l’urgenza di rimettere al centro dell’attenzione politica e dei nostri governanti l’istruzione e la formazione come emergenza sociale per il sud e la Calabria in particolare.

E, mentre le regioni più avanzate, a questo punto, vogliono andare per la loro strada con la autonomia differenziata, si palesa in maniera drammatica una questione meridionale all’interno del sistema scolastico nazionale.

Speriamo che i prossimi esiti Invalsi 2025 smentiscano la tendenza di una Italia che procede a due velocità. (gl)

[Guido Leone è già dirigente tecnico Usr Calabria]

FONDI UE, CALABRIA FERMA ALL’1,31%
ANCORA INCAPACE DI SAPER SPENDERE

Ritardi nell’avanzamento della spesa dei fondi europei. Lo stato di attuazione del programma 2021-2027 del fondo europeo di sviluppo regionale (Fers), vede la Regione Calabria ferma all’1,31% nell’avanzamento dei pagamenti e al 3,59% per ciò che concerne gli impegni di spesa. Che tradotto in soldoni significa che dei 2.405,17 miliardi destinati alla Calabria, le risorse impegnate ammontano a 86,37 milioni mentre i pagamenti non vanno oltre i 31,40 milioni.

Va un po’ meglio per quanto riguarda invece i fondi Fse+: l’avanzamento degli impegni segna il 7,01% mentre quello dei pagamenti il 5,93%. Sono questi alcuni dei dati che emergono da Check-Up Mezzogiorno 2024, l’analisi sullo stato di salute dell’economia meridionale realizzato annualmente da Confindustria e SRM.

Fondi europei

I dati relativi all’attuazione della programmazione 2021-2027 soprattutto nelle regioni del Sud sono ancora molto bassi, seppur ci si trovi quasi alla revisione di metà periodo. Questo – secondo l’associazione degli industriali – «è sicuramente imputabile a varie cause, primo tra tutti il fatto che la programmazione è di per sé partita con due anni di ritardo a causa della situazione emergenziale dovuta alla pandemia, che ha interrotto i negoziati sui regolamenti e di conseguenza l’approvazione del quadro legislativo europeo e poi dell’Accordo di partenariato e dei piani nazionali e regionali». Inoltre, «la concomitanza con l’introduzione del Pnrr ha portato le amministrazioni a spendere per prime, per non perderle, tali risorse». Al 31 dicembre 2024 sono i programmi regionali delle regioni classificate come “più sviluppate” a far registrare il tasso più alto di risorse impegnate (30,9%) e di pagamenti effettuati (10%, il doppio della media nazionale). Con riferimento alle Regioni del Mezzogiorno, il dato complessivo è pari all’11% di impegni e al 3% di pagamenti, con una performance migliore per i Piani Nazionali. «Questo andamento eterogeneo – rilevano gli industriali – è sicuramente anche imputabile al fatto che le risorse a disposizione sono molte di più nelle regioni classificate come meno sviluppate».

Tra queste, registrano buone performance i FSE + di Puglia e Campania. In linea generale, l’attuazione del FESR, e quindi del fondo più specificatamente a sostegno delle imprese, è ferma a un 1,5%, dato ben al di sotto della media nazionale.

Accordi per la Coesione, Calabria da zerovirgola

Introdotti nel 2023, gli Accordi per la Coesione costituiscono i nuovi strumenti operativi per la gestione delle risorse del Fondo Sviluppo e Coesione. A differenza che nel passato, gli interventi finanziati con le risorse del Fondo vengono concordati tra le Amministrazioni e il Governo.

«Il necessario tempo per la negoziazione degli accordi – si legge nel report – ha portato alla stipula degli stessi con tempi diversi da regione a regione, comportando inevitabilmente effetti sull’attuazione».

A livello nazionale i pagamenti non arrivano ancora all’1%, mentre a livello regionale nel Sud spicca la Basilicata, con un livello di pagamenti pari al 3%. Mancano i dati relativi all’attuazione degli Accordi in Campania e Sardegna, in quanto la firma stessa dell’accordo in queste due Regioni è arrivata tardivamente e non sono stati elaborati ancora i dati sui pagamenti. Mentre la Calabria è ferma allo 0,03% sui pagamenti e allo 0,09 sugli impegni.

Crescono le società di capitali: +4%

A fine 2024 le imprese attive nel Mezzogiorno erano più di 1 milione e settecentomila e, pur se in lieve calo rispetto al dato del 2023 (-1,2%), rappresentano poco più di un terzo del totale nazionale. Le Società di capitali al Sud continuano, invece, a mostrare un andamento in crescita, superando le 425 mila unità, con un +4,2% rispetto all’anno precedente che equivale ad oltre 17 mila nuove imprese di capitale. Per tutte le regioni della macroarea la dinamica è la stessa: ad un calo del numero complessivo di imprese si contrappone una crescita delle società di capitaliche mostrano le migliori performance in Campania (+4,8%), Puglia (+4,6%), Calabria (+4,1%). Dal Pollino allo Stretto le imprese attive nel 2024 sono state 157.410, in calo dell’1,7% rispetto al 2023 mentre le società di capitali hanno toccato quota 32.431.

Export

Nel 2024 l’export delle regioni del Sud è stato pari a quasi 65 miliardi di euro, circa l’11% del dato nazionale, con un calo rispetto al 2023 (-5,4%, contro un -0,6% per il Centro-Nord) ed un saldo commerciale negativo per quasi 5,5 miliardi. Guardando alle sue regioni, le prime due per flussi internazionali in uscita (Campania e Sicilia) rappresentano più della metà dell’export della macroarea; in particolare, la Campania registra un valore di oltre 21,6 miliardi di euro con un calo del 2,5% rispetto al dato del 2023 e la Sicilia un valore di quasi 13,2 miliardi con un calo dell’8,3%. La Calabria, invece, ha registrato un dato pari a 965 milioni con una variazione in positivo rispetto al 2023 del 9,4% e un saldo commerciale negativo pari a -267,3.

Occupazione

I dati sull’occupazione mostrano che, al 2024, nel Mezzogiorno si è concentrato quasi il 27% dell’occupazione nazionale e il 23,5% di quella femminile, valori decisamente più bassi se rapportate alla quota della popolazione che vive al Sud. Guardando all’andamento rispetto allo scorso anno, l’occupazione nel Mezzogiorno aumenta del 2,2%, un valore più alto di quello registrato nelle restanti aree del Paese (Centro-Nord +1,2%), superando le 6,4 milioni di unità. Anche l’occupazione femminile mostra segnali positivi con un +3,3% per oltre 2,4 milioni di unità. L’occupazione in Calabria rispetto al 2023 aumenta dello 0,4%.

La Zes Unica vola solo in Campania

Sul versante delle policy poste in essere per il Mezzogiorno, attraverso strumenti di agevolazione contributiva, di sgravi fiscali e di semplificazione amministrativa, uno tra i più rilevanti è senza dubbio il credito di imposta per gli investimenti effettuati nella Zes Unica.

I dati a consuntivo dell’Agenzia delle Entrate sulle comunicazioni di richiesta nel 2024 raccontano di poco meno di 7 mila domande pervenute dalle imprese localizzate nelle otto regioni meridionali, con una forte concentrazione in Campania, che, da sola, ha assorbito oltre un terzo delle domande. Seguono Sicilia e Puglia (quest’ultima con un numero di comunicazioni che non va oltre la metà della Campania). Abruzzo, Basilicata e Molise, sommate, non arrivano al 10% del totale.

A questo numero di domande è corrisposto un credito di imposta di poco superiore ai 2,5 miliardi di euro, che ha determinato un importo medio di circa 370 mila euro ad azienda richiedente. Quest’ultimo valore è in realtà specchio di una realtà piuttosto diversificata tra le varie regioni, in virtù delle diverse intensità di incentivo previste ma anche della diversa struttura produttiva e delle tipologie di investimenti effettuati: in Abruzzo, ad esempio, il credito medio concesso è meno della metà di quello di regioni come Sicilia, Calabria e Puglia (tra loro molto simili e in linea con il dato medio dell’intero Sud). (bam)

[Courtesy LaCNews24]

SALUTE MENTALE, IN CALABRIA OLTRE
470MILA PERSONE SOFFRONO DI DISTURBI

di CATERINA CAPPONI – Ansia, depressione, senso di solitudine e frustrazione sono diventati sentimenti diffusi. E come amministratori pubblici, abbiamo il dovere di rispondere a questa emergenza sociale, non solo con il potenziamento dei servizi sanitari, ma con una visione globale di inclusione e sostegno psicologico.

La salute mentale è un tema che, come tutti sappiamo, è ormai divenuto centrale nel dibattito pubblico e nelle priorità politiche, soprattutto in seguito alle sfide che la pandemia ha posto alle nostre comunità. È una questione che trascende il solo ambito sanitario, e le politiche sociali giocano un ruolo fondamentale nel suo trattamento e nella sua prevenzione. La salute mentale, infatti, non può essere separata dalla qualità della vita che una persona conduce, dai contesti sociali in cui cresce, vive e si relaziona.

La povertà, l’isolamento, la disoccupazione, le disuguaglianze, la difficoltà di accesso ai servizi sono solo alcune delle determinanti sociali che influenzano la salute mentale, spesso in modo profondo e devastante. Il nostro impegno come amministratori pubblici non si limita alla sola implementazione delle politiche sanitarie, ma deve abbracciare un approccio integrato, che consideri il benessere sociale ed emotivo di un individuo. Le politiche sociali devono favorire il benessere emotivo e psicologico attraverso interventi che coinvolgano scuola, famiglia, lavoro e ambiente urbano. Solo così potremo  creare una rete di supporto che aiuti a prevenire i disturbi mentali, ma anche rispondere tempestivamente a quelli che si manifestano, offrendo percorsi di recupero e reintegrazione.

Non possiamo ignorare che la pandemia ha lasciato un segno indelebile sulla salute mentale delle persone, in particolare dei bambini e dei giovani. Gli effetti collaterali del lockdown, della didattica a distanza, dell’isolamento sociale e delle incertezze legate alla situazione sanitaria globale sono stati devastanti per le nuove generazioni. I bambini, ancora in fase di sviluppo emotivo e relazionale, e i giovani, spesso privi degli strumenti necessari per gestire il trauma, hanno visto peggiorare il loro benessere psicologico. Ansia, depressione, senso di solitudine e frustrazione sono diventati sentimenti diffusi. Come amministratori pubblici, abbiamo il dovere di rispondere a questa emergenza sociale non solo con il potenziamento dei servizi sanitari, ma con una visione globale di inclusione e sostegno psicologico.

L’integrazione tra il settore sanitario e il settore sociale è la chiave per una risposta efficace. A tal fine, la Regione Calabria ha avviato una serie di iniziative per garantire un accesso più rapido e diffuso alle risorse psicologiche, con progetti che coinvolgono scuole, associazioni, e centri di aggregazione giovanile.

Vogliamo offrire ai nostri bambini e ragazzi uno spazio protetto dove possano esprimere le proprie emozioni, affrontare le difficoltà e acquisire gli strumenti per affrontare le sfide future.

Inoltre, la pandemia ci ha mostrato quanto sia importante investire nel rafforzamento della rete di supporto sociale. Non possiamo più permetterci che le persone vulnerabili siano lasciate sole a fronteggiare le proprie difficoltà.

Le politiche sociali devono puntare a garantire la protezione, il supporto e l’inclusione di tutti, a partire dai più giovani, che sono i cittadini del nostro domani. Solo costruendo una società che offra pari opportunità di crescita e sviluppo emotivo potremo sperare di ridurre il carico delle malattie mentali e favorire il benessere collettivo.

Questo convegno rappresenta un’opportunità fondamentale per discutere le soluzioni e le pratiche che possiamo mettere in atto per rispondere in modo adeguato alla sfida della salute mentale nella nostra Regione. (cc)

[Caterina Capponi è assessore regionale alle Politiche Sociali]

 

I dati della Calabria

Secondo i dati dell’ultimo rapporto sulla salute mentale pubblicato dal Ministero della Salute alla fine del 2024, le persone in carico ai Dipartimenti della Regione, nel 2023, erano 17.636, con circa 470mila soggetti (le stime parlano del 20-30% della popolazione) che convivono con situazioni di disagio psicologico e disturbi mentali sottosoglia.

Numeri che raccontano di un disagio crescente, come confermano i dati degli accessi nei Pronto Soccorso calabresi per problematiche psichiatriche che, nel 2023, sono stati 15.407, ossia più di 40 al giorno. L’analisi delle diagnosi principali che hanno portato agli accessi in pronto soccorso mostra che le sindromi nevrotiche e somatoformi costituiscano il problema più frequente, con oltre cinquemila casi segnalati. Oltre 164mila, poi, le prestazioni erogate in un anno dai servizi territoriali, di cui 8.385 a domicilio.

La rete di assistenza psichiatrica in Calabria è articolata con cinque Dipartimenti di salute mentale, 43 centri territoriali, 22 strutture residenziali e 5 strutture semiresidenziali che offrono, rispettivamente, 412 e 52 posti tra pubblico e privato. Il costo complessivo dell’assistenza psichiatrica territoriale nella regione (ma i dati, ha precisato il Ministero nel report, sono provvisori) ammonta a 88 milioni di euro, di cui quasi 48 milioni destinati all’assistenza ambulatoriale e domiciliare, 4,6 milioni per l’assistenza semiresidenziale e 31,5 milioni per l’assistenza residenziale.

Per quanto riguarda il personale, secondo i dati diffusi dal Ministero alla fine del 2024, aggiornati al 31 dicembre 2022, il personale dei dipartimenti di salute mentale della Calabria contava 423 unità, di cui 98 medici (41 dei quali psichiatri). E poi 178 unità di personale infermieristico, 9 tecnici della riabilitazione psichiatrica, 11 educatori professionali, 31 Ota/Oss, 23 assistenti sociali, 13 amministrativi e 37 figure rientranti in altre categorie. Gli psicologi dei Csm sono 31, in media uno ogni 43mila abitanti.

In Italia, il numero di persone affette da disabilità mentali è di 16 milioni, con un incremento del 6% rispetto al 2022. Il 75%, circa 12 milioni, soffre di ansia e depressione. I numeri, però, raccontano di un Paese che arranca. I dipartimenti di salute mentale (Dsm) sono crollati, passando da 183 nel 2015 a 139 nel 2023.

Un taglio che si accompagna a un esodo di professionisti, con 25.000 operatori attivi, 55 ogni 100.000 abitanti, molto al di sotto degli 83 previsti dagli standard dell’Agenas e ratificati dal Ministero della Salute. La spesa pubblica per la salute mentale, intanto, rimane anemica: appena 3,6 miliardi l’anno, facendo dell’Italia il fanalino di coda tra i Paesi europei ad alto reddito. Dietro questa cifra, però, si nasconde un vuoto doloroso: un 3,5% di italiani, oltre due milioni di persone, secondo le stime non riesce a trovare aiuto. (rrm)

CROTONE, UNA DISCARICA PERFETTA PER I
RIFIUTI DEGLI ALTRI MA NON PER SE STESSA

di EMILIO ERRIGO – Da settembre 2023, svolgo con impegno incessante il ruolo complesso di Commissario Straordinario di Governo per la bonifica e la riparazione del danno ambientale nel Sito di Interesse Nazionale (Sin) di Crotone-Cassano allo Ionio e Cerchiara di Calabria.

Ogni giorno redigo e trasmetto documenti ufficiali, coinvolgendo istituzioni di ogni livello: Ministri, Governatore, Prefetto, Autorità Giudiziaria, Capi di Gabinetto, Capi Dipartimento, Forze Armate e di Polizia, arrivando finanche alla Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su altri illeciti ambientali e agroalimentari.
Partecipo a incontri con rappresentanti istituzionali, parlamentari italiani ed europei, consiglieri, assessori, giuristi, accademici, esperti ambientali e sanitari, associazioni nazionali e locali.

Ma sopra ogni cosa, parlo con i cittadini e leggo parole cariche di disincanto dei giovani. Lavoro senza sosta per superare ostacoli burocratici e garantire che il dovere dello Stato si traduca in azioni concrete, sempre con un occhio molto attento alla spesa pubblica. A questo si aggiungono viaggi continui, ore di telefonate e un impegno costante per sensibilizzare chiunque abbia la responsabilità o l’obbligo di intervenire.

Eppure, mio malgrado, la bonifica del Sin di Crotone procede lentamente, rallentata da un intreccio normativo e amministrativo che, pur tutelando diritti legittimi, impone una riflessione sulla responsabilità di chi deve decidere. Certo, il mio lavoro è un impegno pubblico retribuito, ma esiste un valore che va oltre il mero compenso: l’impegno, la dedizione e la responsabilità morale e istituzionale.

Non svolgo semplicemente un incarico: metto in campo ogni energia e risorsa per garantire che i diritti costituzionali alla salute e alla tutela ambientale diventino realtà per i cittadini della mia amata Calabria.

Sono convinto che il diritto amministrativo sia fondamentale per garantire la legittimità delle decisioni pubbliche, ma non può diventare un alibi per rimandare interventi essenziali per la salute pubblica e la salvaguardia dell’ambiente. Grazie al lavoro di questi mesi, si sono riaccesi i riflettori della politica, delle istituzioni e della società civile su questa emergenza tutta italiana, quella per cui per diversi decenni si dice che bisogna correre ai ripari ma non si risolvere mai davvero nulla, e così il provvisorio si trascina all’infinito e l’allarme finisce per essere solo rumore di fondo, mentre montagne di rifiuti tossici giacciono ancora a pochi metri dal mare di Crotone, inquinando terra e acqua.

Quanto ancora si dovrà aspettare? Io non resto fermo né indifferente. La bonifica del Sin di Crotone non può più essere rimandata. La Calabria e la sua gente meritano risposte concrete, senza più scuse, rinvii o esitazioni.

C’è, però, una circostanza assurda e incomprensibile che merita una sottolineatura a doppio tratto di penna. C’è un’illogicità manifesta e una incoerenza che aleggia e permane sopra Crotone, una razionalità capovolta che sfida ogni logica amministrativa e ambientale.

La città ospita la migliore discarica d’Italia per i rifiuti pericolosi. Non una discarica qualunque, ma un sito all’avanguardia, progettato e autorizzato a ricevere e smaltire proprio quei rifiuti tossici che infestano il Sin di Crotone-Cassano e Cerchiara.

Eppure, la Regione Calabria – da qualunque maggioranza governata in questi lunghissimi anni di inerzia (parliamo di un sito inquinato dagli anni ‘30) – ha deciso che quei rifiuti non possono essere smaltiti lì. Provincia e Comuni si accodano…

Troppo facile. Troppo sensato.

Un provvedimento amministrativo regionale (chiamato P.A.U.R. – provvedimento amministrativo unico regionale) impone che i rifiuti dell’area Sin debbano essere portati fuori regione. Dove? Non è dato saperlo. La destinazione? È pressoché ignota. Il percorso? È oscuro. I tempi? Sconosciuti. La logistica? Neanche a parlarne.

Ma le conseguenze, quelle sì, sono certe: ricadono sui cittadini.

Ogni giorno, mezzi carichi di rifiuti pericolosi della stessa natura, provenienti dalla stessa Calabria e dalle altre regioni d’Italia, varcano tranquillamente i cancelli della discarica crotonese, vengono accolti e smaltiti senza problemi. L’irrazionalità fatta normalità. L’inspiegabile diventa regola, il paradosso si fa ordinaria amministrazione.

Da un lato si vieta al soggetto obbligato per legge (Eni Rewind Spa) di smaltire i veleni nel sito più attrezzato per farlo che è proprio lì, a Crotone. Dall’altro, si concede ad altri soggetti anche presenti nella stessa Calabria e nelle altre regioni italiane di usare la stessa discarica per liberarsi dei propri rifiuti. È come se la Calabria fosse buona solo a servire, ma mai a servirsene.

Di fatto abbiamo una discarica perfettamente funzionante a Crotone, a soli 4 km dai rifiuti che dovrebbero essere smaltiti. Eppure, gli Enti territoriali si oppongono in modo illogico e irrazionale, più preoccupati di non perdere consenso che di trovare una soluzione razionale. Il risultato? Invece di utilizzare un impianto già esistente e a portata di mano, la politica preferisce spedire i rifiuti all’estero, in Svezia per esempio, con costi enormi in termini di tempo (si parla di almeno 7 anni), impatto ambientale e sostenibilità economica. È un paradosso assurdo: per evitare una decisione impopolare, si sceglie la strada più lunga, costosa e meno efficace, lasciando il territorio in un limbo di inefficienza e degrado.

E, nel frattempo, Crotone è avvelenata tre volte: dai propri rifiuti (bloccati), dai rifiuti altrui (tanti, ogni giorno) e dalla burocrazia (inerte).

Insomma, gli Enti territoriali decidono, la politica osserva, la macchina amministrativa esegue e dilata i tempi. E chi paga? I cittadini. Pagano con la salute, pagano con il tempo, pagano con il denaro. Perché il trasporto dei rifiuti fuori regione costa. E costa caro. Ma guai a chiedere il perché. Guai a far notare l’illogicità. La risposta è sempre la stessa, quella che da anni si ripete senza spiegazioni concrete: «I rifiuti del Sin di Crotone devono andare via dalla Calabria». – «E perché?» – «Perché sì».

«E perché i rifiuti della stessa specie provenienti dalla Calabria stessa e dalle altre regioni italiane possono arrivare a Crotone ogni giorno?». Il silenzio prende il sopravvento. C’è chi glissa. C’è chi tergiversa. C’è chi fa finta di nulla.
Ma è un racconto che non convince più nessuno. Da molti decenni, il SIN di Crotone è teatro di una narrazione che promette bonifiche e rinascite. Nel frattempo, però, le montagne di rifiuti tossici restano lì, esposte alle intemperie, a pochi metri dal mare, a pochi passi dalle vite dei cittadini. Gli iter amministrativi si attorcigliano su sé stessi, mentre la politica promette, tace, rinvia.

Ma il silenzio e il tempo che scorre non cancellano la realtà. Ogni giorno, rifiuti di altre regioni entrano nella discarica crotonese per smaltire rifiuti identici a quelli che Crotone stessa non vuole trattare. È un’ingiustizia travestita da regolamento, un’ipocrisia scritta a colpi di atti, ricorsi e diffide.

Quanto ancora? Quanto ancora la Calabria dovrà subire scelte che sfidano la logica? Quanto ancora dovremo sedere a tavoli tecnici di ogni sorta e natura e ascoltare spiegazioni che non spiegano nulla?

Crotone ha una discarica d’eccellenza. Crotone ha un problema ambientale enorme. La soluzione esiste, è sotto gli occhi di tutti. Ma la (non) risposta di chicchessia resta sempre la stessa: «Anche se abbiamo una discarica modello, anche se le altre regioni ci portano tutti i giorni i loro rifiuti uguali ai nostri, anche se dalla Calabria stessa vengono conferiti a Crotone rifiuti pericoli della stessa natura, quelli del Sin devono essere smaltiti fuori dalla Calabria». – «E perché?» – «Perché si!».

Ma rimane un fatto: in tempi non sospetti, io ho giurato fedeltà alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi, e oggi sento il dovere di difendere i principi nei quali credo. Come calabrese e militare di carriera non accetterò mai l’illogicità manifesta, non mi arrenderò mai di fronte alle difficoltà.

Un servitore dello Stato, quando è chiamato dal Governo del proprio Paese ad assumersi la propria responsabilità, non si sottrae, non arretra; al momento giusto risponde sempre presente, consapevole che i poteri che la legge gli affida non sono privilegi, ma strumenti da esercitare con coraggio, disciplina e onore con l’unico orizzonte possibile: l’interesse esclusivo della Nazione e la tutela dei suoi cittadini. (ee)

[Emilio Errigo, Commissario Straordinario di Governo per la bonifica del sito d’interesse nazionale di Crotone-Cassano e Cerchiara]

LA CALABRIA E IL NODO AREE MONTANE
TRA IL DECLINO E LE RIFORME NECESSARIE

di FRANCESCO AIELLO – In un contesto politico dominato dalle crisi internazionali e dalle discussioni sul ruolo dell’UE nel nuovo ordine mondiale, in Calabria torna d’attualità un tema strutturale: il riordino degli enti locali.

L’occasione è data da una recente proposta di legge regionale presentata dal Partito Democratico finalizzata a promuovere le unioni e le fusioni tra i comuni montani calabresi. L’iniziativa punta a contrastare una delle principali debolezze dell’assetto istituzionale calabrese: la frammentazione amministrativa e le difficoltà croniche nella gestione dei servizi pubblici nei territori più marginali. Più in generale, il tema delle fusioni dei comuni riaffiora periodicamente tra gli interessi sia degli osservatori sia di autorevoli rappresentanti istituzionali.

Lo ha fatto pochi mesi fa il Presidente della Giunta Regionale Roberto Occhiuto (“In Calabria ci sono troppi Sindaci, serve una riforma sui Comuni con pochi abitanti”) e lo ha ripreso in questa settimana il prefetto di Catanzaro, Castrese De Rosa. Con i suoi 404 comuni, l’assetto istituzionale regionale risulta altamente frammentato, con una forte asimmetria tra la Regione – dotata di elevate capacità di gestione e programmazione – e un tessuto comunale caratterizzato da una prevalenza di piccoli enti con limitate capacità amministrative.

L’abolizione delle comunità montane e l’indebolimento dell’azione delle province hanno lasciato un vuoto istituzionale che rende la governance del territorio particolarmente debole e disomogenea. In questo contesto, la proposta del PD assume rilievo non solo per gli strumenti normativi che intende introdurre, ma anche per la capacità di riportare al centro del dibattito un nodo strutturale troppo a lungo trascurato.

La proposta del PD introduce strumenti normativi e incentivi per favorire l’aggregazione volontaria dei comuni montani, riconoscendo la necessità di un modello amministrativo più efficiente e sostenibile per le aree svantaggiate. La montuosità della Calabria è un fattore chiave per comprendere le sfide che attraversano la governance territoriale. Con una quota significativa di territorio classificata come area interna e una larga parte dei comuni definiti montani, la regione si confronta con criticità strutturali persistenti: bassa densità abitativa, carenza di servizi essenziali, scarsa accessibilità e fragilità finanziaria degli enti locali.

In molti di questi comuni si osservano un costante calo demografico, l’invecchiamento della popolazione e crescenti difficoltà nella gestione ordinaria. In questo contesto, la proposta di legge del PD si pone l’obiettivo di incentivare i comuni montani a superare la frammentazione attraverso forme associative più strutturate, come unioni e fusioni, per rafforzare la capacità amministrativa e migliorare la qualità dei servizi ai cittadini.

Uno degli aspetti innovativi della proposta riguarda la regolamentazione del quorum nei referendum per la fusione dei comuni montani, un nodo da tempo discusso nel dibattito sulle aggregazioni amministrative. Il testo del PD stabilisce che una fusione possa considerarsi approvata solo nel caso in cui il voto favorevole prevalga in ciascuno dei comuni coinvolti, superando così il rischio che una maggioranza complessiva sul totale dei votanti imponga la fusione a singole comunità non favorevoli (art. 12).

Nelle intenzioni dei promotori, questa impostazione mira a garantire che ciascuna realtà locale sia pienamente convinta dell’opportunità di unirsi ad altri comuni, rendendo il processo di aggregazione il risultato di una scelta condivisa, non imposta dall’alto. Tuttavia, questo criterio di unanimità potrebbe rendere più difficile il raggiungimento del consenso, poiché anche un solo comune contrario sarebbe sufficiente a bloccare, o rallentare, il processo.

Il modello proposto dal PD si distingue anche per la previsione di incentivi economici specifici a favore dei comuni montani che scelgono di collaborare nell’offerta di servizi o di aggregarsi. La proposta prevede l’accesso a contributi straordinari regionali per dieci anni (art. 14), oltre ad agevolazioni nei bandi regionali per i comuni che gestiscono funzioni in forma associata (art. 6). Sono previsti anche comitati tecnici per lo studio di fattibilità (art. 11) e attività di accompagnamento e supporto da parte della Regione (art. 9).

A queste misure si affianca la Conferenza delle Unioni montane (art. 8), con compiti di monitoraggio e impulso. In un’ottica di rafforzamento della proposta, sarebbe auspicabile l’istituzione di un Osservatorio permanente sulle fusioni e unioni dei comuni, dotato di funzioni tecniche e valutative, così come l’adozione di un Piano Strategico decennale per il riordino istituzionale, utile a individuare in modo sistematico le aree dove avviare processi di aggregazione sostenibile.

In estrema sintesi, dall’esame del testo emerge chiaramente che il principio ispiratore della proposta è quello di concepire i processi di unione e fusione non come una perdita di autonomia da parte dei singoli comuni, ma come strategie condivise e partecipate per garantire continuità amministrativa e rafforzamento della capacità di intervento locale. In questa prospettiva, l’iniziativa del PD rappresenta un contributo rilevante al dibattito sulla riorganizzazione istituzionale della Calabria, affrontando un nodo cruciale per la modernizzazione della governance regionale e la resilienza dei territori più fragili.

Concentrandosi sulle aree montane, il testo si inserisce in una più ampia visione politica del PD calabrese, che da tempo pone al centro dell’agenda regionale e nazionale i temi della marginalità e del riequilibrio tra aree del territorio. Tuttavia, è lecito chiedersi se esistano valide ragioni per ampliare la riflessione sulle fusioni oltre la dicotomia montagna-pianura. In questa direzione, un contributo arriva da un recente studio di alcuni ricercatori italiani (Cerqua et al, 2025) che per il periodo 2001-22 hanno costruito un indice della qualità amministrativa nei comuni italiani (1) Facendo riferimento al 2022, emerge che l’andamento di questo indice dipende, sia in Italia sia in Calabria, molto più dalla dimensione demografica che dalla collocazione altimetrica

. I punteggi medi mostrano, infatti, che i comuni di montagna non presentano livelli significativamente inferiori di qualità amministrativa rispetto a quelli di pianura o collina: in Calabria la differenza di punteggio medio è solo di 0.66 a sfavore dei comuni di montagna. Al contrario, le differenze più marcate emergono tra comuni piccoli e grandi (+5.7), con i primi che manifestano maggiori difficoltà in termini di efficienza burocratica, qualità della classe politica e performance economico-finanziaria.

In questa prospettiva, l’approccio della proposta di legge – focalizzato esclusivamente sui comuni montani – rischia di trascurare un elemento centrale del problema: non è la geografia a determinare le fragilità istituzionali, bensì la scala amministrativa. Una riforma coerente e strutturale dovrebbe, quindi, prendere in considerazione tutti i piccoli comuni, indipendentemente dalla loro altitudine, per garantire un reale rafforzamento della governance locale.

A fronte di queste evidenze, resta da comprendere quale sarà la risposta del Consiglio Regionale e se vi sarà la volontà politica di estendere la riflessione a una riforma più ampia e strutturale, che non si limiti alle sole aree montane, ma coinvolga tutti i piccoli comuni calabresi. La Calabria è davanti a un bivio: restare immobile, lasciando i piccoli comuni al declino, oppure avviare un vero processo riformatore per garantire servizi, rappresentanza e futuro alle comunità locali.

(1) Il Municipal Administration Quality Index (MAQI) è un indice sintetico che misura la qualità delle amministrazioni comunali italiane lungo tre dimensioni fondamentali: la capacità della burocrazia, la qualità della classe politica locale e le performance economico-finanziarie dell’ente. Il primo pilastro considera elementi come il livello medio di istruzione dei dipendenti comunali, il numero di funzionari per abitante, l’assenteismo e il turnover.

Il secondo pilastro si concentra sul profilo degli amministratori locali, valutando il grado di istruzione, l’equilibrio di genere e la composizione socio-professionale. Infine, il terzo pilastro riguarda la gestione del bilancio comunale, attraverso indicatori come la rigidità e la capacità di spesa, l’efficienza nella riscossione delle entrate e la quota di investimenti sul totale del bilancio. Insieme, questi tre pilastri restituiscono una fotografia articolata della qualità istituzionale dei comuni italiani, utile per confronti territoriali e analisi nel tempo. (fa)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud]