LE “IGNAVIE” POLITICHE CHE CONDANNANO
L’ARCO JONICO ALL’OBLIO: SERVE SINERGIA

di DOMENICO MAZZA – Da qualche anno, con non poche difficoltà, si è fatta forte la volontà di immaginare un contesto allargato che partendo dall’attuale Provincia di Crotone spaziasse lungo l’area della Sibaritide fino a lambire la Lucania.

Un nuovo perimetro d’area vasta, ma a saldo zero per lo Stato, per accomunare i territori omogenei del Crotoniate e della Sibaritide sotto un unico contenitore amministrativo coordinato da due Capoluoghi di riferimento: Crotone a sud, Corigliano-Rossano a nord.

Una biogeocenosi territoriale che dalle comuni radici storiche basasse la propria azione amministrativa sui diversi punti di contatto tra gli ambiti componenti la vasta area, per creare la sintesi perfetta in un distretto policentrico e plurale. Un processo geo-politico, quindi, al fine di riequilibrare su principi di pari dignità, territoriale e demografica, gli ambiti dei Capoluoghi storici calabresi con la nascente geolocalizzazione dell’Arco Jonico sibarita e crotoniate.

 

Sibaritide-Pollino: idea ammuffita dalla storia e rispolverata da una Classe Politica che arranca a stare al passo con i tempi

Tuttavia, un tessuto sociale e un ambiente istituzionale poco predisposti al cambiamento, tendono a sfavorire processi di amalgama territoriale. Si prediligono, invero, visioni decadenti o menefreghismi politici verso progettualità di ampio respiro. A tal riguardo, negli ultimi mesi, lungo la Sibaritide, è tornato in auge il sentimento autonomista che circa 30 anni fa aveva visto uno sterile dibattito politico, poi finito nel nulla, di istituire la sesta Provincia calabrese (Sibaritide-Pollino).

Senza considerazione alcuna della ormai risicata demografia regionale, illuminati da salotto, nell’area che un tempo appartenne alla nobile Sybaris, rimuginano sulla creazione di ulteriori ambienti amministrativi. Di contro, nel Crotonese, con apatia e inerzia, si preferisce soprassedere rispetto a quelle tematiche che potrebbero rappresentare innovativi processi di emancipazione territoriale e di crescita sociale e sostenibile. Si predilige, piuttosto, delegare le forme di protesta a sterili dibattiti social, invece di incalzare le Classi Dirigenti, trincerate nei palazzi e allineate ai diktat del potere centralista consolidato.

Una spocchiosa retorica da bassifondi che divide i territori invece di unirli 

Contrariamente a ogni logica, nella Sibaritide si avverte da tempo un atteggiamento di superiorità nei confronti delle popolazioni del Crotonese. Una spocchia che si manifesta nel sottintendere differenze tra le due realtà, senza però mai esplicitarle chiaramente. Si cercano di narrare fantasiose ricostruzioni che dovrebbero palesare diversità tra i due contesti. Tuttavia, quando si chiedono chiarimenti a riguardo, si piomba in imbarazzanti silenzi.

Verrebbe da pensare, ma non è vero, che storia ed economia potrebbero essere rivendicazioni alla base di presunte superiorità di un ambito sull’altro. Tuttavia, entrando nel merito, si scorgono argomenti che, più che convincere, generano sogghigni: alta densità criminale e ritardo culturale che vedrebbero il Crotonese soccombente rispetto la Sibaritide.

Tali astruse teorie, tuttavia, vorrebbero narrare una concezione che nella realtà dei fatti, però, è diametralmente diversa. Come se i contesti di quella che un tempo fu la ex Calabria Citra fossero illibati o esenti dalle medesime dinamiche che affliggono il Crotonese. O come se il nord-est calabrese fosse custode di chissà quale levatura culturale da sentirsi superiore a un ambito che racchiude quasi tre millenni di storia.

Questa retorica da ghetto ha prodotto un risultato evidente: una separazione netta tra i due ambiti e un non-dialogo che ha reso impossibile qualsiasi forma di collaborazione reale. E, ahinoi, le conseguenze dell’illustrato ghetto culturale sono sotto gli occhi di tutti. Gli assi infrastrutturali terrestri, che avrebbero dovuto unire alto e basso Jonio cosentino e crotonese, sono ancora fermi a un livello inaccettabile.

Una condizione, quella della mobilità negata, che offende la dignità dei Cittadini residenti nell’estremo lembo di levante calabrese. Ormai, diventa sempre più calzante il termine “Altra Calabria” per inquadrare geograficamente la Sibaritide e il Crotonese. Un’area, l’Arco Jonico calabrese, figliastra non solo rispetto al resto del Paese, ma relativamente la stessa Calabria.

Il mancato collante infrastrutturale alla base del ritardo storico dei due territori 

Si pensi a quale narrazione ci sarebbe stata se il Crotonese e la Sibaritide avessero avuto una connessione carrabile a quattro corsie o un asse ferroviario moderno a doppio binario. Sarebbe bastato un intervallo di tempo compreso tra i 30 e i 50 minuti per raggiungere l’aeroporto Pitagora anche dai lembi più periferici dell’estremo nord-est calabrese. Il maggior bacino d’utenza avrebbe consentito allo scalo picchi di crescita notevoli, rendendolo punto di riferimento per la mobilità dell’intera area jonica.

E invece, l’Establishment delle due aree costiere continua a guardare altrove. Si contempla, come se affetti da una degenerata Sindrome di Stoccolma, alle aree vallive dell’Istmo e della val di Crati, anziché cercare alleanze strategiche tra territori omogenei che condividono problemi e potenzialità. I contesti vasti (Area centrale e Area nord Calabria) in cui gli ambiti jonici sono incastonati restano in perenne crisi e sembrano essere ormai un vincolo più che un’opportunità. La provincia Crotonese, troppo piccola e impalpabile, mai realmente svezzata da Catanzaro, arranca a trovare una dimensione.

La Sibaritide, un grande riferimento geografico, ma dalla risicata demografia, resta inquadrata in un contesto provinciale elefantiaco e con cui non condivide alcun tipo di processo economico. Vieppiù, le dinamiche centraliste, tipiche dei Capoluoghi storici di Provincia, avvolgono i territori jonici in una stretta mortale da cui non riescono a divincolarsi. Forse sarebbe il momento di ridiscutere una nuova organizzazione territoriale che tenga conto di realtà più affini, per renderle più produttive e competitive.

Avviare iniziative congiunte tra Corigliano-Rossano e Crotone per sensibilizzare le popolazioni sui problemi comuni 

Negli ultimi tempi, strutture politiche e organizzazioni datoriali, spesso e volentieri, stanno organizzando iniziative congiunte tra Corigliano-Rossano e Castrovillari per discutere di questioni dirimenti per il territorio. Tra gli argomenti oggetto dei dibattiti figurano: alta velocità ferroviaria, difficoltà di accesso alle aree interne, trasversali stradali pensate e mai realizzate e molto altro.

Nessuno, tuttavia, ha pensato ad analoghe iniziative che coinvolgano Corigliano-Rossano e Crotone. Le due Città, non solo rappresentano i principali centri urbani dell’Arco Jonico, ma fanno da confine a una delle più grandi aree interne d’Italia e già inclusa nella Snai (Strategia Nazionale Aree Interne): il Cirotano-Sila Graeca.

Sembra non esserci alcun interesse ad affrontare il disastro infrastrutturale che nell’asse Corigliano-Rossano/Crotone trova la sua più alta espressione. L’inquinamento industriale imposto dallo Stato, tanto a Crotone quanto nella Sibaritide, diventano vessilli da utilizzare solo a ridosso di vuote campagne elettorali. Latitano, invero, pianificazioni sistemiche per tutto il comparto enoico, agroalimentare e per il settore turistico.

Tematiche, quelle citate, che dovrebbero invogliare a trovare soluzioni comuni per unire i lembi jonici, piuttosto che dividerli. Solidarietà, sussidiarietà dovrebbero essere le linee guida di un partenariato pubblico/privato in cui l’agire politico, fedele ai dettami raccomandati dall’Europa, potrebbe favorire processi di coesione sociale ed economica. Forse, più che parlare di differenze tra la Sibaritide e il Crotonese, bisognerebbe concentrarsi su affini interessi e soluzioni condivise. Tuttavia, quanto detto, richiederebbe coraggio, visione e prospettiva; parametri su cui, al momento, le Classi Dirigenti dei due contesti sembrano arrancare.

Fin quando non ci sarà la consapevolezza che la vertenza jonica potrà essere risolta se inizierà un lavoro di sinergie politiche tra Crotone e Corigliano-Rossano, probabilmente la narrazione del territorio continuerà a essere quella di landa desolata e depressa descritta negli ultimi decenni. Contrariamente, l’avvio di azioni cooperative, in virtù della rappresentanza demografica inverata dal territorio unitario di riferimento, potrebbe essere la chiave di svolta per uscire dal ricatto centralista e avviarsi al riscatto sociale.

La sintesi dell’area omogenea composta dalla Sibaritide e dal Crotoniate andrebbe a rompere cristallizzate geometrie che vogliono i due ambiti proni ai desiderata dei rispettivi centralismi storici.

Per Corigliano-Rossano e Crotone dovrebbe essere imperativo pianificare insieme il futuro. Non già e non solo per i rispettivi ambiti urbani, ma per tutto il vasto perimetro che dal Lacinio, passando per la Sila, lambisce la Lucania e che alle due Città joniche guarda come naturali riferimenti. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

LA MANCATA CRESCITA DEL SUD EQUIVALE
A DUE PUNTI IN MENO DI PIL DELL’ITALIA

di DOMENICO MAZZA – La programmazione dei fondi Pnrr ha disposto l’utilizzo di risorse imponenti e strategiche per il Paese. Seppur con meno spettanze, rispetto a quante originariamente riservate, anche il Sud sta vedendo una mole non indifferente di fondi finalizzati a colmare il divario tra il nominato contesto e il resto della Nazione.

Le recenti ricerche avviate da autorevoli Istituti in materia economica, d’altronde, ci rimandano un quadro chiaro e inequivocabile: «Se il Sud avesse avuto negli ultimi 20 anni un tasso di crescita medio annuo di almeno 2 punti superiore, il Pil italiano sarebbe stato allineato a quello degli altri Paesi europei, invece che sistematicamente sotto».

Quanto detto a conferma che una ripresa strutturale dell’economia italiana può avvenire solo se il Sud cresce di più e in maniera sostenibile. Per centrare l’obiettivo, però, occorre una comprensione articolata e flessibile dei contesti geo-politici. Perché se l’Italia è un insieme di territori, simili ma non uguali, aggregati dalla forza unificante della lingua, il Sud è un mosaico composito e prezioso, unico e raro, di territori, di tradizioni e di storie in cui però poco si è fatto nella direzione di amalgamare gli ambiti per omogeneità territoriali e affinità economiche tra aree a interesse comune.

Sarebbe opportuno, quindi, porsi il problema di cosa necessiterebbe per un rilancio sistemico dei processi produttivi nell’estremità della Penisola. Chiaramente, un ragionamento del genere non può prescindere da un’analisi degli ambiti concorrenti a formare il Sud nel suo insieme. Se ci concentrassimo sull’area del Golfo di Taranto, non certo per partigianerie, ma per rispetto delle ottimali condizioni geografiche in riferimento al più ampio contesto euro-mediterraneo, apparirebbe lampante quanto tale ambito geo-politico sia ideale per essere candidabile a ospitare simultaneamente filiere logistiche, turistiche e agroalimentari. Al punto da risultare quello più predisposto e geograficamente più favorevole, per accogliere un vero e proprio ecosistema delle richiamate filiere.

Turismi e distretti agroalimentari di qualità: necessaria una narrazione diversa e lungimirante 

Lungo i 400km della baia jonica esistono già tre Distretti agroalimentari di qualità: Sibaritide, Metapontino e Salento jonico. Trovando le opportune sinergie fra i tre si potrebbero creare plusvalenze, riscrivendo una narrativa diversa e lungimirante per l’area in questione. Esistono già, e negli ultimi anni si sono sviluppati in maniera esponenziale, il Distretto turistico di Taranto e della valle d’Itria nonché quello del Salento. Non sarebbe affatto peregrino lavorare alacremente alla costituzione di un Distretto turistico dell’Arco Jonico calabrese.

Un nuovo sistema di attività e servizi integrato che amalgami le aree omogenee rivierasche e pedemontane afferenti ai contesti della Sibaritide e del Crotonese. Una struttura che, rafforzando i percorsi magnograeci, bizantini, e normanno-aragonesi caratterizzanti i due ambiti, costituisca una destinazione straordinaria caratterizzata dal marchio inconfondibilmente unico e caro al Prof. Filareto: la Mediterraneità jonico-silana.

Una nuova valorizzazione delle filiere, ordunque, per promuovere la riscoperta e, non per ultimo, un restyling delle funzioni economiche caratterizzanti l’Arco Jonico.

Una nuova concezione della mobilità partendo dall’efficientamento e collettamento degli Asset esistenti 

Naturalmente, per poter elevare l’appeal dell’offerta turistica collegata ai distretti agroalimentari di qualità, andranno messi a sistema gli Asset infrastrutturali esistenti e posizionati nel contesto della baia jonica (porti e aeroporti di Corigliano-Rossano, Taranto e Crotone). Andranno rammagliate le richiamate infrastrutture con un sistema ferro-stradale europeo e all’avanguardia. L’efficientamento del tronco ferroviario e un nuovo tracciato per la statale, che non potrà essere la semplicistica manciata di km tra Sibari e Corigliano-Rossano e tra Crotone e Catanzaro, sarebbe il minimo sindacale da cui partire. Bisognerà, invero, ricostruire la spina dorsale del sistema Sibari-Crotone: vero anello debole della mobilità nell’area. In questo processo di ricucitura, chiaramente, dovranno entrare di diritto le questioni legate ai porti, ai retroporti, alle aree industriali dismesse e alla Zes.

La descritta operazione, anche, al fine di declinare una nuova visione della logistica integrata che da Crotone al Metapontino ha nel cuore della Sibaritide la naturale area cerniera. Pensare, pertanto, alla creazione di un interporto nel baricentro sibarita significherebbe riscrivere una storia diversa anche per quei contesti industriali dismessi e per le portualità presenti nel bacino del golfo.

Avviare percorsi di crescita economica simultanea e integrata

Cogliendo, quindi, più opportunità economiche e accelerando i tempi di ottimizzazione delle priorità tra contesti ad affini interessi si favorirebbe la creazione di nuovi posti di lavoro. La rinnovata percezione del territorio, pertanto, che deriverebbe da mirati investimenti, trasformerebbe settori e filiere largamente sottoutilizzate in vero e proprio valore aggiunto. In ossequio a quanto raccomandato dai principi macroeconomici, infatti, le capitalizzazioni effettuate nelle aree arretrate restano suscettibili di promuovere una crescita più elevata rispetto a quelle messe in pratica in ambiti più evoluti.

Sotto quest’aspetto, quindi, è conveniente che un’area come il golfo di Taranto decolli; a regime, infatti, disporrebbe di qualità tali da trainare il resto del sistema calabro-appulo-lucano ed in generale il Mezzogiorno. Così facendo, si individuerebbero i settori da cui partire per immaginare processi di economie circolari finalizzati a permettere, anche al territorio più isolato e marginale dell’intero Mezzogiorno (l’Arco Jonico sibarita e crotoniate), la possibilità di declinare nuove prospettive di sviluppo.

Sostenibilità, razionalizzazione, innovazione, management evolutivo devono essere i capisaldi a cui guardare con fiducia ed ottimismo, affinché si alzi forte il vento e la voce di un altro Sud. Ma, soprattutto, di un altro ambito jonico: quello che non subisce le scelte imposte dai centralismi e che, al contrario, indirizza, con intelligenza e cognizione di causa, un nuovo paradigma economico condiviso con le popolazioni locali. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

LA SESTA PROVINCIA OPPURE AREA VASTA?
PER L’ARCO JONICO L’IDEA MAGNA GRAECIA

di DOMENICO MAZZA Il dibattito sulla istituzione della sesta Provincia calabrese, in un ambiente regionale già dilaniato da un’emorragia demografica inarrestabile, la dice lunga sulla qualità delle idee messe in campo dalle locali Classi Dirigenti. Una Regione, la Calabria, in cui l’attuale numero degli Enti di secondo livello appare quasi al limite del grottesco. Con una popolazione complessiva pari a meno della metà rispetto la sola Area Metropolitana partenopea, il numero di 5 Province risulta fuori luogo e totalmente inappropriato considerata l’esigua composizione demografica del tessuto regionale. Si preferisce, quindi, sponsorizzare ulteriori inutili parcellizzazioni territoriali, piuttosto che pensare a soluzioni efficaci e volte alla creazione di ambiti ottimali. 

Amministratori e notabili, appaiono chiusi su posizioni antistoriche e irrispettose dei principi geografici della omogeneità territoriale nella creazione degli ambiti vasti. Si circoscrive un pensiero di decentramento amministrativo a un’area piccola e scarsamente rappresentativa dal punto di vista demografico, dimenticando che ogni eventuale azione di autonomia istituzionale andrebbe inquadrata nel contesto della Regione tutta, ancor prima che della Provincia di Cosenza.

Ed è così che, disconoscendo probabilmente il passare del tempo, le Classi Dirigenti dello Jonio si abbarbicano su idee tramontate da un quarto di secolo ed eclissate dalla storia. Proposte, oltretutto, talmente impalpabili al punto che gli stessi ideatori annaspano nella identificazione di quale realtà urbana debba essere il Capoluogo della eventuale Provincia della Sibaritide o della Sibaritide-Pollino. 

Sibaritide e Sibaritide-Pollino: circoscritte proposte di una Classe politica spenta e povera di idee

Una cosa è certa: la dilagante miopia politica riesce a indicare, a distanza di oltre due decenni, quanto già ampiamente cassato dagli eventi.

Da un lato si guarda l’attuale foro di Castrovillari (Sibaritide-Pollino) quale alveo naturale per costituire una nuova Provincia. Lo stesso contesto territoriale, frutto di mistificazioni e magheggi, artatamente imbastito con la complicità di alti Funzionari di Stato. Vieppiù, già ampiamente bocciato dai fatti e che ha generato una serie di disservizi alle Popolazioni della bassa Sibaritide e della Sila Graeca come a buona parte dell’Avvocatura dell’ex foro di Rossano. Non è un mistero, infatti, che molti Giuristi abbiano appeso la toga al chiodo, optando di seguire percorsi diversi da quello forense.

D’altro canto, si propaganda una proposta ibernata più di 20 anni fa (Sibaritide) e dalla quale ci si guarda bene dal definire quale Città dovrebbe assurgere allo status di Capoluogo. D’altronde, talmente precaria e priva di un equilibrio concettuale, ancor prima che normativo, è la rabberciata proposta che promuovere una Città piuttosto che un’altra potrebbe significare far crollare come le tessere di un domino un’idea dai piedi d’argilla.

Omogeneità territoriale: il faro prospettico per una narrazione inclusiva e ottimale degli Enti intermedi

Rivoluzionario, al contrario, il concetto di partire da un’analisi complessiva del territorio calabrese, per delineare coerentemente il perimetro ottimale in cui inquadrare gli ambiti vasti e dalle omogenee peculiarità. In questo contesto nasce e si consolida l’idea Magna Graecia, non già nel semplicistico tentativo di creare ulteriori piccoli Enti inutili. Organismi decentrati, i richiamati, che, quand’anche venissero concessi, favorirebbero la parcellizzazione territoriale fine a sé stessa, ma senza quella autonomia politica necessaria a consentire lo slancio evolutivo per quei contesti geografici marginalizzati da deviate politiche centraliste. Ciò a cui l’Arco Jonico sibarita e crotoniate dovrebbe aspirare, invero, è la creazione di un ambiente geo-politico autonomo e indipendente nelle scelte. Inutile, se non dannoso, un rabberciato decentramento amministrativo circoscritto alla sola piccola Sibaritide che non determinerebbe alcun cambiamento nelle attuali linee guida della politica calabrese. Le stesse geometrie, cristallizzate sulla storica spartizione del potere politico regionale suddiviso a tre teste: quelle dei Capoluoghi storici. 

Parlare di omogeneità tra ambiti come la Sibaritide e il Crotonese è la cosa più naturale che ci sia. Agricoltura, marinerie, rigenerazione dei siti industriali, comune politica infrastrutturale, policentrismo amministrativo sono solo alcuni degli argomenti che già ampiamente giustificherebbero una visione politica comune. Al contrario, parlare di affinità tra contesti vallivi e aree di costa sarebbe come pensare di mettere insieme acqua e olio sperando in una loro miscelazione. Le economie che caratterizzano i contesti della val di Crati sono diverse se non opposte a quelle peculiarità tipiche dello Jonio. 

Qualcuno ricorda che la problematica relativa alla velocizzazione del binario jonico insieme all’ammodernamento della statale 106 sia stata una delle priorità del contesto vallivo della Calabria? Qualche luminare della politica ha memoria riguardo l’interesse delle Popolazioni dell’Esaro, del Pollino, della valle del Crati a opporsi alla realizzazione di abominevoli e violenti parchi eolici al largo delle coste joniche? 

Ecco, taluni archetipi per i quali bisognerebbe favorire la nascita di ambienti politici congeneri tra aree come quelle rivierasche e pedemontane afferenti all’alto e medio Jonio calabrese. Semplicemente, perché affrontare le affini problematiche con la forza dei numeri, potrebbe favorire azioni volte a sviluppare politiche risolutive ed efficaci. 

Abrogare atteggiamenti di chiusura mentale per aprirsi alla coesione territoriale tra aree a interesse comune 

In tutta l’area della Sibaritide è oltremodo sterile e pregiudizievole erigere barriere contro quei territori con i quali si condividono le medesime problematiche e le inespresse potenzialità. Atteggiamenti di chiusura mentale verso il contesto Crotonese non dimostrano lungimiranza politica. Semmai amplificano lo scollamento dalla realtà che buona parte  delle Classi Dirigenti della Sibaritide, a oggi, hanno ampiamente mostrato di detenere. Non si spiega altrimenti l’approccio microcefalico rivelato dall’Establishment sibarita verso i contesti posti oltre Cariati. Probabilmente, comportamenti storici di prona riverenza politica a Cosenza e dintorni hanno offuscano il pensiero, impedendone la lucidità. 

Quando l’embrionale idea di decentramento territoriale non si traduce in un processo di autonomia politica ancor prima che amministrativa, l’eventuale operazione si riduce alla creazione dell’ennesimo carrozzone politico. Utile, forse, a un’improvvisata Élite politica per raccogliere effimeri consensi elettorali, ma con la consapevolezza di non modificare in alcun modo i deviati equilibri che vogliono l’Arco Jonico essere l’ultimo territorio di una Regione già ultima in Italia. λ

(Comitato Magna Graecia)

ARCO JONICO, UN TERRITORIO IN CUI LE
PRIORITÀ SI AFFRONTANO AL CONTRARIO

di DOMENICO MAZZA – Oggi si parla tanto di AV, di nuove connessioni alle reti Ten-t Core, di intermodalità delle basi logistiche sullo scacchiere europeo e mediterraneo, di imprimere una forte velocizzazione al collegamento tra la Calabria (o almeno alcune parti di essa) e le principali aree di mobilità del Paese. Poco, se non per nulla, di contro, si discute della necessità di armonizzare le correlazioni fra le aree insite al contesto regionale.

Una visione più coerente delle dinamiche socio-economiche che potrebbero crearsi dalla interdipendenza strutturale tra ambiti affini e omogenei, andrebbe fatta. Almeno per rompere steccati ideologici, superati dalla storia e dai fatti, che vogliono gli abitanti di un determinato territorio conoscere a stento le contingenti problematiche dell’area in cui vivono.

Lungo l’Arco Jonico, poi, i richiamati steccati acquisiscono una valenza ancor più marcata. Non sarebbe azzardato, infatti, sostenere che, quasi a cadenza giornaliera, il brogliaccio delle inutilità acquisisce ulteriori capitoli che concorrono efficacemente alla stesura del libro dell’assurdo. Da un lato si trova il tempo per discutere di un quarto aeroporto, a fronte di una demografia regionale che non giustificherebbe neppure i tre attualmente presenti.

Dall’altro si tace riguardo al terzo restyling sulla tratta A2 Cosenza-Altilia o del raddoppio della Santomarco che porterà i tempi di percorrenza dal centro di Cosenza a Paola a circa 7 minuti, mentre nulla si dice del definanziamento delle opere complementari (sottopassi e cavalcavia) alla velocizzazione del binario jonico o dei paventati progetti di ammodernamento della Statale 106 finiti nel limbo del dimenticatoio.

Tanto nella Sibaritide quanto nel Crotonese, ormai, trionfano atteggiamenti compassati e remissivi. Gli unici momenti di passione politica, invero, si riducono a effimere attestazioni di fedeltà alle relative scuderie di appartenenza. Poco importa, poi, se quelle scuderie vengono cambiate e ricambiate alla velocità della luce. Del resto, ormai, i partiti si stanno trasformando sempre più in comitati elettorali che guardano con attenzione solo alle prossime campagne elettorali e poco si interessano della pianificazione politica o di fornire prospettive di crescita nelle aree in cui operano, ma tant’è.

Calabria: un sistema di collegamento tra aree inefficiente e inefficace

L’unica logica finora utilizzata nei processi di mobilità che hanno caratterizzato la Calabria ha risposto soltanto a deviate visioni centraliste che hanno favorito le comunicazioni tra determinati ambiti, condannandone all’isolamento altri. Tale dato, se raffrontato a quello di altre Regioni meridionali, dimostra una discrasia tra la punta dello stivale e altri Enti amministrativi. Nei casi campani e pugliesi, pur essendo maggiore (rispetto la Calabria) il distacco tra le aree componenti i relativi mosaici sistemici regionali, si riducono i tempi di tragitto tra un ambito e l’altro. In Calabria, invece, seppur in presenza di minori distanze tra contesti, si dilatano gli intervalli di percorrenza. Quanto esposto rende la nostra Regione un ecosistema di cloni ed accozzaglie in cui ogni territorio, talvolta senza neppure i minimi requisiti demografici per definirsi tale, vorrebbe ogni servizio sotto casa.

Ciò detto, a giustifica della difficoltà a spostarsi da un ambito all’altro e, soprattutto, considerata la mancata conoscenza capillare del territorio regionale nel suo insieme. Giocoforza, la sfida di propagare i rapporti di funzione geografica delle aree omogenee rivestirebbe un ruolo fondamentale per portare questa Regione ad essere competitiva sullo scacchiere nazionale, internazionale e, soprattutto, nei nuovi equilibri geo-politici mediterranei.

L’organizzazione dei servizi di mobilità per ambiti ottimali, omogenei e demograficamente rappresentativi

La concentrazione dei servizi e dei sistemi di mobilità sostenibile, quindi, andrebbe armonizzata in maniera tale che gli agglomerati demografici compresi tra i 350 ed i 450mila abitanti rappresentino i distretti di riferimento per il cittadino. Sanità, giustizia, mobilità, logistica, non possono continuare ad essere disposti in maniera spesso ripetitiva e duplicata in alcune aree e rappresentare invece chimere per altre. Tutto ciò, fra le tante, contribuisce anche a congestionare e ingessare detti servizi nelle capitali storiche del centralismo, non fornendo, neppure dove presenti, un sistema organizzato e rispondente alle esigenze della popolazione. Motivo per cui, tale impianto, risulta percepito come inefficiente, improduttivo, inutile e funzionale solo all’ingrassamento delle burocrazie malate e deviate che gozzovigliano come avvoltoi sulle spalle del Sistema Paese.

Va tenuta in debita considerazione, altresì, che la popolazione della Regione si attesta intorno a 1,8mln d’abitanti: una cifra ridicola se parametrata a quella di altre realtà, anche, contermini alla nostra. Quanto esposto non invoglia e non invoglierà mai i mercati a considerare la nostra terra come un buon investimento. Sommando, anche, la mancanza di una pianificazione industriale-aziendale e la costante emorragia demografica, la Regione appare sulla via della deriva.

La Calabria e i contesti regionali del Nord: l’inefficienza contro l’organizzazione

Le Regioni del Nord, negli anni, hanno costruito reti di interdipendenza tra le aree che le compongono. Nel caso del Veneto, l’Ente, ancor prima di porsi il problema della globalizzazione interregionale, si è mobilitato riguardo la necessità di armonizzare, senza duplicare, i servizi e le peculiarità in ambito regionale. L’area lagunare si è specializzata nei servizi turistici, mentre nel Trevigiano è stata favorita la piccola media impresa nel settore vitivinicolo.

A Padova, invece, si è sviluppato un distretto sanitario di qualità e l’ambito bellunese ha risposto con la creazione di un’offerta peculiare degli sport invernali. Ecco, quindi, una biogeocenosi che è riuscita a mettere in connessione tutte le aree regionali, in sussidiaria interdipendenza, attirando flussi anche da aree extraregionali e costruendo con le Regioni contermini politiche di sviluppo comuni.

In Calabria, invece, vige ancora un sistema semifeudale, demograficamente ridicolo, qualitativamente incomparabile ad altre Regioni e intriso di atteggiamenti anacronistici e di facciata. In questo sconquassato ambiente geo-politico, i termini utilizzati nella nomenclatura delle Aree appaiono totalmente inappropriati e ridicolmente ingigantiti. Utili, forse, a giustificare un’ostentata superiorità insita solo nelle piccole menti di chi la pensa.

È la correlazione e il bilanciamento tra aree a interesse comune che restituisce grandezza ad un sistema regionale, non il contrario.

Il ruolo della Politica e la necessità di svecchiare un sistema amministrativamente improduttivo

Il Governo dell’Ente calabrese dovrebbe interrogarsi su quali vantaggi abbia portato un apparato amministrativo interno caratterizzato da diffusi fenomeni centralisti e spicciati processi diseconomici tra aree della stessa Regione. Andrebbe posto rimedio a una condizione scriteriata che ha generato povertà nelle aree joniche, potenzialmente fra le più produttive dell’intero Mezzogiorno. Superare l’attuale paradigma degli Enti intermedi, impostato su visioni antiquate e inefficienti, riallacciando i rapporti economici con aree affini e contermini anche di altre Regioni, sarebbe il minimo sindacale da cui partire. Operazioni d’apertura e rottura degli steccati, artatamente costruiti dai dettami centralisti, aiuterebbe notevolmente la Calabria ad uscire dalla condizione di cenerentola che si è costruita negli anni.

Se si vorrà tamponare la dilagante forza centrifuga in atto dalla Regione e spiccatamente dai contesti jonici, sarà necessaria una forte presa di posizione e il coraggio di riformare un sistema inadeguato, malato, deviato e attento solo alla forma, pur nella consapevolezza di essere totalmente deficitario nella sostanza. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

L’IDEA DELLA PROVINCIA “MAGNA GRAECIA”
SODDISFA LE ESIGENZE DELL’ARCO JONICO

di DOMENICO MAZZA – Il dibattito relativo alla istituzione di una nuova Provincia, a fianco la latitanza di prospettiva politica nel lungo periodo, sta mostrando tutte le sue fragilità. Inquieta realizzare la vaghezza del flebile processo culturale con cui la locale classe dirigente tenta di approcciarsi alla materia amministrativa. Vieppiù, duole constatare l’assenza di contenuti significativi che alimentano una preoccupante incompetenza politica connotante l’area dell’Arco Jonico.

Ormai, giornalmente, si legge di Amministratori che esprimono il loro apprezzamento ad un’idea (Sibaritide-Pollino), pur tuttavia senza entrare nel merito e, soprattutto, limitandosi ad esprimere concetti di natura elementare. Se proprio dovessimo cercare un punto di contatto nelle esternazioni dei Sindaci, al netto delle posizioni di alcuni Amministratori, dovremmo registrare il loro sistematico glissare sulla vicenda del Capoluogo. Un collage di interventi, quindi, dai quali traspaiono aspettative che dimostrano quanto le loro posizioni siano anni luce lontane dalla realtà effettuale, decretata dalle modifiche apportate al Testo Unico degli Enti Locali. Non si spiega altrimenti la moltitudine di inesattezze riportate da certa stampa, ormai sempre più sponsor di un’idea piuttosto che strumento di divulgazione dei dispacci.

Tutti contro la Delrio, ma muti sull’aziendalizzazione statale della Seconda Repubblica

Si fanno allusioni al superamento della Legge Delrio, quasi come se il problema della creazione di nuovi ambiti fosse circoscritto esclusivamente alla su richiamata norma. Nessun riferimento ai vari Governi (destra e sinistra) della Seconda Repubblica che, con la loro graduale azione d’aziendalizzazione statale, hanno vincolato gli Enti a un dissennato attaccamento ai numeri, acuendo il devastante criterio del centralismo. Piuttosto che Amministratori appassionati alle vicende delle proprie Comunità e al contesto d’ambito in cui inquadrate, sembra di assistere ad un drappello di maggiordomi, con l’ausilio di qualche direttore di sala, allineati a concetti convenzionali e mai innovativi.

Sappiamo che, nelle intenzioni governative, esiste la volontà di superare l’attuale sistema di creazione e gestione degli ambiti provinciali. Tuttavia, si disconosce — non saprei se per ignoranza o per malafede — che il Governo non ha manifestato interesse alcuno verso la costituzione di nuovi contesti provinciali. Men che meno, verso ambiti che non abbiano neppure i requisiti minimi per potere reggere ad un carico di rinnovata responsabilità amministrativa.

Si preferisce, pertanto, affiliarsi ad un’idea priva dei requisiti normativi, caricando di aspettative inesistenti la possibile elevazione a Provincia dell’area jonica, mentre si tace sull’unica proposta che, ancor prima di essere materia amministrativa, avrebbe i requisiti tutti per rappresentare una rivoluzione politica in Calabria.

Magna Graecia: unico vero concept in grado di offrire una prospettiva di crescita e sviluppo

Solo l’idea Magna Graecia sarebbe in grado di sconvolgere le cristallizzate geometrie del potere regionale. Tutti gli altri improbabili abbinamenti territoriali, inquadrati nella sola Provincia di Cosenza, risulterebbero tentativi di scorporo gestazionale il cui unico risultato sarebbe un aborto amministrativo.

Da alcuni anni, il Gruppo JoniaMagnaGraecia promuove l’idea di una Provincia dell’Arco Jonico con doppio Capoluogo (Corigliano-Rossano e Crotone) capace di rappresentare oltre 400mila abitanti, entrando con pari dignità politica nel contesto regionale. Questa proposta avrebbe il potenziale per riequilibrare le forze territoriali calabresi, ponendo un argine al dominio dei tre Capoluoghi storici (CZ, CS, RC). È dimostrato, non solo in Calabria, quanto le Province di piccole dimensioni non abbiano rappresentato alcuna miglioria per i territori rappresentati. Eppure, nonostante la forza di un concept che avrebbe un impatto significativo sulla redistribuzione delle risorse in riva allo Jonio, si spara la proposta Sibaritide-Pollino. Senza spiegare, altresì, cosa, la richiamata proposta, contenga in termini di Comuni, di dimensione demografica e, soprattutto, quale sarebbe (o sarebbero) il Capoluogo che dovrebbe gestirla. Tra l’altro, l’idea Magna Graecia non prevederebbe la creazione di Enti aggiuntivi, inciampando nei dinieghi governativi; solo la ridefinizione dei perimetri amministrativi attuali con l’obiettivo di ridisegnare ambiti ottimali e omogenei. A tal riguardo, si preferisce definire l’idea Magna Graecia, dall’alto dei suoi potenziali 400mila abitanti, ingestibile, ma si tace sul fatto che oggi lo Jonio sia inquadrato in un contesto ben più grande (Cosenza), sintesi malriuscita di ambiti mai amalgamati su affini interessi.

Questo tipo di argomentazioni mostra chiaramente quanto sia debole il livello di discussione politica.

Infine, il processo culturale che attraversa l’Arco Jonico riflette una politica incapace di evolversi, arroccata su posizioni miopi e inabile a cogliere le opportunità che potrebbero portare a un reale sviluppo del territorio. Finché non ci sarà una vera e propria volontà di affrontare le tematiche territoriali, con serietà e competenza, le proposte saranno solo parole vuote, specchi di una politica senza contenuti e senza futuro. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

PROVINCIA JONICA, IL DOPPIO CAPOLUOGO
POTREBBE CHIUDERE STORICHE VERTENZE

di DOMENICO MAZZA –  Fino a qualche decennio fa, nella creazione di nuovi ambiti provinciali generati per scissione da precostituiti Enti, si dotavano i Capoluoghi delle neonate Province di tutta una serie di servizi legati alla capillarizzazione periferica del sistema centrale dello Stato. Nel corso degli ultimi anni, a seguito dei processi di spending review e della graduale aziendalizzazione degli apparati pubblici, lo Stato ha razionalizzato i processi di spesa e di devolution. I servizi, pertanto, sono stati assegnati seguendo non già la logica degli ambiti provinciali, ma sulla base di rigorosi criteri legati all’ampiezza dei territori e alla loro demografia. Il vecchio termine di Provincia, col tempo, ha ceduto il passo al più dirompente concetto d’Area Vasta. Ad oggi, in molti credono che le Province siano state soppresse. Esiste la convinzione, infatti, che il passaggio da un sistema elettorale diretto ad uno di secondo livello abbia generato la dismissione dell’Ente. Non è così! Anzi, è vero il contrario.

Il buio in cui brancola l’Establishment jonico

Dopo anni di profondo letargo sul tema, la Politica jonica ha, nella coda d’estate, riacceso i riflettori sul tema. Tuttavia, leggendo quanto riportato nei dispacci di stampa, si scorgono grossolani errori percettivi e valutativi circa il nuovo impianto geo-politico che si vorrebbe scorporare all’attuale contesto cosentino. Tale condizione, non aiuta i neofiti della materia amministrativa a raccapezzarsi sulle aspettative che potrebbero derivare dalla costituzione di un Ente di secondo livello. Ancora oggi, a distanza di oltre 10 anni dalla legge 56/14 (Delrio), taluni, pensando forse ad un caso di sinonimia, confondono il concetto di Provincia con quello di Area Vasta. Nonostante l’ultimo termine sia entrato nel vocabolario amministrativo da circa un ventennio, si fa fatica a classificare le sottili differenze con il primo. Il più delle volte, infatti, si finisce con esprimere concetti che mal delineano le diversità di una nomenclatura per nulla scontata.

Senza la creazione di ambiti ottimali non c’è devolution da parte dello Stato

La Provincia è un Ente di secondo livello, a limitata capacità amministrativa, intermedio tra Comune e Regione. Conseguentemente la riforma Delrio, ha mantenuto deleghe specifiche in materia di viabilità ed edilizia scolastica. In alcuni casi, il perimetro di una Provincia può corrispondere a quello di un’Area Vasta. Tale condizione si verifica quando territorio e demografia dell’ambiente provinciale esprimono 2500km² e almeno 350mila ab. A seguito, poi, delle modifiche apportate nell’ultimo decennio al Tuel (Testo Unico degli Enti locali), in caso di istituzione di nuove Province, lo Stato non è tenuto a dotare di decentramento amministrativo periferico il Capoluogo del nuovo Ente.

L’Area Vasta, invece, è una classificazione geo-politica che non gode di Rappresentatività diretta. Accentra, in identificate Località d’ambito e comprensoriali, sulla base di rigorosi parametri demografici, tutte una serie di competenze dapprima assegnate ad ogni Capoluogo di Provincia. Il metro d’Area Vasta è il sistema oggi utilizzato per stabilire l’erogazione dei servizi ad un territorio o ad agglomerati territoriali contermini. Rappresenta, altresì, il metodo di capillarizzazione delle funzioni di prossimità lungo il territorio nazionale. Classifica, quindi, il sistema di decentramento effettivo dei servizi statali.

L’ambiente provinciale, dunque, corrisponde a quello di un’Area Vasta solo quando si suffragano specifici requisiti demografici e territoriali. In tutti gli altri casi, le Aree Vaste assommano più ambiti provinciali con accentramento dei servizi in sede al Capoluogo più rappresentativo degli agglomerati provinciali costituenti il perimetro vasto.

Questa breve classificazione per chiarire un assunto: il principio utilizzato nella erogazione dei servizi centrali, da oltre un decennio, non è più quello dell’ambito provinciale, bensì il dedicato range demografico d’Area Vasta.

Non esiste elevazione amministrativa quando mancano i numeri

Creare ambiti provinciali senza contestualmente inverare i parametri d’Area Vasta, significa non determinare alcuna modifica nella ramificazione periferica dei servizi statali. Vieppiù, l’operazione si dimostra inidonea a scalfire i cristallizzati equilibri politici in capo ai preesistenti contesti.

Con la riforma degli Enti intermedi, in attesa di licenza da parte del Governo, saranno reintrodotti i criteri di suffragio universale nelle elezioni provinciali. Tuttavia, il Disegno di Legge non apre alla istituzione di nuovi Enti. Quand’anche fosse possibile, è bene rimarcare che l’idea di una nuova Provincia, senza che questa abbia i requisiti per poter aspirare ad un inquadramento di tipo vasto, sarebbe assolutamente inutile ai fini di un’agognata autonomia politico-istituzionale del nuovo perimetro amministrativo.

D’altronde, pensare di ritagliare un nuovo Ente, mantenendosi nel solo alveo della Provincia di Cosenza, ci mette davanti ad una serie di problematiche. Prima fra tutte, permettere ai due ridisegnati Enti di godere della forza numerica e territoriale su richiamata. Fermo restando i circa 700mila abitanti della Provincia di Cosenza, si dovrebbero immaginare due ambiti di circa 350mila abitanti cadauno. Alla conta dei numeri, l’idea Sibaritide-Pollino, nella migliore delle ipotesi, potrebbe spingersi fino a 250mila persone. Già questo dato, oltre i limiti derivanti dalla mancata omogeneità territoriale tra un ambiente riviesco e un’area valliva, dovrebbe farci desistere dal proseguire in azioni sconsiderate. A meno che, con manie di malriposto protagonismo, non si voglia arrivare a bussare alle porte di Rende. Raggiungere la soglia dei 350mila abitanti, partendo dalla linea di costa sibarita, significherebbe spingersi fino alle sponde del Campagnano. Tuttavia, dubito che la prosopopea ammaliatrice jonica possa convincere le Amministrazioni della cinta bruzia a sentirsi parte di un contesto estraneo alle proprie peculiarità.

Contrariamente, l’idea di un nuovo perimetro provinciale che parta da un Ente già precostituito, ma infruttuoso a sé stante (Crotone), allargando la sfera di competenza a tutto il contesto dello Jonio cosentino, godrebbe dei requisiti richiesti per inverare appieno la condizione di ambito ottimale. Il doppio Capoluogo, esperimento già promosso dall’attuale Governo con la elevazione di Cesena e Carrara, consentirebbe di impostare il nuovo ambito su base policentrica. Nessun Ente aggiuntivo, quindi, ma la riorganizzazione funzionale delle definizioni perimetrali attuali. L’omogeneità territoriale presente tra la Sibaritide e il Crotonese, inoltre, consentirebbe di avviare processi di rivendicazione comuni. Si potrebbero chiudere, definitivamente, storiche vertenze aperte: dalla costituzione di un’Azienda Ospedaliera (che non è una semplice Asp), alle medesime battaglie di mobilità e trasporti, alla salvaguardia del comune patrimonio archeologico per finire alla maggior tutela dello specchio d’acqua del golfo di Taranto. Quest’ultimo, oggi più che mai, oggetto di sempre più accentuate speculazioni romane.

Significherebbe declinare, con l’autorevolezza di un reale ambito vasto e con l’ausilio dei numeri, la prospettiva dell’Arco Jonico, ristabilendo una condizione d’equilibrio geo-politico con i tre Capoluoghi storici della Regione.  (dm)

NUOVA PROVINCIA, OPPORTUNITÀ O CAOS?
SERVE UNA MAGGIORE MATURITÀ POLITICA

di MATTEO LAURIA – La questione della nuova provincia in terra jonica è emblematica del caos e dell’approssimazione che spesso dominano la scena politica e amministrativa comprensoriale. Due proposte, al momento, si contendono la scena: quella della Magna Graecia, che prevede un doppio capoluogo distribuito tra Crotone e Corigliano Rossano, basata su criteri di omogeneità territoriale e conforme alla legge Delrio (che stabilisce un minimo di 350mila abitanti per le nuove province); e quella della Sibaritide-Pollino, una proposta politica, non conforme a questa legge, che appare più come una mossa tattica in prospettiva di lotte di capoluogo.

Il punto cruciale della questione non è tanto la bontà o meno delle proposte, ma il clima di confusione e cambiamento di posizioni che sembra regnare sovrano. Ogni giorno vediamo sindaci, movimenti e rappresentanti della società civile cambiare opinione, apparentemente senza avere un’idea chiara del quadro complessivo o delle implicazioni normative delle loro scelte.

Le proposte vengono avanzate senza un confronto serio e approfondito, e spesso manca il necessario rigore per orientare le decisioni verso il miglior interesse delle comunità coinvolte. L’apparenza è che si navighi a vista, rincorrendo opportunismi locali e convenienze politiche più che una visione di lungo termine.

Preoccupante, inoltre, è la debolezza di una parte della stampa, che dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale di informazione e vigilanza, ma che invece spesso si allinea a posizioni di parte, sacrificando l’analisi critica e l’approfondimento in favore di simpatie politiche o, peggio, legami personali e familiari. Un tale comportamento, quando non si basa su una solida comprensione del quadro normativo e territoriale, tradisce la funzione stessa della stampa e contribuisce a mantenere il dibattito a livelli superficiali.

L’amministrazione comunale di Corigliano Rossano, che rivendica il capoluogo, ad esempio, ha preso una posizione chiara a favore della proposta Sibaritide-Pollino, ma altre amministrazioni, come quelle di Cassano e Castrovillari, restano in un silenzio preoccupante sulla questione della individuazione del capoluogo. Questo silenzio, anziché essere interpretato come una forma di prudenza, sembra essere più il segno di una mancanza di strategia e visione condivisa.  

La speranza è che questo clima di approssimazione lasci spazio a una stagione di maggiore maturità politica. Le decisioni sulle nuove province dovrebbero essere prese con cognizione di causa, basate su dati concreti e nel rispetto delle normative vigenti, non su tatticismi elettorali o ambizioni personali.
Oggi, però, siamo immersi in una società liquida, dove si rincorrono slogan e titoli sensazionalistici, in cui la riflessione profonda e l’informazione dettagliata sono spesso sacrificati in nome della velocità e della superficialità.

E su questa superficialità si fonda il potere di chi fa politica.
Riusciremo, un giorno, a superare questa fase? O continueremo a prendere decisioni fondamentali con la stessa leggerezza con cui si sfoglia un social network?

La risposta, purtroppo, appare ancora lontana.

Nel frattempo, si auspica che i sindaci, i movimenti e le varie componenti della società civile comprendano l’importanza di una visione responsabile, che metta al primo posto il benessere collettivo e non gli interessi di parte. Solo così si potrà davvero avviare una nuova fase di sviluppo per i territori interessati, restituendo dignità e prospettiva a una Calabria che merita molto di più di questa perenne incertezza. (ml)

[Matteo Lauria è del Comitato Magna Graecia]

L’IDEA “MAGNA GRAECIA” LA CURA PER FAR
USCIRE DALLA MARGINALITÀ L’ARCO JONICO

di DOMENICO MAZZA – È bastato un vagito dell’Amministrazione di Corigliano-Rossano perché il dibattito sull’esigenza d’autonomia territoriale in riva allo Jonio permeasse la società civile e stravolgesse il quieto letargo della politica locale sul tema. Invero, aver trattato la “questione Provincia” ben dopo il primo quinquennio dell’Amministrazione, non scagiona la classe dirigente cittadina dall’aver tralasciato fino ad oggi l’argomento.

Che il processo d’amalgama, poi, dei due estinti Comuni di Corigliano e Rossano avesse tra le sue destinazioni anche quella di elevare la nuova realtà amministrativa costituita, voglio augurarmi fosse nelle intenzioni dei proponenti l’allora progetto di fusione. Diversamente, dovrei pensare che anche gli ideatori della richiamata vicenda avessero capito ben poco del progetto che, al tempo, ebbero a proporre ai cittadini. Tuttavia, considerata la moltitudine di dichiarazioni lette sulla circostanza dell’autonomia territoriale e appurata la molteplicità di raffazzonati discorsi a riguardo, non meravigliatevi se il pensiero che un colpo di calore abbia pervaso lo spirito e il pensiero di molti fra coloro che sono intervenuti sul tema, mi abbia sfiorato. D’altronde, il maldestro tentativo di strumentalizzare finanche il processo di fusione è la cartina di tornasole di una Classe Politica che, su tematiche di natura amministrativa, annaspava e annaspa vistosamente.

Siamo al delirio totale! Si giocano partite a chi la spara più grossa.

Scorrono in rete attestazioni di Personalità che assumono atteggiamenti ibridi e camaleontici e ciò comprova quanto l’Establishment jonico si avvicini sempre più alla rappresentazione teatrale di una commedia satirica, in cui i protagonisti restano alla disperata ricerca di un autore credibile.

Parimenti, genera ilarità leggere sulla carta stampata Figure istituzionali, estranee al territorio jonico e che immagino neppure conoscano l’allocazione geografica del levante calabrese, imbastire teorie di fusioni amministrative che dovrebbero abbracciare 100km di costa. Il paradosso, poi, è che a proporre improbabili fusioni lungo la costa degli Achei sia chi, per partito preso, alza le barricate alla fusione di tre Comuni in val di Crati, ma tant’è.

Rasentano l’inverosimile, ancora, le dichiarazioni dell’on. Antoniozzi. Il Parlamentare, da un lato taglia le gambe ad un’embrionale posizione di autonomia territoriale sullo Jonio, dall’altro tesse le lodi del progetto di sintesi amministrativa della Grande Cosenza. Processo, quest’ultimo, che, personalmente, sostengo e approvo. Mal comprendo, in realtà, come un Deputato della Repubblica non si soffermi sull’insensata omissione di Montalto Uffugo dallo sfidante sviluppo d’amalgama in val di Crati. Ancora più inspiegabile, per onor del vero, appare il filo conduttore che Costui traccia tra la fusione amministrativa a Cosenza e il flebile anelito d’autonomia jonica.

Evidentemente, l’on. Antoniozzi, non vivendo la Calabria da decenni, avrà obliato che l’area cosentina e quella jonica si sviluppano su apparati territoriali distinti e distanti per usi, costumi, tradizioni ed economie e, soprattutto, non sono legate da affinità comuni. Se proprio volessimo trovare un collante tra i due territori, dovremmo guardare ai periodi delle tornate elettorali. In tali circostanze, infatti, non mancano le attenzioni che l’area bruzia riserva all’ambito jonico.  Non costituisce mistero, d’altronde, l’incetta di voti che il palcoscenico vallivo conquista sullo Jonio; quasi a palese espressione della prona riverenza del levante calabrese agli interessi del centralismo storico.

Ormai, l’Area Jonica sembra sempre più assimilabile ad un bersaglio su cui chiunque si sente in diritto di lanciare le proprie freccette. Non trovano altra spiegazione le fantasiose improvvisazioni apparse sulla stampa o nelle affannose rincorse all’ultimo commento social. Senza tralasciare le impressioni apposte, a mo’ di orpelli esagitati, a margine di note e comunicati. Viziati, quest’ultimi, da pennacchi e provincialismi e carenti di visione, prospettiva e progettualità.

La cosa più imbarazzante, però, è aver letto la riedizione di proposte, bocciate dalla storia decenni fa, riconfezionate sotto le mentite spoglie di una nuova nomenclatura, quasi come se tale tentativo bastasse a fornire rinnovata verginità ad idee stantie. E, con ogni probabilità, per propronenti e suffragatori di una non meglio identificata proposta d’elevazione di Corigliano-Rossano a Capoluogo, il tempo si è fermato sul serio. Il loro orologio, evidentemente analogico, mal si è adattato in un mondo ormai perfettamente digitale.

Appare macchiettistica, ancora, la malcelata velleità di abbinare alla richiesta di una nuova Provincia la ricaduta di un’Asp. Evidentemente, chi propone simili amenità disconosce che alle Asp (aziende sanitarie provinciali) non compete, essendo in capo alle AO (aziende ospedaliere), la medicina ospedaliera. Per aspirare alla costituzione di un’Ao — sappiano — sono necessari tetti demografici di almeno 300mila abitanti. Stessa pianificazione d’ambito vale per reparti di emodinamica e pneumologia. Non è un caso, infatti, che tanto lo Spoke di Corigliano-Rossano quanto quello di Crotone ne siano sforniti. I presidi Hub, per intenderci, sono diretta ed esclusiva espressione delle Ao, non già delle Asp.

Una compilation, in definitiva, di corbellerie inenarrabili hanno invaso pagine di giornali e siti web. Nessun intervento, però, si è non dico addentrato, ma almeno soffermato sul merito di come si intenderebbe costituire il richiamato disegno provinciale. È come se provassimo particolare godimento ad inciampare nelle stesse buche, perpetuando negli errori che già cari ci costarono in passato. Ma si sa, partorire idee poi funzionali solo agli equilibri centralisti, è il classico metodo utilizzato dalle nostre parti per fingere di fare qualcosa pur sapendo di edificare castelli di carta.

Ma andiamo per gradi…

Lo spasmodico dibattito degli ultimi giorni ci restituisce una condizione di surreale insipienza dei concetti basilari legati alle modifiche al Testo unico degli Enti locali e a tutte le variazioni normative intervenute a margine del 2006 e concretizzatesi dal 2014.

Atteso che, sin dai tempi del Governo Monti si è proceduto verso una razionalizzazione degli Enti intermedi e considerate le indisponibilità di Stato a riconoscere nuovi organismi, mal afferro come potrebbe attuarsi l’idea di una Provincia aggiuntiva sul suolo di Calabria. In un territorio, oltretutto, dalla demografia già risicata e dilaniato da una emorragia migratoria da far tremare i polsi. Vieppiù, a seguito della istituzione delle ultime tre Province in Italia (Fermo, Monza e Brianza, Barletta-Andria-Trani), sono stati inseriti nella definizione dei nuovi Enti intemendi paramenti demografici e territoriali da rispettare pedissequamente.

Numeri, i succitati, che le desuete idee Sibaritide-Pollino, Sibaritide, e tutti gli altri puzzle geografici che non dovessero riguardare l’Arco Jonico sibarita e crotoniate non hanno neppure se nella conta demografica venissero inseriti gli animali da compagnia. Senza considerare, poi, le differenze legate all’omogeneità territoriale. Non è un mistero, infatti, che le affinità economiche tra le aree vallive (Pollino) e quelle rivierasche (Jonio) esistano solo nella mente di chi propone idee deboli come quelle richiamate. Fatto salvo, forse, come leggevo in una nota diramata nelle ultime ore, le cicogne bianche che nidificano in agro di Cassano o qualche tartaruga caretta caretta che dal pianoro di Cammarata raggiunge le coste sibarite e — aggiungo — qualche pescheto che si estende lungo la SS534. Verrebbe da chiedersi, inoltre, quale sarebbe la logica di criticare, a giusta ragione, la disomogeneità di un ambito come il foro di Castrovillari, mentre il medesimo perimetro dovrebbe essere funzionale ad una nuova Provincia?

Da oltre 10 anni, ancora, la legge 56/14 (Delrio) ha trasformato le Province in Enti d’Area Vasta. Sono state ridimensionate, infatti, tutte quelle realtà non suffraganti almeno 350mila abitanti e 2500km di superficie complessiva. Tale sistema ha ricondotto l’accorpamento dei servizi delle piccole Province alle ex Province madri con la creazione delle Aree Vaste. Ai piccoli ambiti è stato lasciato semplicemente uno status, il più delle volte non inverato nei fatti. Si vedano, a riguardo, i casi di Vibo e Crotone con la costituzione dell’Area Vasta centro Calabria, ma anche quelli di Lecco e Lodi, così come Biella, solo per citarne alcuni. E, mentre altrove si studiano processi finalizzati a concretizzare una reale crescita amministrativa (prove tecniche per la realizzazione della Città Metropolitana Catanzaro-Lamezia, o i tentativi di dialogo istituzionale per la costituzione dell’area metropolitana interregionale Rc-Me) noi, da completi smemorati cronici, ci abbarbichiamo  in risicate e implausibili proposte già cassate da diversi lustri. Quasi, come sullo Jonio vivessimo in un angolo di Mondo ovattato e decontestualizzato dal sistema Paese. Non trova spiegazione, altrimenti, il tentativo di suffragare proposte che, numericamente, già dove applicate hanno dimostrato tutti i loro limiti.

L’idea Magna Graecia, al contrario, scardina un regionalismo deviato che negli ultimi 50 anni ha prodotto aree centralizzate e periferie rese lande desolate. Generare, a saldo zero per lo Stato, un rinnovato contesto provinciale di oltre 400mila abitanti, ma dimezzato territorialmente e demograficamente rispetto all’elefantiaca e disomogea Provincia di Cosenza, significherebbe aprire alla creazione di ambiti ottimali tra aree ad interesse comune. I tre contesti del centro-nord Calabria (Istmo, Arco Jonico e area vallivo-tirrenica) avrebbero, pressoché, lo stesso ambito demografico e la stessa superficie territoriale. Tale operazione, altresì, consentirebbe di pareggiare il bilancio del gettito di Stato, riequilibrando sistemi oggi scriteriati e sproporzionati. Il doppio Capoluogo innescherebbe una nuova visione policentrica, tranciando cordoni ombellicali di rabberciata funzionalità agli equilibri del centralismo storico. Si spalancherebbero le porte alla nascita di segreterie politiche forti ed indipendenti, non già legate a doppio filo ai desiderata dei Capoluoghi storici. La saldatura amministrativa dell’Arco Jonico, sibarita e crotoniate, suggellerebbe, invero, valenza politica ancor prima che amministrativa. Tale disegno, in ultima analisi, contribuirebbe in maniera sinergica all’inquadramento funzionale del golfo di Taranto quale baricentro naturale nella prossima costituzione della Macroregione mediterranea.

Dunque, smettiamola con la promozione di idee povere, prive di significato e del tutto insensate. Iniziamo a pensare in grande e a ricavarci un ruolo di prestigio, rispetto e dignità. Usciamo dal limbo della marginalità in cui le deviate politiche degli ultimi decenni, con la complicità dei satrapi locali, hanno condotto l’area dell’Arco Jonico. E, soprattutto, mettiamo da parte disegni miserabili e inconsistenti e iniziamo a partorire progetti degni di una mente  come quella dell’uomo. (dm)

COGLIERE L’OPPORTUNITÀ DI RIDISEGNARE
LA CALABRIA CHE L’ITALIA NON SI ASPETTA

di MIMMO CRITELLI – Gli ultimi avvenimenti, nazionali e regionali (Autonomia Differenziata, Bonifica Sin, etc.) che hanno riguardato il posizionamento degli schieramenti politici Calabresi (Cdx e Csx), spingono ad una riflessione di merito per coglierne i punti di forza piuttosto che quelli di debolezza.

A questo si somma anche il documento-riflessione promosso dal Comitato Magna Graecia, del quale mi pregio di far parte anche in termini di ispirazione teorica, relativamente l’immobilismo amministrativo della fascia jonica: pienamente condivisibile.

Non appaia pretenziosa la simmetria fra l’autonomia delle Regioni e la conseguente perifericità dell’Arco Jonico, dal momento che in esso si sommano tutta una serie di criticità speculari alla stessa differenza fra nord e sud del Paese.

Parafrasando Roberto Occhiuto: il Tirreno e i Capoluoghi “borbonici” (Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza) rappresentano una Ferrari, a differenza dello Jonio accostabile alla Panda tanto cara al “mio” Governatore.

Non è una semplificazione, ma semplicemente una presa d’atto. Ho apprezzato e difeso il comportamento tenuto dal “mio” Presidente in ordine alle zone d’ombra e alla frettolosità con le quali la maggioranza Parlamentare di Cdx ha approvato il disegno di legge che regola l’autonomia delle Regioni.

Una maratona notturna, come i “compari” di Pisa, alla quale si sono sottratti molti parlamentari PopolarLiberali, per come mi piace appellare quelli di Forza Italia, in special modo quelli calabresi.

Ebbene, trascorse alcune settimane da quel contraddittorio politico e istituzionale con la Lega e la costituzione di qualche “Osservatorio” sugli effetti e le implicazioni dell’applicabilità della legge, si è mancato di mettere in evidenza che, ancora una volta, il ministro Calderoli si è dimostrato un “prestigiatore” dei meccanismi parlamentari e legislativi.

Sono stati colti con le mani nella marmellata, Calderoli e Zaia, dalla loro stessa frettolosità propagandista, un pò come quegli ambulanti avventizi del mordi e fuggi.

La richiesta di autonomia del Veneto, per le molte ed importanti materie non soggette ai Lep, e senza la prescrizione di un’area perequativa che azzeri il criterio della spesa storica, ha di fatto svelato l’azione unilaterale della Lega che ha finito per spiazzare anche Fratelli d’Italia che oggi è un partito che raccoglie uniformemente il suo consenso nazionale.

La successiva iniziativa europea di collocazione della Lega nel partito dei “Patrioti” di Orban, per circoscrivere la leadership di Giorgia Meloni al campo nazionalista piuttosto che europeista, è stato l’altro tassello di una strategia lucida che prova a marginalizzare il ruolo dei Popolari-Liberali-Riformisti italiani.

Ormai non sono più da annoverare come movimenti carsici quello che sta avvenendo nel rapporto fra Lega e FdI, dalla costituzione del Governo, sbilanciato a favore della Lega rispetto a FI, passando per Autonomia, Premierato, Giustizia ed Europa.

Su questi capisaldi programmatici, FI riesce a difendere le sue radici liberali e riformiste solo grazie al Ppe. Ma ritornando alla Calabria, e alla controversa legge sull’autonomia differenziata, ho motivo di pensare che Occhiuto sia rimasto più condizionato dal suo ruolo nazionale, nel porsi sulla stessa linea degli altri Governatori del Sud, insieme a Bardi, a sostegno di un Referendum che surclasserà, in termini di firme e di esito elettorale, persino quello sul nucleare o sulla riduzione dei Parlamentari.

Questa legge farlocca, da “compari” di Pisa, può solo essere disinnescata dall’esito Referendario. In caso contrario, anche se dopo due anni per le materie LEP e da subito per tutto il resto, non c’è bisogno di aspettare il parere di illustri economisti per stabilirne gli effetti distorsivi e separatisti.

Quali speranze ha un Paese dal debito pubblico sproporzionato che, nel frattempo, ha persino accentuato il divario economico e sociale fra macro aree (anche al loro interno), di vedere crescere omogeneamente e in competetizione paritaria l’intero sistema Paese? A mio giudizio, nessuno.

E spero, ardentemente, di essere smentito anche dal più semplice studente di economia senza dover scomodare luminari. Cambiando lo scenario territoriale, la Calabria non si sottrae alle dinamiche nazionali.

Se per decenni, non qualche anno, lo sviluppo e le strategie progettuali hanno orientato risorse e infrastrutture sull’asse Tirrenico o Ten-T (trasversale europea), non è forse ciò che è avvenuto fra Nord e Sud del Paese?

Non è forse che sullo “storico” calabrese oggi sentiamo parlare più di Ponte sullo Stretto che di “Autostrada dei tre mari”? In tal caso mi lascio prendere dalla mia personale suggestione di congiunzione fra le due sponde mediane del Tirreno e dello Jonio per poi procedere verso l’Adriatico nell’ambito della Macro Regione Mediterranea. E chissà che quest’ultima non sia più di una suggestione ma, forse, la soluzione al problema dell’autonomia, dove il Sud e i suoi circa 20Ml di abitanti potrebbero rappresentare una opportunità per l’Italia e per l’Europa.

Non nascondo di aver temerariamente accostato Autonomia, Bonifica dell’area Sin e Provincia della Magna Graecia, appena ho appreso che Occhiuto ha impugnato il provvedimento del Governo, e del “suo” ministro Pichetto Fratin, di smaltire i rifiuti in discarica privata adibita a ricevere quelli speciali e altamente inquinanti che giacciono in mare, da 50 anni, e sulla “consortile” da almeno 20 anni. L’occasione di un Presidente temerario, oltretutto “mio” Presidente, mi ispira una conclusione.

Se lo Jonio sta alla Calabria, come la Calabria sta all’Italia, si colga l’opportunità di ridisegnare la nuova Calabria, un’altra Calabria che «l’Italia non si aspetta».

Non la Calabria delle 3 macro Province di emanazione Sabauda, ma l’inedita Calabria che non torna indietro, ma guarda avanti e recupera il protagonismo delle periferie, spesso per auto-afflizione ed irrilevanza.

Crotone e Corigliano-Rossano nuovo asse dello sviluppo poliedrico poggiato su Bonifica e rilancio produttivo del Sin di Crotone-Cassano-Cerchiara insieme all’ex sito Enel. La Zes unica come strumento programmatico ed economico per rilanciare la piattaforma logistica e intermodale del Mediterraneo orientale.

Senza campanilismi, ma in una visione ampia, solidale e di coesione.

Il sistema politico locale è inidoneo ad intravedere il futuro che si sta prospettando, salvo stracciarsi le vesti dopo prendendosela con gli altri e mai con il proprio pressappochismo.

Persino Cgil e Cisl si sono lasciati riaccorpare nell’area Centro, lasciando la sola Uil di Fabio Tomaino, alla quale mi sono iscritto, a resistere sull’autonomia organizzativa provinciale.

Si procede a grandi passi per un ritorno alle tre macro Province attesa l’irrilevanza delle piccole Crotone e Vibo.

Non voglio credere che il riformista Occhiuto, il liberalpopolare Occhiuto, il Presidente della scommessa di Governo nella Regione più depressa che sta affrontando con sicurezza e autorevolezza, possa assecondare un ritorno allo status quo ante 1993, senza aver tastato il polso ai cittadini, anche solo come parere consultivo come nella fusione di Cosenza Rende e Castrolibero e, mi auguro, anche di Montalto (inspiegabilmente esclusa dal virtuoso processo).

Nell’unica occasione di interlocuzione, de visu, che ebbi con Roberto Occhiuto nel luglio 2021 a Gizzeria, e della quale conservo piacevole ricordo e lo ringrazio, ne condivisi, insieme al compianto Peppino Cosentino, gli spunti e la visione progettuale.

Dal canto mio, gli espressi il convincimento che la Calabria avesse bisogno di un intervento meditato e partecipato, una conferenza interistituzionale regionale di riorganizzazione amministrativa, istituzionale e territoriale. I tempi sono maturi per lanciare anche questa sfida al sistema anchilosato dei partiti.

Il “mio” Presidente è in grado di andare oltre gli schemi, come ha dimostrato in questi tre anni di Governo, senza particolarismi ma con una visione generale e oggettiva?

La sfida del Governo si vince quando si recuperano gli ultimi e gli si offre una prospettiva migliore. Questo vale per la Calabria in Italia, come per lo Jonio in Calabria. (mc)

I POLITICI LOCALI FRENANO E MANCANO DI
VISIONE PER RILANCIARE L’ARCO JONICO

Proprio in questi giorni ricorre il quinto anniversario della nascita del Comitato Magna Graecia. Sorto, quest’ultimo, all’indomani della fusione delle estinte città di Corigliano e Rossano, per fornire una nuova prospettiva che restituisse orgoglio e dignità agli ambiti della Sibaritide e del Crotonese. Contesti, i richiamati, schiacciati dalle deviate dinamiche d’assoggettamento ai rispettivi centralismi storici.

Certamente, quelli trascorsi, sono stati anni difficili: una pandemia inaspettata, ha colpito il Mondo intero. I rapporti umani, per quasi due delle ultime cinque annualità si sono ridotti a dirette interattive, causa i continui lockdown che si sono susseguiti.

Tuttavia, occorre tirare le somme e ripercorrere quello che questi cinque anni trascorsi hanno rappresentato.

Nel bene e nel male, l’idea Magna Graecia, ha permeato diversi strati della società civile. La rettifica dei confini provinciali jonici, includendo il Crotonese e la Sibaritide in un’unica Provincia con un doppio Capoluogo (Crotone a Sud, Corigliano Rossano a Nord), per aprirsi ad un contesto d’area metropolitana interregionale calabro-appulo-lucana, ha convinto più di ogni auspicabile aspettativa.

Spiace, purtroppo, constatare quanto ancora la Politica locale sia volutamente e colpevolmente distante da un’idea straordinariamente innovativa.

Nel corso di quest’intervallo temporale, infatti, oltre ad incontri con diversi Amministratori locali, tanto nel Crotonese quanto nella Sibaritide, è stato realizzato un progetto editoriale che ha racchiuso tutti i capisaldi dell’idea. Il libro, presentato sia nelle Comunità rivierasche sia in quelle pedemontane afferenti al contesto jonico, ha ricevuto apprezzamenti e consensi da parte di tutti i Sindaci a cui l’idea è stata proposta. Taluni, tuttavia, hanno preferito mantenere una posizione più ibrida. È il caso del sindaco di Crotone che si è espresso con un “Ni”; è il caso del Sindaco di Corigliano-Rossano che, interpellato sulla questione, riferiva: «Vediamo se ci sono i presupposti per poter immaginare un percorso di natura amministrativa».

In area interna (Campana, Longobucco, Acri) i rispettivi primi cittadini si sono dichiarati aperti verso l’idea, rimarcandolo pubblicamente. Così come nei contesti terminali della identificata nuova Provincia (Cutro, Rocca Imperiale, Isola di C.R.), dove gli Amministratori hanno manifestato interesse ad intraprendere ragionamenti che abbraccino ambiti omogenei. Anche la Comunità di Cariati, per voce del Sindaco, ha rimarcato partecipazione ad un’idea che vedrebbe la Città inquadrata al centro dell’identificata nuova Provincia.

Attestati di stima e voglia di intraprendere un percorso inclusivo e di rilancio territoriale sono stati espressi dal sindaco di Rocca di Neto e già Assessore Regionale, Alfonso Dattolo. Anche gli ex primi cittadini di Terravecchia e Paludi hanno espresso pubblicamente la necessità di guardare ad un ambiente rinnovato che includa la Sibaritide ed il Crotonese.

Così come, il sindaco di Cassano-Sibari, pur vivendo il dissidio della sua Comunità contesa tra il contesto del Pollino e quello rivierasco, non ha espresso chiusure all’idea.

Senza dimenticare le manifestazioni di interesse che sono state avviate da parte di Consiglieri regionali e Parlamentari, sia nell’attuale Governo, sia nei precedenti.

A giorni, poi, il progetto sarà illustrato anche in Lucania, nella vicina Nova Siri, e verificheremo l’appeal dell’idea anche fuori dai confini regionali.

Tuttavia, resta da constatare che nessuna Amministrazione, ad oggi, si è espressa con dedicate delibere di Consiglio sul tema ampiamente illustrato. Con ogni probabilità, gli atteggiamenti attendisti dei due Sindaci degli identificati Capoluoghi, non hanno trasmesso fiducia agli altri Amministratori. Eppure, ci chiediamo cos’altro debba succedere a Crotone affinché la relativa classe dirigente realizzi di essere ormai fanalino di cosa su tutto. Non bastava, forse, dipendere dal punto di vista sanitario da Catanzaro, così come aver subito l’accorpamento della Camera di Commercio.

Solo pochi giorni fa, infatti, pezzi della locale MC venivano trasferiti sulla ex Provincia madre di Catanzaro. Ormai, il destino delle piccole Province è segnato da oggettivi limiti demografici e territoriali. Pertanto, essere fagocitati dal rispettivo sistema centralista è il minimo sindacale. Non realizzare quanto appena riferito è sinonimo di vivere in un mondo fantastico e ben lontano dalla cruda realtà dei fatti. Parimenti, su Corigliano-Rossano dove ci culliamo sugli allori della terza Città della Calabria. Disconoscendo, purtroppo, non sappiamo se per conclamata cecità o se per malafede, un tessuto economico (specie in area bizantina) ridotto a brandelli. Quanto detto, mentre le aree dei Capoluoghi storici incassano oltre 20ml a testa dei fondi di Agenda Urbana, lasciando al palo le aree urbane joniche.

Segnaliamo, infine, ancora qualche sentimento d’attacamento a progettualità superate dalla storia e dai fatti. Forse tali atteggiamenti sono motivati da stucchevole campanilismo e da poca inclinazione al cambiamento e alla novità. Registriamo, infatti, ragionamenti che ancora oggi parlano di “inviolabile” autonomia del Crotonese, nonostante quell’ambito, per le motivazioni su richiamate, perda pezzi ogni giorno. Così come, a circa 20 anni dall’aborto dell’idea Sibaritide e poi Sibaritide-Pollino, qualcuno lungo l’Arco Jonico vorrebbe parlare della Provincia di Corigliano-Rossano.

Ignorando, probabilmente, che non basterà il semplice cambio di nome per coprire il limite demografico che renderebbe vana un’azione volta in tal senso. Non è un mistero, infatti, che a seguito della Legge 56/12 (Riforma Delrio) gli Enti di secondo livello sono stati inquadrati per contesti demografici e territoriali. Oggi, un’ambito per poter aspirare ad una legittima autonomia dovrebbe essere classificato come contesto di almeno 350mila abitanti e 2500km di superficie. La Sibaritide, la Sibaritide-Pollino, tantomeno il Crotonese non dispongono, autonomamente, di tali requisiti.

È chiara, pertanto, la necessità di fare sintesi tra aree ad interesse comune. E non è certamente guardando alle aree vallive che Corigliano-Rossano troverebbe affinità. Piuttosto l’amalgama del Crotonese e della Sibaritide potrebbe rappresentare il riassunto perfetto per immaginare una Provincia forte della sua territorialità e di una demografia importante (oltre 400mila ab). Numeri che consentirebbero una oggettiva perequazione con i contesti dei Capoluoghi storici. Le piccole Province, d’altronde, hanno dimostrato ampiamente i propri limiti. Non hanno prodotto quel ragionevole tasso d’interesse per le popolazioni che vi sono rientrate. Piuttosto, una perdita continua e costante di servizi che nel tempo hanno trasformato questi piccoli contesti in lande sempre più desolate e periferiche.

A tal riguardo si guardi Crotone, ma anche Vibo e tante altre in Italia. Tale andazzo, purtroppo, continuerà anche adesso che ci avviciniamo alla Riforma governativa che riporterà il suffragio universale alle Province. La Calabria, dunque, ha bisogno di una revisione amministrativa che possa generare un rinnovato rapporto d’equità tra i vari ambiti regionali. La creazione di una realtà policentrica lungo l’Arco Jonico, con due Capoluoghi, consentirebbe alle città di Corigliano-Rossano e Crotone di sedere ai tavoli politici che contano; di gestire, autonomamente, le proprie scelte e non già di subire i diktat delle scrivanie catanzaresi e cosentine.

Siamo certi che, prima o poi, la dirompente idea-progettuale proposta dal Comitato sarà oggetto d’agenda delle Amministrazioni locali. A tal riguardo, invitiamo a non commettere l’errore di scambiare la nostra sicurezza con arroganza intrisa a saccenza. Piuttosto, è frutto di consapevolezza per aver studiato, descritto e illustrato, un progetto rivoluzionario che avrebbe risvolti positivi non solo per lo Jonio, ma per la Calabria e il Mezzogiorno tutto. (Comitato Magna Graecia)