L’IDEA DELLA PROVINCIA “MAGNA GRAECIA”
SODDISFA LE ESIGENZE DELL’ARCO JONICO

di DOMENICO MAZZA – Il dibattito relativo alla istituzione di una nuova Provincia, a fianco la latitanza di prospettiva politica nel lungo periodo, sta mostrando tutte le sue fragilità. Inquieta realizzare la vaghezza del flebile processo culturale con cui la locale classe dirigente tenta di approcciarsi alla materia amministrativa. Vieppiù, duole constatare l’assenza di contenuti significativi che alimentano una preoccupante incompetenza politica connotante l’area dell’Arco Jonico.

Ormai, giornalmente, si legge di Amministratori che esprimono il loro apprezzamento ad un’idea (Sibaritide-Pollino), pur tuttavia senza entrare nel merito e, soprattutto, limitandosi ad esprimere concetti di natura elementare. Se proprio dovessimo cercare un punto di contatto nelle esternazioni dei Sindaci, al netto delle posizioni di alcuni Amministratori, dovremmo registrare il loro sistematico glissare sulla vicenda del Capoluogo. Un collage di interventi, quindi, dai quali traspaiono aspettative che dimostrano quanto le loro posizioni siano anni luce lontane dalla realtà effettuale, decretata dalle modifiche apportate al Testo Unico degli Enti Locali. Non si spiega altrimenti la moltitudine di inesattezze riportate da certa stampa, ormai sempre più sponsor di un’idea piuttosto che strumento di divulgazione dei dispacci.

Tutti contro la Delrio, ma muti sull’aziendalizzazione statale della Seconda Repubblica

Si fanno allusioni al superamento della Legge Delrio, quasi come se il problema della creazione di nuovi ambiti fosse circoscritto esclusivamente alla su richiamata norma. Nessun riferimento ai vari Governi (destra e sinistra) della Seconda Repubblica che, con la loro graduale azione d’aziendalizzazione statale, hanno vincolato gli Enti a un dissennato attaccamento ai numeri, acuendo il devastante criterio del centralismo. Piuttosto che Amministratori appassionati alle vicende delle proprie Comunità e al contesto d’ambito in cui inquadrate, sembra di assistere ad un drappello di maggiordomi, con l’ausilio di qualche direttore di sala, allineati a concetti convenzionali e mai innovativi.

Sappiamo che, nelle intenzioni governative, esiste la volontà di superare l’attuale sistema di creazione e gestione degli ambiti provinciali. Tuttavia, si disconosce — non saprei se per ignoranza o per malafede — che il Governo non ha manifestato interesse alcuno verso la costituzione di nuovi contesti provinciali. Men che meno, verso ambiti che non abbiano neppure i requisiti minimi per potere reggere ad un carico di rinnovata responsabilità amministrativa.

Si preferisce, pertanto, affiliarsi ad un’idea priva dei requisiti normativi, caricando di aspettative inesistenti la possibile elevazione a Provincia dell’area jonica, mentre si tace sull’unica proposta che, ancor prima di essere materia amministrativa, avrebbe i requisiti tutti per rappresentare una rivoluzione politica in Calabria.

Magna Graecia: unico vero concept in grado di offrire una prospettiva di crescita e sviluppo

Solo l’idea Magna Graecia sarebbe in grado di sconvolgere le cristallizzate geometrie del potere regionale. Tutti gli altri improbabili abbinamenti territoriali, inquadrati nella sola Provincia di Cosenza, risulterebbero tentativi di scorporo gestazionale il cui unico risultato sarebbe un aborto amministrativo.

Da alcuni anni, il Gruppo JoniaMagnaGraecia promuove l’idea di una Provincia dell’Arco Jonico con doppio Capoluogo (Corigliano-Rossano e Crotone) capace di rappresentare oltre 400mila abitanti, entrando con pari dignità politica nel contesto regionale. Questa proposta avrebbe il potenziale per riequilibrare le forze territoriali calabresi, ponendo un argine al dominio dei tre Capoluoghi storici (CZ, CS, RC). È dimostrato, non solo in Calabria, quanto le Province di piccole dimensioni non abbiano rappresentato alcuna miglioria per i territori rappresentati. Eppure, nonostante la forza di un concept che avrebbe un impatto significativo sulla redistribuzione delle risorse in riva allo Jonio, si spara la proposta Sibaritide-Pollino. Senza spiegare, altresì, cosa, la richiamata proposta, contenga in termini di Comuni, di dimensione demografica e, soprattutto, quale sarebbe (o sarebbero) il Capoluogo che dovrebbe gestirla. Tra l’altro, l’idea Magna Graecia non prevederebbe la creazione di Enti aggiuntivi, inciampando nei dinieghi governativi; solo la ridefinizione dei perimetri amministrativi attuali con l’obiettivo di ridisegnare ambiti ottimali e omogenei. A tal riguardo, si preferisce definire l’idea Magna Graecia, dall’alto dei suoi potenziali 400mila abitanti, ingestibile, ma si tace sul fatto che oggi lo Jonio sia inquadrato in un contesto ben più grande (Cosenza), sintesi malriuscita di ambiti mai amalgamati su affini interessi.

Questo tipo di argomentazioni mostra chiaramente quanto sia debole il livello di discussione politica.

Infine, il processo culturale che attraversa l’Arco Jonico riflette una politica incapace di evolversi, arroccata su posizioni miopi e inabile a cogliere le opportunità che potrebbero portare a un reale sviluppo del territorio. Finché non ci sarà una vera e propria volontà di affrontare le tematiche territoriali, con serietà e competenza, le proposte saranno solo parole vuote, specchi di una politica senza contenuti e senza futuro. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

PROVINCIA JONICA, IL DOPPIO CAPOLUOGO
POTREBBE CHIUDERE STORICHE VERTENZE

di DOMENICO MAZZA –  Fino a qualche decennio fa, nella creazione di nuovi ambiti provinciali generati per scissione da precostituiti Enti, si dotavano i Capoluoghi delle neonate Province di tutta una serie di servizi legati alla capillarizzazione periferica del sistema centrale dello Stato. Nel corso degli ultimi anni, a seguito dei processi di spending review e della graduale aziendalizzazione degli apparati pubblici, lo Stato ha razionalizzato i processi di spesa e di devolution. I servizi, pertanto, sono stati assegnati seguendo non già la logica degli ambiti provinciali, ma sulla base di rigorosi criteri legati all’ampiezza dei territori e alla loro demografia. Il vecchio termine di Provincia, col tempo, ha ceduto il passo al più dirompente concetto d’Area Vasta. Ad oggi, in molti credono che le Province siano state soppresse. Esiste la convinzione, infatti, che il passaggio da un sistema elettorale diretto ad uno di secondo livello abbia generato la dismissione dell’Ente. Non è così! Anzi, è vero il contrario.

Il buio in cui brancola l’Establishment jonico

Dopo anni di profondo letargo sul tema, la Politica jonica ha, nella coda d’estate, riacceso i riflettori sul tema. Tuttavia, leggendo quanto riportato nei dispacci di stampa, si scorgono grossolani errori percettivi e valutativi circa il nuovo impianto geo-politico che si vorrebbe scorporare all’attuale contesto cosentino. Tale condizione, non aiuta i neofiti della materia amministrativa a raccapezzarsi sulle aspettative che potrebbero derivare dalla costituzione di un Ente di secondo livello. Ancora oggi, a distanza di oltre 10 anni dalla legge 56/14 (Delrio), taluni, pensando forse ad un caso di sinonimia, confondono il concetto di Provincia con quello di Area Vasta. Nonostante l’ultimo termine sia entrato nel vocabolario amministrativo da circa un ventennio, si fa fatica a classificare le sottili differenze con il primo. Il più delle volte, infatti, si finisce con esprimere concetti che mal delineano le diversità di una nomenclatura per nulla scontata.

Senza la creazione di ambiti ottimali non c’è devolution da parte dello Stato

La Provincia è un Ente di secondo livello, a limitata capacità amministrativa, intermedio tra Comune e Regione. Conseguentemente la riforma Delrio, ha mantenuto deleghe specifiche in materia di viabilità ed edilizia scolastica. In alcuni casi, il perimetro di una Provincia può corrispondere a quello di un’Area Vasta. Tale condizione si verifica quando territorio e demografia dell’ambiente provinciale esprimono 2500km² e almeno 350mila ab. A seguito, poi, delle modifiche apportate nell’ultimo decennio al Tuel (Testo Unico degli Enti locali), in caso di istituzione di nuove Province, lo Stato non è tenuto a dotare di decentramento amministrativo periferico il Capoluogo del nuovo Ente.

L’Area Vasta, invece, è una classificazione geo-politica che non gode di Rappresentatività diretta. Accentra, in identificate Località d’ambito e comprensoriali, sulla base di rigorosi parametri demografici, tutte una serie di competenze dapprima assegnate ad ogni Capoluogo di Provincia. Il metro d’Area Vasta è il sistema oggi utilizzato per stabilire l’erogazione dei servizi ad un territorio o ad agglomerati territoriali contermini. Rappresenta, altresì, il metodo di capillarizzazione delle funzioni di prossimità lungo il territorio nazionale. Classifica, quindi, il sistema di decentramento effettivo dei servizi statali.

L’ambiente provinciale, dunque, corrisponde a quello di un’Area Vasta solo quando si suffragano specifici requisiti demografici e territoriali. In tutti gli altri casi, le Aree Vaste assommano più ambiti provinciali con accentramento dei servizi in sede al Capoluogo più rappresentativo degli agglomerati provinciali costituenti il perimetro vasto.

Questa breve classificazione per chiarire un assunto: il principio utilizzato nella erogazione dei servizi centrali, da oltre un decennio, non è più quello dell’ambito provinciale, bensì il dedicato range demografico d’Area Vasta.

Non esiste elevazione amministrativa quando mancano i numeri

Creare ambiti provinciali senza contestualmente inverare i parametri d’Area Vasta, significa non determinare alcuna modifica nella ramificazione periferica dei servizi statali. Vieppiù, l’operazione si dimostra inidonea a scalfire i cristallizzati equilibri politici in capo ai preesistenti contesti.

Con la riforma degli Enti intermedi, in attesa di licenza da parte del Governo, saranno reintrodotti i criteri di suffragio universale nelle elezioni provinciali. Tuttavia, il Disegno di Legge non apre alla istituzione di nuovi Enti. Quand’anche fosse possibile, è bene rimarcare che l’idea di una nuova Provincia, senza che questa abbia i requisiti per poter aspirare ad un inquadramento di tipo vasto, sarebbe assolutamente inutile ai fini di un’agognata autonomia politico-istituzionale del nuovo perimetro amministrativo.

D’altronde, pensare di ritagliare un nuovo Ente, mantenendosi nel solo alveo della Provincia di Cosenza, ci mette davanti ad una serie di problematiche. Prima fra tutte, permettere ai due ridisegnati Enti di godere della forza numerica e territoriale su richiamata. Fermo restando i circa 700mila abitanti della Provincia di Cosenza, si dovrebbero immaginare due ambiti di circa 350mila abitanti cadauno. Alla conta dei numeri, l’idea Sibaritide-Pollino, nella migliore delle ipotesi, potrebbe spingersi fino a 250mila persone. Già questo dato, oltre i limiti derivanti dalla mancata omogeneità territoriale tra un ambiente riviesco e un’area valliva, dovrebbe farci desistere dal proseguire in azioni sconsiderate. A meno che, con manie di malriposto protagonismo, non si voglia arrivare a bussare alle porte di Rende. Raggiungere la soglia dei 350mila abitanti, partendo dalla linea di costa sibarita, significherebbe spingersi fino alle sponde del Campagnano. Tuttavia, dubito che la prosopopea ammaliatrice jonica possa convincere le Amministrazioni della cinta bruzia a sentirsi parte di un contesto estraneo alle proprie peculiarità.

Contrariamente, l’idea di un nuovo perimetro provinciale che parta da un Ente già precostituito, ma infruttuoso a sé stante (Crotone), allargando la sfera di competenza a tutto il contesto dello Jonio cosentino, godrebbe dei requisiti richiesti per inverare appieno la condizione di ambito ottimale. Il doppio Capoluogo, esperimento già promosso dall’attuale Governo con la elevazione di Cesena e Carrara, consentirebbe di impostare il nuovo ambito su base policentrica. Nessun Ente aggiuntivo, quindi, ma la riorganizzazione funzionale delle definizioni perimetrali attuali. L’omogeneità territoriale presente tra la Sibaritide e il Crotonese, inoltre, consentirebbe di avviare processi di rivendicazione comuni. Si potrebbero chiudere, definitivamente, storiche vertenze aperte: dalla costituzione di un’Azienda Ospedaliera (che non è una semplice Asp), alle medesime battaglie di mobilità e trasporti, alla salvaguardia del comune patrimonio archeologico per finire alla maggior tutela dello specchio d’acqua del golfo di Taranto. Quest’ultimo, oggi più che mai, oggetto di sempre più accentuate speculazioni romane.

Significherebbe declinare, con l’autorevolezza di un reale ambito vasto e con l’ausilio dei numeri, la prospettiva dell’Arco Jonico, ristabilendo una condizione d’equilibrio geo-politico con i tre Capoluoghi storici della Regione.  (dm)

NUOVA PROVINCIA, OPPORTUNITÀ O CAOS?
SERVE UNA MAGGIORE MATURITÀ POLITICA

di MATTEO LAURIA – La questione della nuova provincia in terra jonica è emblematica del caos e dell’approssimazione che spesso dominano la scena politica e amministrativa comprensoriale. Due proposte, al momento, si contendono la scena: quella della Magna Graecia, che prevede un doppio capoluogo distribuito tra Crotone e Corigliano Rossano, basata su criteri di omogeneità territoriale e conforme alla legge Delrio (che stabilisce un minimo di 350mila abitanti per le nuove province); e quella della Sibaritide-Pollino, una proposta politica, non conforme a questa legge, che appare più come una mossa tattica in prospettiva di lotte di capoluogo.

Il punto cruciale della questione non è tanto la bontà o meno delle proposte, ma il clima di confusione e cambiamento di posizioni che sembra regnare sovrano. Ogni giorno vediamo sindaci, movimenti e rappresentanti della società civile cambiare opinione, apparentemente senza avere un’idea chiara del quadro complessivo o delle implicazioni normative delle loro scelte.

Le proposte vengono avanzate senza un confronto serio e approfondito, e spesso manca il necessario rigore per orientare le decisioni verso il miglior interesse delle comunità coinvolte. L’apparenza è che si navighi a vista, rincorrendo opportunismi locali e convenienze politiche più che una visione di lungo termine.

Preoccupante, inoltre, è la debolezza di una parte della stampa, che dovrebbe svolgere un ruolo fondamentale di informazione e vigilanza, ma che invece spesso si allinea a posizioni di parte, sacrificando l’analisi critica e l’approfondimento in favore di simpatie politiche o, peggio, legami personali e familiari. Un tale comportamento, quando non si basa su una solida comprensione del quadro normativo e territoriale, tradisce la funzione stessa della stampa e contribuisce a mantenere il dibattito a livelli superficiali.

L’amministrazione comunale di Corigliano Rossano, che rivendica il capoluogo, ad esempio, ha preso una posizione chiara a favore della proposta Sibaritide-Pollino, ma altre amministrazioni, come quelle di Cassano e Castrovillari, restano in un silenzio preoccupante sulla questione della individuazione del capoluogo. Questo silenzio, anziché essere interpretato come una forma di prudenza, sembra essere più il segno di una mancanza di strategia e visione condivisa.  

La speranza è che questo clima di approssimazione lasci spazio a una stagione di maggiore maturità politica. Le decisioni sulle nuove province dovrebbero essere prese con cognizione di causa, basate su dati concreti e nel rispetto delle normative vigenti, non su tatticismi elettorali o ambizioni personali.
Oggi, però, siamo immersi in una società liquida, dove si rincorrono slogan e titoli sensazionalistici, in cui la riflessione profonda e l’informazione dettagliata sono spesso sacrificati in nome della velocità e della superficialità.

E su questa superficialità si fonda il potere di chi fa politica.
Riusciremo, un giorno, a superare questa fase? O continueremo a prendere decisioni fondamentali con la stessa leggerezza con cui si sfoglia un social network?

La risposta, purtroppo, appare ancora lontana.

Nel frattempo, si auspica che i sindaci, i movimenti e le varie componenti della società civile comprendano l’importanza di una visione responsabile, che metta al primo posto il benessere collettivo e non gli interessi di parte. Solo così si potrà davvero avviare una nuova fase di sviluppo per i territori interessati, restituendo dignità e prospettiva a una Calabria che merita molto di più di questa perenne incertezza. (ml)

[Matteo Lauria è del Comitato Magna Graecia]

L’IDEA “MAGNA GRAECIA” LA CURA PER FAR
USCIRE DALLA MARGINALITÀ L’ARCO JONICO

di DOMENICO MAZZA – È bastato un vagito dell’Amministrazione di Corigliano-Rossano perché il dibattito sull’esigenza d’autonomia territoriale in riva allo Jonio permeasse la società civile e stravolgesse il quieto letargo della politica locale sul tema. Invero, aver trattato la “questione Provincia” ben dopo il primo quinquennio dell’Amministrazione, non scagiona la classe dirigente cittadina dall’aver tralasciato fino ad oggi l’argomento.

Che il processo d’amalgama, poi, dei due estinti Comuni di Corigliano e Rossano avesse tra le sue destinazioni anche quella di elevare la nuova realtà amministrativa costituita, voglio augurarmi fosse nelle intenzioni dei proponenti l’allora progetto di fusione. Diversamente, dovrei pensare che anche gli ideatori della richiamata vicenda avessero capito ben poco del progetto che, al tempo, ebbero a proporre ai cittadini. Tuttavia, considerata la moltitudine di dichiarazioni lette sulla circostanza dell’autonomia territoriale e appurata la molteplicità di raffazzonati discorsi a riguardo, non meravigliatevi se il pensiero che un colpo di calore abbia pervaso lo spirito e il pensiero di molti fra coloro che sono intervenuti sul tema, mi abbia sfiorato. D’altronde, il maldestro tentativo di strumentalizzare finanche il processo di fusione è la cartina di tornasole di una Classe Politica che, su tematiche di natura amministrativa, annaspava e annaspa vistosamente.

Siamo al delirio totale! Si giocano partite a chi la spara più grossa.

Scorrono in rete attestazioni di Personalità che assumono atteggiamenti ibridi e camaleontici e ciò comprova quanto l’Establishment jonico si avvicini sempre più alla rappresentazione teatrale di una commedia satirica, in cui i protagonisti restano alla disperata ricerca di un autore credibile.

Parimenti, genera ilarità leggere sulla carta stampata Figure istituzionali, estranee al territorio jonico e che immagino neppure conoscano l’allocazione geografica del levante calabrese, imbastire teorie di fusioni amministrative che dovrebbero abbracciare 100km di costa. Il paradosso, poi, è che a proporre improbabili fusioni lungo la costa degli Achei sia chi, per partito preso, alza le barricate alla fusione di tre Comuni in val di Crati, ma tant’è.

Rasentano l’inverosimile, ancora, le dichiarazioni dell’on. Antoniozzi. Il Parlamentare, da un lato taglia le gambe ad un’embrionale posizione di autonomia territoriale sullo Jonio, dall’altro tesse le lodi del progetto di sintesi amministrativa della Grande Cosenza. Processo, quest’ultimo, che, personalmente, sostengo e approvo. Mal comprendo, in realtà, come un Deputato della Repubblica non si soffermi sull’insensata omissione di Montalto Uffugo dallo sfidante sviluppo d’amalgama in val di Crati. Ancora più inspiegabile, per onor del vero, appare il filo conduttore che Costui traccia tra la fusione amministrativa a Cosenza e il flebile anelito d’autonomia jonica.

Evidentemente, l’on. Antoniozzi, non vivendo la Calabria da decenni, avrà obliato che l’area cosentina e quella jonica si sviluppano su apparati territoriali distinti e distanti per usi, costumi, tradizioni ed economie e, soprattutto, non sono legate da affinità comuni. Se proprio volessimo trovare un collante tra i due territori, dovremmo guardare ai periodi delle tornate elettorali. In tali circostanze, infatti, non mancano le attenzioni che l’area bruzia riserva all’ambito jonico.  Non costituisce mistero, d’altronde, l’incetta di voti che il palcoscenico vallivo conquista sullo Jonio; quasi a palese espressione della prona riverenza del levante calabrese agli interessi del centralismo storico.

Ormai, l’Area Jonica sembra sempre più assimilabile ad un bersaglio su cui chiunque si sente in diritto di lanciare le proprie freccette. Non trovano altra spiegazione le fantasiose improvvisazioni apparse sulla stampa o nelle affannose rincorse all’ultimo commento social. Senza tralasciare le impressioni apposte, a mo’ di orpelli esagitati, a margine di note e comunicati. Viziati, quest’ultimi, da pennacchi e provincialismi e carenti di visione, prospettiva e progettualità.

La cosa più imbarazzante, però, è aver letto la riedizione di proposte, bocciate dalla storia decenni fa, riconfezionate sotto le mentite spoglie di una nuova nomenclatura, quasi come se tale tentativo bastasse a fornire rinnovata verginità ad idee stantie. E, con ogni probabilità, per propronenti e suffragatori di una non meglio identificata proposta d’elevazione di Corigliano-Rossano a Capoluogo, il tempo si è fermato sul serio. Il loro orologio, evidentemente analogico, mal si è adattato in un mondo ormai perfettamente digitale.

Appare macchiettistica, ancora, la malcelata velleità di abbinare alla richiesta di una nuova Provincia la ricaduta di un’Asp. Evidentemente, chi propone simili amenità disconosce che alle Asp (aziende sanitarie provinciali) non compete, essendo in capo alle AO (aziende ospedaliere), la medicina ospedaliera. Per aspirare alla costituzione di un’Ao — sappiano — sono necessari tetti demografici di almeno 300mila abitanti. Stessa pianificazione d’ambito vale per reparti di emodinamica e pneumologia. Non è un caso, infatti, che tanto lo Spoke di Corigliano-Rossano quanto quello di Crotone ne siano sforniti. I presidi Hub, per intenderci, sono diretta ed esclusiva espressione delle Ao, non già delle Asp.

Una compilation, in definitiva, di corbellerie inenarrabili hanno invaso pagine di giornali e siti web. Nessun intervento, però, si è non dico addentrato, ma almeno soffermato sul merito di come si intenderebbe costituire il richiamato disegno provinciale. È come se provassimo particolare godimento ad inciampare nelle stesse buche, perpetuando negli errori che già cari ci costarono in passato. Ma si sa, partorire idee poi funzionali solo agli equilibri centralisti, è il classico metodo utilizzato dalle nostre parti per fingere di fare qualcosa pur sapendo di edificare castelli di carta.

Ma andiamo per gradi…

Lo spasmodico dibattito degli ultimi giorni ci restituisce una condizione di surreale insipienza dei concetti basilari legati alle modifiche al Testo unico degli Enti locali e a tutte le variazioni normative intervenute a margine del 2006 e concretizzatesi dal 2014.

Atteso che, sin dai tempi del Governo Monti si è proceduto verso una razionalizzazione degli Enti intermedi e considerate le indisponibilità di Stato a riconoscere nuovi organismi, mal afferro come potrebbe attuarsi l’idea di una Provincia aggiuntiva sul suolo di Calabria. In un territorio, oltretutto, dalla demografia già risicata e dilaniato da una emorragia migratoria da far tremare i polsi. Vieppiù, a seguito della istituzione delle ultime tre Province in Italia (Fermo, Monza e Brianza, Barletta-Andria-Trani), sono stati inseriti nella definizione dei nuovi Enti intemendi paramenti demografici e territoriali da rispettare pedissequamente.

Numeri, i succitati, che le desuete idee Sibaritide-Pollino, Sibaritide, e tutti gli altri puzzle geografici che non dovessero riguardare l’Arco Jonico sibarita e crotoniate non hanno neppure se nella conta demografica venissero inseriti gli animali da compagnia. Senza considerare, poi, le differenze legate all’omogeneità territoriale. Non è un mistero, infatti, che le affinità economiche tra le aree vallive (Pollino) e quelle rivierasche (Jonio) esistano solo nella mente di chi propone idee deboli come quelle richiamate. Fatto salvo, forse, come leggevo in una nota diramata nelle ultime ore, le cicogne bianche che nidificano in agro di Cassano o qualche tartaruga caretta caretta che dal pianoro di Cammarata raggiunge le coste sibarite e — aggiungo — qualche pescheto che si estende lungo la SS534. Verrebbe da chiedersi, inoltre, quale sarebbe la logica di criticare, a giusta ragione, la disomogeneità di un ambito come il foro di Castrovillari, mentre il medesimo perimetro dovrebbe essere funzionale ad una nuova Provincia?

Da oltre 10 anni, ancora, la legge 56/14 (Delrio) ha trasformato le Province in Enti d’Area Vasta. Sono state ridimensionate, infatti, tutte quelle realtà non suffraganti almeno 350mila abitanti e 2500km di superficie complessiva. Tale sistema ha ricondotto l’accorpamento dei servizi delle piccole Province alle ex Province madri con la creazione delle Aree Vaste. Ai piccoli ambiti è stato lasciato semplicemente uno status, il più delle volte non inverato nei fatti. Si vedano, a riguardo, i casi di Vibo e Crotone con la costituzione dell’Area Vasta centro Calabria, ma anche quelli di Lecco e Lodi, così come Biella, solo per citarne alcuni. E, mentre altrove si studiano processi finalizzati a concretizzare una reale crescita amministrativa (prove tecniche per la realizzazione della Città Metropolitana Catanzaro-Lamezia, o i tentativi di dialogo istituzionale per la costituzione dell’area metropolitana interregionale Rc-Me) noi, da completi smemorati cronici, ci abbarbichiamo  in risicate e implausibili proposte già cassate da diversi lustri. Quasi, come sullo Jonio vivessimo in un angolo di Mondo ovattato e decontestualizzato dal sistema Paese. Non trova spiegazione, altrimenti, il tentativo di suffragare proposte che, numericamente, già dove applicate hanno dimostrato tutti i loro limiti.

L’idea Magna Graecia, al contrario, scardina un regionalismo deviato che negli ultimi 50 anni ha prodotto aree centralizzate e periferie rese lande desolate. Generare, a saldo zero per lo Stato, un rinnovato contesto provinciale di oltre 400mila abitanti, ma dimezzato territorialmente e demograficamente rispetto all’elefantiaca e disomogea Provincia di Cosenza, significherebbe aprire alla creazione di ambiti ottimali tra aree ad interesse comune. I tre contesti del centro-nord Calabria (Istmo, Arco Jonico e area vallivo-tirrenica) avrebbero, pressoché, lo stesso ambito demografico e la stessa superficie territoriale. Tale operazione, altresì, consentirebbe di pareggiare il bilancio del gettito di Stato, riequilibrando sistemi oggi scriteriati e sproporzionati. Il doppio Capoluogo innescherebbe una nuova visione policentrica, tranciando cordoni ombellicali di rabberciata funzionalità agli equilibri del centralismo storico. Si spalancherebbero le porte alla nascita di segreterie politiche forti ed indipendenti, non già legate a doppio filo ai desiderata dei Capoluoghi storici. La saldatura amministrativa dell’Arco Jonico, sibarita e crotoniate, suggellerebbe, invero, valenza politica ancor prima che amministrativa. Tale disegno, in ultima analisi, contribuirebbe in maniera sinergica all’inquadramento funzionale del golfo di Taranto quale baricentro naturale nella prossima costituzione della Macroregione mediterranea.

Dunque, smettiamola con la promozione di idee povere, prive di significato e del tutto insensate. Iniziamo a pensare in grande e a ricavarci un ruolo di prestigio, rispetto e dignità. Usciamo dal limbo della marginalità in cui le deviate politiche degli ultimi decenni, con la complicità dei satrapi locali, hanno condotto l’area dell’Arco Jonico. E, soprattutto, mettiamo da parte disegni miserabili e inconsistenti e iniziamo a partorire progetti degni di una mente  come quella dell’uomo. (dm)

COGLIERE L’OPPORTUNITÀ DI RIDISEGNARE
LA CALABRIA CHE L’ITALIA NON SI ASPETTA

di MIMMO CRITELLI – Gli ultimi avvenimenti, nazionali e regionali (Autonomia Differenziata, Bonifica Sin, etc.) che hanno riguardato il posizionamento degli schieramenti politici Calabresi (Cdx e Csx), spingono ad una riflessione di merito per coglierne i punti di forza piuttosto che quelli di debolezza.

A questo si somma anche il documento-riflessione promosso dal Comitato Magna Graecia, del quale mi pregio di far parte anche in termini di ispirazione teorica, relativamente l’immobilismo amministrativo della fascia jonica: pienamente condivisibile.

Non appaia pretenziosa la simmetria fra l’autonomia delle Regioni e la conseguente perifericità dell’Arco Jonico, dal momento che in esso si sommano tutta una serie di criticità speculari alla stessa differenza fra nord e sud del Paese.

Parafrasando Roberto Occhiuto: il Tirreno e i Capoluoghi “borbonici” (Reggio Calabria, Catanzaro, Cosenza) rappresentano una Ferrari, a differenza dello Jonio accostabile alla Panda tanto cara al “mio” Governatore.

Non è una semplificazione, ma semplicemente una presa d’atto. Ho apprezzato e difeso il comportamento tenuto dal “mio” Presidente in ordine alle zone d’ombra e alla frettolosità con le quali la maggioranza Parlamentare di Cdx ha approvato il disegno di legge che regola l’autonomia delle Regioni.

Una maratona notturna, come i “compari” di Pisa, alla quale si sono sottratti molti parlamentari PopolarLiberali, per come mi piace appellare quelli di Forza Italia, in special modo quelli calabresi.

Ebbene, trascorse alcune settimane da quel contraddittorio politico e istituzionale con la Lega e la costituzione di qualche “Osservatorio” sugli effetti e le implicazioni dell’applicabilità della legge, si è mancato di mettere in evidenza che, ancora una volta, il ministro Calderoli si è dimostrato un “prestigiatore” dei meccanismi parlamentari e legislativi.

Sono stati colti con le mani nella marmellata, Calderoli e Zaia, dalla loro stessa frettolosità propagandista, un pò come quegli ambulanti avventizi del mordi e fuggi.

La richiesta di autonomia del Veneto, per le molte ed importanti materie non soggette ai Lep, e senza la prescrizione di un’area perequativa che azzeri il criterio della spesa storica, ha di fatto svelato l’azione unilaterale della Lega che ha finito per spiazzare anche Fratelli d’Italia che oggi è un partito che raccoglie uniformemente il suo consenso nazionale.

La successiva iniziativa europea di collocazione della Lega nel partito dei “Patrioti” di Orban, per circoscrivere la leadership di Giorgia Meloni al campo nazionalista piuttosto che europeista, è stato l’altro tassello di una strategia lucida che prova a marginalizzare il ruolo dei Popolari-Liberali-Riformisti italiani.

Ormai non sono più da annoverare come movimenti carsici quello che sta avvenendo nel rapporto fra Lega e FdI, dalla costituzione del Governo, sbilanciato a favore della Lega rispetto a FI, passando per Autonomia, Premierato, Giustizia ed Europa.

Su questi capisaldi programmatici, FI riesce a difendere le sue radici liberali e riformiste solo grazie al Ppe. Ma ritornando alla Calabria, e alla controversa legge sull’autonomia differenziata, ho motivo di pensare che Occhiuto sia rimasto più condizionato dal suo ruolo nazionale, nel porsi sulla stessa linea degli altri Governatori del Sud, insieme a Bardi, a sostegno di un Referendum che surclasserà, in termini di firme e di esito elettorale, persino quello sul nucleare o sulla riduzione dei Parlamentari.

Questa legge farlocca, da “compari” di Pisa, può solo essere disinnescata dall’esito Referendario. In caso contrario, anche se dopo due anni per le materie LEP e da subito per tutto il resto, non c’è bisogno di aspettare il parere di illustri economisti per stabilirne gli effetti distorsivi e separatisti.

Quali speranze ha un Paese dal debito pubblico sproporzionato che, nel frattempo, ha persino accentuato il divario economico e sociale fra macro aree (anche al loro interno), di vedere crescere omogeneamente e in competetizione paritaria l’intero sistema Paese? A mio giudizio, nessuno.

E spero, ardentemente, di essere smentito anche dal più semplice studente di economia senza dover scomodare luminari. Cambiando lo scenario territoriale, la Calabria non si sottrae alle dinamiche nazionali.

Se per decenni, non qualche anno, lo sviluppo e le strategie progettuali hanno orientato risorse e infrastrutture sull’asse Tirrenico o Ten-T (trasversale europea), non è forse ciò che è avvenuto fra Nord e Sud del Paese?

Non è forse che sullo “storico” calabrese oggi sentiamo parlare più di Ponte sullo Stretto che di “Autostrada dei tre mari”? In tal caso mi lascio prendere dalla mia personale suggestione di congiunzione fra le due sponde mediane del Tirreno e dello Jonio per poi procedere verso l’Adriatico nell’ambito della Macro Regione Mediterranea. E chissà che quest’ultima non sia più di una suggestione ma, forse, la soluzione al problema dell’autonomia, dove il Sud e i suoi circa 20Ml di abitanti potrebbero rappresentare una opportunità per l’Italia e per l’Europa.

Non nascondo di aver temerariamente accostato Autonomia, Bonifica dell’area Sin e Provincia della Magna Graecia, appena ho appreso che Occhiuto ha impugnato il provvedimento del Governo, e del “suo” ministro Pichetto Fratin, di smaltire i rifiuti in discarica privata adibita a ricevere quelli speciali e altamente inquinanti che giacciono in mare, da 50 anni, e sulla “consortile” da almeno 20 anni. L’occasione di un Presidente temerario, oltretutto “mio” Presidente, mi ispira una conclusione.

Se lo Jonio sta alla Calabria, come la Calabria sta all’Italia, si colga l’opportunità di ridisegnare la nuova Calabria, un’altra Calabria che «l’Italia non si aspetta».

Non la Calabria delle 3 macro Province di emanazione Sabauda, ma l’inedita Calabria che non torna indietro, ma guarda avanti e recupera il protagonismo delle periferie, spesso per auto-afflizione ed irrilevanza.

Crotone e Corigliano-Rossano nuovo asse dello sviluppo poliedrico poggiato su Bonifica e rilancio produttivo del Sin di Crotone-Cassano-Cerchiara insieme all’ex sito Enel. La Zes unica come strumento programmatico ed economico per rilanciare la piattaforma logistica e intermodale del Mediterraneo orientale.

Senza campanilismi, ma in una visione ampia, solidale e di coesione.

Il sistema politico locale è inidoneo ad intravedere il futuro che si sta prospettando, salvo stracciarsi le vesti dopo prendendosela con gli altri e mai con il proprio pressappochismo.

Persino Cgil e Cisl si sono lasciati riaccorpare nell’area Centro, lasciando la sola Uil di Fabio Tomaino, alla quale mi sono iscritto, a resistere sull’autonomia organizzativa provinciale.

Si procede a grandi passi per un ritorno alle tre macro Province attesa l’irrilevanza delle piccole Crotone e Vibo.

Non voglio credere che il riformista Occhiuto, il liberalpopolare Occhiuto, il Presidente della scommessa di Governo nella Regione più depressa che sta affrontando con sicurezza e autorevolezza, possa assecondare un ritorno allo status quo ante 1993, senza aver tastato il polso ai cittadini, anche solo come parere consultivo come nella fusione di Cosenza Rende e Castrolibero e, mi auguro, anche di Montalto (inspiegabilmente esclusa dal virtuoso processo).

Nell’unica occasione di interlocuzione, de visu, che ebbi con Roberto Occhiuto nel luglio 2021 a Gizzeria, e della quale conservo piacevole ricordo e lo ringrazio, ne condivisi, insieme al compianto Peppino Cosentino, gli spunti e la visione progettuale.

Dal canto mio, gli espressi il convincimento che la Calabria avesse bisogno di un intervento meditato e partecipato, una conferenza interistituzionale regionale di riorganizzazione amministrativa, istituzionale e territoriale. I tempi sono maturi per lanciare anche questa sfida al sistema anchilosato dei partiti.

Il “mio” Presidente è in grado di andare oltre gli schemi, come ha dimostrato in questi tre anni di Governo, senza particolarismi ma con una visione generale e oggettiva?

La sfida del Governo si vince quando si recuperano gli ultimi e gli si offre una prospettiva migliore. Questo vale per la Calabria in Italia, come per lo Jonio in Calabria. (mc)

I POLITICI LOCALI FRENANO E MANCANO DI
VISIONE PER RILANCIARE L’ARCO JONICO

Proprio in questi giorni ricorre il quinto anniversario della nascita del Comitato Magna Graecia. Sorto, quest’ultimo, all’indomani della fusione delle estinte città di Corigliano e Rossano, per fornire una nuova prospettiva che restituisse orgoglio e dignità agli ambiti della Sibaritide e del Crotonese. Contesti, i richiamati, schiacciati dalle deviate dinamiche d’assoggettamento ai rispettivi centralismi storici.

Certamente, quelli trascorsi, sono stati anni difficili: una pandemia inaspettata, ha colpito il Mondo intero. I rapporti umani, per quasi due delle ultime cinque annualità si sono ridotti a dirette interattive, causa i continui lockdown che si sono susseguiti.

Tuttavia, occorre tirare le somme e ripercorrere quello che questi cinque anni trascorsi hanno rappresentato.

Nel bene e nel male, l’idea Magna Graecia, ha permeato diversi strati della società civile. La rettifica dei confini provinciali jonici, includendo il Crotonese e la Sibaritide in un’unica Provincia con un doppio Capoluogo (Crotone a Sud, Corigliano Rossano a Nord), per aprirsi ad un contesto d’area metropolitana interregionale calabro-appulo-lucana, ha convinto più di ogni auspicabile aspettativa.

Spiace, purtroppo, constatare quanto ancora la Politica locale sia volutamente e colpevolmente distante da un’idea straordinariamente innovativa.

Nel corso di quest’intervallo temporale, infatti, oltre ad incontri con diversi Amministratori locali, tanto nel Crotonese quanto nella Sibaritide, è stato realizzato un progetto editoriale che ha racchiuso tutti i capisaldi dell’idea. Il libro, presentato sia nelle Comunità rivierasche sia in quelle pedemontane afferenti al contesto jonico, ha ricevuto apprezzamenti e consensi da parte di tutti i Sindaci a cui l’idea è stata proposta. Taluni, tuttavia, hanno preferito mantenere una posizione più ibrida. È il caso del sindaco di Crotone che si è espresso con un “Ni”; è il caso del Sindaco di Corigliano-Rossano che, interpellato sulla questione, riferiva: «Vediamo se ci sono i presupposti per poter immaginare un percorso di natura amministrativa».

In area interna (Campana, Longobucco, Acri) i rispettivi primi cittadini si sono dichiarati aperti verso l’idea, rimarcandolo pubblicamente. Così come nei contesti terminali della identificata nuova Provincia (Cutro, Rocca Imperiale, Isola di C.R.), dove gli Amministratori hanno manifestato interesse ad intraprendere ragionamenti che abbraccino ambiti omogenei. Anche la Comunità di Cariati, per voce del Sindaco, ha rimarcato partecipazione ad un’idea che vedrebbe la Città inquadrata al centro dell’identificata nuova Provincia.

Attestati di stima e voglia di intraprendere un percorso inclusivo e di rilancio territoriale sono stati espressi dal sindaco di Rocca di Neto e già Assessore Regionale, Alfonso Dattolo. Anche gli ex primi cittadini di Terravecchia e Paludi hanno espresso pubblicamente la necessità di guardare ad un ambiente rinnovato che includa la Sibaritide ed il Crotonese.

Così come, il sindaco di Cassano-Sibari, pur vivendo il dissidio della sua Comunità contesa tra il contesto del Pollino e quello rivierasco, non ha espresso chiusure all’idea.

Senza dimenticare le manifestazioni di interesse che sono state avviate da parte di Consiglieri regionali e Parlamentari, sia nell’attuale Governo, sia nei precedenti.

A giorni, poi, il progetto sarà illustrato anche in Lucania, nella vicina Nova Siri, e verificheremo l’appeal dell’idea anche fuori dai confini regionali.

Tuttavia, resta da constatare che nessuna Amministrazione, ad oggi, si è espressa con dedicate delibere di Consiglio sul tema ampiamente illustrato. Con ogni probabilità, gli atteggiamenti attendisti dei due Sindaci degli identificati Capoluoghi, non hanno trasmesso fiducia agli altri Amministratori. Eppure, ci chiediamo cos’altro debba succedere a Crotone affinché la relativa classe dirigente realizzi di essere ormai fanalino di cosa su tutto. Non bastava, forse, dipendere dal punto di vista sanitario da Catanzaro, così come aver subito l’accorpamento della Camera di Commercio.

Solo pochi giorni fa, infatti, pezzi della locale MC venivano trasferiti sulla ex Provincia madre di Catanzaro. Ormai, il destino delle piccole Province è segnato da oggettivi limiti demografici e territoriali. Pertanto, essere fagocitati dal rispettivo sistema centralista è il minimo sindacale. Non realizzare quanto appena riferito è sinonimo di vivere in un mondo fantastico e ben lontano dalla cruda realtà dei fatti. Parimenti, su Corigliano-Rossano dove ci culliamo sugli allori della terza Città della Calabria. Disconoscendo, purtroppo, non sappiamo se per conclamata cecità o se per malafede, un tessuto economico (specie in area bizantina) ridotto a brandelli. Quanto detto, mentre le aree dei Capoluoghi storici incassano oltre 20ml a testa dei fondi di Agenda Urbana, lasciando al palo le aree urbane joniche.

Segnaliamo, infine, ancora qualche sentimento d’attacamento a progettualità superate dalla storia e dai fatti. Forse tali atteggiamenti sono motivati da stucchevole campanilismo e da poca inclinazione al cambiamento e alla novità. Registriamo, infatti, ragionamenti che ancora oggi parlano di “inviolabile” autonomia del Crotonese, nonostante quell’ambito, per le motivazioni su richiamate, perda pezzi ogni giorno. Così come, a circa 20 anni dall’aborto dell’idea Sibaritide e poi Sibaritide-Pollino, qualcuno lungo l’Arco Jonico vorrebbe parlare della Provincia di Corigliano-Rossano.

Ignorando, probabilmente, che non basterà il semplice cambio di nome per coprire il limite demografico che renderebbe vana un’azione volta in tal senso. Non è un mistero, infatti, che a seguito della Legge 56/12 (Riforma Delrio) gli Enti di secondo livello sono stati inquadrati per contesti demografici e territoriali. Oggi, un’ambito per poter aspirare ad una legittima autonomia dovrebbe essere classificato come contesto di almeno 350mila abitanti e 2500km di superficie. La Sibaritide, la Sibaritide-Pollino, tantomeno il Crotonese non dispongono, autonomamente, di tali requisiti.

È chiara, pertanto, la necessità di fare sintesi tra aree ad interesse comune. E non è certamente guardando alle aree vallive che Corigliano-Rossano troverebbe affinità. Piuttosto l’amalgama del Crotonese e della Sibaritide potrebbe rappresentare il riassunto perfetto per immaginare una Provincia forte della sua territorialità e di una demografia importante (oltre 400mila ab). Numeri che consentirebbero una oggettiva perequazione con i contesti dei Capoluoghi storici. Le piccole Province, d’altronde, hanno dimostrato ampiamente i propri limiti. Non hanno prodotto quel ragionevole tasso d’interesse per le popolazioni che vi sono rientrate. Piuttosto, una perdita continua e costante di servizi che nel tempo hanno trasformato questi piccoli contesti in lande sempre più desolate e periferiche.

A tal riguardo si guardi Crotone, ma anche Vibo e tante altre in Italia. Tale andazzo, purtroppo, continuerà anche adesso che ci avviciniamo alla Riforma governativa che riporterà il suffragio universale alle Province. La Calabria, dunque, ha bisogno di una revisione amministrativa che possa generare un rinnovato rapporto d’equità tra i vari ambiti regionali. La creazione di una realtà policentrica lungo l’Arco Jonico, con due Capoluoghi, consentirebbe alle città di Corigliano-Rossano e Crotone di sedere ai tavoli politici che contano; di gestire, autonomamente, le proprie scelte e non già di subire i diktat delle scrivanie catanzaresi e cosentine.

Siamo certi che, prima o poi, la dirompente idea-progettuale proposta dal Comitato sarà oggetto d’agenda delle Amministrazioni locali. A tal riguardo, invitiamo a non commettere l’errore di scambiare la nostra sicurezza con arroganza intrisa a saccenza. Piuttosto, è frutto di consapevolezza per aver studiato, descritto e illustrato, un progetto rivoluzionario che avrebbe risvolti positivi non solo per lo Jonio, ma per la Calabria e il Mezzogiorno tutto. (Comitato Magna Graecia)

RILANCIARE I SITI INDUSTRIALI DISMESSI
LA CHIAVE DI SVOLTA PER L’ARCO JONICO

di DOMENICO MAZZA – Ciclicamente la Questione Meridionale torna alla ribalta. Oggi, poi, in piena stagione Pnrr, il tema acquisisce anche rinnovata valenza. Abbiamo un termine perentorio: fine ’26. Poco meno di due anni e mezzo per cercare di riequilibrare il Paese; rettificare le sperequazioni tra nord e sud e consentire a chi rimasto indietro di procedere alla stessa velocità di chi invece viaggia spedito.

Non basteranno piogge di finanziamenti, il più delle volte parcellizzati e dilapidati in mille rivoli, a consentire al Mezzogiorno di equipararsi al resto del Paese. Non sarà tanto la quantità di spesa investita al Sud Italia a fare la differenza, ma la capacità che questo spicchio di territorio avrà di attrarre finanziamenti invoglianti le imprese, italiane ed europee, ad investire in una terra, per certi versi, larva di sé stessa.

Commettere l’errore di pensare il Recovery Plan come una spesa risarcitoria ai torti subiti negli anni non renderà il Sud un posto migliore. Piuttosto, sarebbe opportuno approcciarsi attivamente all’idea di sovvenzioni finanziare atte a facilitare interventi pubblico-privati. Le richiamate sovvenzioni, invero, potrebbero riverberare benessere e stabilire un deterrente reale all’esodo incontrollabile che, altrimenti, nel giro di 30 anni, porterà il Mezzogiorno all’abbandono totale. Bisognerà studiare, quindi, condizioni che rendano conveniente, per i capitali privati, l’investimento nelle aree del sud, senza pensare ad incentivi distorsivi.

L’Arco Jonico ha un’opportunità unica: rilanciare i siti industriali dismessi. La loro rigenerazione e il rilancio funzionale rispetto la primaria fonte di sostentamento del territorio rappresentata dall’agricoltura, potrebbe essere la chiave di svolta per una rinnovata prospettiva del territorio. Sarà necessario svecchiare il processo di produzione agricola e modernizzarlo in ottica di produttività e filiera aziendale. Non basta raccogliere il prodotto al fine di inviarlo su altre piazze perché questo venga lavorato.

Andranno creati processi industriali puliti per riverberare lavoro, al fine di aumentarne significativamente l’offerta. Bisognerà avere il coraggio di fare qualcosa mai fatta prima per riscrivere la storia di un terriorio dalle innate potenzialità, ma spesso dimenticato. Solo così si potrà cambiare il paradigma che vuole uno dei territori più promettenti del Mezzogiorno avviato a processi di periferizzazione, causa decenni di politiche centraliste. I sistemi per invertire la tendenza ci sono, ma vanno saputi pianificare. Non saranno le piccole operazioni di restiling conservativo a declinare in maniera differente le sorti economiche di un territorio.

Sull’adriatica Pugliese, nella stesura del dedicato Cis (Contratto istituzionale di sviluppo), non hanno pensato a progetti di piccolo cabotaggio. Paesi, Città, Enti di secondo livello, Regione, hanno lavorato in sinergia mettendo a terra un progetto che riverserà circa 600 milioni tra gli ambienti rivieraschi delle Province di Lecce e Brindisi.

Si abbia il coraggio di mettere attorno ad un tavolo i Presidenti delle 5 Province che si affacciano sulla baia jonica. Si allarghi ai Sindaci dei Comuni demograficamente più rappresentativi, ai Presidenti delle regioni Puglia, Calabria e Basilicata e si lanci l’idea di un progetto unitario e coerente per tutto l’Arco Jonico calabro-appulo-lucano.

Porti, distretti agroalimentari, siti industriali (attivi e dismessi) possono realmente rappresentare il ragionevole tasso di interesse per creare un deterrente all’emorragia demografica in atto.

Solo ragionando per aree ad intessere comune, dando vita a reali processi di coesione territoriale, si potranno creare i presupposti per attrarre investimenti.

Contrariamente, il destino della Sibaritide, del Crotonese, così come di tutti gli altri ambienti che si affacciano sulla baia jonica, sarà quello di restare piccole aree dalle innate potenzialità, ma incapaci di offrire un futuro ai propri figli. (dm)

SULLA COSTA JONICA, LA SANITÀ IN AGONIA
REPARTI AL COLLASSO E MANCA PERSONALE

La sanità in Calabria è arrivata a un punto di non ritorno. La carenza di personale nelle strutture ospedaliere è elevatissima e i pochi operatori rimasti sono costretti a turni massacranti. Definire “sanità” il minimo servizio offerto nelle strutture pubbliche calabresi è ormai un eufemismo.

Mancata attuazione dell’ex “Piano Scura”

Sulla costa jonica, poi, la situazione è ulteriormente complicata dalla mancata attuazione del piano Scura, sacrificata per mero campanilismo e interessi politici. Nonostante il piano prevedesse una netta distinzione tra area medica (fredda) e chirurgico-interventistica (calda) nei due plessi dello Spoke di Corigliano-Rossano, oggi persiste una commistione di reparti ingiustificata. L’ultimo Documento di pianificazione sanitaria regionale (marzo 2024) ha previsto l’attivazione del punto nascita nel presidio di Cetraro, a seguito del trasferimento della terapia intensiva da Paola.

Ci chiediamo perché ciò che è stato applicato sul Tirreno non venga attuato anche alla struttura jonica, dove la divisione materno-infantile rimane nel presidio Compagna di Corigliano, nonostante la terapia intensiva si trovi invece nel Ginnettasio di Rossano.

Mancanza di reparti d’emodinamica e pneumologia

Il richiamato Documento di pianificazione sanitaria regionale ha previsto l’attivazione del reparto di emodinamica a Crotone e la predisposizione dello stesso reparto nello Spoke di Corigliano-Rossano. Ad oggi, però, lungo l’Arco Jonico calabrese non c’è traccia di questo reparto salvavita. Le prescrizioni prevedono l’allocazione di tale reparto in aree con almeno 300.000 abitanti, ma la prassi seguita è stata quella di sezionare la Calabria per ambiti orizzontali, ignorando le difficoltà geografiche e le affinità tra aree limitrofe. In questa logica, tutta l’ambito compreso tra la Valle del Trionto e quella del Neto resta fuori dalla “golden hour”. “L’ora salvavita” — lo ricordiamo — resta il periodo entro cui le persone colpite da patologie cardiache devono essere trattate in un punto ospedaliero dotato d’emodinamica.

Relativamante la pneumologia, gli spoke di Corigliano-Rossano e Crotone, risultano sprovvisti di tale reparto. Invero, a poco è valso aver ospitato, nonostante la mancanza di percorsi separati, reparti Covid durante il periodo pandemico. Le dinamiche centraliste, infatti, continuano imperterrite a marginalizzare dette strutture. Non c’è stata alcuna opposizione agli smantellamenti di reparti vitali per la sanità jonica, lasciando 400.000 abitanti senza assistenza adeguata per patologie respiratorie, in preoccupante aumento.

Nuovo Presidio ospedaliero della Sibaritide: Nessuna chiarezza sul suo futuro utilizzo

Fortunatamente, i lavori per il nuovo ospedale unico dello Jonio procedono, ma senza una visione chiara e coerente del suo utilizzo futuro. Invero, il nascente nosocomio appare sottodimensionato rispetto alla previsione dei Lea (livelli essenziali d’assistenza) regionali. L’ospedale, infatti, è stato pensato per un’utenza di circa 180.000 persone, con 373 posti letto. L’offerta sanitaria, quindi, inquadra 2 posti letto ogni 1.000 abitanti, mentre la pianificazione regionale prevede 3.15 posti letto ogni 1.000 abitanti. Si rischia seriamente di completare una struttura che, una volta ultimata, potrebbe rivelarsi una scatola vuota.

La vera battaglia politica e di dignità che la Classe Dirigente del territorio jonico dovrebbe intraprendere sarebbe quella di caratterizzare il nuovo presidio come ospedale Hub. I numeri demografici della Sibaritide e del Crotonese, infatti, consentirebbero piena attuazione all’ipotizzato disegno e, con ogni probabilità, si riuscirebbe ad intravedere uno spiraglio di luce all’orizzonte. (Comitato Magna Graecia)

PUNTARE SUL TURISMO DELL’ARCO JONICO
PER RILANCIARE IL “SISTEMA CALABRIA”

di DOMENICO MAZZA – Quando si pensa all’insieme di attività e servizi che si riferiscono al trasferimento temporaneo di persone dalle località di abituale residenza, così come ai centri maggiormente prediletti dalla partecipazione antropica, si immagina che l’appeal turistico ricada prevalentemente sulle piccole località.

Quanto detto, è particolarmente vero per il Mezzogiorno d’Italia. Nell’estremo sud peninsulare, infatti, le principali mete di destinazione turistica stagionale sono ridenti Comunità che ricadono nei contesti del Gargano, della Costiera Amalfitana e del Salento. In Calabria, invece, la mente viaggia immediatamente verso quelle mete che vedono in località come Tropea e Capo Vaticano le punte di diamante dell’offerta ricettiva regionale. Certamente, aver realizzato negli anni oculate campagne di marketing ed essere riusciti nell’intento di lanciare il brand Costa degli Dei come visione ampiamente territoriale e non già legata al singolo Comune, ha influito tantissimo nel plasmare una vera e propria destinazione. È vero, altresì, che le richiamate Località hanno caratterizzato tutta la loro economia sul turismo. A questo si aggiunga la vicinanza a nodi della mobilità intermodale (aeroporto e stazione di Lamezia) e il gioco è fatto.

Poi, però, bisogna fare i conti con quelli che sono i numeri e spesso la lora lettura ci restituisce dei dati che non riflettono quanto raffigurato dall’immaginazione. Basterebbe, infatti, controllare l’andamento dei flussi turistici in Calabria nell’ultimo decennio e si rileverebbero indici di particolare interesse e non del tutto tenuti in considerazione. Almeno, non in quella che avrebbe dovuto o meritato d’avere. Solo nell’ultimo biennio, al fianco di storiche località che godono di una eco turistica extraregionale (Pizzo, Praia, Tropea solo per citarne alcune) contesti come Corigliano-Rossano e Crotone, si piazzano fra le prime posizioni per numero di ospiti. Vieppiù, sommando alle due Città le presenze registrate nei dirimpettai comuni di Villapiana, Cassano-Sibari e Isola C.R., Cutro, ci troviamo innanzi al più imponente sistema turistico-ricettivo della Regione.

Nei richiamati comuni dell’Arco Jonico, invero, si sviluppano oltre 41mila posti letto complessivi. Quasi 7mila in più al confronto con la Costa degli Dei e circa il doppio rispetto la Riviera dei Cedri. Numeri che ci restituiscono un potenziale sistema turistico-ricettivo imponente, mastodontico, gigantesco. Tuttavia, sottovalutato. Finanche snobbato o, comunque, non adeguatamente valorizzato e messo in condizione di essere un reale motore economico. E che per caratteristiche di costa, assimilabili  quasi esclusivamente a riviera, potrebbe crescere ancora in maniera esponenziale.

Quanto descritto chiarisce due fondamenti.

Da un lato le notevoli presenze nei due principali centri urbani dell’Arco Jonico, configurano la Città pitagorica e quella sibarita come un unicum distinguendole dagli altri principali centri calabresi che neppure si avvicinano a numeri così importanti. Dall’altro che, iniziando ad investire concretamente in un sistema turistico integrato e identitario, tutta la linea di costa, compresa tra l’Area federiciana e Capo Rizzuto, potrebbe concorrere efficacemente a rilanciare l’intero sistema Calabria. Allargando, poi, il contesto a tutto il bacino del Golfo di Taranto, l’ambito assumerebbe le caratteristiche della principale piattaforma turistica rivierasca non già del Mezzogiorno, ma dell’intero Paese. E non esagero se azzardo a dire, finanche, d’Europa.

Bisognerebbe, quindi, puntare sul definitivo completamento ed efficientamento delle opere ferro-aero-stradali (aeroporti di Crotone e Taranto, ferrovia jonica con caratteristiche Avr, SS106). Così come al rilancio dell’attività diportistica interregionale fra i 24 approdi sparsi tra Le Castella e Santa Maria di Leuca.

Le nuove infrastrutture e la rigenerazione di quelle esistenti, dovrebbero essere i capisaldi da cui partire.

È il caso che la politica inizi ad interrogarsi seriamente su quanto sopra illustrato. Ed è ora che lo faccia favorendo progetti integrati anche fra realtà amministrativamente legate a concezioni stereotipate e superate dalla storia e dai fatti. Così da finalizzare una declinazione dell’ambito rinnovata e, straordinariamente, innovativa che possa riscrivere la storia del territorio. Un  concetto, quello delle affinità tra aree ad interesse comune, ancora troppo ancorato a sistemi di tipo centralista e con spiccate diseconomie sperequative tra una costa e l’altra.

Solo così l’Arco Jonico potrà candidarsi ad essere il reale fulcro degli equilibri mediterranei e il principale polo attrattivo per gli imponenti flussi turistici internazionali. Il brand Magna Graecia, può essere un richiamo di valenza mondiale; il più grande Mid (marcatore identitario) di tutto il Sud Italia. I territori coinvolti hanno il dovere di aprirsi ad una straordinaria visione che dall’estrema porzione di levante calabrese si allarghi al dirimpettaio ambito di ponente pugliese, passando per la lingua di costa lucana. La baia del golfo di Taranto, non è, semplicemente, il fulcro dello Jonio; è il baricentro del Mediterraneo.

Gli imprenditori l’hanno compreso da un pezzo. Ora, è tempo che lo capiscano le Classi Dirigenti. (dm)

LO SVILUPPO SOSTENIBILE IN CALABRIA
PASSA DALL’AGRICOLTURA E DAL TURISMO

di DOMENICO MAZZA – Anche quest’anno è stata celebrata la consegna dell’ambito riconoscimento della Bandiera Blu. La Calabria, condivisa la terza posizione insieme alla Campania, sale sul podio delle Regioni insignite del prestigioso riconoscimento. Nello specifico, l’Arco Jonico sibarita e crotoniate, in soli 200km di costa, conferma l’attivazione di ben 7 vessilli.

Un suffragio che palesa la qualità di buona parte delle spiagge del nord-est calabrese. Si pensi, un terzo delle Bandiere Blu assegnate alla Calabria (20 in totale) é localizzato in un quarto degli 800km di costa regionale. Un dato importante e da non sottovalutare. Vieppiù, la particolare condizione, si inquadra in un contesto territoriale che già oggi materializza la più grande offerta turistico-ricettiva della Regione e fra le più cospicue del Mezzogiorno d’Italia. Quanto detto amplifica le prospettive di crescita e le aspettative attese dall’area in questione sotto una nuova luce, aprendo ad una serie di opportunità.

Non è la prima volta che intervengo sull’argomento. Già negli anni precedenti ho avuto modo di esprimere la mia soddisfazione per i risultati annualmente conseguiti dalle Comunità calabresi. Lo scorso anno l’ingresso di Isola Capo Rizzuto e il reintegro di Rocca Imperiale fra le Località celebrate. Adesso, la conferma dei sette Comuni già promossi l’anno passato: Rocca Imperiale, Roseto, Trebisacce, Villapiana, Cirò Marina, Melissa e Isola Capo Rizzuto. Un risultato significativo che comprova il lavoro fatto dalle locali Amministrazioni comunali e che certifica l’indiscussa qualità territoriale dell’esterno levante calabrese.

Purtuttavia, manca ancora una visione d’insieme, più ampia e articolata. Latita una prospettiva, coerente e funzionale, che certifichi questo lembo di Calabria come uno dei principali poli attrattivi a livello turistico e implementi detto settore su standard elevati. Al contrario, continuiamo ad avviare sterili battaglie di campanile sul perché del riconoscimento ad una Comunità piuttosto che ad un’altra. Inoltre, disconosciamo che le spiagge celebrate rappresentano quasi il 50% del totale di costa compresa tra Capo Rizzuto e il confine lucano.

Senza l’adeguata consapevolezza, poi, ad una innata inclinazione turistica a cui l’ambito risulta naturalmente vocato, contrapponiamo scriteriate scelte relative a nuovi impianti di termovalorizzazione, rigassificazione e dissennate politiche di abbanco rifiuti e scorie industriali in area già all’uopo altamente sfruttate.

Dovremmo darci una regolata e capire verso quale direzione abbiamo intenzione di spingerci. Sarebbe opportuno comprendere che turismo e sfruttamento invasivo ed intensivo del territorio, raramente vanno a braccetto.

È giunto il momento per consapevolizzare che il rispetto dell’ambiente è alla base di un ecosistema sano. Con quanto su riportato non voglio asserire una mia contrarietà al settore industriale o più precisamente all’industria green. Piuttosto — ritengo — sarebbe opportuno comprendere che un ambito non può essere sottoposto a scelte politiche satrape e non rispettose delle sue attitudini vocazionali.

Tre sono i fondamenti che consentirebbero al nostro territorio di viaggiare spedito verso lo sviluppo sostenibile: agricoltura, turismo e rigenerazione industriale.

Il primo non potrà mai essere ritenuto settore realmente trainante se si persevererà in una gestione familistica e concentrata nelle mani di succinte oligarghie. Bisogna guardare al modello emiliano, dove le cooperative e la nascita dell’industria trasformativa collegata al settore primario hanno reso la richiamata Regione una delle più efficienti d’Europa.

Il turismo non può essere un mero pennacchio da esibire per promuovere i risultati di una Comunita a scapito di un’altra. Il turismo è sistema! E’ necessario avviare, quindi, processi politici volti alla creazione di consorzi delle Comunità rivierasche che si affacciano sul golfo di Taranto. Quanto detto, per rassettare la grande offerta ricettiva, diportistica e naturalistica creando una destinazione che rappresenti un brand di rilancio per tutta la porzione d’affaccio territoriale sulla baia jonica.

Rigenerare i siti industriali non significa togliere polvere dal pavimento per nasconderla sotto un tappeto. Le bonifiche, alludo alla situazione delle aree industriali dismesse a Crotone, ma anche alla condizione relativa all’ex stabilimento produttivo Enel a Corigliano-Rossano, non possono essere fatte sul suolo calabrese. Esistono aree specifiche e dedicate nel territorio nazionale, che si prestano allo scopo. La politica deve pretendere il trasferimento, da parte dei Players nazionali, dei rifiuti pericolosi in aree esterne al contesto regionale. Inoltre, qualora le modifiche recentemente attuate al Paur (Provvedimento autorizzatorio unico regionale) mettessero in discussione la destinazione extraregionale delle scorie provenienti dal sito Sin Crotone-Cassano-Cerchiara, la Regione dovrà correggere il tiro ritornando sui propri passi.

Non possiamo trasformare un’area che avrebbe tutte le carte in regola per candidarsi a diventare “Destinazione turistica” a ricettacolo di nuove ed ulteriori discariche pericolose. Tantomeno, possiamo immaginare di creare una insensata commistione tra i richiamati settori: non collimerebbero e porterebbero il territorio jonico ad un’implosione sociale. (dm)