ARCO JONICO, UN TERRITORIO IN CUI LE
PRIORITÀ SI AFFRONTANO AL CONTRARIO

di DOMENICO MAZZA – Oggi si parla tanto di AV, di nuove connessioni alle reti Ten-t Core, di intermodalità delle basi logistiche sullo scacchiere europeo e mediterraneo, di imprimere una forte velocizzazione al collegamento tra la Calabria (o almeno alcune parti di essa) e le principali aree di mobilità del Paese. Poco, se non per nulla, di contro, si discute della necessità di armonizzare le correlazioni fra le aree insite al contesto regionale.

Una visione più coerente delle dinamiche socio-economiche che potrebbero crearsi dalla interdipendenza strutturale tra ambiti affini e omogenei, andrebbe fatta. Almeno per rompere steccati ideologici, superati dalla storia e dai fatti, che vogliono gli abitanti di un determinato territorio conoscere a stento le contingenti problematiche dell’area in cui vivono.

Lungo l’Arco Jonico, poi, i richiamati steccati acquisiscono una valenza ancor più marcata. Non sarebbe azzardato, infatti, sostenere che, quasi a cadenza giornaliera, il brogliaccio delle inutilità acquisisce ulteriori capitoli che concorrono efficacemente alla stesura del libro dell’assurdo. Da un lato si trova il tempo per discutere di un quarto aeroporto, a fronte di una demografia regionale che non giustificherebbe neppure i tre attualmente presenti.

Dall’altro si tace riguardo al terzo restyling sulla tratta A2 Cosenza-Altilia o del raddoppio della Santomarco che porterà i tempi di percorrenza dal centro di Cosenza a Paola a circa 7 minuti, mentre nulla si dice del definanziamento delle opere complementari (sottopassi e cavalcavia) alla velocizzazione del binario jonico o dei paventati progetti di ammodernamento della Statale 106 finiti nel limbo del dimenticatoio.

Tanto nella Sibaritide quanto nel Crotonese, ormai, trionfano atteggiamenti compassati e remissivi. Gli unici momenti di passione politica, invero, si riducono a effimere attestazioni di fedeltà alle relative scuderie di appartenenza. Poco importa, poi, se quelle scuderie vengono cambiate e ricambiate alla velocità della luce. Del resto, ormai, i partiti si stanno trasformando sempre più in comitati elettorali che guardano con attenzione solo alle prossime campagne elettorali e poco si interessano della pianificazione politica o di fornire prospettive di crescita nelle aree in cui operano, ma tant’è.

Calabria: un sistema di collegamento tra aree inefficiente e inefficace

L’unica logica finora utilizzata nei processi di mobilità che hanno caratterizzato la Calabria ha risposto soltanto a deviate visioni centraliste che hanno favorito le comunicazioni tra determinati ambiti, condannandone all’isolamento altri. Tale dato, se raffrontato a quello di altre Regioni meridionali, dimostra una discrasia tra la punta dello stivale e altri Enti amministrativi. Nei casi campani e pugliesi, pur essendo maggiore (rispetto la Calabria) il distacco tra le aree componenti i relativi mosaici sistemici regionali, si riducono i tempi di tragitto tra un ambito e l’altro. In Calabria, invece, seppur in presenza di minori distanze tra contesti, si dilatano gli intervalli di percorrenza. Quanto esposto rende la nostra Regione un ecosistema di cloni ed accozzaglie in cui ogni territorio, talvolta senza neppure i minimi requisiti demografici per definirsi tale, vorrebbe ogni servizio sotto casa.

Ciò detto, a giustifica della difficoltà a spostarsi da un ambito all’altro e, soprattutto, considerata la mancata conoscenza capillare del territorio regionale nel suo insieme. Giocoforza, la sfida di propagare i rapporti di funzione geografica delle aree omogenee rivestirebbe un ruolo fondamentale per portare questa Regione ad essere competitiva sullo scacchiere nazionale, internazionale e, soprattutto, nei nuovi equilibri geo-politici mediterranei.

L’organizzazione dei servizi di mobilità per ambiti ottimali, omogenei e demograficamente rappresentativi

La concentrazione dei servizi e dei sistemi di mobilità sostenibile, quindi, andrebbe armonizzata in maniera tale che gli agglomerati demografici compresi tra i 350 ed i 450mila abitanti rappresentino i distretti di riferimento per il cittadino. Sanità, giustizia, mobilità, logistica, non possono continuare ad essere disposti in maniera spesso ripetitiva e duplicata in alcune aree e rappresentare invece chimere per altre. Tutto ciò, fra le tante, contribuisce anche a congestionare e ingessare detti servizi nelle capitali storiche del centralismo, non fornendo, neppure dove presenti, un sistema organizzato e rispondente alle esigenze della popolazione. Motivo per cui, tale impianto, risulta percepito come inefficiente, improduttivo, inutile e funzionale solo all’ingrassamento delle burocrazie malate e deviate che gozzovigliano come avvoltoi sulle spalle del Sistema Paese.

Va tenuta in debita considerazione, altresì, che la popolazione della Regione si attesta intorno a 1,8mln d’abitanti: una cifra ridicola se parametrata a quella di altre realtà, anche, contermini alla nostra. Quanto esposto non invoglia e non invoglierà mai i mercati a considerare la nostra terra come un buon investimento. Sommando, anche, la mancanza di una pianificazione industriale-aziendale e la costante emorragia demografica, la Regione appare sulla via della deriva.

La Calabria e i contesti regionali del Nord: l’inefficienza contro l’organizzazione

Le Regioni del Nord, negli anni, hanno costruito reti di interdipendenza tra le aree che le compongono. Nel caso del Veneto, l’Ente, ancor prima di porsi il problema della globalizzazione interregionale, si è mobilitato riguardo la necessità di armonizzare, senza duplicare, i servizi e le peculiarità in ambito regionale. L’area lagunare si è specializzata nei servizi turistici, mentre nel Trevigiano è stata favorita la piccola media impresa nel settore vitivinicolo.

A Padova, invece, si è sviluppato un distretto sanitario di qualità e l’ambito bellunese ha risposto con la creazione di un’offerta peculiare degli sport invernali. Ecco, quindi, una biogeocenosi che è riuscita a mettere in connessione tutte le aree regionali, in sussidiaria interdipendenza, attirando flussi anche da aree extraregionali e costruendo con le Regioni contermini politiche di sviluppo comuni.

In Calabria, invece, vige ancora un sistema semifeudale, demograficamente ridicolo, qualitativamente incomparabile ad altre Regioni e intriso di atteggiamenti anacronistici e di facciata. In questo sconquassato ambiente geo-politico, i termini utilizzati nella nomenclatura delle Aree appaiono totalmente inappropriati e ridicolmente ingigantiti. Utili, forse, a giustificare un’ostentata superiorità insita solo nelle piccole menti di chi la pensa.

È la correlazione e il bilanciamento tra aree a interesse comune che restituisce grandezza ad un sistema regionale, non il contrario.

Il ruolo della Politica e la necessità di svecchiare un sistema amministrativamente improduttivo

Il Governo dell’Ente calabrese dovrebbe interrogarsi su quali vantaggi abbia portato un apparato amministrativo interno caratterizzato da diffusi fenomeni centralisti e spicciati processi diseconomici tra aree della stessa Regione. Andrebbe posto rimedio a una condizione scriteriata che ha generato povertà nelle aree joniche, potenzialmente fra le più produttive dell’intero Mezzogiorno. Superare l’attuale paradigma degli Enti intermedi, impostato su visioni antiquate e inefficienti, riallacciando i rapporti economici con aree affini e contermini anche di altre Regioni, sarebbe il minimo sindacale da cui partire. Operazioni d’apertura e rottura degli steccati, artatamente costruiti dai dettami centralisti, aiuterebbe notevolmente la Calabria ad uscire dalla condizione di cenerentola che si è costruita negli anni.

Se si vorrà tamponare la dilagante forza centrifuga in atto dalla Regione e spiccatamente dai contesti jonici, sarà necessaria una forte presa di posizione e il coraggio di riformare un sistema inadeguato, malato, deviato e attento solo alla forma, pur nella consapevolezza di essere totalmente deficitario nella sostanza. (dm)

[Domenico Mazza è del Comitato Magna Graecia]

IL SUD UN FUTURO CE L’HA, MA BISOGNA
CREARE E GARANTIRE I DIRITTI ESSENZIALI

di PIETRO MASSIMO BUSETTAEsistono dei diritti costituzionalmente garantiti che però hanno realizzazione diversa nelle varie parti del Paese. In particolare il diritto al lavoro, a una buona formazione, alla salute, alla mobilità.     

Le 100.000 persone che ogni anno si trasferiscono dal Sud al Nord, con un costo per le regioni di provenienza di oltre 20 miliardi, considerato che portare una persona a livello di scuola media superiore costa già 200.000 €, e che la maggior parte di coloro che si trasferiscono hanno invece una laurea, rappresentano una sconfitta per il Paese. 

Tale costo, cosiddetto di “allevamento”, viene utilizzato dalle regioni di destinazioni, alcune volte dal Paesi esteri, ogni qual volta tale capitale umano non viene valorizzato nelle stesse realtà nelle quali si è formato. 

Ed è inutile strombazzare successi ed aumenti di occupazione senza tener conto dei dati macroeconomici che riguardano tutto il Mezzogiorno. Una realtà che, se fosse una nazione dell’Unione Europea a se stante, avrebbe nella graduatoria dei Paesi  europei una dimensione demografica che la posizionerebbe tra i primi  dieci. Prima di tanti Paesi importanti, come per esempio l’Olanda. E che con i suoi poco meno di venti milioni di abitanti ha un numero di occupati, compresi i sommersi, che si avvicina ai sei milioni e quattrocentomila. Lontano dal rapporto uno a due delle realtà a sviluppo compiuto.

E poiché è noto che il sommerso nella realtà poco sviluppate ha una dimensione più ampia di quanto non l’abbia nella realtà a sviluppo compiuto, per un effetto di smarcamento dovuto alla mancanza di lavoro, se le possibilità alternative non sono numerose o addirittura inesistenti c’è più facilità che chi ha bisogno di lavorare e non vuole spostarsi, accetti un lavoro a qualunque condizione. 

Peraltro, tale evidenza emerge chiaramente dal costo del lavoro più basso, pur in presenza di contratti di lavoro collettivi simili e in assenza di gabbie salariali. 

Fin quando tale gap di mancanza di posti di lavoro non sarà colmato sarà impossibile frenare quel flusso dovuto ad un modello di sviluppo che continua a creare posti di lavoro nelle realtà nelle quali il mercato è saturo e si manifestano tutte le difficoltà a trovare capitale umano formato. 

Ma le persone non si spostano soltanto alla ricerca di un’occupazione che consenta di immaginare un progetto di vita. E spesso non sono solo i giovani che si trasferiscono perché dietro loro alcune volte, sempre più spesso, le famiglie di origine sono tentate di  seguirli per fornire un aiuto nella tenuta dei figli, considerato che in genere nella coppia si cerca di lavorare entrambi, anche perché è l’unico modo per avere un reddito minimo di sussistenza. 

Peraltro l’altro diritto negato o meglio non garantito adeguatamente è quello alla salute. Per cui i cosiddetti viaggi della speranza continuano ad aumentare alimentando il sistema del Nord che ormai si è organizzato per supportare e supplire alle carenze del sistema sanitario meridionale, che malgrado i tanti interventi effettuati anche a livello centrale, vedasi il commissariamento della sanità calabrese, non riesce a fornire un livello di servizi adeguati ad un paese civile e in ogni caso paragonabili a quelli che si possono avere disponibili nelle aree settentrionali. 

E anche se non mancano eccellenze sanitarie riconosciute universalmente, il sistema complessivo denuncia carenze non più tollerabili, dovute ad una carenza di risorse che riguarda tutto il Paese, ma che si manifesta maggiormente nelle aree meridionali.  

Un altro diritto fondamentale negato è quello alla formazione. Le carenze che si registrano nei sistemi formativi meridionali hanno portato a tassi di dispersione scolastica non degni di un paese civile, soprattutto in alcune aree periferiche delle grandi città meridionali, che arrivano ad avere percentuali vicine al 30%. 

Il danno della perdita di questi ragazzi, che spesso non completano nemmeno le scuole elementari è inestimabile. 

Infatti un primo elemento riguarda la perdita di un capitale umano che potrebbe, se ben formato, fornire anche eccellenze importanti che in questo modo vanno sprecate. Un secondo aspetto da non trascurare è l’incidenza che una base elettorale non adeguatamente acculturata può rappresentare nella scelta della classe dirigente che viene eletta. Tali gruppi non adeguatamente formati rappresentano un pericolo per la democrazia, perché facilmente possono essere manipolati ed indirizzati, vista la loro mancanza di consapevolezza civica. 

La mancanza di tempo pieno a scuola, poi diventa un ulteriore elemento che porta a livelli di istruzione non competitivi. 

Un ultimo diritto inalienabile e che è alla base di ogni sviluppo economico e quello alla mobilità. Diritto negato come si vede dai tentativi goffi di superarli con treni della speranza e delle feste, organizzati nei periodi natalizi o con sconti sulle tratte aeree per raggiungere le parti più isolate dello stivale e delle Isole. 

Purtroppo l’inesistenza della concorrenza tra aereo e ferrovia in alcune zone porta ad un incremento di costi delle tratte insopportabile, che diventa molto più evidente nei periodi in cui il ritorno a casa di molti emigranti porta le compagnie aeree a seguire la legge della domanda dell’offerta, che fa incrementare il costo del volo. 

L’insieme di questa mancanza di diritti porta la gente a pensare che le realtà meridionali siano senza futuro e che il detto per cui per poter avere successo nella vita bisogna andarsene trova una conferma nel diverso approccio e comportamento delle istituzioni nei confronti del Sud.

Tale convinzione diventa ulteriore elemento di impoverimento perché se ormai in tanti cominciano a non credere che esista un futuro nelle realtà di origine, la conseguenza non potrà che essere lo spopolamento e la desertificazione.

Cambiare tale convinzione e proporre un paradigma diverso necessita  di molte conferme che ancora la gente non vede. 

Ma tale cambiamento è indispensabile non soltanto per le aree meridionali ma per tutto il Paese, che ha bisogno di mettere a regime una realtà periferica, che necessita di una seconda locomotiva, che faccia aumentare i tassi di sviluppo insufficienti per assicurare quel welfare al  quale siamo abituati o in alcuni casi che si desidera, e infine anche che eviti l’affollamento di alcune aree che non può portare tanto danno come si vede. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

CONTRO L’EMIGRAZIONE GIOVANILE SI DEVE
PUNTARE A COLMARE IL DIVARIO NORD-SUD

di PIETRO MASSIMO BUSETTAVale 134 miliardi il capitale umano uscito con i giovani italiani emigrati: dalla Lombardia 23 miliardi, dalla Sicilia 15 e dal Veneto 12, e la quota dei laureati che vanno via diventa sempre più consistente. Così in una nota, firmata Lorenzo Di Lenna, ricercatore junior e Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est, viene calcolato il costo del deflusso di giovani dal nostro Paese.

Nei tredici anni 2011-23 il valore del capitale umano che se ne è andato dall’Italia, e riguardante i giovani 18-34 emigrati, è pari a 133,9 miliardi, con la Lombardia a primeggiare per perdita (22,8 miliardi), seguita dalla Sicilia (14,5), dal Veneto (12,5) e dalla Campania (11,7). 

In realtà il dato assoluto in questo caso non ha alcun senso. Se invece esso viene rapportato alla popolazione residente in ciascuna regione ci si accorge facilmente che la classifica è diversa e vede il valore dei giovani meridionali che abbandonano quello più elevato. E questo calcolo riguarda soltanto il movimento rispetto ai trasferimenti in altre nazioni d’Europa e del mondo. Non tiene conto invece dei trasferimenti all’interno del nostro stesso Paese. Possiamo aggiungere allora che ogni anno le regioni del Sud “regalano” a quelle del Nord una cifra vicina ai 20 miliardi di euro, considerato che ogni ragazzo che viene formato fino alla scuola media superiore ha un costo che viene calcolato in circa 200.000 € e che ogni anno si trasferiscono dal Mezzogiorno verso il Nord del Paese 100.000 giovani, la maggior parte dei quali sono laureati e che quindi hanno un costo maggiore dei 200.000 € che sono stati riportati prima. 

Lanciare un grido d’allarme per evidenziare che il nostro non è un Paese attrattivo è corretto. Spesso le remunerazioni sono molto basse, vedasi cosa accade con i medici, che trovano convenienti le condizioni complessive offerte altrove. I diritti a cui si può accedere sono più ampi all’estero, si pensi al welfare di cui godono le giovani mamme o spesso ad una sanità che da noi non è all’altezza delle aspettative, soprattutto nel Mezzogiorno.

Insomma non solo un lavoro meglio retribuito, ma anche un welfare più consistente sono le motivazioni alla base della scelta di chi preferisce abbandonare l’Italia e trova conveniente spostarsi. Ma una distinzione tra coloro che abbandonano il Mezzogiorno e quelli che abbandonano il Centro Nord va fatta.

Infatti non si tratta dello stesso tipo di trasferimento. Nel Nord si assiste ad un processo, che peraltro può essere anche virtuoso, perché consente ai giovani italiani di acquisire skill che magari in Italia avrebbero più difficoltà a conseguire. 

Si chiama mobilità ed è un processo in genere bidirezionale, da un paese all’altro, ed arricchisce entrambi i territori. Il giovane inglese viene a lavorare in Italia e il suo collega italiano va a Londra. Nel loro percorso di vita ci potrà essere un ritorno nelle loro aree di origine, perché non sarà difficile per l’ingegnere che si è specializzato in un’azienda londinese trovare la possibilità di essere accolto in una altrettanto bell’azienda brianzola, nella quale potrà continuare il lavoro che svolgeva nella prima. 

Caratteristiche diverse ha l’abbandono dei territori meridionali: in tal caso si parla di emigrazione, che è quel fenomeno che riguarda i paesi poveri, che li depaupera delle migliori energie, che non hanno alcuna possibilità di trovare collocazione nel sistema imprenditoriale esistente. 

In quel caso si tratta di una perdita netta perché senza ritorno: essendovi un sistema manifatturiero imprenditoriale molto carente, le professionalità che vanno via difficilmente potranno trovare collocazione in un eventuale loro, desiderato, ritorno, che avverrà probabilmente soltanto nella fase della pensione.

Per cui il danno sarà doppio: la prima volta lo si avrà quando si perde il costo della formazione sostenuto dalla Comunità di appartenenza, la seconda volta al loro ritorno nelle terre di origine, perché queste dovranno farsi carico di fornire le prestazioni sanitarie, che, come è noto, sono molto più frequenti quando si raggiunge una certa età. 

Peraltro il Nord del Paese, in ogni caso si rifà di eventuali perdite di capitale umano formato attraendo i giovani meridionali, spesso con operazioni di comunicazione scientifiche e programmate. Il Sud invece ha performance simili a quelle dei Paesi in via di sviluppo, come Tunisia, Marocco, Libia.

La differenza è che dal Nord Africa o dall’Africa Centrale arrivano con i barconi, dal Sud basta un volo low cost, ma il depauperamento è uguale.    

Certo consentire un tipo di abbandono come quello di cui si è parlato senza che lo Stato di appartenenza possa rifarsi perlomeno in parte dei costi sostenuti per “l’allevamento“ di tali giovani è un percorso che va rivisto. Anche se in una libera Europa, dove merci e persone possono muoversi liberamente, pensare a rimborsi dovuti allo Stato da chi lascia la propria nazione è assolutamente inimmaginabile, come lo è però la cannibalizzazione che viene fatta nei confronti di alcuni paesi, tipo per esempio la Croazia. 

I meccanismi seri che possono alla base evitare tali processi che impoveriscono alcune aree riguardano soltanto lo sviluppo di esse, le eliminazioni dei divari, che poi è quello su cui l’Europa sta cercando di lavorare più alacremente. Ma è anche il percorso più difficile. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’altravoce dell’Italia]

Bevacqua (PD): Servono interventi immediati per garantire diritto a mobilità

Mimmo Bevacqua, capogruppo del PD in Consiglio regionale, ha chiesto alla Regione «interventi immediati e una programmazione strutturale per quel che attiene mobilità e trasporti».

«Fino ad oggi – ha rilevato – è stata totale l’assenza di interesse da parte del Governatore della Calabria, sempre pronto ad esternare annunci e novità soprattutto a mezzo social, rispetto al bisogno di assicurare non solo ai calabresi ma anche per quanti guardano al nostro mare, alle nostre montagne, alle nostre straordinarie bellezze con interesse ed ammirazione, la concreta possibilità di spostamento tra gli affascinanti borghi e paesaggi del nostro territorio. E in particolare per quel che riguarda le aree interne».

«Fino ad oggi – ha aggiunto il dem – non abbiamo potuto registrare un nuovo atto di programmazione, una risorsa aggiuntiva sull’attuazione dei servizi o una nuova proposta finalizzata ad assicurare ai calabresi il diritto alla mobilità sancito dalla Costituzione. Anzi abbiamo assistito a un atteggiamento quasi rassegnato anche rispetto alle scelte del governo nazionale come nel caso della realizzazione dell’AV con tracciato interno Praia-Tarsia-Cosenza limitandosi a svolgere un ruolo quasi notarile, che oggi vede la nostra regione tagliata da ogni ipotesi di finanziamento fino ad almeno il 2030. Anzi per rispettare i desiderata della Lega e il patto di potere che lega i partiti di governo, si è supinamente dato il proprio assenso alla realizzazione di un Ponte che finirà soltanto per sottrarre ingenti risorse alla mobilità ed allo sviluppo della Calabria. Anche la mobilità urbana ed extraurbana del territorio è fuori dall’agenda di governo».

«Solo per limitare l’analisi alla mia provincia non può consolare – ha proseguito Bevacqua – la recente notizia della concessione di 100 mila vett*km autorizzati alla Città di Corigliano Rossano, considerato che, a distanza di quasi nove anni dall’approvazione della riforma introdotta dalla L.R. 35/2015, in cinque anni di governo del Centrodestra, non si è ancora giunti all’approvazione del livello dei servizi minimi, all’applicazione dei costi standard e alle procedure di gare per l’affidamento dei servizi di TPL. Se quel percorso istituzionale non si fosse interrotto, la Città di Corigliano Rossano avrebbe potuto disporre non di 580 mila vett*Km, ma di ben 880.314 vett*km così come la Città di Cosenza (conurbata con Rende e Castrolibero) di ben 2.256.318 vett*Km, con grande sollievo in termini di risorse per l’azienda municipalizzata Amaco e di servizi per la comunità locale».

«Non c’è più tempo da perdere –  ha ribadito Bevacqua – occorre adottare un nuovo approccio metodologico attraverso il quale un’efficace ed obiettiva programmazione possa consentire di soddisfare i bisogni e le aspettative della comunità. Un approccio in grado di progettare un sistema di trasporto nuovo, semplice, efficace ed integrato, capace di promuovere una Calabria efficiente ed accogliente, idonea a sostenere la sfida della modernità e dello sviluppo”.

Il capogruppo del Pd ha annunciato, inoltre, per la fine del mese di ottobre, un convegno specifico sul tema al quale il gruppo consiliare lavorerà di concerto con il partito regionale per formulare una proposta scevra da strumentalità, ma indispensabile per garantire ai calabresi il diritto alla mobilità. (rcz)

MOBILITÀ IN CALABRIA, UN PROBLEMA A CUI
SERVONO STRUMENTI E UNA SERIA POLITICA

di GIOVANNI MACCARRONE – Negli ultimi tempi la discussione sul ponte di Messina ha accesso nuovamente il dibattito sulle politiche di mobilità e trasporti nel Meridione.

La letteratura in questo senso si è di recente arricchita di scuole di pensiero e di diverse teorie sulla possibilità di rendere più sostenibile la mobilità all’interno delle nostre città o tra città appartenenti alla nostra regione.

Ogni mattina, gran parte delle persone esce di casa per dirigersi in qualche posto.

Pensiamo ai lavoratori che si recano al proprio posto di lavoro oppure agli studenti che vanno a scuola per svolgere le attività didattiche. È emerso che i mezzi pubblici sono utilizzati assai di rado, mentre l’auto o lo scooter privato risultano essere i mezzi di trasporto più scelti in Calabria.

A Catanzaro, in particolare, ci si sposta quasi sempre con veicoli a motore anche se il luogo di lavoro o la scuola sono abbastanza vicine alla propria abitazione. In Calabria, quindi, si registra una percentuale bassissima dell’uso dei mezzi pubblici e una percentuale altissima dell’uso dei veicoli a motore.

Questi spostamenti – che nel tempo si sono intensificati ed evoluti nelle forme e nei modi – avvengono per la maggior parte in città, o tra città della nostra regione.

Inoltre riguardano anche gli spostamenti dalla propria regione per comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza e motivi di salute.

Per questo quella della mobilità è una delle sfide più impegnative e determinanti per la nostra regione, non solo in una prospettiva di sostenibilità ambientale, ma anche economica e sociale.

Pensate ai pericoli sulla strada e alle spese extra che tutte le famiglie devono affrontare/sopportare tutti i giorni.

Pur comprendendo la consistenza e complessità del problema e dopo diverse sollecitazioni informali, la mancanza di risposte, a circa 50 anni di distanza alla richiesta dei cittadini calabresi di attivare un confronto tra le parti sociali per rendere più efficiente la mobilità urbane ed extraurbana in Calabria, appare essere del tutto sorprendente.

La totale indifferenza e la completa sottovalutazione della problematica da parte dei diversi protagonisti sociali, politici, istituzionali ci lascia francamente sgomenti.

Non si può più aspettare, né tantomeno tergiversare. Devono immediatamente essere messi in atto strumenti e politiche per rendere più vivibili ed efficienti i servizi.

Ciò significa anche “produttivizzare” il territorio in senso logistico per promuovere un aumento dell’occupazione e delle esportazioni.

Queste ultime ricoprono un ruolo fondamentale per la ripresa dell’economia calabrese.

Non è dubbio, infatti, che investire nelle autostrade, nell’alta velocità, nei collegamenti tra l’aeroporto di Lamezia e il resto del territorio e nei porti significa sfruttare meglio la posizione poco privilegiata della nostra terra.

Soprattutto, permette di condividere servizi logistici fra le imprese presenti sul territorio e quelle che si trovano altrove, attraendo nuovi investimenti e traffici internazionali.

Attualmente, invece, i binari ferroviari sono pochi, l’Alta Velocità arriva fino alla Regione Campania, tram e metropolitane sono praticamente inesistenti e il grado di soddisfazione per bus e pullman è nettamente più basso rispetto alle altre aree del Paese.

Inoltre, l’autostrada che collega Salerno a Reggio Calabria passando per Cosenza Vibo Valentia (Autostrada A2, detta anche autostrada del Mediterraneo oppure Salerno – Reggio Calabria), a parte i crolli, presenta strade impervie e dall’asfalto non perfetto.

È sempre piena di cantieri, deviazioni, buche e rattoppi o a lunghi tratti a doppio senso di marcia. Pur essendo a doppia corsia per senso di marcia, per lunghi tratti di strada si presenta perennemente ad una sola corsia.

L’A3 passa da Lauria e Lagonegro, dove ogni anno, d’inverno, si moltiplicano i disagi provocati dal freddo e dalla neve. Il progetto originario dell’autostrada, realizzato nel 1961, prevedeva un tracciato litoraneo, lungo la costa del basso Tirreno.

Invece, alla fine si è preferito farla passare dalla Valle del Crati e da Cosenza, vale a dire dalla catena montuosa della Sila, con tutte le conseguenze che abbiamo sopra evidenziato.

Potrebbe essere utile ai cittadini e agli operatori economici, quindi, una rivisitazione sostanziale della rete autostradale finora utilizzata in modo da evitare tutti i disagi che sono costretti ad affrontare tutte le volte che viaggiano in direzione Salerno oppure verso Reggio Calabria.

Così come sarebbe altrettanto utile prevedere la realizzazione di reti di trasporto metropolitano leggero tra l’aeroporto internazionale di Lamezia Terme e l’autostrada e tra questo aeroporto e Catanzaro.

Come giustamente è stato osservato «Solo trenta km dividono Lamezia da Catanzaro: un piccolo spazio da superare che, tuttavia, pesa enormemente nella dinamica complessiva. Una città Capoluogo di regione, collegata malamente alle strutture di trasporto regionale e internazionale, aeroporto e autostrada, senza stazione ferroviaria adeguata a Germaneto. Scarsi e inefficaci i collegamenti ferroviari».

Insomma, quasi certamente è un vero e proprio disastro

E non parliamo della situazione relativa alla tratta Catanzaro lido – Crotone – Sibari.

Binario unico, poche corse, treni fatiscenti e vetusti e in più spesso la sorpresa di apprendere durante il viaggio dal capotreno che il treno proveniente da Lamezia verso Catanzaro Lido non troverà alcuna coincidenza per Crotone.

Un complimento è dire che è roba da “Far West”, seppure comico. In realtà sembra di respirare, nel 2024, sempre più un’aria da Terzo mondo.

Non dimentichiamoci, poi, l’Alta Velocità programmata da Rfi (Rete Ferroviaria Italiana).

Sappiamo che essa si ferma a Napoli, per poi procedere lentamente, con passo da lumaca, a tentoni, nel resto del Mezzogiorno. In altri termini, per arrivare in treno a Reggio di Calabria Centrale da Napoli Centrale bisogna affrontare mediamente circa 5h e 24 minuti, quando per la tratta Milano – Roma si impiegano soltanto 3h e 10 minuti.

Servirebbe, quindi, un urgente confronto tra Governo, enti, istituzioni regionali, imprenditori interessati e opinione pubblica per trovare soluzioni legate alle innovazioni infrastrutturali, tecnologiche e organizzative necessarie.

Solo garantendo una maggiore organizzazione delle azioni di tutti gli attori interessati in un sistema logistico, è possibile favorire uno sviluppo compatibile a livello settoriale e territoriale, che sia in grado di conferire efficienza e competitività territoriale delle regioni del Mezzogiorno, di ottimizzare la mobilità urbana ed extraurbane e, soprattutto, di migliorare la vita dei cittadini. (gma)

INFRASTRUTTURE, SUPERARE LE CRITICITÀ
CHE RENDONO “IMMOBILE” LA CALABRIA

di ANTONIETTA MARIA STRATI – Con l’arrivo del decimo nuovo treno ibrido in Calabria, da parte di Trenitalia, è davvero un «addio alle vecchie littorine», come dice il presidente della Regione, Roberto Occhiuto?

La domanda sorge spontanea, considerando l’ormai nota condizione in cui versa la rete ferroviaria nella nostra regione, dove sembrano esserci due velocità, piuttosto che una. Se, infatti, da una parte – in quella Tirrenica, vengono utilizzati treni ad alta velocità (Italo e Frecciarossa) che permettono di collegare Reggio-Roma in tempi più ridotti, dall’altra c’è l’Arco Jonico che, invece, continua ad avere un tracciato vecchio, che deve essere elettrificato e ammodernato.

Recentemente, infatti, il Gruppo FS ha individuato la migliore impresa per la gara Pnrr per l’elettrificazione della Tratta Sibari-Crotone. L’intervento, come spiegato da una nota del Gruppo Fs «consiste nella realizzazione di circa 112 km di elettrificazione della tratta Sibari-Crotone, mediante la realizzazione di 8 sottostazioni elettriche e la posa del sistema per la trazione elettrica ferroviaria».

«L’appalto, del valore di circa 37,5 milioni di euro finanziati in parte con fondi Pnrr – si legge ancora – conclude le procedure per dare avvio alla fase esecutiva del progetto di potenziamento del collegamento Lamezia Terme – Catanzaro Lido – Dorsale Jonica, intervento da 438 milioni di euro complessivi approvato dal Commissario Straordinario di Governo con Ordinanza n.4 del 25/09/2023».

Un importante risultato per l’Arco Jonico, spesso messo da parte nelle “questioni” importanti della Regione, come spesso è stato denunciato dal Comitato Magna Graecia o dall’Organizzazione Basta Vittime sulla Strada Statale 106.

Proprio il sodalizio, per il 19 aprile, ha organizzato un convegno pubblico per parlare del futuro della mobilità lungo l’asse Sibari-Crotone.

«Gli investimenti lungo l’area jonica – dicono in una nota – promossi dal Governo centrale con la collaborazione del Governo regionale, prevedono interventi sia sulla dorsale ferro-stradale che sulla implementazione dell’attività volativa e delle attività portuali di Crotone e Corigliano-Rossano. Il dibattito si pone l’obiettivo di stabilire quanto i richiamati investimenti siano coerenti con le complessità dei processi d’ammodernamento delle infrastrutture. Ancora, se risultino fedeli alle vocazioni e ai bisogni di un territorio dalle innate potenzialità, ma spesso dimenticato: l’ambito crotoniate e sibarita».

D’altronde, non è una novità che la Calabria sia indietro rispetto alle altre regioni sul tema delle infrastrutture che, come ribadito dal presidente di Unioncamere Calabria, Ninni Tramontana, nel presentare nei giorni scorsi il Libro Bianco regionale delle priorità infrastrutturali del sistema imprenditoriale della Calabria – Edizione 2023, «rappresentano indubbiamente  una  leva strategica a supporto dello sviluppo economico dell’intera regione».

Lo studio – ha spiegato Tramontana – «ha previsto il monitoraggio dello stato di avanzamento dei 12 interventi  prioritari definiti nell’edizione del 2022, rilevandone le criticità di realizzazione su almeno 5 interventi, nonché un  focus sulle opere ritenute più urgenti, “indifferibili”, in funzione di un’accelerazione delle dinamiche di crescita  economica, sociale e turistica. Si tratta nello specifico del potenziamento del porto di Gioia Tauro, dello sviluppo  della portualità turistica e commerciale nel suo complesso, del miglioramento dell’accessibilità del sistema  aeroportuale regionale, dell’estensione dell’alta velocità fino a Reggio Calabria, dell’ammodernamento della Strada Statale 106 e dell’adeguamento della linea ferroviaria ionica, con interventi di velocizzazione ed elettrificazione».

L’obiettivo, unanime, dunque, è quello di «recuperare un gap importante», come sottolineato dall’assessore regionale ai Trasporti, Emma Staine, ricordando i 3 miliardi stanziati nella Legge di Bilancio 2023 da destinare alla Statale 106 Jonica.

«La Calabria può recuperare il ritardo di sviluppo accumulato nei decenni –ha detto Rosanna Guzzo, di Uniontrasporti – anche attrezzandosi con un sistema dei trasporti al passo con le sfide globali che gli faccia superare la  marginalità fisica rispetto al Paese e sfruttare la posizione centrale nel Mediterraneo. Le analisi messe in campo  da Uniontrasporti con l’aggiornamento dei KPI descrivono un territorio che ha ampi margini di miglioramento sul  fronte della logistica e delle ferrovie, ma anche del digitale. Performance buone si registrano, invece, dal punto di  vista della portualità, con un indicatore superiore alla media nazionale del 55%, e dell’energia, con Crotone  ottava provincia in Italia, per l’utilizzo dell’energia che ha a disposizione, tenendo conto soprattutto delle fonti  rinnovabili. Le opere richieste a gran voce dagli imprenditori calabresi servono loro proprio per ampliare i mercati  di riferimento, per migliorare la mobilità interna e rendere la rete dei trasporti regionale più sostenibile, sicura ed  efficace».

Ma non è solo il problema ferroviario a preoccupare: dai dati emersi dall’indagine di Uniontrasporti, infatti, «le imprese della manifattura e quelle dei trasporti e della logistica operative in Calabria ravvisano un’incidenza media dei costi  della logistica pari a circa il 22% del totale del fatturato aziendale, a fronte di una media nazionale stimata che si  aggira sull’8%. Tale dato, sostanzialmente omogeneo nell’ambito di tutti i territori della regione (oscilla tra il  16% per Crotone e Vibo Valentia, e il 26% per Catanzaro), è ben più marcato presso gli operatori dei trasporti  (raggiunge il 46%). In generale, i costi della logistica nel 2022 sono risultati in netto aumento su base tendenziale  (confronto con il 2021), è così per oltre il 73% delle imprese della Calabria che nello specifico hanno riscontrato  un incremento medio dei costi pari al +26% rispetto all’anno precedente».  

Dallo studio predisposto dal Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università della Calabria, sono poi emerse importanti criticità in termini di accessibilità ai tre aeroporti calabresi, sia su mezzo di trasporto privato che tramite Tpl  su gomma e su ferro, prevalentemente dovute a carenze infrastrutturali, alla mancanza di integrazione modale e  tariffaria e alla quasi totale assenza di adeguati sistemi di informazione all’utenza. Per contro, emerge un forte  potenziale di tutti e tre gli aeroporti della regione supportato dalla vocazione turistica del territorio calabrese che potrà essere sviluppato valorizzando il patrimonio storico, culturale, naturalistico ed enogastronomico della  Calabria e adeguando le strutture ricettive e le infrastrutture aeroportuali a servizio dei passeggeri in arrivo sugli  scali calabresi. 

Criticità che devono essere in qualche modo sistemate, soprattutto se le infrastrutture dovranno essere funzionali assieme al Ponte sullo Stretto che, come ha scritto qualche giorno fa Pietro Massimo Busetta «dovrebbe consentire finalmente quella mobilità che finora le regioni meridionali da Napoli in giù non hanno avuto, possibilità di riuscire a rimanere nella propria terra e non essere obbligati ad emigrare, opportunità per coloro che vivono nella area metropolitana di Reggio Calabria, Villa San Giovanni, Messina».

Una mobilità che, tuttavia, non potrà mai essere totale, se non si attua un vero e proprio piano di riqualificazione e di ammodernamento delle infrastrutture della Calabria. E non bastano l’arrivo di 10 nuovi treni ibridi – che poi diventeranno 27 in totale – a segnare la vera svolta della Regione.

Come detto dall’ing. Roberto Di Maria, «occorre, in sintesi, smetterla di pensare alla Calabria come ad una pittoresca e remota appendice dello stivale, buona solo per le vacanze e basta, e cominciare a considerarla il centro di un sistema logistico vitale per l’intera Europa». (ams)

TRASPORTO FERROVIARIO: IL SUD MERITA
IL SUO RISCATTO E LA GIUSTA ATTENZIONE

di ERCOLE INCALZA – Negli ultimi quarant’anni, non ce ne siamo forse ancora accorti, ma abbiamo assistito ad una vera rivoluzione nel sistema dei trasporti ferroviari ed è sbagliato, a mio avviso, parlare solo di “alta velocità ferroviaria” perché in quarant’anni è cambiato il nostro approccio e la nostra fruizione di ciò che genericamente chiamiamo “ferrovie”, “treni”, “stazioni”, “scali merce”.

Questi riferimenti, in realtà, vivevano essenzialmente nei limitati periodi, o meglio nei limitati momenti in cui ricorrevamo all’uso di un treno, in realtà in cui ricorrevamo ad un treno per raggiungere un’altra località vicina o lontana. La ferrovia soddisfaceva una nostra esigenza di mobilità ed in questo, ripeto sempre, forse il pendolarismo rappresentava una diversità perché aggregava più persone in determinate fasi della giornata ed era anche una delle occasioni più socializzanti della offerta ferroviaria.

Altra ignoranza diffusa era quella legata all’utilizzo della rete ferroviaria per la movimentazione delle merci, esistevano gli “scali” ed erano ubicati nelle vicinanze delle stazioni, anche all’interno di grandi nodi ferroviari. Si chiamavano centri intermodali perché le merci arrivavano con dei TIR in queste limitate aree ed in tali siti avveniva il cambiamento della modalità di trasporto; tra l’altro fino agli anni ’80 era molto frequente imbattersi su strada in un trasporto eccezionale di carri ferroviari che potevano essere trasferiti fino alla destinazione richiesta dal cliente per la movimentazione di ogni tipologia di merci. Nel tempo questo servizio è stato sostituito dall’utilizzo dei container, che consentono il trasferimento del solo cassone che può essere movimentato su ogni tipologia di vettore, nave, treno, camion.

Ebbene, 16.000 chilometri di reti di proprietà delle Ferrovie dello Stato e circa 3.000 chilometri di reti ferroviarie secondarie per quasi il 70% gestite da soggetti privati o da Amministrazioni locali, senza dubbio, rappresentano una griglia portante essenziale, e direi obbligata, per chi si muove all’interno del Paese, all’interno dell’Europa; i vari movimenti però inizialmente erano legati ad una frequenza così limitata da portare i vari utenti, nella maggior parte dei casi, a ricorrere al mezzo privato su strada.

A tale proposito sono solito ripetere sempre un esempio: da Roma a Napoli, fino al 2004, cioè fino all’avvio del collegamento ferroviario ad alta velocità, il tempo del collegamento era di circa due ore e dieci minuti ed il numero di corse, anche nelle ore di punta, si attestava su un numero non superiore a due ogni due – tre ore ed in tal modo la distanza reale, in termini temporali, tra Roma e Napoli superava le quattro – cinque ore e quindi chi da Roma decideva di andare a Napoli doveva mettere in conto sia il tempo reale del collegamento e l’arco temporale in cui non era disponibile la offerta ferroviaria e questo portava automaticamente al ricorso dell’auto privata.

Gli scali ferroviari erano ubicati nelle prossimità delle stazioni e questa collocazione era difficilmente accessibile: l’attraversamento dell’ambito urbano, in molti casi metropolitano, oltre a creare rilevanti problemi nel consumo di carburante generava seri problemi di inquinamento.

Poi all’inizio dei quaranta anni siamo entrati, praticamente dal 1984 al 2004, in una fase che ha praticamente rivoluzionato quello che per quasi un secolo era stata la ferrovia.

Insisto non è stata solo l’alta velocità ma: La frequenza dei treni, la scoperta del ruolo e della funzione delle “grandi stazioni”, l’ubicazione strategica dei centri per la movimentazione delle merci: gli interporti, la rivoluzione tipologica e tecnologica dei treni, l’avanzata digitalizzazione dei servizi offerti, il rapporto con gli Enti locali nella gestione della mobilità soprattutto nelle grandi aree urbane (esperienza Metrebus a Roma), il collegamento con i nodi logistici chiave per la crescita economica del Paese (porti ed interporti), il rafforzamento della dimensione internazionale attraverso l’avvio alla realizzazione dei valichi ferroviari come l’asse Torino – Leone, come il Terzo Valico dei Giovi, come il San Gottardo, come il Brennero, la grande attenzione per il rispetto dell’ambiente, realizzando, prima ancora delle grandi aziende nazionali ed internazionali, un’ecobilancio della propria offerta trasportistica, una grande attenzione all’abbattimento delle barriere architettoniche.

In questi quaranta anni, senza dubbio, i meriti sono sia di coloro che si sono alternati nella gestione del Dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti e, in modo particolare, di coloro che erano all’interno delle Ferrovie dello Stato prima del cambiamento, sì ai dirigenti della vecchia Azienda che non ostacolarono l’azione riformatrice e collaborarono nella trasformazione di un’Azienda di stato in un Ente pubblico economico prima e in una Società per Azioni dopo.

Unico punto critico, in questo processo che continuo a definire “rivoluzionario”, è stata la sottovalutazione dell’esigenze infrastrutturali e gestionali del Mezzogiorno; in modo particolare solo nell’ultimo anno è ripartita l’azione organica mirata alla realizzazione di reti essenziali; una riattivazione di azioni dopo dieci anni in cui unica opera è stata la realizzazione del collegamento Napoli – Bari. Questo preoccupa perché denuncia i comportamenti dello Stato nella attuazione di ciò che chiamiamo Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP), si di quei livelli che dovrebbero essere garantiti nella attuazione delle “Autonomie differenziate” e che, almeno per quanto concerne l’offerta ferroviaria, hanno, come riferimento storico una esperienza quarantennale, almeno per l’offerta ferroviaria, lontana da accettabili Livelli Essenziali di Prestazioni.

Sicuramente non possiamo assolutamente sottovalutare il ruolo chiave svolto, in questo “rivoluzionario lungimirante processo”, da Lorenzo Necci; in fondo è stato lui l’artefice primario di tutto ciò che oggi viviamo, di tutto ciò che oggi usiamo e frequentiamo senza accorgercene e, dobbiamo anche ammetterlo, siamo sempre  più scontenti ed al tempo stesso più esigenti; tuttavia quello che dispiace è che non vogliamo ammettere che in questi quaranta anni abbiamo inseguito davvero il futuro; speriamo di non raggiungerlo mai; infatti inseguendolo sempre siamo sicuri di crescere. (ei)

Nelle prossime settimane sarà istituito il tavolo tecnico per migliorare la mobilità

L’assessore regionale alle Politiche Sociali e ai Trasporti, Emma Staine, ha reso noto che nelle prossime settimane sarà istituito il tavolo tecnico di lavoro per migliorare la mobilità e l’accessibilità del sistema dei trasporti.

L’annuncio è stato fatto nel corso della seduta della Terza Commissione regionale Sanità, durante la quale si è discusso delle persone con diagnosi dello spettro autistico e delle problematiche che riguardano la totale integrazione, l’erogazione dei servizi socio assistenziali e socio sanitari e il sostegno alle famiglie.

«L’inclusione sociale – ha dichiarato l’assessore Staine – non può non tener conto di un sistema dei trasporti adeguato e snello che garantisca libertà di movimento e la partecipazione attiva alla vita sociale, civile e lavorativa. Dunque, è per me fondamentale rintracciare ogni soluzione possibile per migliorare il servizio di trasporto locale perché, come ripeto da tempo, il mio unico obiettivo è creare nel nostro territorio un sistema di trasporti che consenta a tutti, in particolare alle persone più fragili, la libertà di spostarsi».

Al Tavolo saranno chiamati a partecipare i rappresentanti del mondo della disabilità e tutti gli stakeholder che si occupano dei servizi di trasporto nei diversi contesti territoriali. Si lavorerà per gradi, partendo dall’individuazione e approfondimento delle problematiche nei diversi settori dei trasporti pubblici e privati, fino ad arrivare a soluzioni concrete al fine di garantire un miglioramento dei servizi per le persone con disabilità. (rcz)

NELLE INFRASTRUTTURE LA CALABRIA NON
È COMPETITIVA: IL GAP È SEMPRE PIÙ GRAVE

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria non è competitiva a livello infrastrutturale. Non è una novità ma, a certificare questo pesante gap, il recente Rapporto dell’Osservatorio di Confcommercio Trasporti presentato all’8° Forum Conftrasporto-Confcommercio, assieme a uno studio sulle infrastrutture realizzato da Svimez per Conftrasporto.

La nostra regione, infatti, ha perso cinque posizioni rispetto al 2019, posizionandosi 139esima con un modesto 73,8. Un dato che deve far preoccupare, se si considera che l’indice di competitività delle regioni europee è un indicatore di benchmark europeo basato sul criterio di funzionalità delle reti. Esso, infatti, misura l’accessibilità alle infrastrutture, la capacità di ridurre le distanze effettive per spostamenti di persone e merci piuttosto che la pura dotazione.

Si tratta, dunque, dell’ennesima dimostrazione del grande limite, a livello infrastrutturale, di cui la Calabria è “vittima”. Strade difficili da percorrere, aree interne sempre più isolate e pochi collegamenti con i treni. Un insieme di criticità che, nel loro insieme, delineano un quadro sconfortante. Nè deve consolare che, nel report, l’Italia stessa, rispetto al 2019, ha perso quattro posizioni.

Nella sua relazione il direttore della Svimez, Luca Bianchi, ha parlato di una «sotto-dotazione al Sud e di una congestione al Nord».

«In rapporto alla superficie, la dotazione del Sud è superiore al Centro-Nord per strade di interesse nazionale (13,2 km/100 km2, 6,5 per il Nord e 9,3 per il Centro), allineata per strade regionali e provinciali, ma molto inferiore per rete autostradale (1,87 km/100 km2, 3,29 al Nord e 2,23 al Centro)».

«Fanno relativamente meglio Campania, Abruzzo, Molise (non per autostrade), Puglia e Sicilia. Sottodotate Sardegna (nessun km di autostrada) e Basilicata (autostrade marginali)», ha detto ancora Bianchi, tornando a parlare del divario Nord-Sud: «c’è una sottodotazione di binari nel Mezzogiorno, specialmente nell’alta velocità».

Nel Mezzogiorno, infatti, sono solo stati sviluppati 5.717 km su una lunghezza complessiva dei binari di 7.528 km contro gli 11.046 km sviluppati nel Centro-Nord e i 16.032 km di binari. Male anche nell’alta velocità: al Sud ci sono solo 181 km, di cui il 21,4% sono linee fondamentali e linee di nodo, mentre il 58,1% è la rete elettrificata e il 31,7% p la rete a doppio binario. Inutile dire che, al Centro Nord, i valori sono ben superiori. Solo per citarne una, al Centro Nord l’80% della rete è elettrificata.

Solo la Campania, ha rilevato Bianchi, si avvicina agli standard del Nord. Il resto delle regioni, invece, evidenziano un grave gap infrastrutturale che, invece di diminuire, si allarga.

Per il direttore della Svimez è necessario una inversione di rotta. E, per farlo, si potrebbe valutare la «regionalizzazione» catene del valore in continuità con le risposte osservate durante la pandemia, ossia:  ripiegamento della globalizzazione e reshoring/nearshoring internamente all’EU (automotive, settori high-tech); Aumento degli scambi intraeuropei».

Nella sua analisi, Bianchi ha evidenziato come «fatta eccezione per l’asse Italia–Svizzera, la magior parte delle merci viene movimentata con il trasporto stradale. Al confine con l’Austria, inoltre, passa circa il 40% del traffico merci che entra ed esce dal Nord-Europa». Per il direttore della Svimez, dunque, sarebbe auspicabile uno shift modale gomma-ferro e l’apertura di altri passaggi, come autostrade del mare.

Bianchi, poi, rilancia il potenziale del traffico marino che, dopo il calo generalizzato a causa della pandemia, è tornato ai livelli pre-covid.

Nel 2022, infatti, per i cargo mare ha raggiunto i 490 milioni di tonnellate, con 380 mld di euro, un 36% totale movimentato di merci, un +11% rispetto al 2019 e, non meno importante, un +2% rispetto al 2021, con un +1,1% nel Mezzogiorno e 2,7% nel Centro Nord.

Per quanto riguarda i cargo mare Ro-Ro (ossia i cargo rotabili), si sono calcolati cira 120 milioni di tonnellate (+57,2% rispetto al 2009, -1,4% rispetto al 2021 di cui: -5,4% nel Mezzogiorno e +3,1% nel Centro Nord); per i cargo mare container, invece, 119,5 milioni di tonnellate, con un +26,7% rispetto al 2009, +2,2 % rispetto al 2021 di cui: +4,9% nel Mezzogiorno e -0,1% nel Centro Nord).

Il buon andamento delle merci movimentate nei container è stato possibile anche grazie all’exploit dello scalo di Transhipment di Gioia Tauro.

Spazio, poi, alla “vecchia” Zes, per cui sono previsti 630 mln che si aggiungono all’1,2 mld che il Pnrr riserva a interventi sui principali porti del Mezzogiorno. Con questi fondi, si dovrebbe intervenire sul collegamento di “ultimo miglio”, digitalizzazione e potenziamento della logistica, urbanizzazioni green e lavori di efficientamento energetico e ambientale nelle aree retroportuali e nelle aree industriali appartenenti alle ZES; potenziamento resilienza e sicurezza per l’accesso ai porti. Ma qual è il problema? Che c’è una frammentazione eccessiva degli interventi. Per fare un esempio, in Calabria, sulla Jonica sono previsti 108,1 mln di euro, ma sono previsti solo due interventi per l’ultimo miglio, 7 per la logistica e nessuno per la resilienza dei porti, mentre per tutta la regione, invece, oltre a essere previsti 11,7 mln, sono programmati 7 interventi sull’ultimo miglio, nessun intervento per la logistica e solo 3 per la resilienza dei porti. La Sardegna, per citare un altro caso, prevede solo un intervento per l’ultimo miglio e un importo di solo 10 milioni, mentre la Campania, invece, ha ben 136 milioni e 10 interventi, tra ultimo miglio (5) e logistica (4).

Una frammentazione che, in teoria, si dovrebbe risolvere con la Zes Unica (che entrerà in vigore a gennaio 2024). Bianchi, dunque, suggerisce le condizioni per rendere efficace questo strumento per il Sud e il Paese, ovvia con la fiscalità di vantaggio e la sburocratizzazione e un piano strategico.

Nel primo caso, si tratterebbe di introdurre un credito di imposta investimenti, proroga della decontribuzione Sud e lo sportello unico, che potrebbe rappresentare un’occasione per rendere le tempistiche più omogenee tra i territori. Per quanto riguarda il piano strategico, si devono definire le priorità produttive e specializzazioni strategiche, esaltare le specificità produttive, valorizzare i legami funzionali e strategici con le infrastrutture, come i porti collegati alla rete Ten-T.

In questo modo, si può rendere «il Mezzogiorno attrattivo per investimenti e talenti», realizzare una «logistica meridionale integrata nel sistema Paese e internazionale» e, infine, una «integrazione del Mezzogiorno e del Paese nelle filiere strategiche europee».

Bianchi, poi, fa il punto sullo stato dell’arte sugli interventi infrastrutturali per i trasporti: Infrastrutture di trasporto prioritarie: costi per 131 miliardi (Relazione su stato di attuazione, 2022); Finanziamenti acquisiti (101 miliardi) e Fabbisogni residui (29.5 miliardi) e quasi il 75% delle risorse destinate alle infrastrutture ferroviarie. 

Da questi dati, è emerso un forte ritardo del Mezzogiorno: il 56% delle opere, infatti, sono ancora in stato di progettazione contro le 36% del Centro Nord. Ci sono, poi, pochi lavori in corso: sono il 13% contro il 34% del Centro Nord.

Spazio, poi, al Ponte sullo Stretto, il cui costo sarà di circa 15 miliardi. Esso dovrebbe prevedere 2560 mila addetti in 7 anni, con una media di 40 mila all’anno), 35,5 mld di produzione e 14,6 mld di valore aggiunto (10,4 mld al Sud, ossia il 3,4% del Pil) e 4,2 mld al Nord, con lo 0,26% del Pil).

Nonostante questi numeri, il direttore Bianchi ricorda le criticità geologiche e tettoniche per realizzare l’infrastruttura:

  • Attesa completamento dell’AV  Palermo-Messina e Reggio Calabria/Salerno per il collegamento con Roma (Roma-Palermo: 7 ore tot.)
  • Sostenibilità ambientale: 2 Zone di Protezione Speciale: Costa Viola (RC) e Monti Peloritani (ME); 11 Zone Speciali di Conservazione (possibile violazione direttiva Comunitaria Uccelli/impatti sull’ecosistema marino)
  • Sostenibilità economica: costo superiore dall’AV Torino-Milano e triplo del Fondo nazionale TPL che finanzia trasporto su gomma e ferro

Importante, poi, il ruolo delle politiche. Servono, infatti, «azioni di policy tese a potenziare la dimensione quantitativa e qualitativa delle infrastrutture nel Paese hanno un valore strategico fondamentale, consentendo di: 

  • raggiungere gli obiettivi europei al 2030 e 2050: trasferire il 30% del traffico stradale (> 300 km ) su modalità alternative (il 50% nel 2050); Green Deal | Fit for 55, col taglio 55% emissioni / riduzione del 47,2% delle emissioni nel settore dei trasporti italiano
  • migliorare la dotazione infrastrutturale del Mezzogiorno, quale pre-condizione per promuovere un percorso di sviluppo industriale lungo le nuove direttrici strategiche: green e digitale
  • sostenere grandi opere di collegamento ma solo coerentemente a un progetto infrastrutturale sistemico per tutto il Paese (collegamenti interni e attenzione alle aree marginali)
  • ridurre la pressione sulle infrastrutture del Nord (specialmente sui valichi) che presentano elevate criticità sotto il profilo della saturazione e, a questo proposito, sono auspicabili azioni di potenziamento (seconde canne per Monte Bianco e Frejus) e potenziamento della dotazione ferroviaria per promuovere lo shift modale gomma-ferro
  • sfruttare il potenziale del «mare»:  le rete ferroviaria presenta vincoli strutturali (in termini di capacità di trasporto). Le autostrade le mare possono rappresentare una soluzione complementare allo shift gomma-ferro, nonché un settore economico di interesse e di traino per l’economia del Mezzogiorno. 

«I dati evidenziano come sia urgente investire in infrastrutture, e mettono in luce il divario tra Sud, con un difetto strutturale di connessioni, e il Nord Italia, con un alto indice di saturazione, soprattutto in relazione ai valichi – dichiara il presidente di Conftrasporto Pasquale Russo –. La situazione che emerge, ancora una volta, dimostra come sia stato sbagliato, nelle scelte compiute in passato, non aver finanziato le infrastrutture fisiche stradali.  Per quanto riguarda il Pnrr, è positivo, necessario, aver previsto fondi significativi per la ferrovia, ma la mobilità delle merci e del Paese deve utilizzare il sistema infrastrutturale in maniera integrata: è controproducente aver lasciato autostrade e aeroporti fuori dalla programmazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza». (ams)

 

NON SI PARLI SOLTANTO DI PONTE: AL SUD
SONO TROPPO POCHE LE INFRASTRUTTURE

di PIETRO MASSIMO BUSETTA Basta parlare di ponte. Riportiamo l’argomento alla sua giusta dimensione. Un modo di attraversare tre chilometri di mare e cancellare la vergogna di utilizzare mezzi da preistoria come i ferry boat.

Ma basta poter attraversare velocemente tre chilometri di mare, con un collegamento stabile,  per risolvere i problemi degli altri 800 che servono per collegarsi all’ultima città in rete dell’Italia unita? Cioè quella Napoli/ Salerno che è diventata la nuova Eboli? Se così fosse sarebbe una nuova presa in giro.

Il Mezzogiorno non è collegato, forse per una volontà se non strutturata certo per comportamenti convergenti. Si potrebbe rappresentare come una realtà con collegamenti point to point, per quanto attiene alle vie aeree, cioè tra le varie città meridionali e al massimo le principali città del Nord, mentre soffre dei collegamenti multipoint, quelli che dovrebbero attraversare, come innervamento o come una rete di capillari, tutto quello che rappresenta il 40% del territorio nazionale. 

Tale approccio si é avuto in parte anche con le strade/ autostrade, mentre per le ferrovie anche il collegamento con il Nord é ancora un pio desiderio. Bene il passaggio di ieri diventa una cesura tra prima e poi. L’interesse nazionale va nel senso di mettere a regime e collegare in modo serio le aree del Sud per farle decollare, perché questo è l’unico modo per recuperare quella dimensione economica che ci spetta all’interno dell’Europa.  Ed è noto che la base per lo sviluppo economico sia una buona infrastrutturazione. 

Anche la Zes unica non attrarrà alcun investimento dall’esterno dell’area se le realtà locali non saranno collegate adeguatamente. Come si può pensare che la nomina di Agrigento capitale della cultura possa diventare da un mero riconoscimento, dovuto ad una città con 2000 anni di storia, manifestazione che possa incrementare, non solo temporaneamente, il flusso turistico, se per raggiungerla oggi da qualunque aeroporto servono tre ore di auto in strade dissestate o tre di treno, con perlomeno due cambi? 

E chi mai organizzerà un convegno internazionale in una città nella quale per presentare un “paper” non ti serve la giornata canonica ma tre giorni di viaggio? 

E pensate che una grande multinazionale localizzerà i suoi impianti all’interno di quella che è una foresta amazzonica, bellissima ma irraggiungibile, quale ancora oggi, senza alta velocità ferroviaria e con autostrada completata solo per finta, rimane la Calabria?  

E a che servirà costruire un ponte avveniristico, il Messina bridge, se non cominciamo a lavorare in maniera seria su quel grande porto naturale che è Augusta, che dovrebbe diventare insieme a Gioia Tauro l’hub portuale più importante del Paese e dovrebbe competere con i grandi porti del Nord a cominciare da Rotterdam? 

Ma quanti sanno che tale porto impiega tra addetti diretti ed indiretti oltre 700.000 persone, un numero sufficiente per risolvere definitivamente tutti i problemi di occupazione della Sicilia? Ma bisogna cominciare a considerare questa zona non come la colonia da sfruttare, ma il nostro West, come quello che fece ricco gli Stati Uniti d’America. 

Anche qui vi è l’oro. Perché cosa sarebbero le spiagge salentine, la costa Messina Trapani, il Cilento, tutta la costa ionica e tirrenica della Calabria se non l’oro da estrarre e sfruttare adeguatamente. E non è oro la posizione geografica di piattaforma logistica del Mediterraneo di fronte a Suez, dove l’energia è facilmente recuperabile dal sole e dal vento, che ha 140 km di distanza dalla Tunisia? 

Non è oro tutto quello che i greci ci hanno lasciato tanto da essere chiamata l’area Magna Grecia, cioè  più grande e più importante della stessa realtà da cui provenivano i migranti dell’Egeo? Così come è oro oggi avere un capitale umano formato, che tutti gli europei ci invidiano e corteggiano e spesso strapagano, e che non riusciamo ad utilizzare nel posto nel quale vorrebbe rimanere, vivere e contribuire al suo sviluppo.

Per questo l’impegno ora va nel senso di puntare ad un programma pluriennale, in parte già partito, ma che non può essere di serie B, come l’alta velocità farlocca della Palermo Catania, che si propone di fare appena 200 km in due ore, né può tollerare che la Messina Palermo in treno  si percorra  ancora in tre ore, e non sia previsto il suo raddoppio. 

Così come è assurdo che per arrivare al tacco dello stivale di Santa Maria di Leuca bisogna programmare giornate di viaggio. Certo nessuno si illuda che basti infrastrutturare per risolvere tutti i problemi. La strada dello sviluppo é come quella del Paradiso lastricata di buone intenzioni e mille  difficoltà, e certo la lotta alla criminalità organizzata deve camminare di pari passo agli investimenti infrastrutturali. 

Così come non basta che un posto sia facilmente raggiungibile perché diventi un sistema turistico interessante quale può essere quello  della costa adriatica di Rimini o il miracolo egiziano di Sharm el-Sheikh, ma è necessario un piano che si ponga il problema di attrarre i grandi players internazionali non solo  del lusso ma anche dei grandi villaggi turistici. 

La parola magica è intervento sistemico. Così come la miscela esplosiva scoppia solo se tutti gli elementi sono nella misura corretta, così le esigenze della crescita hanno bisogno delle infrastrutture, così come del controllo della criminalità organizzata, di un piano che guardi al turismo come un’attività industriale e di una logistica di appoggio, di vantaggi fiscali per l’attrazione di investimenti dall’esterno dell’area, di un cuneo contenuto che renda il corso del lavoro più basso, di grandi eventi sportivi, politici e commerciali, che lancino le aree nel mercato internazionale, di una attenzione della rete pubblica televisiva adeguata.

E di risorse importanti che ritorneranno magari moltiplicate come ha ben capito la Germania riunita.

Con i fichi secchi e senza un progetto complessivo sarà difficile valorizzare l’area che può diventare la nuova frontiera dell’oro, ma può essere anche una palla al piede di un Paese che non comprende. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]