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Quali nuovi scenari per la Calabria e il Paese
dopo la vittoria di Roberto Occhiuto

di DOMENICO NUNNARI – Occhiuto ha vinto, anzi ha trionfato (e con lui Forza Italia) e il Pd (con campo largo e sinistra woke) può portare i libri in Tribunale: sezione fallimentare. Vince il centro, in Calabria, perde la sinistra “woke” (Elly Schlein e i suoi smarriti compagni ) che scambia i diritti sociali con quelli civili, che, parlando di priorità, è un po’ come quando a Maria Antonietta dissero “maestà non c’è più pane” e lei rispose “mangino brioche”.

Perdono anche i 5 Stelle, che sperano di rifarsi a Napoli con Fico, l’ex presidente della Camera, che il giorno dell’elezione prese l’autobus per andare al lavoro, si fece un selfie, e poi non lo prese più.

In Calabria, mancano pane e lavoro, infrastrutture e servizi, e i 5 Stelle in campagna elettorale avevano promesso di abolire il bollo dell’auto. Mah. Occhiuto, forte di quattro anni di lavoro apprezzabile (quantomeno se paragonato ai disastri fatti prima di lui) ha promesso di finire il lavoro della legislatura da lui stesso interrotta, ed è stato creduto. L’errore da evitare, tuttavia, nell’after day elettorale calabrese – che ha una sua proiezione nazionale – è esaltare oltre il dovuto la cavalcata del riconfermato presidente; e sparare sulla “coalizione per addizione”: Pd, 5 Stelle, Avs, denominata campo largo. Sarebbe facile ma esagerato celebrare più di tanto Occhiuto, che ha avuto coraggio e fatto una mossa astuta, da politico navigato, e sarebbe ingiusto sparare a pallettoni sull’aggregazione guidata da Pasquale Tridico, l’uomo dei 5 Stelle, economista sociale, uomo perbene, ma vittima sacrificale della disfatta dell’Armata che non aveva  le munizioni per vincere la battaglia, e lo sapeva.  Un’armata senza idee e senza leader, formata da sudditi acquattati alle corti romane. Sarebbe come sparare sulla Croce Rossa, meglio evitare. Rischieremmo di sentirci rimproverare con quella celebre frase “Vile, tu uccidi un uomo morto!», pronunciata dal mercante fiorentino Ferrucci, quando Maramaldo si avvicinò per ucciderlo. Ma queste cose accaddero nel 1527, a Firenze, quando un tumulto repubblicano abbatte la Signoria de’ Medici. Noi, adesso, dobbiamo ragionare sul futuro della Calabria, parlandone in Calabria, sui nostri giornali, nelle nostre università, nei circoli giovanili, nelle associazioni culturali, nelle parrocchie, tra la gente e con la gente; quella che si alza all’alba e fatica e fa girare il motore del mondo. Dobbiamo anche tapparci le orecchie, per non sentire i giudizi bizzarri che arrivano da fuori, dai talk show televisivi che, più che a bar dello sport assomigliano alle vecchie cantine, dove saliva l’odore acre e pungente del vino andato a male. Posti – i talk show – dove qualcuno, l’altra sera, per commentare il voto calabrese, se n’è uscito così: «Beh, la Calabria è bella, ma si sa che è una regione particolare».

Particolare? Che significa? Nessuno, nello studio televisivo, ha chiesto spiegazioni al giornalista pop, che ha pronunciato quell’aggettivo “particolare”; forse hanno condiviso, o loro hanno capito quel giudizio enigmatico. Ci sarebbe voluto il Carlo Verdone del dialogo esilarante con la Sora Lella, di Bianco, Rosso e Verdone, per chiedere: «Che vor dì?».  E poi dare la risposta: «Che te la piji inderculo». Scusate, ma pure il vecchio cronista, non ne può più, di pregiudizi stupidi sulla Calabria, di ignoranza grassa, nei confronti di questa regione, e può perdere l’aplomb che molti – immeritatamente – da sempre gli riconoscono. Non si è capito, invece, che questo voto calabrese è una lezione esemplare, che viene da una Calabria stanca, avvilita, ma democratica, e in fondo anche speranzosa. Una lezione, che dovrebbe far riflettere l’opinione pubblica nazionale e la sinistra woke, che conosce la Calabria molto meno degli scrittori viaggiatori del Gran Tour, sui quali la regione più povera d’Europa esercitava una certa attrattiva. La straordinaria performance del Centro (Forza Italia di Occhiuto) è anche una lezione all’Italia smarrita, confusa, obbligata a tenersi stretta – in mancanza di alternative credibili – la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, politica di lungo corso, le cui radici affondano nella destra postfascista italiana. Lei stessa, ha rivendicato con orgoglio il suo ruolo antico nel Fronte della Gioventù, che era il movimento giovanile dell’Msi. A Meloni, evitando di cadere negli stereotipi preconfezionati, va riconosciuto di essere capace ed abile, e di essere riuscita –  facendo a volte quel che dovrebbe fare la sinistra – ad attrarre un elettorato sfiduciato e senza casa; un elettorato che, senza magari aver mai letto l’Ernest Hemingway de “Il vecchio e il mare”, si ritrova a condividere alcune parole di quel romanzo: «Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare, con quello che hai»; che è lo stesso consiglio che Theodore Roosevelt, presidente degli Stati Uniti negli anni ‘40, diede ai suoi connazionali: «Fai quello che puoi con quello che hai, nel posto in cui sei». Meloni, è quel che passa il convento. In mancanza di alternative si resta a casa, ed è quello che fa ormai in tutte le elezioni la maggioranza degli elettori italiani. Non sempre, ci si può pur  turare il naso, e andare a votare, come consigliava Indro Montanelli. Ma allora si parlava della Democrazia Cristiana, da accettare turandosi il naso, non della sinistra woke, che è destra, ma non lo sa. Forse, tra opinionismo folkloristico, e sparate preconcette, di giornalisti pop, la sintesi più azzeccata del voto in Calabria, l’ha fatta “Dagospia”, sito online cliccatissimo di Roberto D’Agostino: “La vittoria di Occhiuto in Calabria straccia ogni alibi al Campo largo…”. Dagospia, più veloce di tutti, ha dato al voto calabrese la dignità di test nazionale. Seguito da Marcello Sorgi, che su “La Stampa”, pur ragionando sul voto regionale, ha ammesso che gli effetti del voto calabrese sono deleteri [per la sinistra], oltre i confini calabresi: «Sono tali da uscirne tramortiti». L’interpretazione più approfondita, più avanti – se non saranno distratti – toccherà ad analisti e politologi, dato che questa virata al “Centro” in Calabria apre scenari, a destra e sinistra, finora non ipotizzati.

Pur premettendo, che le elezioni regionali, come le elezioni europee, sono altra cosa, rispetto alle elezioni politiche, Angelo Panebianco, sul “Corriere della Sera”, ha preso spunto dalle elezioni calabresi per spiegare perché la sinistra ha perso: «L’attenzione era tutta concentrata sui leader (Schlein, Conte, Landini, eccetera) e su ciò che fanno o non fanno. Come se gli elettori non esistessero. Come se gli elettori fossero pacchi, spostabili di qua o di là a seconda di ciò che decidono i leader. Ma gli elettori non sono pacchi, hanno le loro idee, i loro interessi, i loro tic, le loro abitudini. E i leader devono tenerne conto».

Anche in Calabria, la coalizione di sinistra, ha considerato gli elettori come i pacchi di Panebianco, con un atteggiamento anche di stampo coloniale. Come giudicare la candidatura della filosofa Donatella Di Cesare (che non ce l’ha fatta), candidata per Alleanza Verdi, Sinistra? Si è detto che ha origini calabresi, e va bene, ma null’altro giustificava questa candidatura, se non sfiducia evidente verso gli esponenti calabresi di Avs, ritenuti non meritevoli di essere candidati. Si è fatto come quando in nazionale si convocano gli oriundi, per inadeguatezza dei calciatori italiani. Ma adesso lasciamo queste riflessioni, apparentemente superficiali, che  hanno però il loro valore, e proviamo a spoilerare il dopo vittoria di Occhiuto, leader di Forza Italia – un “democristiano 2.0.” – cresciuto nella Cosenza dei giganti politici Mancini e Misasi: l’uno socialista, l’altro democristiano, due leader che hanno lasciato, nel tessuto socio-culturale della città bruzia, la scia del loro profilo umano e politico alto; un piccolo tesoro, a cui ognuno, che entrando in politica abbia buone intenzioni e passione, può attingere sempre. Il maggiore successo di Occhiuto, è aver spostato la Calabria politica al “Centro”, con notevole ridimensionamento delle ambizioni di FdI, lasciando inchiodato ai suoi numeri piccoli la Lega, nonostante gli aiutini dell’ex presidente della Regione Giuseppe Scopelliti (storico leader della destra), a Reggio Calabria. L’ha intuito Antonio Tajani – successore di Berlusconi in Forza Italia – il significato della vittoria di Occhiuto, e si è affrettato a lanciare un’opa, offerta pubblica di spazi, per gli ex partiti di centro: «Il compito di Forza Italia è quello di coprire lo spazio che era della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista».  Un avvertimento, anzi una notifica, non solo ai suoi alleati, ma anche al Pd di Schlein – partito in origine plurale – che il centro va cercando, dopo averlo allontanato, diventando sinistra woke, che – come dice Susan Neiman, filosofa di origine ebraica nel libro “La sinistra non è woke” – significa che la sinistra è diventata come la destra, «ma, poverina, nemmeno lo sa».

C’è, infine, un altro aspetto [positivo] da cogliere, nell’elezione calabrese, e riguarda il fair play finale del confronto tra gli sfidanti, culminato nella telefonata dello sconfitto Tridico al vincitore Occhiuto: «Ho chiamato Occhiuto e gli ho fatto i complimenti. È stata una battaglia intensa, vera, difficile». Ottenendo, come risposta, a stretto giro: «A Tridico, ho rivolto due inviti: collaborare con me in qualsiasi ruolo decida di farlo e lavorare per pacificare questa regione». È un finale incoraggiante, questo che viene dai titoli di coda, del film delle elezioni. La parola pacificazione, è una bella parola, come riconciliazione. Ne abbiamo bisogno, tutti. Per uscire dal tunnel buio, in cui da decenni la Calabria si è cacciata, non si può, senza unire le forze vive e le lucide intelligenze della società democratica e della politica. Occhiuto, ha il dovere di provarci, a unire la Calabria, a pacificarla, riconciliarla e Tridico – da posizioni diverse, anche nel caso torni a Bruxelles, cosa legittima e forse anche utile alla Calabria – deve saper tendere la mano. (mn)