LA CALABRIA IN CONTROTENDENZA REGISTRA INTERESSANTI INCREMENTI NELLE DOMANDE DI PRE-ISCRIZIONE;
L'Università Mediterranea di Reggio

SVIMEZ, IL SUD RINUNCIA ALL’UNIVERSITÀ
MA ALL’UNICAL CRESCONO LE DOMANDE

di SANTO STRATI – La grande fuga dall’Università: la Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, lancia l’allarme sulla rinuncia di troppi giovani agli studi universitari, anche a causa della crisi economica conseguente al Covid. Almeno 10mila quest’anno e di questi due terzi (6300) appartengono a regioni del Sud. Per fortuna, la Calabria è in controtendenza: all’Unical ci sono già 785 domande di ammissione in più rispetto al 2019 (+ 15%) e c’è ottimismo anche alla Mediterranea di Reggio e alla Magna Graecia di Catanzaro. Un segnale importante di come i giovani calabresi abbiano in grande considerazione i percorsi formativi e di specializzazione. L’Unical, peraltro, continua a segnare incrementi di posizione nel rank di valutazione delle università più importanti al mondo e sarebbe opportuno che fossero ulteriormente allargati gli impegni della Regione nei confronti dei tre atenei calabresi. Abbiamo tre università che sfiorano l’eccellenza e rappresentano una significativa attrazione per i giovani: non ci sarebbe da stupirsi se venisse invertita la tendenza che ha caratterizzato gli anni del secondo Novecento: i giovani calabresi andavano a studiare fuori (non c’era l’università in Calabria), da Reggio a Messina, da Cosenza e Catanzaro a Napoli, Roma, Pavia, Bologna. Purtroppo, diventava spesso un biglietto di sola andata: le capacità dei nostri ragazzi venivano valorizzate e apprezzate, diventava facile farli restare. Risorse giovani, fresche capacità, che hanno fatto la fortuna del Centro-Nord. Non a caso, molti dei più apprezzati professionisti nel campo della medicina, della scienza, della giurisprudenza che occupano oggi posti di grande rilievo in tutt’Italia appartengono a quella schiera di universitari “in trasferta”, orgoglio di una Calabria matrigna che li ha lasciati andare senza mai offrire un minimo di opportunità

I tempi sono cambiati, molte problematiche rimangono: i nostri laureati sono presi di mira da multinazionali, grandi aziende, imprese europee, che intuiscono il potenziale rappresentato da competenza, capacità e voglia di arrivare. Lo ripetiamo spesso, negli ultimi trent’anni è stato rubato il futuro ai nostri ragazzi, costretti ad andar via (240mila) lasciando famiglie, affetti, qualità della vita che Milano, Roma, Londra o New York non riescono a dare. E allora occorre investire sull’università, sulla formazione, sulla specializzazione, costruendo opportunità di crescita in casa propria. Il settore è ampio: innovazione, biotecnologie, turismo, agricoltura biologica, cultura, ambiente. In ognuno di questi campi c’è bisogno di menti pensanti, di giovani capaci che sarebbero felici di mettere le proprie risorse e le loro competenze al servizio della loro terra.

L’Italia, di per sé, non brilla per immatricolazioni universitarie: secondo l’Ocse siamo al 54% contro il 73% della Spagna, il 68% delle Germania, il 66% delle Francia. Questi dati fanno emergere un basso grado di istruzione terziaria fra i 30-34enni che nel 2018 si è fermato al 34% contro una media europea del 45,8%. E nel Mezzogiorno, il dato, come fa rilevare la Svimez, scende al 26,8%, 12 punti in meno rispetto al 38,2 del Centro Nord.

La Svimez ha fatto notare che «la crisi economica 2008-2009 che si è trascinata fino al 2013 ha determinato un impoverimento delle famiglie che, non adeguatamente supportate dalle politiche pubbliche, ha provocato un crollo delle iscrizioni alle Università, soprattutto nel Mezzogiorno. Tra il 2008 e il 2013 il tasso di passaggio Scuola-Università nel Mezzogiorno è crollato di 8,3 punti percentuali, quattro volte la diminuzione del Centro-Nord (1,6 punti). In un quinquennio gli iscritti si sono ridotti di oltre 20 mila unità nelle regioni del Mezzogiorno. Anche nel Centro-Nord, la crisi aveva determinato un calo del tasso di proseguimento degli studi (-2 punti circa) ma per effetto della crescita dei diplomati non si è determinato una flessione del numero complessivo degli iscritti. La ripresa degli immatricolati e del tasso di passaggio nel periodo di debole ripresa (2013-19) ha consentito solo un parziale recupero per il Mezzogiorno, ancora lontano dai valori del 2008, a differenza del Centro-Nord che è ritornato sui valori precrisi. Secondo il dato più recente, 2019, il Mezzogiorno ha ancora 12.000 immatricolati in meno rispetto al 2008 e un tasso di passaggio di oltre 5 punti percentuali più basso. Viceversa, il Centro-Nord ha registrato per l’intero periodo un incremento di 30.000 immatricolati circa e un aumento di oltre un punto percentuale del suo tasso di passaggio».

La Svimez, alla luce di queste proiezioni, ha elaborato una serie di proposte che non dovranno essere trascurate, perché significativamente di grande impatto: «Rendere sistematica la proposta strutturale del Ministero dell’Università di estendere la no tax area da 13.000 a 20.000 in tutto il Paese, prevedendo innalzamento a 30.000.

«Prevedere, in conseguenza della crisi, una borsa di studio statale che copra l’intera retta 2020 nelle Università pubbliche, vincolata al raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano di studi nel primo anno di corso.

«Considerare l’Università come fondamentale infrastruttura pubblica dello sviluppo destinando risorse specifiche del piano europeo Next Generation per rafforzare il diritto allo studio nelle regioni a più basso livello di reddito così da evitare che la crisi anche questa volta finisca per aumentare le diseguaglianze.

«Valorizzare le infrastrutture della ricerca, sostenendo le esperienze positive esistenti nel Mezzogiorno attraverso il rafforzamento di 4-5 poli di formazione, ricerca e innovazione che possano diventare attrattori di capitale umano qualificato e imprese innovative.

«Garantire un investimento sulle infrastrutture digitali che colmi il divario esistenti tra Atenei del Nord e Atenei del Sud. La crisi ha dimostrato l’utilità degli strumenti digitali e il Mezzogiorno deve farsi trovare pronto per evitare un ulteriore acuirsi del fenomeno della fuga dei cervelli in versione digitale.

«Definire un piano organico di interventi per l’Università che coinvolga anche altri livelli istituzionali. Regioni o altri Ministeri, possono fare la loro parte prevedendo ulteriori misure a sostegno dei giovani che intendono intraprendere la carriera universitaria. Non solo in termini di tasse universitarie ma anche di servizi agli studenti, trasporti pubblici, diritto allo studio. La Campania, la Sicilia, la Puglia hanno già dato ottimi segnali in questo senso».

Nel 2020 la stima sugli studenti “maturi” è di 292mila unità al Centro-Nord e circa 197mila nel Mezzogiorno. Di questi ultimi, il 3,6% potrebbe rinunciare a proseguire gli studi (percentuale che scende all’1,5 nel Centro-Nord). Ci sono, però, questi segnali positivi che arrivano dagli atenei calabresi: la voglia di crescere culturalmente con una formazione universitaria è forte e l’incremento delle domande (rispetto alla contrazione degli anni passati) lascia ben sperare. I nostri ragazzi mostrano una grande capacità, sono il nostro futuro, facciamoli studiare, ma non costringiamoli, poi, ad andar via. (s)