La cooperazione può essere il motore
di sviluppo delle aree interne

In una Calabria che si avvicina alle elezioni regionali di ottobre, il tema dello sviluppo dei territori interni e costieri deve occupare il centro dell’agenda politica. Non è soltanto una questione di fondi o di programmazione europea: è una sfida di visione, di capacità di costruire comunità e di dare risposte concrete a bisogni che da troppo tempo restano inevasi. In questo contesto, la cooperazione si propone non come attore marginale, ma come forma d’impresa strategica per il futuro della regione, capace di coniugare crescita economica e inclusione sociale.

Le aree interne calabresi, individuate dalla Strategia Nazionale (SNAI) — Grecanica, Versante Ionico Serre, Sila e pre-Sila, Reventino-Savuto — vivono una condizione di fragilità estrema. Secondo l’ultimo rapporto Svimez, la Calabria ha perso circa 180 mila abitanti dal 2001 al 2023, con una dinamica demografica negativa che non accenna a fermarsi. In molti piccoli comuni il calo supera il 20 per cento, mentre in oltre 200 centri si profila un rischio concreto di estinzione sociale ed economica. L’indice di vecchiaia, che misura il rapporto tra anziani e giovani, ha superato quota 190 (ogni 100 giovani sotto i 15 anni ci sono quasi 200 over 65), uno dei valori più alti del Mezzogiorno. A questi dati drammatici la cooperazione risponde con modelli che hanno già dato risultati: cooperative sociali che garantiscono servizi laddove il pubblico arretra, cooperative agricole che valorizzano produzioni di qualità e prossimità, cooperative di comunità che trasformano borghi in laboratori di innovazione sociale.

Non si tratta di una promessa astratta. In Calabria il settore cooperativo ha già dimostrato la sua forza: gli addetti nelle cooperative sociali sono passati dal 42 per cento del totale nel 2012 a quasi il 50 per cento nel 2022, un dato che testimonia la centralità di questo modello nell’economia e nel tessuto sociale regionale. Ma le potenzialità restano enormi e ancora inespresse. Perché possano tradursi in occupazione giovanile e femminile, in welfare diffuso, in nuova impresa radicata nei territori, serve una scelta politica chiara.

Il problema economico si somma a quello demografico. Anche sul piano della ricchezza prodotta, la Calabria rimane fanalino di coda.

Il PIL pro capite nel 2023, sempre secondo Svimez, si è attestato intorno ai 19.300 euro, contro una media nazionale di circa 30.000 e una media europea che supera i 36.000. Ciò significa che un calabrese produce quasi il 40% in meno rispetto alla media italiana e quasi la metà rispetto alla media dell’Unione Europea.

È il segno di un sistema economico che non riesce a generare valore sufficiente e che proprio per questo ha bisogno di forme innovative e inclusive d’impresa come le cooperative, capaci di trattenere ricchezza nei territori e di redistribuirla in maniera equa.

Le questioni aperte non mancano. La legge regionale sulla cooperazione, ferma da 46 anni, è ormai del tutto anacronistica. La legge sulle cooperative di comunità è rimasta senza piano attuativo. Le Comunità Energetiche Rinnovabili, che potrebbero diventare il volano di una transizione sostenibile e condivisa, sono prive di linee guida operative che ne facilitino la nascita e la gestione. I beni confiscati alla criminalità, patrimonio straordinario da riconvertire in presidi di legalità e lavoro, restano per lo più inutilizzati per assenza di strategie e bandi strutturali. E il welfare, in profonda crisi, continua a marginalizzare proprio quelle cooperative sociali che garantiscono servizi fondamentali ai cittadini.

Le comunità energetiche, se gestite da cooperative di comunità, sono uno strumento straordinario di efficienza ed equità, perché mettono insieme cittadini, imprese e istituzioni in un modello partecipativo capace di redistribuire i benefici economici ed ambientali.

Alle forze politiche che si candidano a governare la Calabria Legacoop regionale chiede un impegno preciso: riconoscere e sostenere la cooperazione come leva strutturale di sviluppo regionale. Questo significa aggiornare e adeguare al contesto attuale le leggi, varare piani attuativi, aprire bandi mirati, garantire co-programmazione e co-progettazione tra istituzioni e mondo cooperativo, rendere effettivo l’accesso ai fondi europei e del Pnrr.

La cooperazione non è una nicchia, ma una forma d’impresa che in Calabria può rivelarsi particolarmente utile anche e soprattutto sul piano sociale. Può contrastare lo spopolamento offrendo opportunità di lavoro, può rigenerare comunità costruendo welfare e servizi, può rilanciare i borghi e le aree costiere con modelli sostenibili, può ridare dignità ai beni confiscati trasformandoli in risorse collettive. È questa la direzione da intraprendere se davvero si vuole un futuro diverso per la regione.

Le prossime elezioni sono dunque una prova di serietà. Tocca alla politica dimostrare se intende continuare a inseguire promesse di breve periodo o se è pronta a investire in un modello che tiene insieme economia e comunità, innovazione e coesione. La cooperazione è già pronta, con le sue esperienze e con la sua rete. Adesso serve il coraggio delle scelte. (rr)

Il Sud che scompare nell’indifferenza della politica

di MASSIMO MASTRUZZO – Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” — Art. 3 della Costituzione italiana.

Ma a leggere i numeri dell’emigrazione dal Sud, viene da chiedersi se questa uguaglianza non sia ormai solo sulla carta.

Il Sud che scompare: una crisi nazionale mascherata da problema locale

In Calabria si vive sempre più a lungo, ma sempre più da soli. I giovani partono, le culle si svuotano, le scuole chiudono e i borghi diventano silenziosi. La regione ha oggi meno abitanti della sola città metropolitana di Milano: circa 1,8 milioni contro oltre 3,3 milioni nella capitale economica del Paese. Un dato simbolico, ma devastante, che riflette una desertificazione demografica strutturale che riguarda anche la Basilicata, il Molise, parti della Sicilia, della Sardegna e della Campania interna.

Non è solo un cambiamento demografico, ma una vera e propria diaspora, che si consuma nell’indifferenza del potere centrale. Un’emorragia che dura da oltre un secolo, ma che negli ultimi anni ha assunto le dimensioni di una crisi democratica e costituzionale.

L’emigrazione dal Sud non è un fenomeno recente. Dal secondo Ottocento ai primi del Novecento, milioni di meridionali lasciarono le loro terre per le Americhe. Dopo la Seconda guerra mondiale fu la volta delle grandi migrazioni interne verso Torino, Milano, Genova e le fabbriche del “miracolo economico”. Oggi, oltre alla manodopera per le fabbriche del nord Italia, partono gli universitari, i laureati, i professionisti. Una nuova “fuga di cervelli” alimentata non solo dalla mancanza di lavoro, ma da un Sud sempre più marginale nei diritti, nei servizi, nelle prospettive.

Le cause dell’esodo: mancanze strutturali e diseguaglianza costituzionale

Lavoro che non c’è:

Secondo ISTAT 2024, il tasso di disoccupazione giovanile in Calabria e Sicilia supera il 40%, contro il 12% del Nord. Il lavoro, quando c’è, è spesso precario, sottopagato, irregolare.

Sanità negata: Le regioni meridionali spendono in media 600-700 euro pro capite in meno in sanità rispetto a quelle del Nord. Questo si traduce in carenza di strutture, liste d’attesa infinite, migrazione sanitaria verso Nord che costa ai cittadini del Sud circa 4 miliardi di euro l’anno.

Infrastrutture a due velocità:

In Sicilia e Calabria ci sono ancora linee ferroviarie a binario unico non elettrificate. Gli investimenti in trasporti e mobilità sono sproporzionatamente inferiori rispetto al Nord. Il treno ad alta velocità si ferma a Salerno. L’autostrada A3, simbolo dell’abbandono infrastrutturale, è un cantiere infinito da decenni.

Una Costituzione ignorata: L’art. 3 della Costituzione impone alla Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che impediscono la piena uguaglianza tra i cittadini. Lo Stato non solo non li rimuove, ma li alimenta con politiche miopi e centraliste. Anche l’art. 5 (autonomia e decentramento), l’art. 34 (diritto allo studio) e l’art. 32 (diritto alla salute) vengono disattesi sistematicamente al Sud.

Il paradosso è che negli ultimi anni alcuni provvedimenti del governo non hanno invertito la rotta, ma l’hanno istituzionalizzata.

Il recente bonus affitto di 1.000 euro per i docenti meridionali che si trasferiscono al Nord è solo l’ultimo esempio. Una misura pensata per “aiutare” chi parte, senza interrogarsi sul perché non si possa insegnare, lavorare o vivere nel proprio territorio.

A fine 2024 il governo  all’interno della Manovra Finanziaria 2025, ha previsto un fringe benefit fino a 5.000 euro per i neoassunti che trasferiscono la residenza oltre 100 km dal luogo di lavoro, si tratta di uno dei temi centrali del Piano Casa, nato dal confronto del governo con Confindustria, studiato per favorire il trasferimento dei lavoratori, o per meglio dire un sottinteso incentivo ad emigrare, a lasciare il Sud:

il Governo anziché incrementare le opportunità di occupazione nel Mezzogiorno, contribuisce incredibilmente con un bonus, fino 5000 euro, per convincere anche i più riluttanti a fare le valigie e andare al Nord.

A completare il quadro, il progetto di autonomia differenziata, se approvato in forma attuale, rischia di cristallizzare le disuguaglianze. Le regioni ricche avranno più risorse e competenze, mentre quelle più povere resteranno ancora più indietro. È una rottura del patto nazionale, una forma di secessione mascherata.

Quando un territorio serve solo come bacino di manodopera, riserva elettorale e mercato passivo, senza ricevere gli investimenti necessari per crescere, si può parlare di colonialismo interno. È quello che accade al Sud da oltre un secolo, ma con particolare evidenza nell’Italia repubblicana.

Non è un problema del Sud, è una ferita per l’Italia intera

La questione meridionale non riguarda solo i meridionali. Riguarda la tenuta democratica del Paese, il rispetto della Costituzione, la coesione sociale. Un’Italia che abbandona il Sud è un’Italia che si indebolisce, economicamente e moralmente.

Non bastano bonus e pacche sulle spalle. Serve: un grande piano di investimenti strutturali pubblici per il Sud; incentivi al rientro dei giovani emigrati (non solo laureati); potenziamento reale della sanità, dell’istruzione, della mobilità; decentramento amministrativo con poteri veri agli enti locali, ma con risorse certe e uguali; una politica nazionale che non consideri il Sud un “peso”, ma una parte strategica del Paese; cambiare rotta, o accettare la morte lenta.

Continuare a ignorare l’emigrazione meridionale significa accettare che una parte d’Italia si spenga lentamente. Ma non si può essere uniti a metà. Il futuro dell’Italia passa anche e soprattutto da una rinascita vera del Sud, non a parole, ma nei fatti. (mm)

(Direttivo nazionale MET  – Movimento Equità Territoriale)

LE AREE INTERNE NON DEVONO DIVENTARE
LUOGHI FANTASMA, MA UN’OPPORTUNITÀ

di CARMELO VERSACE – Lo strumento di questo “killeraggio” è il “nuovo” Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne 2021/2027, scritto e prodotto nei nascosti antri di un ministero, senza alcuna trasparenza né confronto, come ben si addice ai colpi di mano.

In questo documento di programmazione 2021-2027 lo Stato conferma l’attenzione verso le Aree Interne garantendo le necessarie risorse finanziarie tramite lo stanziamento di ulteriori 310 milioni di euro, ma nell’elenco delle tipologie degli obiettivi fissati nella prospettiva di rafforzare le condizioni, prevede l’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile.

Un numero non trascurabile di Aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa (popolazione di piccole dimensioni, in forte declino, con accentuato squilibrio nel rapporto tra vecchie e nuove generazioni) oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività.

Queste Aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita. Così si legge nel punto numero 4 del documento e perciò, secondo il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne, molti comuni delle aree interne che si trovano lontani dai centri dove si concentrano i servizi essenziali vanno semplicemente assistiti in un percorso di declino e invecchiamento e non possono aspirare ad una inversione di tendenza.

In sostanza, il Paese nella morsa del crollo demografico prende atto della condizione dell’Italia di dentro, e della forbice sempre più marcata tra l’osso e la polpa.

È inaccettabile che il governo presenti come ineluttabile e necessaria quella che è una scelta politica precisa quanto scellerata: la riduzione di fondi per aree delle quali non si vuole riconoscere il valore e la necessità.

Quanti anni sono trascorsi da quel particolare periodo in cui la pandemia in atto pareva avere innescato un processo di nuovo interesse per la vita di comunità lontane dalle grandi aggregazioni metropolitane?
Sembrerebbero secoli e non, invece, come è stato, qualche anno.

Un altro aspetto che sfugge al governo Meloni riguarda il cambiamento climatico che negli anni porterà sempre di più ad una migrazione verticale della popolazione dalle città infuocate verso le aree collinari e montane.

Un fenomeno che, se regolamentato, potrebbe costituire un nuovo scenario di ripopolamento per le aree interne. Invece di prepararsi a questo, si chiudono tutte le possibilità.

Le aree interne del nostro Paese non devono diventare luoghi fantasma, ma un’opportunità: spazi accessibili e vivibili per tantissimi giovani. Ma perché ciò accada, servono visione, amore, risorse.

Serve un’azione comune da parte di noi amministratori locali al fine di respingere questo progetto devastante per i nostri territori.

Le aree interne costituiscono il 60% del nostro Paese e non sono vuoti da riempire o cancellare ma costituiscono comunità e territori preziosi. Serve un’azione corale che parta dal basso, il dato è allarmante per il nostro territorio, dove i Comuni della Città Metropolitana inferiore ai 5 mila abitanti interessati da questo provvedimento sono circa il 75%.

È necessario uscire dallo schema tradizionale dei partiti e chiedere conto alle forze di Governo presenti in parlamento affinché si rendano conto del danno che stanno causando al futuro, anzi al non futuro.

Questo documento non fa altro che mettere nero su bianco l’impossibilità, secondo il Governo, di una strategia utile a favorire la “restanza”, riconosce una sfiducia nelle nostre azioni, nelle nostre politiche di coesione e salvaguardia del territorio, si disinteressa delle persone, delle famiglie, dei sogni di quei giovani che intendono credere ancora nelle potenzialità di queste aree, di attività economiche che vengono abbandonate ad un tragico destino di affossamento.

In buona sostanza, tutti i nostri sacrifici, i nostri investimenti, il nostro tempo dedicato come amministratori locali per trattenere i nostri giovani o attrarne di nuovi vengono gettati al vento, scartati come spazzatura, pianificando una “dignitosa” decadenza, un welfare del tramonto che fornisca badanti e medicine, una lenta agonia anagrafica e sociale abbandonando il sogno di un’opportunità e speranza di ripresa. Nonostante gli importantissimi investimenti che con il Pnrr si stanno facendo per colmare il gap con il resto del Paese, questo è il risultato. Perché il Governo non recupera le risorse del fondo di coesione, tolti al Sud per finanziare opere strategiche sul territorio? Perché li ha destinati esclusivamente alla faraonica  realizzazione del Ponte sullo stretto? Perché si preoccupa di intervenire su aree strategiche e non si preoccupa, invece, di verificare, ad esempio, un dato importante come quello del livello sanitario in Calabria e, più in generale, di tutto il territorio nazionale, che non risponde più agli standard europei?

Questa non è la politica che ci piace, non è una politica costruttiva ma distruttiva, tale da rendere irreversibile il fenomeno dello spopolamento che per tanto tempo abbiamo combattuto investendo con  risorse e tempo. Tutto questo è inaccettabile:  anziché alimentare speranza e fiducia si insiste sulla difficoltà e sull’impossibilità di fare interventi che possono cambiare in maniera radicale le cose. Il problema non è solo di ordine strutturale, economico e demografico, ma è proprio di ordine antropologico-culturale e di creazione di una sorta di disaffezione ai luoghi da parte dei giovani che non trovano un buon motivo per restare, oltre alla mancanza di interventi che realizzino esperienze positive, in controtendenza rispetto allo spopolamento.

Non si dice ai giovani che hanno il diritto di restare, che possono impegnarsi e mobilitarsi per cambiare le cose. Non si dice ai giovani che possono avere la speranza di cambiare le cose, questa è una sorta di resa per paesi che sono moribondi ormai da circa settant’anni e che adesso stanno arrivando a una vera e propria morte. In alcune dichiarazioni sembra quasi ci si rassegni a una sorta di eutanasia dei paesi, mentre bisognerebbe dire che i borghi hanno diritto di vivere anche se hanno un solo abitante, che semmai dovrebbero essere messi in condizioni di riprendersi.

Noi amministratori ci mettiamo la faccia, le aree interne non sono territori da accompagnare con rassegnazione verso il tramonto bensì realtà vive, ricche di risorse umane, ambientali e culturali, che aspettano solo di essere valorizzate con investimenti concreti, visione strategica e politiche coraggiose. Il nostro compito è quello di rivendicare dignità, futuro e pari diritti per chi ha scelto e continua a scegliere di vivere e lavorare in questi territori.

Serve una visione lungimirante di sviluppo, bisogna investire in infrastrutture e servizi, promuovere  politiche che incentivino il ritorno dei giovani, rafforzando la cooperazione tra Comuni e valorizzando le specificità locali. È per questo che faremo fronte comune per combattere questo approccio, per annientare questa strategia di eutanasia sociale che tradisce il senso delle politiche di coesione, tradisce i nostri obiettivi, i nostri valori, la nostra storia che parte necessariamente da questi territori ora dimenticati.

Nei prossimi giorni mi farò portavoce di una mozione da portare al vaglio del Consiglio Metropolitano, provando a coinvolgere in primis l’assemblea dei sindaci metropolitani con un messaggio chiaro e deciso da destinare alla Presidente Anci Calabria, Rosaria Succurro, e al Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, i quali devono necessariamente sposare questa causa, provando ad andare oltre i “diktat” di partito, pensando agli interessi del territorio che rappresentano e delle tante popolazioni in attesa di un aiuto concreto contro questo atto scellerato. (cv)

[Carmelo Versace è vicesindaco della Metrocity RC]

NEI BORGHI DEL SUD E DELLA CALABRIA
LO SPOPOLAMENTO È «IRREVERSIBILE»

Centinaia di borghi e paesi delle aree interne italiane, in particolare del Mezzogiorno, sono destinati a scomparire. Lo dice esplicitamente il Piano strategico nazionale per le aree interne (Psnai), firmato dal ministro per le Politiche di coesione, Tommaso Foti. Il fenomeno dello spopolamento viene descritto come ormai inarrestabile in molte zone e, per la prima volta, viene previsto un “accompagnamento” nel declino.

«La popolazione può crescere solo in alcune grandi città e in specifiche località particolarmente attrattive», si legge nel documento. Dove ciò non è possibile, l’obiettivo è «l’accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile».

Un passo indietro rispetto agli intendimenti sempre manifestati dalla destra, che ha sempre proclamato di voler difendere l’identità dei territori, i piccoli comuni, i borghi storici. Foti, invece, chiarisce che per alcuni non c’è nulla da fare.

Aree interne senza prospettiva: la resa del piano Foti

È l’Obiettivo 4 quello più drammatico. In questo segmento di analisi il piano ministeriale prende atto di una realtà già compromessa: «Un numero non trascurabile di aree interne si trova già con una struttura demografica compromessa oltre che con basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività», si legge ancora.

Per queste aree, prosegue il testo, «non possono porsi obiettivi di inversione di tendenza ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse» e «hanno bisogno di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitosoper chi ancora vi abita».

Il Mezzogiorno paga il prezzo più alto

Il problema riguarda tutto il Paese ma colpisce soprattutto il Sud. Le aree interne del Mezzogiorno, già fragili, risultano le più colpite da emigrazione, crisi dei servizi e mancanza di opportunità. Le conseguenze si ripercuotono ovviamente anche sulla Calabria, dove la rinascita dei borghi è una parola d’ordine da anni (forse decenni) ma, davanti alla cruda realtà dei dati, dovrà tramontare, per lo meno nei piccoli comuni in condizioni più disperate.

«Al Sud quattro comuni su cinque perdono 35mila abitanti», ha detto lo stesso Foti in un’audizione parlamentare, confermando di fatto la geografia dello squilibrio demografico.

Alcuni borghi verranno “salvati”, ma secondo una logica selettiva: solo quelli con concrete possibilità di rilancio riceveranno risorse, con investimenti mirati su trasporti, sanità e servizi essenziali.

Il Pd all’attacco: «Condannati alla resa»

Dall’altro lato della barricata ci sono le opposizioni. E soprattutto il Pd che, negli ultimi anni, ha puntato molte iniziative proprio sulle aree interne. «Il governo getta la spugna e condanna questi territori alla resa. Ringraziamo il ministro Foti per averci dato ragione», ha dichiarato a Domani il deputato del Partito Democratico Marco Sarracino.

Il Pd prepara una proposta di legge per contrastare lo spopolamentoe intende avviare un tour nelle aree a rischio, per rilanciare la questione politica del riequilibrio territoriale.

Tanti fondi, ma strategia al ribasso

Nel documento, che conta 164 pagine, il governo annuncia anche una revisione della governance: sarà istituita una nuova cabina di regia con funzioni di coordinamento e supporto tecnico, sotto la supervisione del Dipartimento guidato da Foti.

Ma la linea di fondo appare rinunciataria. Una scelta sorprendente se si considera la dotazione disponibile: ai 600 milioni previsti dal Pnrr per le aree interne, si sommano altri 400 milioni provenienti da fondi europei già stanziati.

Risorse ampie, dunque, ma le linee guida del Governo vanno verso una gestione che rinuncia a invertire la rotta in ampie porzioni del territorio nazionale. Per molte aree interne, il declino sarà semplicemente “accompagnato”. È un fenomeno «irreversibile». (ppp)

[Courtesy LaCNews24]

LA CRISI PROFONDA DEI PICCOLI CENTRI
NELL’APPARENTE NORMALITÀ DEL VOTO

Il turno delle elezioni amministrative 2025 si è chiuso, ma senza clamori e senza nemmeno tante aspettative. Ma dietro l’apparente normalità delle urne si nasconde una delle più gravi crisi strutturali che attraversano l’Italia: quella dei Comuni, in particolare quelli del Sud e della Calabria, sempre più poveri, svuotati e soli. Non si tratta solo di un problema di risorse. È in crisi l’intera architettura istituzionale e organizzativa degli enti locali, ridotti spesso a gusci vuoti, senza personale qualificato, senza strategia nazionale, senza voce.

Secondo l’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), oltre il 70% dei Comuni italiani ha meno di 5.000 abitanti. E molti di questi, soprattutto al Sud, sono in una condizione definita tecnicamente “strutturale di squilibrio”. Non riescono a chiudere i bilanci, sono sotto piani di rientro pluriennali, hanno difficoltà perfino a compilare le relazioni obbligatorie sui conti pubblici.

L’assenza cronica di personale – in particolare dirigenti amministrativi e tecnici – ha reso in molti casi impossibile anche partecipare ai bandi del Pnrr o gestire i fondi europei. In alcune realtà calabresi, lucane e siciliane, interi settori degli uffici comunali risultano scoperti. Senza un ingegnere, un ragioniere, un tecnico dell’ambiente, è impossibile progettare o anche solo far partire opere pubbliche.

Il caso della Calabria è emblematico. Secondo stime dell’Istat e dell’Università della Calabria, la regione potrebbe perdere tra i 390.000 e i 500.000 abitanti nei prossimi trent’anni. Si tratta di una vera e propria emorragia demografica che rischia di desertificare intere aree interne.

Borghi storici si stanno spegnendo nel silenzio generale, le scuole chiudono per mancanza di alunni, le attività economiche scompaiono. L’età media si alza, mentre i giovani che restano sono spesso disoccupati o inoccupabili, e quelli che vanno via non tornano.

Senza parlare della sanità ormai al collasso, mentre i pronto soccorso sono spesso al collasso e la medicina d’urgenza non garantisce certezze. Ma la questione sanità riguarda tutto il paese, tanto che il Ssn è vicino al collasso. La privatizzazione della sanità è già nei fatti, in violazione di Costituzione, considerato che lo Stato deve garantire le cure a tutti, nessuno escluso. Ma questo sta diventando sempre una favola, mentre i governi di turno passano da un trionfalismo all’altro, negando la verità ai cittadini, occultando le gravissime difficoltà che sta scontando il sistema sanitario nazionale.

Questa “fuga dal Sud” non è solo un fenomeno sociologico. È un fattore di dissesto politico, economico e amministrativo. Un Comune senza cittadini, senza risorse, senza personale, semplicemente non funziona. Ma il problema, per ora, resta periferico anche nel dibattito politico nazionale.

Il Pnrr avrebbe potuto essere una leva per invertire la rotta. Ma senza una cabina di regia dedicata ai Comuni e senza un massiccio piano straordinario per il reclutamento del personale negli enti locali, molte risorse rischiano di andare sprecate o di non essere nemmeno richieste.

Nel 2023 il governo ha varato un “Piano per la coesione”, destinando fondi ai Comuni in difficoltà. Ma si è trattato per lo più di interventi a pioggia, privi di un coordinamento reale, e incapaci di incidere sulle cause strutturali del problema. L’Anci stessa denuncia da anni l’assenza di una visione strategica sul ruolo dei Comuni nel governo del Paese.

Il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie ha annunciato tempo fa nuove misure per incentivare l’assunzione di giovani funzionari negli enti locali del Mezzogiorno, ma i bandi vanno deserti, e nei piccoli centri mancano spesso perfino le condizioni minime per accogliere i nuovi dipendenti pubblici.

Nel silenzio dei riflettori e con una partecipazione elettorale sempre più bassa, i Comuni italiani stanno affrontando una crisi esistenziale. In particolare quelli del Sud, come in Calabria, stanno vivendo una lenta agonia che rischia di portare con sé l’intera tenuta democratica del Paese. Perché la Repubblica, lo dice la Costituzione, è fondata sui Comuni. Ma quando i Comuni muoiono, che ne è della Repubblica?

Serve una nuova stagione di riforme, coraggiosa e concreta, che metta al centro il presidio locale come garanzia di diritti, servizi, cittadinanza. Altrimenti, tra trent’anni, l’Italia rischia di svegliarsi con intere province fantasma, senza scuole, senza ospedali, senza democrazia(Con il contributo esterno di Francesco Vilotta, Ernesto Mastroianni, Bruno Mirante)

[CourtesyLaCNews24]

Sostegno alle Aree interne, Regione approva cofinanziamento per tre nuove aree

La Giunta regione ha approvato un provvedimento finalizzato a sostenere le nuove Aree Interne selezionate nell’ambito della Strategia Nazionale per le Aree Interne (Snai) 2021-2027.

In coerenza con il Programma Regionale Calabria Fesr Fse+ 2021-2027, Priorità 5, Obiettivo Specifico 5.2, Azione 5.2.1, viene avviata la procedura per il cofinanziamento delle Aree “Alto Ionio Cosentino” e “Versante Tirrenico Aspromonte” con una quota regionale pari a 8 milioni di euro per ciascuna area, a fronte dei 4 milioni di euro già stanziati a livello nazionale.

Tale misura garantisce, come già previsto nel ciclo di programmazione 2014-2020, un apporto regionale pari al doppio delle risorse nazionali, per un totale di 12 milioni di euro per area.

Inoltre, nel rispetto dei principi di equità territoriale e di non discriminazione, è stato deliberato un finanziamento regionale pari a 12 milioni di euro anche per l’Area “Alto Tirreno Cosentino-Pollino”, nonostante la stessa non sia stata ammessa a finanziamento nazionale. Tale decisione consente a questa area, già positivamente valutata nella SNAI 2021-2027, di essere sostenuta attraverso le risorse del PR Calabria FESR FSE+ 2021-2027.

«La deliberazione –  ha spiegato l’assessore Regionale all’Agricoltura e Sviluppo Rurale Gianluca Gallo –  riconosce il ruolo centrale dei presìdi di comunità nelle Aree Interne e rafforza l’impegno della Regione Calabria nella piena attuazione della Strategia Nazionale per le Aree Interne, contribuendo in maniera concreta allo sviluppo sostenibile e inclusivo dei territori più fragili e marginali». (rcz)

 

LE AREE INTERNE CALABRESI TRA DECLINO
DEMOGRAFICO E DISUGUAGLIANZE SOCIALI

di FRANCESCO RAOUno tra i fenomeni più significativi che sta caratterizzando le aree interne calabresi è il progressivo declino demografico. Secondo i recenti dati Istat, la popolazione dei comuni montani della Calabria ha subito una contrazione del 15% nell’ultimo decennio e le previsioni per il futuro non sono alquanto differenti. Tale circostanza, evidenzia tra l’altro, un incremento dei tassi migratori giovanili verso i grandi centri urbani e verso l’estero, meta quest’ultima scelta anche per compiere gli studi universitari.

Questo processo, come asseriva Parsons, può essere analizzato attraverso il “paradigma della modernizzazione” allora attuato attraverso lo spostamento verso le città, scelta che in passato rappresentava una tappa obbligata dello sviluppo socioeconomico delle società industriali. Tuttavia, nel contesto calabrese, il fenomeno osservato assume connotazioni particolarmente problematiche poiché si accompagna a un sensibile invecchiamento della popolazione residente e ad una crescente difficoltà nel garantire la sostenibilità sociale ed economica di queste comunità.

La conseguente contrazione sociale, ci consente oggi di poter meglio interpretare l’esodo giovanile non solo come una questione economica ma assume una nuova polarità rappresentata come fenomeno culturale. Difatti, la mancanza di opportunità occupazionali e la scarsa valorizzazione del capitale culturale locale inducono i giovani a cercare altrove prospettive di mobilità sociale ascendente, indebolendo le reti sociali dei territori e la capacità di auto-rigenerazione delle comunità locali.

La marginalizzazione infrastrutturale e la disparità di accesso a molti servizi, nel seguire le teorie della geografia critica di Harvey, continuano ad evidenziare come le aree interne soffrano a causa di una strutturale criticità determinatasi tanto a causa dalla storica carenza di investimenti in infrastrutture e servizi essenziali quanto nella crisi demografica che ha inciso notevolmente a livello regionale. Seppur il Pnrr sia stato una opportunità per il Meridione, praticando la dovuta cautela dell’osservatore, sino a quando non saranno concluse le azioni ad esso riconducibili, in questa sede considereremo quanto nel tempo ha affermato lo Svimez e per avere maggiore contezza dei dati il 40% dei comuni calabresi risulta privo di un adeguato collegamento ferroviario, mentre il 60% delle aree rurali non dispone di un’infrastruttura digitale efficiente.

Analoghe criticità sono rappresentate per i collegamenti viari e nei periodi estivi, vista l’assenza dei servizi di trasporto dedicati agli studenti, la mobilità per i giovani è un dramma. Vi è da puntualizzare un notevole impegno messo in atto dall’attuale governo regionale della Calabria, attualmente proiettata verso la fine del commissariamento sanitario ma la scarsità di presidi sanitari, il continuo accorpamento degli Istituti scolastici e la carenza di opportunità lavorative, continuano ad alimentare un circolo vizioso nel quale lo spopolamento e l’impoverimento socioeconomico rappresentano la criticità maggiore per la Calabria. A supporto di una ripresa strutturale, vi è anche una debolezza manifestata dalle reti associative presenti nei piccoli centri che ostacola i processi di innovazione e cooperazione.

Eppure, come sancito dalla Corte costituzionale con la sentenza 131/2020, gli elementi essenziali per un rilancio strutturato dei territori può trovare ampia attuazione grazie a processi di co-progettazione svolta tra Enti Locali e Terzo Settore. In tal senso, ancora non sono evidenti grandi risultati, ma attraverso la nuova programmazione del welfare regionale, sicuramente giungeranno importanti novità. In contropartita, si registra una diffusa sfiducia nelle istituzioni, fenomeno non più presente nel solo segmento sociale adulto, l’evidenza oggi è presente anche in una parte della platea composta dai giovani adulti. Tale circostanza potrebbe ulteriormente scoraggiare gli investimenti in nuove tecnologie, limitando nel medio e lungo periodo le possibilità di sviluppo. A ciò si aggiunge una constatazione per la quale le difficoltà a capitalizzare le competenze ed i titoli di studi conseguiti, porta i giovani a non intravedere la Calabria come una terra nella quale realizzarsi. Insomma, quel paradosso per il quale il futuro non attenderà i più bravi, ma si limiterà ad accogliere i mediocri rischia di impoverire culturalmente le future generazioni mettendo anche a rischio la tenuta sociale e democratica. 

La Calabria può contare su particolari opportunità per alimentare uno sviluppo endogeno e, nonostante le criticità strutturali evidenziate, le aree interne della regione possono rappresentare un laboratorio di innovazione sociale ed economica in cui la valorizzazione delle risorse presenti rappresentano la chiave del rilancio. Tra le strategie più promettenti emergono: il turismo esperienziale e la valorizzazione del patrimonio culturale.

L’approccio della glocalizzazione suggerisce una via d’uscita dall’isolamento attraverso l’integrazione tra identità locali e dinamiche globali ponendo queste esperienze come un vero e proprio volano di sviluppo. In tal senso, l’esperienza post covid e l’importantissimo risultato conseguito dagli aeroporti calabresi, con una tendenza di incremento percentuale elevatissimo, ne certificano la fattibilità. Occorre però affrontare in modo sinergico e veloce la capacità di accoglienza e la capacità di fornire ed erogare servizi turistici.

La sola valorizzazione dei borghi storici, animata dalle tradizioni locali, può attrarre segmenti di visitatori interessati all’autenticità e alla sostenibilità ma occorre anche un salto di qualità per consentire la permanenza turistica e la destagionalizzazione delle presenze turistiche. Anche l’agricoltura sostenibile e le reti di economia circolare, messe in azione con l’intento di consolidare nuovi processi di resilienza economica nelle aree rurali, potrebbero promuovere pratiche agricole biologiche sostenibili, promozione di filiere corte e l’ospitalità diffusa. 

Infine, la digitalizzazione e l’innovazione tecnologica oggi più che mai svolgono un ruolo cruciale in quanto, oltre a ridurre le distanze geografiche creano nuove opportunità occupazionali. Perciò, l’investimento in banda larga e lo sviluppo di spazi di co-working nelle aree rurali potrebbero favorire il fenomeno del remote working attraendo nomadi digitali generando nuove dinamiche sociali. Secondo una fonte del Ministero dello Sviluppo Economico del 2023, viene stimato che l’estensione della fibra ottica nelle aree marginali possa aumentare la produttività del 12%.

Infine, la transizione energetica e le comunità energetiche rinnovabili sono la prospettiva di uno sviluppo sostenibile che enfatizza il rilancio delle aree periferiche.  Da questa breve ed incompleta analisi sociologica delle aree interne calabresi credo sia intuibile che il loro declino non sia un destino ineluttabile, bensì il risultato di scelte politiche e processi economico-sociali che possono essere ripensati e invertiti. Il rilancio di questi territori richiede un approccio integrato, capace di coniugare innovazione tecnologica, valorizzazione culturale e sostenibilità ambientale. Per raggiungere ed ottimizzare gli obiettivi sarà indispensabile il coinvolgimento delle giovani generazioni e il rafforzamento della governance territoriale, realtà che rappresentano i fattori determinanti per il successo di queste strategie. (fr)

[Francesco Rao è docente a contratto cattedra di sociologia generale – Università “Tor Vergata” Roma]

 

I sindaci della Sila Greca e Arberia rilanciano parole del Papa: Difendere le aree interne per salvare l’Italia

Difendere le aree interne per salvare l’Italia. È il messaggio di Papa Francesco che i sindaci di Caloveto, Umberto Mazza, di San Giorgio Albanese, Gianni Gabriele, e di Vaccarizzo Albanese, Antonio Pomillo, hanno rilanciato dopo aver partecipato all’udienza del Papa assieme ad altri 200 primi cittadini.

«Così come ha ben sottolineato Papa Francesco – ha spiegato Mazza – i piccoli comuni, soprattutto quelli delle cosiddette aree interne, sono oggi quelli subiscono i disagi maggiori ed a catena, tanto in termini di scarsità di risorse economiche ed umane quanto per la stessa garanzia dei diritti di cittadinanza. Nelle nostre aree interne – scandisce il Sindaco di Caloveto ringraziando Francesco per questa attenzione senza precedenti – viene messo ogni giorno in discussione il fondamentale principio di eguaglianza che è alla base della nostra Costituzione».

«Nelle parole del Santo Padre – ha detto Pomillo – non possiamo non riconoscere purtroppo la fotografia reale di quell’impegno senza sosta che soprattutto i sindaci dei comuni più piccoli sono costretti ad investire quotidianamente per cecare di tutelare la dignità delle persone, di dare risposte sempre più complicate alle istanze sociali, di portare a soluzione criticità sproporzionate rispetto alla forza delle istituzioni locali, proprio – aggiunge il sindaco di Vaccarizzo Albanese ringraziando il Papa per l’incoraggiamento a proseguire la nostra missione – per quell’assenza di risorse adeguate che è come il cane che si morde la cosa e che rischia di minare la tenuta democratica dell’Italia intera».

«Siamo d’accordo – ha sottolineato Gabriele – sul ruolo e sulla sfida che le aree marginali possono e devono raccogliere: convertirsi, come mirabilmente ha detto Papa Francesco, in laboratori di innovazione sociale, a partire da una prospettiva, quella dei margini, che consente di vedere i dinamismi della società in modo diverso, scoprendo opportunità dove altri vedono solo vincoli, o risorse in ciò che altri considerano scarti».

«È una sfida ed una prospettive – ha concluso il sindaco di San Giorgio Albanese – che non possiamo non trasformare in azione istituzionale». (rrm)

Aree interne, l’impegno del Pd per frenare lo spopolamento di zone fondamentali per lo sviluppo della Calabria

Il consigliere regionale del Partito democratico Raffaele Mammoliti dedica le proprie attenzioni alle aree interne della Calabria e annuncia una giornata per ricordare la questione alla quale parteciperanno il segretario regionale del Pd Nicola Irto e di Marco Sarracino.

«Le problematiche relative alle aree interne della Calabria – dice Mammoliti – richiedono un’energica azione a vari livelli al fine di sollecitare, con la dovuta determinazione, l’utilizzo proficuo delle risorse disponibili sia per quanto riguarda la strategia nazionale, che la strategia regionale. Bisogna intervenire con la necessaria tempestività per affrontare la drammatica e preoccupante situazione economica, sociale e culturale che si vive in queste realtà, che si traduce in un effettivo indebolimento dei servizi essenziali quali mobilità, salute, istruzione. In questi anni si sono consumate tante riflessioni su questo tema, nonostante questo si corre il reale rischio che il processo di avanzamento nell’utilizzo proficuo delle risorse possa subire un pericoloso rallentamento, alla luce delle norme contenute nel Decreto Sud che, piuttosto che accelerare la spesa, la centralizza attraverso l’istituzione di una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il tutto in netta contraddizione rispetto alla tanto declamata autonomia differenziata».

«Proprio per assumere, definire e concretizzare percorsi operativi – fa sapere Mammoliti – venerdì 24 novembre è stata organizzata un’intera giornata di lavoro e riflessione sul tema. La mattina alle 11, nella sala consiliare del Comune di Mongiana, si terrà un incontro coordinato dal sindaco Francesco Angilletta, al quale parteciperanno gli amministratori locali e dirigenti di partito, con il contributo di Pasquale Mancuso, responsabile Aree interne della segreteria regionale Pd, che illustrerà lo stato di attuazione degli interventi Snai (Strategia nazionale Aree interne). Nel pomeriggio alle ore 16,30, nella sala consiliare del Comune di Arena, dopo i saluti del circolo Pd con Giovanna Bonifacio e la relazione di Pasquale Mancuso, interverranno Antonio Schinella, sindaco di Arena, Giovanni Di Bartolo, segretario di federazione, Valeria Giancotti, direzione regionale, Angelo Sposato, segretario Cgil Calabria, Domenico Bevacqua, capogruppo Pd Calabria. Concluderanno il senatore e segretario regionale del partito Nicola Irto e il deputato e componente della direzione nazionale dem Marco Sarracino. Considero l’organizzazione di tale iniziativa fondamentale ed indispensabile per tentare di fermare lo spopolamento del territorio e, allo stesso tempo, indispensabile per garantire alle Comunità che vivono nelle aree interne reddito e servizi adeguati. È un impegno categorico a cui nessuno degli attori coinvolti si può e si deve sottrarre.
In tale direzione sarà elaborato un contributo per la conferenza programmatica del Pd, prevista per il mese di gennaio 2024».

«Anche per questa via – conclude Mammoliti – sono convinto, si potrà garantire nel territorio più negletto della Calabria, l’affermazione dei diritti di cittadinanza e della legalità, condizione imprescindibile per garantire tenuta democratica, crescita civile e sviluppo produttivo». (rvv)

Aree interne, Pd Calabria: Servono risorse per evitare lo spopolamento in Calabria

«Servono risorse e strumenti per una risposta concreta che eviti lo spopolamento della Calabria». È l’appello lanciato dai Dipartimento del Pd Enti Locali e Aree Interne, Pasquale Mancuso e Salvatore Monaco, e che è stato raccolto dal consigliere regionale Mimmo Bevacqua, che si è impegnato a convocare una riunione del gruppo consiliare per approfondire la tematica e promuovere una eventuale iniziativa pubblica sul tema.

L«a valorizzazione delle aree interne, da tempo abbandonate al loro destino specialmente dopo la soppressione delle Comunità montane – si legge in una nota – rappresenta una priorità per la Calabria. Il Pd è da sempre attento a questa tematica e da tempo lavora per superare le storiche debolezze dei Comuni interni e più fragili, alle quali si sono aggiunte, da ultimo, le ulteriori criticità derivanti da un assai discutibile dimensionamento scolastico e dal progressivo indebolimento dei servizi sanitari su tutte le aree montane calabresi che vivono un drammatico e progressivo spopolamento che occorre limitare utilizzando tutti gli strumenti a disposizione».

«Non possiamo, dunque – si nelle nella nota – che accogliere positivamente la proposta di legge presentata dal presidente Mancuso e dall’assessore Gallo  che, però, può essere considerata come una semplice base di partenza per avviare un confronto ampio e costruttivo per arrivare ad una proposta che sia davvero in grado di dare uno slancio alle aree più in difficoltà della nostra Regione».

«Ad esempio all’interno del progetto di legge andrebbero inserite anche norme che spingano fortemente verso la fusione di Comuni montani con incentivi forti e premialità sostanziali, considerando che, attualmente – continua la nota – i Comuni con meno di 5000 abitanti in Calabria sono 324, ossia il 79,2% del totale. Un reale contrasto al depauperamento demografico e alla desertificazione produttiva passa inevitabilmente dalla ricostruzione della rete dei servizi primari: sanità, scuola, poste, sicurezza e dalla ricostituzione di un tessuto economico produttivo. Servono, dunque, ingenti investimenti da parte della Regione attraverso l’utilizzo degli strumenti oggi a disposizione quali il Pnrr, i fondi comunitari e quelli per l’innovazione tecnologica che, attraverso il ricorso allo smart working, permetterebbe la permanenza di migliaia di giovani in questi territori».

«Siamo disponibili al dialogo – ha concluso il capogruppo dem Mimmo Bevacqua – e a lavorare ad un progetto di riforma complessiva che metta a sistema tutti gli strumenti a nostra disposizione per dare risposte concrete alle tante Comunità calabresi in difficoltà. Un passaggio nevralgico se davvero vogliamo evitare che lo spopolamento della nostra Regione azzeri ogni speranza di futuro. Un ringraziamento va ai Dipartimenti del Pd e ai loro rispettivi responsabili Pasquale Mancuso e Salvatore Monaco, che stanno lavorando alla tematica e con i quali proseguirà il confronto nelle prossime settimane». (rcs)