di ERCOLE INCALZA – Il Ministro Tommaso Foti lo scorso 7 gennaio ha dichiarato che «la spesa effettiva dei fondi Pnrr si attesta a circa 60 miliardi di euro di cui 22 miliardi nel 2024. Il 50% delle risorse spese rientra tra quelle a fondo perduto e i pagamenti effettivi sono superiori del 10 – 12% rispetto a quelli rilevati ufficialmente».
Appare evidente che, per centrare l’obiettivo di una piena attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), bisognerebbe spendere oltre 130 miliardi di euro in 18 mesi.
Questo ultimo dato dimostra che siamo già oggi di fronte alla constatazione che è impossibile rispettare la scadenza imposta dalla Unione Europea e, sempre il Ministro Tommaso Foti, di fronte a questa constatazione ha precisato: «Non dobbiamo avere l’incubo di spendere a tutti i costi perché vorrebbe dire spendere male. Se una quota non riesce ad essere spesa perché le misure non sono attrattive, dopo che le abbiamo cambiate, ben venga il prendere atto che ci sono misure che non hanno mercato».
Sulla base di questa obbligata constatazione il Ministro Foti ha anticipato che, entro il mese di febbraio, il Governo varerà un Piano in cui non compariranno più gli interventi irrealizzabili entro i prossimi sedici mesi e saranno inserite opere potenzialmente realizzabili entro la scadenza del giugno 2026.
In questa operazione, ha precisato sempre il Ministro Foti: «sarà inserito il vincolo di destinare almeno il 40% degli investimenti nel Mezzogiorno, anche perché il Mezzogiorno ha dimostrato di utilizzare al meglio i fondi e di farne volano per una crescita che, sempre nel 2024, è stata superiore a quella del Nord».
È quindi in corso, nei vari organismi preposti alla attuazione delle opere, nei vari organismi responsabili della progettazione e della realizzazione degli interventi, un lavoro capillare mirato a cercare da un lato possibili ulteriori modalità per velocizzare l’avanzamento delle attività e dall’altro identificare l’inserimento di interventi sostitutivi in grado di essere portati a termine entro il mese di giugno del 2026.
Senza dubbio questo si configura come un lavoro obbligato e, al tempo stesso, senza dubbio, tutto questo rappresenta un ultimo tentativo per evitare un vero e pesante fallimento nell’attuazione del Pnrr; un fallimento che l’ex Ministro Fitto aveva già cercato, riuscendoci, di ridimensionare trasferendo già molti interventi all’interno del Fondo Sviluppo e Coesione 2021 – 2027.
In altre mie note ho ricordato le grandi responsabilità dei Governi Conte 1, Conte 2 e dello stesso Governo Draghi nell’aver sottovalutato l’obbligato rispetto della “spesa” entro il mese di giugno del 2026 ed in particolare l’aver perso praticamente un biennio nella identificazione delle opere e nell’avvio concreto delle procedure di gara.
Oggi, quindi, non possiamo più rinviare questa triste fase di ammissione della impossibilità di attuare il Pnrr e, come ribadisco da almeno due anni, riconoscere che la possibilità della spesa non potrà attestarsi su un valore superiore alla soglia di 80 – 90 miliardi di euro.
Sempre in alcune mie considerazioni avanzate poche settimane fa ho precisato che dovremmo trovare delle soluzioni per evitare non solo di perdere circa ulteriori 120 miliardi ma di dover subire anche delle penalty.
Avevo anche ribadito che la corsa a cambiare il Piano attraverso l’inserimento di nuove opere e l’annullamento di altre ormai non più difendibili, sia una soluzione rischiosa anche perché l’annullamento di alcune opere scatenerebbe gli Enti locali (Regioni e Comuni), scatenerebbe alcune grandi Aziende come il Gruppo delle Ferrovie dello Stato, darebbe origine ad un vero contenzioso da parte del mondo delle costruzioni.
L’unica soluzione, o meglio, l’unico compromesso penso potrebbe essere quello di trasformare la quota a fondo perduto pari globalmente a circa 68 miliardi (di cui finora utilizzati circa 30 miliardi e per la data del 30 giugno 2026 spendibili fino ad una quota di 45 miliardi) in prestito (cioè dovremo trasformare in prestito un importo di circa 23 miliardi di euro) e incrementare gli interessi anche della quota in prestito restante e quindi dovremo definire con la Unione Europea un accordo attraverso il quale il nostro Paese dovrà dal 2027 in poi onorare un prestito globale di circa 118 miliardi di euro (23 miliardi di euro + 95 miliardi di euro).
Senza dubbio questa proposta trova un supporto adeguato nella serie di cambiamenti, nella gestione del nostro Paese, vissuti dal 2020 ad oggi; in soli quattro anni si sono alternati tre distinti schieramenti il primo con il Governo Conte appoggiato essenzialmente dal Partito Democratico e da 5 Stelle, il secondo con il Governo Draghi con la presenza di tutti gli schieramenti politici escluso quello di Fratelli d’Italia e dalla fine del 2022 ad oggi una compagine solida formata da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi moderati.
La instabilità dei Governi Conte 2 e Draghi ha inciso in modo rilevante sulla concreta attuazione delle scelte del Pnrr e questo penso possa essere una valida motivazione per supportare la proposta di rivisitazione avanzata non delle opere ma delle modalità di uso delle risorse.
La ipotesi avanzata dal Ministro Foti invece genera automaticamente, come detto prima, uno scontro con gli Enti locali, con le grandi Aziende come Ferrovie dello Stato ed Anas, una vera presa di posizione non solo degli schieramenti politici oggi alla opposizione ma anche di quelli che appoggiano il Governo.
Insisto, quindi, nel ribadire la opportunità di verificare attentamente la mia ipotesi di lavoro perché quanto meno evita: una riapertura procedurale delle istruttorie sulle nuove opere; un contenzioso tra le opere già assegnate anche attraverso l’attestato di “opera giuridicamente vincolante” (OGV); l’impossibilità di identificare in appena 20 mesi interventi capaci di essere portati a compimento entro il 30 giugno 2026
Una grave penalizzazione, soprattutto per il Mezzogiorno, in quanto le opere avviate dalle Ferrovie dello Stato e relative all’asse Salerno – Reggio Calabria, Palermo – Catania e Catania – Messina, per un valore globale di circa 8 miliardi di euro sarebbero bloccate generando un contenzioso perdente per il committente pubblico.
Non credo che, in questo delicato momento storico, il Governo voglia incamminarsi verso una scelta divisiva e ingestibile. (ei)