STATALE 106, ORA SI FA SUL SERIO: I PRIMI
BANDI PARTIRANNO TRA MAGGIO E APRILE

di LUCA LATELLA – Prima uscita ufficiale per il nuovo commissario della statale 106, Francesco Caporaso, nominato dal governo una decina di giorni fa. Ed è una sortita coi fiocchi, al Ministero delle Infrastrutture dei trasporti alla presenza di Matteo Salvini, del presidente della Regione, Roberto Occhiuto e del nuovo amministratore delegato di Anas, Andrea Gemme.

Il summit è stato utile, sostanzialmente, a mettere i puntini sulle “i” rispetto alle due tratte in fase procedurale avanzata, il cosiddetto progetto bandiera Crotone-Catanzaro, e quello che era stato designato precedentemente come tale, Sibari-Rossano, rimpiazzato proprio dal segmento croto-catanzarese a causa ritardi accumulati dalla politica locale.

Al centro del colloquio – si legge in una nota del Mit – «gli importanti investimenti e i progetti per il territorio calabrese, per modernizzare la viabilità e migliorare i collegamenti, anche con il progetto del Ponte sullo Stretto, per un importo totale di circa 3 miliardi e 800 milioni».

Risorse che serviranno, appunto, a portare a termine le due tratte: circa 2,5 miliardi per la realizzazione dei 51 chilometri di “nuova” 106 a quattro corsie tra Crotone e Catanzaro già banditi ed in fase propedeutica di realizzazione e 1,3 miliardi per i 32 tra Rossano e Sibari.

Le novità di giornata: i bandi di gara

Le vere novità di “giornata”, piuttosto, riguardano i nuovi bandi di gara che interessano le due tratte, ormai imminenti. «Entro il 2 aprile» saranno pubblicate le gare – su due lotti – della Si-Ro mentre per quel che riguarda la Cz-Kr, un primo bando è già stato affidato, ne restano altri cinque in fase di pubblicazione «entro maggio».

Un’ottima notizia per la Sibaritide – già interessata dai lavori del terzo megalotto Sibari-Roseto Capo Spulico che sarà aperta al traffico l’anno prossimo – dopo i mesi di ritardo accumulati per la firma della convenzione tra Regione e Anas (propedeutica al bando di gara) a seguito della chiusura, ormai a giugno scorso, della conferenza dei servizi. Una dilatazione dei tempi – in parte – dovuto anche alla necessità di rimpinguare l’ormai fatidico fondo da tre miliardi stanziati dal governo Meloni per il rifacimento della statale 106 per i prossimi 15 anni, già abbondantemente assorbiti dalle due tratte. Risorse aggiuntive poi recuperate dal Fondo di Sviluppo e Coesione.

«In particolare, nell’ambito del progetto di sviluppo e riqualificazione della Strada Statale 106 Jonica che collega Reggio Calabria a Taranto, uno snodo strategico per il Sud Italia – spiegano quindi dal Mit – Anas procederà entro il 2 aprile alla pubblicazione del bando di gara per l’appalto integrato dei due lotti della tratta Sibari-Corigliano Rossano, mediante procedura aperta, per un importo di circa un miliardo e 300 milioni di euro».

«L’intervento rientra nel più ampio progetto di sviluppo e riqualificazione della SS 106 per un totale di 82 km – puntualizzano dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti – in variante e a carreggiate separate, che comprende anche la tratta Catanzaro Crotone per un importo totale, come detto, di circa 3,8 miliardi di euro».

Crotone-Catanzaro: il punto

«Per questa tratta, Catanzaro Crotone – è specificato ancora – un lotto risulta già appaltato (valore 346 milioni) e altri cinque lotti, per un investimento di circa due miliardi e 200 milioni di euro, saranno aggiudicati entro maggio prossimo».

Sibari-Rossano: il punto

Il tratto Sibari – Rossano «fa parte degli interventi oggetto di commissariamento governativo, affidati al commissario Caporaso. Nel dettaglio – conclude la nota del Mit – riguarda la realizzazione di una variante in nuova sede alla SS106 con un tracciato di categoria stradale B extraurbana principale, doppia carreggiata, per una estensione di circa 32 km, 9 svincoli, 28 viadotti per un totale di circa 4,5 chilometri e una galleria artificiale di circa 1,3 km, nel territorio di Corigliano Rossano».

«Grande soddisfazione del ministro Salvini – è la chiosa del ministero – per questi investimenti strategici che, dopo anni di attese, miglioreranno la viabilità della Calabria e i collegamenti con le altre regioni».
Già, ma gli altri?

Occhiuto «Col centrodestra 3,8mld in 3 anni, solo 1mld nei 30 anni precedenti»

«Sono estremamente soddisfatto dell’incontro odierno presso il Mit, nel corso del quale sono stati presentati gli ingenti investimenti relativi a importanti opere per il territorio calabrese sul piano della viabilità e del miglioramento dei collegamenti. Ringrazio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, per l’attenzione che sta dimostrando nei confronti della Calabria». È il commento di Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, a margine della riunione romana.

«Un’attenzione corrisposta anche dal governo nazionale e da quello regionale, entrambi di centrodestra, che in questi anni stanno concretamente immettendo risorse mai giunte in passato per l’ammodernamento della strada statale 106 e della viabilità locale. Ricordo che – prosegue il governatore – proprio per la Ss106, purtroppo definita la ‘strada della morte’, nei trent’anni precedenti era stato stanziato soltanto un miliardo. Negli ultimi tre anni siamo arrivati invece a 3,8 miliardi. Si tratta di un impegno inedito e straordinario, con tutte le progettazioni che camminano spedite.
Oltre al finanziamento dei cantieri quasi tutti aperti, stiamo lavorando per colmare un deficit infrastrutturale storico. Lo stiamo facendo in modo concreto, portando nel nostro territorio risorse tangibili e sono certo che presto i cittadini calabresi potranno fruire di quelle opere che attendono da troppi anni».

«Allo stesso tempo proseguiremo in maniera rapida con tutte le progettazioni dei restanti lotti della statale 106. Sappiamo che è un lavoro che durerà per diversi anni ma è anche vero che in Calabria mai nessuno prima d’ora era riuscito in così poco tempo a mettere in campo una mole così ingente di risorse per le nostre infrastrutture.
Di tutto ciò – conclude Occhiuto – voglio ringraziare anche l’amministratore delegato di Anas S.p.A, Andrea Gemme, il commissario straordinario per la “Riqualificazione della Strada Statale 106 Jonica”, Francesco Caporaso, e il dirigente regionale del Dipartimento Infrastrutture e Lavori Pubblici, Claudio Moroni, per la preziosa collaborazione». (ll)

[Courtesy LaCNews24]

INFRASTRUTTURE, AL SUD VINCOLATO IL
40% DEGLI INVESTIMENTI DEI FONDI PNRR

di ERCOLE INCALZA – Il Ministro Tommaso Foti lo scorso 7 gennaio ha dichiarato che «la spesa effettiva dei fondi Pnrr si attesta a circa 60 miliardi di euro di cui 22 miliardi nel 2024. Il 50% delle risorse spese rientra tra quelle a fondo perduto e i pagamenti effettivi sono superiori del 10 – 12% rispetto a quelli rilevati ufficialmente».

Appare evidente che, per centrare l’obiettivo di una piena attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), bisognerebbe spendere oltre 130 miliardi di euro in 18 mesi.

Questo ultimo dato dimostra che siamo già oggi di fronte alla constatazione che è impossibile rispettare la scadenza imposta dalla Unione Europea e, sempre il Ministro Tommaso Foti, di fronte a questa constatazione ha precisato: «Non dobbiamo avere l’incubo di spendere a tutti i costi perché vorrebbe dire spendere male. Se una quota non riesce ad essere spesa perché le misure non sono attrattive, dopo che le abbiamo cambiate, ben venga il prendere atto che ci sono misure che non hanno mercato».

Sulla base di questa obbligata constatazione il Ministro Foti ha anticipato che, entro il mese di febbraio, il Governo varerà un Piano in cui non compariranno più gli interventi irrealizzabili entro i prossimi sedici mesi e saranno inserite opere potenzialmente realizzabili entro la scadenza del giugno 2026.

In questa operazione, ha precisato sempre il Ministro Foti: «sarà inserito il vincolo di destinare almeno il 40% degli investimenti nel Mezzogiorno, anche perché il Mezzogiorno ha dimostrato di utilizzare al meglio i fondi e di farne volano per una crescita che, sempre nel 2024, è stata superiore a quella del Nord».

È quindi in corso, nei vari organismi preposti alla attuazione delle opere, nei vari organismi responsabili della progettazione e della realizzazione degli interventi, un lavoro capillare mirato a cercare da un lato possibili ulteriori modalità per velocizzare l’avanzamento delle attività e dall’altro identificare l’inserimento di interventi sostitutivi in grado di essere portati a termine entro il mese di giugno del 2026.

Senza dubbio questo si configura come un lavoro obbligato e, al tempo stesso, senza dubbio, tutto questo rappresenta un ultimo tentativo per evitare un vero e pesante fallimento nell’attuazione del Pnrr; un fallimento che l’ex Ministro Fitto aveva già cercato, riuscendoci, di ridimensionare trasferendo già molti interventi all’interno del Fondo Sviluppo e Coesione 2021 – 2027.

In altre mie note ho ricordato le grandi responsabilità dei Governi Conte 1, Conte 2 e dello stesso Governo Draghi nell’aver sottovalutato l’obbligato rispetto della “spesa” entro il mese di giugno del 2026 ed in particolare l’aver perso praticamente un biennio nella identificazione delle opere e nell’avvio concreto delle procedure di gara.

Oggi, quindi, non possiamo più rinviare questa triste fase di ammissione della impossibilità di attuare il Pnrr e, come ribadisco da almeno due anni, riconoscere che la possibilità della spesa non potrà attestarsi su un valore superiore alla soglia di 80 – 90 miliardi di euro.

Sempre in alcune mie considerazioni avanzate poche settimane fa ho precisato che dovremmo trovare delle soluzioni per evitare non solo di perdere circa ulteriori 120 miliardi ma di dover subire anche delle penalty.

Avevo anche ribadito che la corsa a cambiare il Piano attraverso l’inserimento di nuove opere e l’annullamento di altre ormai non più difendibili, sia una soluzione rischiosa anche perché l’annullamento di alcune opere scatenerebbe gli Enti locali (Regioni e Comuni), scatenerebbe alcune grandi Aziende come il Gruppo delle Ferrovie dello Stato, darebbe origine ad un vero contenzioso da parte del mondo delle costruzioni.

L’unica soluzione, o meglio, l’unico compromesso penso potrebbe essere quello di trasformare la quota a fondo perduto pari globalmente a circa 68 miliardi (di cui finora utilizzati circa 30 miliardi e per la data del 30 giugno 2026 spendibili fino ad una quota di 45 miliardi) in prestito (cioè dovremo trasformare in prestito un importo di circa 23 miliardi di euro) e incrementare gli interessi anche della quota in prestito restante e quindi dovremo definire con la Unione Europea un accordo attraverso il quale il  nostro Paese dovrà dal 2027 in poi onorare un prestito globale di circa 118 miliardi di euro  (23 miliardi di euro + 95 miliardi di euro).

Senza dubbio questa proposta trova un supporto adeguato nella serie di cambiamenti, nella gestione del nostro Paese, vissuti dal 2020 ad oggi; in soli quattro anni si sono alternati tre distinti schieramenti il primo con il Governo Conte appoggiato essenzialmente dal Partito Democratico e da 5 Stelle, il secondo con il Governo Draghi con la presenza di tutti gli schieramenti politici escluso quello di Fratelli d’Italia e dalla fine del 2022 ad oggi una compagine solida formata da Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e Noi moderati.

La instabilità dei Governi Conte 2 e Draghi ha inciso in modo rilevante sulla concreta attuazione delle scelte del Pnrr e questo penso possa essere una valida motivazione per supportare la proposta di rivisitazione avanzata non delle opere ma delle modalità di uso delle risorse.

La ipotesi avanzata dal Ministro Foti invece genera automaticamente, come detto prima, uno scontro con gli Enti locali, con le grandi Aziende come Ferrovie dello Stato ed Anas, una vera presa di posizione non solo degli schieramenti politici oggi alla opposizione ma anche di quelli che appoggiano il Governo.

Insisto, quindi, nel ribadire la opportunità di verificare attentamente la mia ipotesi di lavoro perché quanto meno evita: una riapertura procedurale delle istruttorie sulle nuove opere; un contenzioso tra le opere già assegnate anche attraverso l’attestato di “opera giuridicamente vincolante” (OGV); l’impossibilità di identificare in appena 20 mesi interventi capaci di essere portati a compimento entro il 30 giugno 2026

Una grave penalizzazione, soprattutto per il Mezzogiorno, in quanto le opere avviate dalle Ferrovie dello Stato e relative all’asse Salerno – Reggio Calabria, Palermo – Catania e Catania – Messina, per un valore globale di circa 8 miliardi di euro sarebbero bloccate generando un contenzioso perdente per il committente pubblico.

Non credo che, in questo delicato momento storico, il Governo voglia incamminarsi verso una scelta divisiva e ingestibile. (ei)

FONDI UE PER LE ARMI, IL RISCHIO PER LA
CALABRIA DI PERDERE RISORSE PREZIOSE

di FRANCESCO RENDE – Aldilà delle dichiarazioni di facciata, chi si aspettava rassicurazioni dalle parole del commissario agli affari regionali e vice presidente della Commissione Raffaele Fitto è rimasto deluso: la sostanza non cambia, quella dei fondi delle politiche di coesione per finanziare il piano di riarmo dell’Unione Europea proposto dalla presidente von der Leyen è “una possibilità dei singoli Stati” e saranno quindi i governi centrali a decidere se utilizzare i fondi di coesione, in che modo e quali programmi eventualmente tagliare per sostenere la nuova corsa agli armamenti europea.

La Conferenza delle Regioni di mercoledì sera, alla quale ha partecipato il commissario agli affari regionali Fitto, è l’ennesima dimostrazione di quanto le politiche di coesione (ed in particolar modo i programmi che hanno forti difficoltà di spesa) siano a rischio in questa fase. L’incontro, convocato settimane fa per verificare l’andamento della spesa dei singoli programmi e organizzato per verificare la necessità di eventuali riprogrammazioni in vista della finestra temporale di marzo 2025, a porte chiuse ha preso poi una piega diversa. Il piano ReArm Europe e l’impellente Consiglio Europeo hanno imposto un’accelerata che le regioni non si aspettavano e che ha messo sul chi va la diversi governatori, in particolare quelli del Sud Italia. Alcuni, come De Luca, si sono esposti platealmente contro questo piano: «Le cose che sto sentendo rischiano di essere mortali per il Sud – spiega De Luca – questi soldi servono per le politiche di riequilibrio dei divari territoriali e se a Bruxelles decidono di finanziare il riarmo con questi soldi il Sud è morto».

Fondi di coesione spesi per le armi, timore per la Calabria e le altre regioni del sud: deciderà il governo

I governatori di centrodestra, invece, sono più guardinghi ma la paura è tanta: a fine riunione, è stato proprio il leghista Fedriga, a capo della conferenza delle Regioni, a tirare le somme provando a buttare acqua sul fuoco ringraziando Fitto e spostando l’asse sulle proposte di modifiche ai fondi che arriveranno dalle regioni italiane e che saranno discusse a Bruxelles.

Le parole di Fitto, però, non hanno lasciato nessun margine all’interpretazione: «Il piano europeo di riarmo ha diverse fonti: quella delle politiche di coesione è una scelta volontaria dello stato membro e riguarda diversi stati membri che hanno diverse esigenze tra loro».

Parole che, nell’interpretazione del burocratese, non hanno molte interpretazione: decide Roma, in soldoni, e i fondi italiani sono ancora più a rischio rispetto a quelli di altri paesi. Il motivo, in realtà, è semplice: lo Stato italiano al momento non ha la capacità di cassa e la possibilità di investire risorse per aumentare gli investimenti in armamenti. Le difficoltà recenti nel trovare spazi economici per gli aiuti energetici alle famiglie e le discussioni intorno all’ultima finanziaria lo dimostrano: la coperta è corta, cortissima e le sirene che arrivano da Bruxelles non fanno che addensare nubi su regioni come la Calabria in difficoltà.

«I programmi più indietro con la spesa sono quelli attenzionati» si sussurra negli uffici ed è questo il timore principale per le regioni del Sud ed in particolar modo per la Calabria: dopo lo spostamento delle risorse dell’Fsc sul Ponte sullo Stretto (1,6 miliardi tolti dalle disponibilità di Calabria e Sicilia), quest’altra mannaia sarebbe davvero un colpo durissimo per il futuro di questa regione. (fr)

[Courtesy LaCNews24]

SANITÀ CALABRIA, OCCHIUTO ANNUNCIA:
«A BREVE FINISCE IL COMMISSARIAMENTO»

di SANTO STRATI – Sanità in Calabria, fine del commissariamento? Lannuncio lo dà il presidente Roberto Occhiuto durante un incontro/forum alla sede de Il Quotidiano del Sud, promosso dal direttore Massimo Razzi.

È una notizia shock, bellissima, difficile persino da credere. Ma bisogna crederci, visto che sulla Sanità calabrese Occhiuto ci ha messo la faccia e rischia quotidianamente la sua credibilità.

È ottimista Occhiuto, visibilmente provato da un recupero post operatorio che appare troppo lento, e, nella redazione centrale di Castrolibero azzarda che entro qualche settimana la sanità calabrese sarò fuori dal commissariamento. Se lo afferma, non solo ne è convinto, ma evidentemente ha ricevuto le dovute rassicurazioni dal Governo che siamo davvero al traguardo.

Una buona notizia per la Calabria e per i calabresi che dal 2009 sono sotto commissariamento e ne hanno viste di cotte e di crude, tra annunci, incapacità gestionali, promesse e, soprattutto, chiusure di ospedali. Uscire dal commissariamento quantomeno significa poter ricominciare a investire per garantire la salute ai calabresi, che continuano a regalare” milioni (340 secondo lultima stima) ogni anno alle altre regioni, dove vanno a farsi curare in ospedali più “avanzati” e dove, loro malgrado, trovano ottimi medici calabresi.

Si parla dialetto calabrese a Roma, Milano, Pavia, Padova e in gran parte delle strutture sanitarie del Nord: è il risultato degli esodi (molti controvoglia) di ottimi specialisti che hanno dovuto lasciare la propria terra e che nessuno riesce a far tornare (mancano soprattutto le possibilità economiche).

La fine di questorrendo bavaglio alla sanità pubblica potrebbe significare un nuovo slancio tutto a respiro regionale nella gestione della sanità pubblica il cui patatrac – non dimentichiamolo – è stato anche provocato da commissari di Governo inviati dallo Stato, che, però, continua a non volersi assumere alcuna colpa pur avendo gestito, per indiretta persona, lo scandalo di fatture pagate più volte, di ospedali chiusi, di reparti mai aperti, di attrezzature lasciate a morire nella loro obsolescenza senza venire utilizzate alla bisogna.

La storia della sanità calabrese è drammaticamente insopportabile e insostenibile sotto tutti i punti di vista e i rimedi, ad oggi, sono stati troppo blandi se non forieri di ulteriori spese.

Certo, va considerato che la fine del commissariamento non significa che viene annullato il piano di rientro, a cui prima o poi bisognerà venirne fuori, ma è decisamente un grosso passo in avanti per riorganizzare, con responsabilità unicamente regionale, tutto lapparato, mettendo ordine nelle tantissime, troppe, criticità.

Al direttore Razzi – cui bisogna dare atto di avere promosso una intelligente e coraggiosa campagna giornalistica attraverso il Quotidiano del Sud per la sanità calabrese – il presidente Occhiuto risponde mostrando sicurezza: «Sono assolutamente convinto che il commissariamento non sia una buona cosa per il governo della sanità in Calabria, lo ha anche detto la Corte costituzionale due volte. Ho lavorato nei mesi passati per ottenere dai Ministeri affiancanti la possibilità di poter uscire dal commissariamento. Io ho maturato un’esperienza nei palazzi della politica romana e spesso faccio cose che vengono interpretate come strappi. Un esempio sono gli emendamenti».

«Volevo un’assunzione di responsabilità dei Ministeri – ha spiegato – che ci dessero i dati sul punteggio Lea e si esprimessero sulla chiusura dei bilanci e la loro certificazione. Gli emendamenti sono serviti a questo. Li farò ritirare perché ho avuto la rassicurazione da parte del governo che la sanità calabrese uscirà, da qui a qualche settimana, dal commissariamento. E io vorrei che uscisse non per una norma ma per una delibera del Consiglio dei ministri proposta dal Mef e dal Ministero della Salute».

Secondo il Presidente Occhiuto, «Avendo finalmente il governo dei conti e i Lea in crescita, il commissariamento non ha più senso di esistere. Chiaramente rimarremo in piano di rientro, ma il mio obiettivo di medio periodo e quello di uscire anche da questo. Utilizzeremo parte della fiscalità aggiuntiva per colmare il deficit».

«Se noi riuscissimo con i Lea del 2024 ad essere verdi su tutti e tre gli aggregati (ospedaliero, prevenzione e distrettuale) potremmo chiedere l’uscita dal piano di rientro – ha detto –. Altra cosa: ho chiesto al governo di darmi una mano per concludere i tre grandi ospedali. Sibari procede e sarà completato prima della fine della legislatura, a Vibo c’è stato un incontro con il concessionario e aggiorneremo il piano finanziario per accelerare i lavori. Sulla Piana il concessionario ha chiesto 190 milioni in più, noi siamo disponibili ad un aggiornamento del Pef».

«Mi sto assumendo tantissime responsabilità – ha ricordato – e rischio di essere rincorso dalla Corte dei Conti per i prossimi decenni. Però l’ho fatto perché altrimenti non l’avremmo finito. Ho chiesto al governo poteri di Protezione Civile per procedere più velocemente con gli adempimenti previsti. E questo per i tre ospedali più il Policlinico universitario di Cosenza e una parte dell’ospedale di Reggio. Ho fiducia».

Lo scetticismo dei calabresi è duro da scalfire, nonostante liniezione di fiducia e ottimismo del Presidente Occhiuto. Il percorso non è libero da ostacoli e, probabilmente, lAzienda Zero non ha ancora le capacità operative (tipo bacchetta magica…) per sistemare conti e aziende e, soprattutto, poter garantire ai calabresi che vivono in regione e hanno diritto di curarsi adeguatamente vicino ai loro affetti e alle loro case, il livello di prestazioni sanitarie degne di questo nome. È un impegno, non soltanto una promessa, quanto affermato da Occhiuto. (s)

TERZO MANDATO, MA È DAVVERO UTILE?
UNA DISCUSSIONE SIMILE ALL’ARIA FRITTA

di PINO APRILE – La questione del Terzo mandato ai presidenti di Regione (la possibilità di candidarsi dopo essere stati già eletti due volte) potrebbe dare l’incrinatura che fa franare il castello-Italia; ed è comunque un fenomeno della stessa natura dell’Autonomia differenziata, della Questione meridionale.

Se il sistema di potere nazionale, ferocemente nord-centrico, non riuscisse a disinnescare questa mina a tempo (ci sono sei mesi per farlo), il processo di frammentazione del Paese avrebbe una accelerazione forse decisiva, irreversibile.

E in tale scenario, diventerebbe più fattibile, probabile, la secessione del Sud (ove non fosse resa impossibile da una disgregazione in pezzi sempre più piccoli e “mangiabili”).

Ovvio che sarebbe meglio avere un Paese più grande e solido, per reggere le sfide enormi della globalizzazione e di oligarchie planetarie che ne sono al tempo stesso madri e figlie. Ma un Paese è tale solo se equo, una casa in cui conviene stare per tutti quelli che ci abitano; se figli e figliastri, Nord e Sud, chi tutto e chi niente, allora meglio soli.

Lo scontro fra le segreterie nazionali dei partiti e i potentati regionali ripropone, a livello molto più alto, quanto una trentina di anni fa si ebbe con quello che fu chiamato “Il partito dei sindaci”. La legge del 1993 rese diretta l’elezione del primo cittadino, prima dominata dai dirigenti di partito. Sorsero, così, e acquisirono dimensione politica che debordò dagli stessi confini locali, figure di sindaci che (pur se proposti dagli stessi partiti) conquistarono consensi e visibilità personali: Massimo Cacciari a Venezia, Enzo Bianco a Catania, Riccardo Illy a Trieste, Antonio Bassolino a Napoli, Leoluca Orlando a Palermo…

Finirono per contare più loro, e non solo nella propria città, che i partiti o le coalizioni di origine, al punto che potevano candidarsi contro quelli e sconfiggerli, in caso di contrasti. E si vide il rischio reale di una rete-alleanza fra quei potentissimi sindaci, per dare indicazioni alle segreterie nazionali e non ricevere; e magari saltarne la mediazione per proporsi ai governi quali interlocutori diretti.

La mina fu disinnescata ostacolando politicamente in loco i sindaci che si allargavano troppo, blandendone altri e lasciandoli poi sospesi, rimuovendone altri ancora (con uso di promozione: chi al parlamento, al governo)… Tangentopoli fece il resto.

Questa volta, la faccenda è persino più seria, perché la dimensione territoriale e politica non è quella cittadina, ma regionale. E i potentati locali sono tali da poter reggere da soli e da ridurre i partiti nazionali a poca cosa: provate a immaginare cosa resterebbe della Lega se il Veneto virasse su una creatura politica di Luca Zaia e la sua rete di potere, costruita nel corso di tre mandati da presidente (la legge che li limita a due fu emessa dopo la sua prima presidenza). Tanto che ha già pronto un suo movimento.

E le cose non andrebbero diversamente in Campania, per il Pd: la rete di potere di Vincenzo De Luca non è del partito, ma sua. E anche lui ha pronto un movimento per concorrere alla rielezione “in proprio”.

Il problema, quindi, ce l’hanno sia la destra che la sinistra. Né va dimenticato che la sciagurata legge elettorale che rende i parlamentari tutti dei “nominati” dalle segreterie nazionali, fu varata di concerto fra i partiti, al di là di quanto viene poi dichiarato o di chi l’abbia materialmente firmata.

Se, dalla Meloni alla Schlein (Salvini si nasconde dietro Giorgia, dovendo fingere di essere dalla parte di Zaia), le dirigenze nazionali dei partiti tengono il punto e non rimuovono il vincolo del terzo mandato, alle prossime elezioni potrebbe esserci il terremoto.

Né il tentativo di “promuovere e rimuovere” Zaia e De Luca può avere serie possibilità di andare a segno: i due non sono dei Nello Musumeci cui basta dare la patacca di ministro all’Acqua salata, per fargli svendere la Sicilia già disastrata dalla sua presidenza. Zaia era ministro all’Agricoltura e lasciò la scena nazionale, per fare il presidente della sua Regione. Lui e De Luca sanno benissimo che il loro potentato locale vale molto di più di un ministero.

La differenza fra essere sindaco e ministro si vedeva e seduceva; con le Regioni, il vantaggio è al contrario. In più, ed è la cosa più importante, il presidente di Regione viene “nominato” dal popolo che lo vota e del cui consenso sa di poter disporre persino contro il suo partito; mentre il ministro è tenuto per le… spalle dal capo del governo e dal gioco di correnti del partito, che capitalizza il consenso territoriale, sottraendolo al singolo ministro. Insomma: non c’è lotta.

In Veneto, la Lega è scesa dal 49,9 per cento al 13 circa; mentre Fratelli d’Italia è salito al 33 e vuole, giustamente, un suo candidato. Se Zaia, scartato, si presentasse con il suo movimento, la più probabile ipotesi sarebbe la sconfitta di una destra scomposta in troppi pezzetti (della Lega non rimarrebbe quasi nulla) e il Veneto potrebbe passare al centrosinistra (se non si frantumasse ancora più della destra). Una perdita di posizione clamorosa per la maggioranza di governo.

In Campania, a ruoli invertiti, se il movimento di De Luca spezzasse ulteriormente il centrosinistra, la presidenza potrebbe tornare alla destra.

Ma gli scenari sono talmente incerti, confusi, mutevoli, che può accadere di tutto. Di sicuro, il potere delle segreterie nazionali dei partiti ne risulterebbe irrimediabilmente indebolito.

Ancora di più, però, lo sarebbe se cedessero alle richieste degli ingombranti esponenti locali candidati presidenti a vita, perché questo ne consoliderebbe il potere e segnerebbe un vero e proprio passaggio del testimone dal centro alla periferia.

Esattamente quello che si cerca di fare con l’Autonomia differenziata.

In tal modo, si rafforzano le identità e gli interessi locali contro quelli nazionali, si alimentano gli egoismi di campanile e si coinvolgono non soltanto le élite, ma le popolazioni al seguito e a servizio di quelle. E basterà poco, poi, per recidere l’ultimo filo.

Non ci si dovrebbe sorprendere se la linea delle fratture riproponesse quelle dei confini fra gli stati preunitari, che vennero messi insieme con la forza e referendum farlocchi che fecero gridare allo scandalo, persino gli osservatori della superpotenza imperiale (all’epoca: la Gran Bretagna) che pianificò e condusse l’unificazione dell’Italia.

Erano sette, con il Lombardo-Veneto occupato dagli austriaci. Il più antico e grande, nei suoi confini, era il Regno delle Due Sicilie, con l’isola che tendeva (e tende) a essere unica, solitaria.

In un’Italia che andasse in pezzi, quello stato (ovviamente non rimettendo le dinastie sui loro troni) potrebbe rinascere, perché stufi di essere trattati da colonia e cittadini di serie B, i meridionali hanno tutto il diritto e l’interesse di dire: «Se non possiamo stare alla pari, allora meglio soli».

Hanno finto di unificare l’Italia; l’hanno disegnata con una colonia interna da cui estrarre risorse, anche umane, per alimentare il benessere di poche regioni. Ma dalle e dalle, arriva il momento in cui si vuole sempre di più da una parte e si capisce sempre di più dall’altra. E la corda si spezza.

Obiezione: eh, ma ‘sto po’-po’ di disastro, solo perché Zaia e De Luca vogliono il terzo mandato? Il fatto è che tutte queste tensioni, gli strappi, vanno nella stessa direzione: la periferia si emancipa dal centro, perché il centro non ha saputo (“voluto”, sarebbe il termine giusto; e più corretto ancora: “potuto”, pur se avesse voluto) unificare davvero il Paese. Era diviso, è stato mantenuto diviso negli stessi confini, e può facilmente tornare diviso, magari per saziare gli appetiti dei caimani di poteri finanziari e politici internazionali che vogliono “un po’ di Italia”: è così bella, a me niente?

Uno strappo dopo l’altro, fra un po’ si strappa. Poi daranno la colpa all’ultimo che tira. (pa)

PER LA SANITÀ CALABRESE NON BASTANO
I FONDI PER POTER GARANTIRE LEA E LEP

di GIACINTO NANCIIl dott. Rubens Curia, portavoce di Comunità Competente, nonché autorevole, da molto tempo, operatore anche in ambito sanitario nella regione Calabria ci esorta a smetterla di chiedere solo i giusti finanziamenti per la sanità calabrese negati da trenta anni (per non corretta applicazione della legge 662 del 1996) e di operare comunque per il suo miglioramento indicandoci numerosissime e valide iniziative.

Intanto il sottofinanziamento non è cosa secondaria per come segnalato dallo stesso dott. Curia, quando scrive che la spesa pro capite per un calabrese è più di dieci volte inferiore alla spesa pro capite della regione che riceve più fondi e se si calcola che ciò dura da circa 30 anni si capisce bene che l’ammontare del sottofinanziamento non è di milioni di euro ma di miliardi di euro.

E, comunque, la sua esortazione non dovrebbe essere fatta ai calabresi e ai suoi amministratori ma direttamente al Governo perché, come tutti sappiamo, la Calabria ha la sua sanità commissariata dal 2011 e ha commissariate dal 2019 anche tutte e cinque le sue Asp e i suoi tre maggiori ospedali regionali (gli altri 18 ospedali minori sono stati chiusi in nome del risparmio.) E se dopo tutti questi anni di omni commissariamento (ricordiamo che il commissariamento per definizione è una istituzione di breve durata come per la grande opera della ricostruzione del ponte di Genova fatta in un anno) nel 2023 abbiamo superato perfino i 300 milioni di euro per le spese dei calabresi fuori regione, anche un bambino capirebbe che ci sono problemi al di la della cattiva gestione (sempre dei commissari) non credendo che tutti i commissari inviati in Calabria sono stati degli incompetenti.

A meno che nel loro mandato non ci sia stata solo l’attenzione al risparmio delle spese sanitarie anche perché ogni decreto commissariale, che quindi tratta di problemi sanitari, per poter essere pubblicato non va al ministero della Salute ma va prima a quello dell’Economia che deve valutarne la spesa ed è poi questo Ministero che lo trasferisce a quello della Salute. Della serie l’obiettivo principale è il rientro del presunto deficit sanitario non la salute dei calabresi?

Intanto noi calabresi stiamo pagando un prestito oneroso fattoci dal governo all’inizio del piano di rientro (2009) di 30 milioni l’anno fino al 2040 di cui 20 solo per interessi e 10 di capitale, praticamente usura statale. Nelle indicazioni fatte dal dott. Curia c’è il potenziamento della medicina territoriale ed io, che sono stato un medico di famiglia, ne so qualcosa e vi cito un solo dato: il dott. Battaglia Annibale, medico dell’associazione medici di famiglia Mediass, prima di morire di Covid, in una giornata ha fatto ben 185 accessi (quanti accessi ha in media un pronto soccorso?) cioè ha curato ben 185 dei suoi assistiti (dato verificabile perché il dott. Battaglia era medico ricercatore Health Search e questi dati sono depositati), per cui una riorganizzazione della medicina territoriale andrebbe prima di tutto beneficio dei medici di famiglia oltre che degli assistiti.

Ma la richiesta del giusto finanziamento della sanità calabrese è giustificato da un altro decisivo elemento, e cioè la assoluta maggiore prevalenza delle malattie croniche presenti in Calabria rispetto al resto d’Italia. Per certificare quanto appena detto cito il Dca n. 103 del lontano 30/09/2015 firmato dall’allora commissario al piano di rientro ing. Scura che alla pg. 33 dell’allegato n. 1 così recitava “si segnala maggiore presenza in Calabria di almeno il 10% di patologie croniche rispetto al resto d’Italia”.

Visto che il decreto, vidimato dal ministero dell’Economia e da quello della Salute (della serie tutti sanno), è fornito di specifiche tabelle si è potuto calcolare il maggior numero dei malati cronici presenti in Calabria rispetto al resto d’Italia che era allora di 287.000 e riteniamo che oggi siano di più perché i calabresi sono anche in testa alla classifica per le mancate cure. Ma il Dca aveva anche una specifica tabella sulla comorbilità nella quale noi calabresi siamo purtroppo sempre in testa alla classifica. Comorbilità è quando in una stessa persona ci sono due o più malattie croniche, il che comporta una maggiore spesa sanitaria del caso in cui le due malattie sono in due persone diverse.

Il decreto n. 662 del 1996 prevedeva anche il finanziamento in base alla epidemiologia e alla comorbilità ma non è stato mai applicato prova ne è il fatto che la regione Campania nel 2022 ha fatto ricorso al Tar proprio contro gli ingiusti criteri di riparto dei fondi sanitari alle regioni fatta dalla Conferenza Stato-Regioni. Significativo è anche il fatto che subito dopo questo ricorso al Tar il governo, prevedendo l’accettazione dello stesso, ha modificato lievissimamente i criteri di riparto basandoli, ma solo lontanamente, sul criterio citato dal dott. Curia della “deprivazione”. Concetto questo che già era stato applicato nel 2016 quando l’allora presidente della Conferenza Stato-Regioni on. Bonaccini lo ha annunciato ma in modo (è parola sua) “parzialissimo”.

Ebbene nel 2017 in base a questa “parzialissima” applicazione del concetto di deprivazione alla Calabria sono arrivati 29 milioni di euro e a tutto il sud ben 482 milioni in più. Basterebbe moltiplicare questo dato per quattro e poi per i 30 anni in cui non è stato fatto per capire l’enorme (molti miliardi) sottofinanziamento della sanità calabrese e meridionale. Ovviamente, la modifica non è stata né ampliata né riproposta. Ma c’è un ultimo elemento da tenere in considerazione, ed è il fatto che noi calabresi paghiamo più tasse degli altri italiani proprio a causa del piano di rientro.

Per risanare il presunto deficit sanitario calabrese un lavoratore calabrese con un imponibile lordo di 20.000 euro paga 480 euro di Irpef in più di un altro lavoratore italiano e un imprenditore calabrese con un imponibile lordo di un milione di euro paga ben 10.000 euro di Irap in più di qualsiasi altro imprenditore italiano. Inoltre, noi calabresi paghiamo un’accisa maggiorata sulla benzina sempre a causa del piano di rientro. Della serie il piano di rientro danneggia, oltre alla sanità, anche l’economia calabrese.

Infine una segnalazione circa l’arroganza vera e propria con cui i rappresentanti delle regioni come il Veneto, Lombardia, Piemonte, Toscana Emilia gestiscono i lavori della Conferenza Stato-Regioni, per come riferito a me personalmente da chi ci andava per la Calabria dieci anni fa. I rappresentanti di queste regioni non ammettevano contestazioni alla “loro” ripartizione e minacciavano chi avesse richiesto un giusto riparto dei fondi sanitari alle regioni vere e proprie ritorsioni.

In conclusione ottime sono le indicazioni delle cose da fare indicate dal dott. Curia ma, se dopo 15 anni di omnicommissariamento siamo a questo punto, il cambiamento si potrà avere se 1) si chiude il piano di rientro, 2) si condona l’ingiusto debito che stiamo pagando, 3) si finanziano le sanità regionali in base alla numerosità delle malattie e delle comorbilità nelle diverse regioni e 4) si revocano le ingiuste tasse aggiuntive ai calabresi.

E bisogna far presto perché alla luce dell’autonomia regionale, ai Lea (Livelli Essenziali di Assistenza) dopo tanti anni di commissariamento mai migliorati, si aggiungerà la mancata applicazione dei Lep (livelli essenziali delle Prestazioni) negli altri campi non sanitari.

Fatto questo, si possono anche lasciare i commissariamenti proprio per dimostrare che la vera causa del disastro della sanità calabrese è stato il miliardario inveterato sottofinanziamento della nostra sanità. (gn)

[Giacinto Nanci è medico di famiglia in pensione dell’Associazione Medici di famiglia]

BISOGNA SPENDERE DAVVERO LE RISORSE
DISPONIBILI PER INFRASTRUTTURE AL SUD

di ERCOLE INCALZA – Pochi quotidiani hanno riportato una serie di notizie che, a mio avviso, aprono una nuova fase nei rapporti tra organo centrale ed organo locale, tra Stato e Regioni. La prima notizia è sfuggita anche agli schieramenti che oggi caratterizzano la attuale opposizione al Governo, mi riferisco in particolare alla assenza, nel Disegno di Legge di Stabilità 2025, di risorse in conto capitale per l’avvio di opere infrastrutturali ed il ricorso ad un articolo, in particolare l’articolo 120, sempre del Disegno di Legge, che riporto di seguito, in cui si precisa:

Nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un fondo da ripartire a favore delle Amministrazioni centrali dello Stato, per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, con una dotazione complessiva di 24.000 milioni di euro, di cui 3.500 milioni di euro per l’anno 2027, 2.000 milioni di euro per l’anno 2028, 1.000 milioni di euro per l’anno 2029 e 2.500 milioni di euro annui per ciascuno degli anni dal 2030 al 2036.

Il fondo di cui al comma 1 è destinato a interventi, anche già finanziati parzialmente, che presentino un cronoprogramma procedurale compatibile con il rispetto dei saldi di finanza pubblica, nei limiti delle risorse previste per ciascuna amministrazione dal suddetto allegato. I predetti decreti sono comunicati alle Commissioni parlamentari competenti e alla Corte dei conti. I decreti prevedono le modalità di monitoraggio sui sistemi informativi del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato degli interventi e il relativo Cup, nonché la disciplina della revoca in caso di mancato rispetto del cronoprogramma.

In questo articolo, ripeto, si assegna una dotazione complessiva di 24.000 milioni di euro, disponibile però a partire dal 2027 di cui 3.500 milioni di euro per l’anno 2027. Una norma che tra l’altro contrasta con il Decreto Legislativo 93/2016, sempre in vigore, che all’articolo 2, comma 2, precisa: Le amministrazioni centrali dello Stato possono assumere impegni nei limiti dell’intera somma indicata dalle leggi di cui al comma 1. I relativi pagamenti devono, comunque, essere contenuti nei limiti delle autorizzazioni annuali di bilancio.

Quindi questa forzatura non notata neppure, come detto prima, dalla forze di opposizione denuncia chiaramente la limitata disponibilità di risorse e la corretta azione del Ministro Giorgetti di non gravare ulteriormente sul debito pubblico.

Ma proprio questa emergenza che, insisto, forse ancora non capita, ha portato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a modificare, in modo sostanziale, il rapporto con le singole Regioni, in modo particolare con le Regioni del Mezzogiorno che utilizzano, per una quota dell’80%, le risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione. Risorse che hanno visto, proprio in queste ultime settimane, la sottoscrizione, tra la Presidente del Consiglio e i Presidenti delle Regioni, degli atti con cui verranno assegnate le relative risorse.

L’Accordo siglato con la Campania porta a compimento il percorso di assegnazione delle risorse del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021-2027 pari a 6,5 miliardi di euro, quello con la Puglia porta ad un ammontare di 4,6 miliardi di euro, ecc.

In realtà sono le uniche risorse vere che garantiranno trasferimenti da parte dello Stato verso le varie realtà territoriali e questa ormai obbligata presa di coscienza ci porta purtroppo a constatare lo stato di avanzamento della spesa, proprio da parte delle varie Regioni, di tale Fondo.

Ebbene la Ragioneria Generale dello Stato, nel bollettino bimestrale sul monitoraggio delle politiche di coesione, ha comunicato la percentuale di pagamenti sul valore dei programmi: la percentuale è pari al 2,8% cioè 2,1 miliardi di euro su un totale di 75 miliardi.

Ricordo che il Programma è partito nel 2021, cioè quasi quattro anni fa e restano solo tre anni alla fine dell’arco temporale garantito dal Fondo. Cioè non abbiamo per niente letto attentamente la triste esperienza dell’utilizzo dei Fondi di Sviluppo e Coesione del periodo 2014 – 2020. Ancora oggi dopo la scadenza di tale Fondo nel 2022 (il Fondo scadeva nel 2020 ma prevedeva una proroga fino al 2020) siamo riusciti a spendere appena 33 miliardi di euro su 84,4 miliardi di euro.

Ebbene, la ormai misurabile carenza di risorse e la contestuale incapacità della spesa da parte delle Regioni ha portato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a dare vita ad una sorta di organismo di vigilanza. Fino ad oggi ai vari Presidenti delle Regioni bastava rispettare il pareggio di bilancio, dall’anno prossimo nella gestione della loro spesa dovranno rispondere ad una Commissione nata con un duplice obiettivo; Evitare gli sprechi, monitorare costantemente le politiche finanziarie delle Regioni per evitare che una loro cattiva gestione, una loro incapacità della spesa incrini la soglia dell’1,3 % di crescita della spesa primaria, soglia concordata dal Ministro Giorgetti con la Unione Europea ed inserita nel Piano Strutturale di Bilancio.

Concludo precisando che la ormai presa d’atto di una assenza di risorse senza dubbio ha portato il Governo ad invocare una norma che contrasta con provvedimenti già assunti in passato e, al tempo stesso, anche priva di adeguata concretezza, tuttavia questa apprezzabile coscienza ha portato, contestualmente, ad una lettura responsabile delle uniche risorse disponibili, cioè quelle del Fondo di Sviluppo e Coesione, e alla esigenza di imporre un codice comportamentale nuovo nei rapporti tra Stato e Regioni legato proprio alla capacità della spesa.

Bisogna dare atto alla Regione Campania ed alla Regione Calabria, già prima delle sottoscrizioni degli accordi tra Stato e Regioni sull’utilizzo di tali fondi, di avere, in modo organico e capillare, attivato le procedure necessarie per consentire un concreto e misurabile utilizzo delle risorse stesse.

Insisto: l’utilizzo delle risorse del Pnrr, anche con una possibile proroga, non assicurano una rilevante copertura delle esigenze avanzate dalle Regioni e quindi l’unico vero riferimento finanziario rimane il Fondo di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027, un Fondo che ci dà un respiro finanziario certo nel prossimo biennio di 29,3 miliardi di euro; evitiamo di ripetere la triste esperienza vissuta nell’utilizzo del Fondo 2014 – 2020. (ei)

ALTA VELOCITÀ, LE RISORSE NON MANCANO
È NECESSARIA CHIAREZZA SUL TRACCIATO

di NINO MALLAMACILa Calabria, per la collocazione geografica e la peculiare morfologia del suo territorio, è più un’isola che una penisola, caratterizzata perciò da una marginalità che solo vie di comunicazione moderne e veloci possono abbattere. Iritardi nella progettazione sono non di rado causa di slittamenti dei finanziamenti e quindi della realizzazione delle opere.

Francesco Russo, professore ordinario di ingegneria dei trasporti presso l’Università Mediterranea, da noi interpellato, allarga il discorso alla politica – di qualsiasi schieramento, precisa – che dimostra scarso interesse alla pianificazione e quindi alla progettazione. Secondo lui, inoltre, si dovrebbe rivedere tutto il piano per l’alta velocità e le linee ferroviarie calabresi in generale.Mancano i progetti. La soluzione potrebbe venire dalla Regione, che dovrebbe supportare la loro redazione. Dirò una cosa che può apparire strana: l’unica cosa che non manca in Italia sono i fondi, principalmente per investimenti e infrastrutture, perché arrivano dall’Europa e dallo Stato.

– Quindi, nonostante il ponte sullo Stretto dreni molte risorse ci sarebbero i fondi per fare altro?

«Ne sono convinto, quello che manca sono i progetti».

– Come si risolve questo problema? Dovrebbe entrare in campo la Regione?

«La Regione deve prendere in mano la partita, così come è stato fatto, ad esempio, nel 2017, quando bisognava realizzare le banchine lato est nel porto diGioia Tauro, i cui lavori sono stati completati quest’estate. La questione da affrontare è quella della progettazione. Se non si hanno i progetti completi non si fa niente».

– Ma perché non ci sono i progetti?Supponiamo che per un progetto per l’alta velocità occorrano 1, 2 o 3 anni; per reperire le risorse altri 3; per realizzare l’opera ulteriori 10. In sostanza, l’opera programmata sarà pronta, se tutto va bene, in 15 anni. Oggi la politica, senza distinzione di schieramenti, è fatta purtroppo di informazioni fast food, di cose da portare all’incasso subito in termini di pubblicità, immagine. Uninfrastruttura che richiede 15 anni non porta lustro a nessuno. Su questa impostazione la società civile, i giornali, i cittadini si devono impegnare per fare presente che è cruciale, ad esempio, fare un’alta velocità che vada fino a Metaponto e poi a Sibari, perché è l’unico modo per salvare la Calabria. Giornali, Università, scuole, circoli culturali dovrebbero pretendere un‘azione politica con una lettura strategica: oltre al fast food dell’oggi va guardata la prospettiva, il futuro».

– Torniamo all’alta velocità in Calabria. Un problema è quello del tracciato.

«L’attuale proposta di tracciato presenta un problema enorme che io definisco “di doppio curvone”. La linea da Salerno punta verso est fino a Romagnano e poi torna a Praia a Mare. Il tragitto deve invece essere dritto, da Battipaglia a Praia a Mare».

Perché è stata operata questa scelta?

«La Battipaglia – Romagnano è sulla linea Battipaglia Cosenza, ed è giusto, così com’è giusto che venga realizzata la Potenza – Metaponto perché la Basilicata ela Puglia lato jonico devono essere collegate. Ma, come ho più volte detto, la Battipaglia Romagnano Potenza Metaponto non basta: va collegata anche la piana di Sibari. così la linea jonica dell’alta velocità sarebbe Battipaglia – Romagnano Potenza – Metaponto Sibari. La tirrenica, invece, andrebbe da Battipaglia direttamente a Praia a Mare, per poi proseguire per Lamezia, Vibo e Reggio, non virare verso Romagnano per poi tornare sulla costa tirrenica».

– Si allunga anche il percorso invece di accorciarlo!

«Pensiamo semplicemente al teorema di Pitagora: ci sono i 2 cateti, uno Battipaglia Romagnano e l’altro Romagnano Praia.L’ipotenusa è sempre più corta, quindi va realizzato il percorso dritto Battipaglia – Praia a Mare, non tutto il gran giro cui hanno pensato. Tutto ha un senso se alpercorso tirrenico si affianca l’alta velocità fino a Sibari. A questo punto avremmo Sibari testata alta velocità ionica, Reggio con Villa testata alta velocità tirrenica.Ora è stato ripreso un progetto che avevamo (giunta Oliverio, con Russo assessore ai trasporti, n.d.r.) posto in campo nel 2017 per l’elettrificazione della ferrovia jonica. Con l’elettrificazione della jonica e l’alta velocità fino a Sibari si può partire con frecciargento da Crotone…».

–… e una volta a Sibari si passo dall’altra parte, sulla tirrenica, e si arriva a Roma.

Esatto: Sibari Metaponto Potenza Salerno Napoli Roma, in 3 ore. Inoltre, per il 2030 è previsto il completamento della nuova galleria Santomarco (Paola Cosenza)che sbuca 3 km a nord dell’Università di Arcavacata. Siccome da Cosenza a Sibari la linea ferroviaria è nuovissima si collega rapidamente Paola con Sibari. Da Cosenza si può andare a Sibari oppure a Paola, quindi Cosenza si trova al centro di tutta la partita. Andando giù, si sta sistemando la Catanzaro Lido Lamezia. Quindi avremmo un sistema che per i prossimi 100 anni porterebbe in Calabria sviluppo lavoro occupazione.

– Importantissimo questo collegamento, perché per la nostra regione uno dei problemi di sempre è stato quello dell’attraversamento da una costa all’altra, dal Tirreno allo Jonio e viceversa.

«Però se, in questo momento, si passa da Lamezia a Catanzaro Lido, ci si trova il nulla. Se invece si avesse tutta la linea jonica elettrificata, si arriverebbe a Crotone rapidamente e, se fosse accettata l’idea di fare arrivare l’Av fino a Sibari, in 3 ore a Roma».

– Quale sarebbe l’impatto dell’Av sull’economia?

«L‘Italia del nord ha un sistema poderoso di alta velocità. Lì ha prodotto un incremento differenziale di Pil dell’1 %. La Calabria negli ultimi 10 anni ha viaggiato in media con un incremento annuo dello 0,6/0,7 di PIL. Significa quindi più del raddoppio del Pil della Calabria, il che cambierebbe la storia della regione, il modo di percepirla in Europa e nel mondo. Penso ai piccoli artigiani e commercianti, ai professionisti, ai piccoli industriali, a tutta l’economia importante e di qualità che abbiamo. Si rende conto che significa arrivare in Calabria, arrivare a Sibari da Roma in meno di 3 ore?».

– Significa proprio abbattere la marginalità della Calabria.

«Penso a Sibari perché è una delle aree produttive più importanti della Calabria per l’agricoltura, l’industria, il meccanico leggero. Non a caso Baker Hughes ha pensato a Corigliano. C’è tutto un territorio di piccole imprese meccaniche e metalmeccaniche di grandissima qualità. A parte la storia, la cultura, l’archeologia. Quella zona può esplodere e diventare locomotiva per tutta la Calabria. Per questo, come ho sempre difeso la linea Av tirrenica, allo stesso modo dico facciamo la linea ionica…».

– Perché sarebbe fondamentale per collegare tutta quella zona con le aree produttive del Paese.

«Dobbiamo tutelare gli interessi di tutta la Calabria: della piana di Lamezia, della Locride, costruendo modelli di accessibilità per garantire un futuro non legato all’assistenza. Il futuro lo cambiamo con l’inserimento nei grandi sistemi economici nazionali. Se da Sibari a Roma ci si impiega meno di 3 ore si cambia la storia della Calabria. Allo stato insomma il collegamento non esiste proprio. L‘unica cosa poco più decente che abbiamo è il treno (una scelta della giunta Oliverio) che parte da Sibari e va a Bolzano. Ma sempre via Cosenza e Paola.Se invece si fa arrivare l’A.V. a Sibari, in meno di 3 ore si arriva a Roma. Così facendo, inoltre, con i due tratti che, partendo da Metaponto, vanno a Sibari e a Taranto, si integrano i porti di Corigliano e Taranto».

– Lei ci ha detto che il padre di tutti i problemi è la carenza nella progettazione. Ma noi abbiamo anche fior di università che sfornano professionalità che poi vanno a operare altrove. Daremmo quindi anche un’occasione di lavoro gratificante e di qualità a questi calabresi.

«La Calabria ha la possibilità di fare tutto quello che vuole, ha qualità formidabili. Pensi che ci sono ragazzi calabresi professori ordinari di Trasporti nelle più importanti università fuori regione. A Roma Tor Vergata, per esempio, sono tutti ragazzi calabresi che hanno vinto i concorsi più difficili».

Insomma, ancora una volta, grazie in questo caso al professore Russo, abbiamo l’opportunità di saggiare le potenzialità di questa nostra regione. Quando giungerà il tempo in cui la Calabria sarà capace di tradurle in realtà? Una domanda che fluttua nell’aria e rimane senza risposta. (nm)

LEGGE DI BILANCIO 2025, C’È UN GRANDE
ASSSENTE: NON SI PARLA DI MEZZOGIORNO

di ERCOLE INCALZA – Leggendo il Disegno di Legge di Stabilità 2025 nasce spontaneo un interrogativo: e il Mezzogiorno? Cioè quali siano o quali possano essere le risorse che il Governo intenda assegnare, sotto varie forme (in conto esercizio e in conto capitale) alla infrastrutturazione del Sud?

Io, in modo forse ripetitivo, ricordo sempre che la legge 27 febbraio 2017, n. 18, dispone che la quota delle risorse ordinarie delle spese in conto capitale a favore delle otto regioni del Mezzogiorno non sia inferiore al 34% del totale nazionale. Quest’ultimo valore non è casuale, in quanto è analogo al peso che la popolazione del Meridione ha sull’intero aggregato nazionale. Inoltre nella legge Finanziaria del 2005, era stato precisato che le Amministrazioni centrali si dovevano conformare all’obiettivo di destinare al Mezzogiorno almeno il 30% della spesa ordinaria in conto capitale.

Ma dal 2018 al 2022, se andiamo a leggere le dichiarazioni di Ministri del Mezzogiorno come Barbara Lezzi o Giuseppe Provenzano o Mara Carfagna e di Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti come Danilo Toninelli o Paola De Micheli o Enrico Giovannini, scopriamo che era davvero scandaloso assegnare solo il 34%; una percentuale ridicola che non avrebbe mai incrinato il gap tra Sud e resto del Paese; almeno bisognava assegnare il 50% e il Ministro Giovannini dichiarò, addirittura, la soglia del 60%.

Appare evidente che allo stato attuale le risorse assegnate per interventi infrastrutturali rilevanti, sì per le cosiddette “opere strategiche”, nel Mezzogiorno dal 2015 ad oggi non superano, come preciserò dopo, il 6,5% del valore globale degli interventi infrastrutturali del Paese.

Ritengo opportuno precisare che in tale analisi non ho ritenuto opportuno inserire le risorse destinate al Ponte sullo Stretto di Messina perché non ho, in tale indagine, inserito gli interventi relativi al nuovo valico Torino – Lione, al Terzo Valico dei Giovi ed al Brennero; infatti ho sempre ritenuto questi quattro interventi come scelte mirate a realizzare i quattro anelli mancanti in grado di integrare il nostro impianto trasportistico con l’intero impianto comunitario.

Per questo motivo le opere infrastrutturali ubicate nel Mezzogiorno per le quali ci sono apposite risorse e sono in corso iniziative progettuali e realizzative sono: Un primo lotto dell’asse ferroviario ad alta velocità – alta capacità Salerno – Reggio Calabria per un importo di circa 2,2 miliardi di euro; Il collegamento ad alta velocità – alta capacità Napoli – Bari per un importo di circa 5,8 miliardi di euro; Alcuni lotti funzionali degli assi ad alta velocità – alta capacità Palermo – Messina e Messina – Catania per un valore globale di circa 3,8 miliardi di euro; Alcuni lotti (uno in costruzione altri in fase di appalto) della Strada Statale 106 Jonica che collega Taranto con Reggio Calabria per un valore globale di 4,3 miliardi di euro; Alcuni lotti dell’asse viario Palermo – Agrigento – Caltanissetta per un valore globale di circa 700 milioni di euro; Asse ferroviario ad alta velocità Taranto – Potenza – Battipaglia per un valore di circa 500 milioni di euro; Reti metropolitane e ferroviarie urbane di Napoli, Palermo e Catania per un valore globale di circa 900 milioni di euro.

Il valore globale di queste assegnazioni si attesta su un valore di 18,2 miliardi di euro e tutte sono opere previste nel Programma delle Infrastrutture Strategiche della Legge Obiettivo, opere che fino al 2022, escluso l’asse ad alta velocità Napoli – Bari, erano praticamente rimaste bloccate per scelta dei Governi Renzi, Gentiloni, Conte 1 e 2 e Draghi. Il valore del Programma della Legge Obiettivo era pari a circa 277 miliardi di euro (valore questo che non tiene conto, come detto prima, del valore dei valichi e del Ponte sullo Stretto) per cui i 18,3 miliardi di euro rappresentano appena il 6,5%.

Ma questa mia denuncia è davvero ridicola perché basata sulla logica delle risorse assegnate al Sud, una logica che, purtroppo, dopo molto tempo, ho capito che è solo un atto mediatico utile per testimoniare la esistenza di una volontà che si è trasformata in atti concreti solo con la Legge Obiettivo, dopo, invece, è rimasta solo una dichiarazione di buone intenzioni.

Pochi mesi fa ho fatto presente, in alcune mie note, che forse l’attuazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) possono essere invece una prima misurabile occasione per uscire da questo equivoco e, soprattutto, un simile approccio ci farebbe scoprire che sarebbe necessario disporre per azioni infrastrutturali e servizi al Sud pari ad un valore di circa 14 miliardi di euro all’anno per un arco temporale di almeno dieci anni.

In realtà, quindi, la misura di un vero cambiamento dell’azione del  Governo nei confronti del Mezzogiorno non dovremmo più misurarla solo con queste percentuali inutili sul valore globale degli investimenti ma dovremmo convincerci, una volta per tutte, che l’unico modo per tentare di abbattere il gap del Sud nei confronti del Centro Nord, l’unico modo per evitare che il reddito pro capite medio si attesti sempre su un valore di 21 mila euro contro i 40 mila del Nord, l’unico modo per riconoscere al Mezzogiorno il suo ruolo chiave nel contesto nazionale e comunitario, l’unico modo per non rimanere, all’interno della Unione Europea, insieme alla Germania dell’Est la realtà economica incapace di crescere, l’unico modo è solo legato ad una azione organica nella omogenizzazione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni.

Una azione che deve essere caratterizzata da iniziative non solo infrastrutturali ma anche in interventi capillari sulla miriade di servizi offerti: da quelli sul trasporto pubblico locale a quelli relativi alla offerta dei servizi sanitari e scolastici, ecc.

Ed allora, non avendo trovato risorse in conto capitale nel Disegno di Legge di Stabilità 2025 ho cercato quante risorse fossero state previste per l’attuazione dei Lep e non ho trovato alcuna risorsa e questa dimenticanza mi ha davvero preoccupato.

Addirittura ho pensato che il Governo speri, il prossimo 12 novembre, in una bocciatura, da parte della Consulta, della Legge n.86 del 26 giugno 2024 relativa all’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma della Costituzione. Sì è l’unico modo per evitare che una norma aggravi ulteriormente le sorti del Sud soprattutto perché, non disponendo il Governo di risorse, provocherebbe solo un rischioso conflitto non solo tra le Regioni del Sud e quelle del resto del Paese ma, addirittura, tra le stesse Regioni del Mezzogiorno. Mi spiace ma questo è uno dei primi passi falsi dell’attuale Governo. (ei)

INFRASTRUTTURE, CALABRIA LA REGIONE
CON PIÙ OPERE STRATEGICHE DA FARE

di ERCOLE INCALZA – Ho fatto un’attenta e capillare analisi su tutti gli interventi di natura infrastrutturale che vanno realizzati nelle varie Regioni del Paese nell’arco del prossimo quinquennio o, al massimo, decennio ed ho trovato che la Regione in cui è previsto il massimo numero di interventi, con la contestuale rilevante esigenza di risorse, è la Regione Calabria.

Vanno, infatti, realizzati i seguenti interventi: Il completamento e la messa in esercizio delle dighe presenti nella Regione (in Calabria ci sono 24 grandi dighe ma alcune non sono completate altre non sono adeguatamente utilizzate); La realizzazione dell’asse ferroviario ad alta velocità – alta capacità Battipaglia – Reggio Calabria; La riqualificazione funzionale dell’asse ferroviario jonico per renderlo omogeneo alla rete nazionale (le caratteristiche attuali sono davvero pessime); La realizzazione del Ponte sullo Stretto; La realizzazione del completamento integrale della strada statale 106 Jonica; La realizzazione di un impianto retroportuale del porto di Gioia Tauro; La realizzazione di un sistema integrato di impianti interportuali con nodi chiave a Corigliano e Castrovillari; La riqualificazione funzionale degli aeroporti e dei relativi accessi di Crotone, Lamezia e Reggio Calabria; La rivisitazione, di intesa con la Regione Basilicata, delle via di accesso e degli impianti interni al Parco nazionale del Pollino.

Di questo rilevante elenco di esigenze allo stato sono disponibili solo le risorse destinate alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, una quota di 2,2 miliardi per un tratto, non in Calabria, della Battipaglia – Reggio (la tratta Battipaglia – Romagnano) e 3 miliardi per un ulteriore tratto della Strada Statale 106 Jonica. Invece, effettuando un’analisi dettagliata delle reali esigenze legate ai nove atti strategici prima riportati scopriamo che il valore globale si attesta su un importo di circa 62 miliardi di euro; occorrono, ripeto, 62 miliardi di euro altrimenti continuiamo ad inseguire disegni teorici che, al massimo, arricchiranno i programmi dell’attuale e delle prossime Legislature. Continueranno questi elenchi a far parte di quegli interventi che assicurano, da sempre, sistematicamente il rispetto teorico (ripeto teorico) della soglia del 30% della quota nazionale da assegnare ad interventi nel Mezzogiorno, (una quota che soprattutto nell’ultimo decennio non ha mai superato il 7% – 8%).

La prossima Legge di Stabilità, a differenza delle precedenti, avrà un arco programmatico non limitato a tre anni ma a cinque anni e, quindi, a mio avviso deve essere leggibile sin dal prossimo anno cosa concretamente sia possibile inserire nel quadro programmatico degli interventi da realizzare in Calabria.

Senza dubbio nel 2025 la Legge non potrà prevedere risorse sostanziali perché, purtroppo, in partenza già appesantita da due voci esose come il mantenimento del cuneo fiscale (15 miliardi di euro) e il contenimento del debito pubblico (12 miliardi di euro); cioè in partenza è una Legge di Stabilità praticamente difficilmente utilizzabile per altre finalità; tuttavia dovremmo poter leggere in tale strumento già tre cose: Quali possano essere le reali assegnazioni alla Regione Calabria per il prossimo quinquennio; Quali quote sia possibile ancora garantire, sempre alla Regione, attraverso l’utilizzo di Fondi comunitari; Quali risorse sia possibile attrarre ricorrendo a forme innovative di Partenariato Pubblico Privato

Il Presidente Occhiuto sin dal suo insediamento ha rivendicato, in modo trasparente, la esigenza di concretezza delle azioni dell’organo centrale nei confronti della Calabria, lo ha fatto confrontandosi sistematicamente con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e con Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, lo ha fatto con l’Anas e con le Ferrovie dello Stato e non posso non riconoscere ad Occhiuto la richiesta formale al Governo di destinare davvero risorse per il Ponte, di destinare davvero risorse per dare continuità alla Strada Statale 106 Jonica, ecc.

Oggi però siamo di fronte ad uno che definisco “anno cerniera” tra un biennio dell’attuale Governo legato al PNRR e che ha lasciato poco alla Regione Calabria ed un prossimo triennio, quello di fine Legislatura, in cui definire, in modo chiaro, un misurabile assetto programmatico.

La Regione Calabria dei nove punti da me riportati in precedenza dispone (almeno lo spero), in modo dettagliato, delle azioni, delle esigenze finanziare e dei empi necessari per dare ad ognuno di loro i crismi della concretezza; in realtà la Regione è in grado di produrre dettagliati Piani Economici Finanziari di ogni intervento utili per poter dare vita a forme di Partenariato Pubblico Privato.

Speriamo che questo “anno cerniera” diventi, lo ripeto fino alla noia, concreto. La Regione Calabria lo merita. (ei)